LETTERA
APOSTOLICA Admirabile signum DEL SANTO PADRE FRANCESCO
SUL
SIGNIFICATO E IL VALORE DEL PRESEPE
Premessa.
Leggendo la lettera di
Papa Francesco sul presepe, pubblicata il 1° dicembre 2019, propongo
semplicemente alcune note di riflessione.
E inizio con un aneddoto
personale. Essendo Rettore del Pontificio Collegio Greco a Roma, fui invitato
un anno, la Vigilia di Natale, a benedire un bel presepe napoletano del XVII
secolo, che era stato allestito in un antiquariato proprio accanto alla sede
del Collegio Greco nel cuore di Roma. Dopo la benedizione di quella, posso dire,
meravigliosa opera scultoria partenopea, uno degli organizzatori dell’evento mi
disse tra domanda e affermazione: “voi, in Oriente, il presepe non l’avete, non
lo fatte…”. Io risposi dicendo che noi in Oriente abbiamo l’icona della Nascita
di Cristo, icona che ripropone la stessa sceneggiatura del presepe che era di
fronte a noi, in quel caso un presepe napoletano, sceneggiatura che nell’icona
orientale presentava anche gli stessi personaggi: il Bambino neonato, Maria e
Giuseppe, gli animali, i pastori accorrenti a vedere l’evento ed anche i tre
magi che dal lontano oriente seguivano la stella.
Diversità o comunione tra
Oriente ed Occidente? L’insieme dei personaggi nell’icona ci riporta sicuramente
al fatto che nella tradizione bizantina il giorno 25 dicembre come pericope
evangelica si legge senza soluzione di continuità sia il racconto di Luca sia
il racconto di Matteo sulla nascita di Cristo, sull’annuncio ai pastori e sulla
manifestazione ai magi. Cioè si situa in un unico giorno quello che nella
tradizione occidentale va dal 25 dicembre al 6 gennaio. In fondo però il
mistero manifestato nel presepe napoletano e nell’icona bizantina del Natale è
sempre il mistero dell’Incarnazione del Verbo eterno di Dio.
Fare, costruire,
allestire… il presepe. Nella mia lingua materna catalana dicevamo e diciamo
“fer el pessebre” (“fare il presepe”), come anche le diverse volte che il Papa
ne parla nella sua lettera, il presepe “lo si fa”, “lo si costruisce”, quasi
direi “lo si crea”. Si crea qualcosa di nuovo con le cose, le immagini o
figurette, con i personaggi di sempre. Le figurine di terracotta cariche di
anni e di storia, si inseriscono nella terra nuova, nelle erbe e piante nuove
che ogni anno vengono cercate e che “creano, fanno” il presepe. E usando questo
linguaggio “creazionale”, non si tratta di una costruzione dal nulla, ma una
costruzione, un fare, che si inserisce nella grande tradizione di una famiglia
cristiana qualsiasi, ma radicata appunto in una tradizione dai nonni, dai
padri, e che noi tutti ci sentivamo e ci sentiamo di dover trasmettere.
In casa dei miei nonni le
figurine si custodivano tutto l’anno ben protette, avvolte con amore e cura, in
una cassa di legno o di cartone che veniva collocata in un luogo, la soffitta,
dove eravamo sicuri che rimanevano protette lungo l’anno e che nessuno avrebbe
toccato né sfiorato. Le figurine erano in qualche modo seppellite durante un
anno in attesa della loro “risurrezione”. E l’andare a cercare le immaginette
dove erano state custodite dall’anno anteriore, custodite con cura, con amore,
direi quasi con venerazione, costituiva tutto un rito, quasi una liturgia. Era
quasi un disseppellire quelle immaginette di terracotta, di fango cotto, quasi
un farle risorgere, e se ne scoprivamo una rotta in qualche parte o addirittura
frantumata, mai, assolutamente mai, veniva buttata via ma riattaccata, restaurata,
ricreata, dalla mano “creativa” quasi redentrice oserei dire del nonno o della
nonna che la rimettevano a posto Ricordiamo che pure Dio crea Adamo dal fango e
col suo alito divino potremmo dire che lo cuoce, lo fa diventare terracotta
pure lui. Una terracotta fragile, che tante volte cadrà, si spezzerà, ma che
mai, assolutamente mai verrà buttata via, ma sempre restaurata, ricreata.
Ricordo nel mio monastero
di Montserrat la figura di fratel Romualdo che aveva questo ruolo, compito,
impegno, ogni anno di “fare il presepe” per la comunità dei monaci. Per lui era
quasi una celebrazione liturgica, un “sacramento” il dover fare il presepe,
aggiungendo ogni anno qualche nuova immaginetta. Mai buttare le antiche o
vecchie ma sempre annoverarle con quelle nuove. Lui, fratel Romualdo, viveva
questo “fare il presepe” quasi fosse un Avvento in cui si preparava a ricreare
e rivivere il Natale di Cristo.
Il preparare, il fare il
presepio, si inserisce nella tradizione familiare, in quello di prezioso che
c’è nella storia di ogni famiglia. I ricordi delle nostre famiglie che già a
dicembre si preparavano ad allestire il presepe...
Note di commento.
1.Dal
paragrafo introduttivo, il Papa dà la ragione teologica del presepe:
l’Incarnazione del Verbo di Dio. Notiamo il binomio rappresentare-annunciare: “Il mirabile segno del presepe, così
caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e meraviglia. Rappresentare
l’evento della nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero
dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Il presepe,
infatti, è come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della Sacra
Scrittura”.
Il Papa
incoraggia e sostiene una tradizione che è nata dal cuore cristiano. Non da un
semplice folclore ma da qualcosa che si vive in tutta la vita degli uomini:
casa, scuola, ospedali, carceri… La nascita di Cristo segna anche la vita delle
Chiese cristiane: “…sostenere
la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale
preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di
lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze... Si impara
da bambini: quando papà e mamma, insieme ai nonni, trasmettono questa gioiosa
abitudine, che racchiude in sé una ricca spiritualità popolare”.
2. Il presepe ha la sua origine nel Vangelo. Tutta l’iconografia
cristiana nasce dalla Parola di Dio, dai racconti evangelici. Molto bella
l’immagine di Cristo come cibo, un’immagine che il Papa trova in sant’Agostino,
e che troviamo anche in sant’Efrem il Siro e in altri Padri della Chiesa: “L’origine del presepe trova riscontro
anzitutto in alcuni dettagli evangelici della nascita di Gesù a Betlemme.
Entrando in questo mondo, il Figlio di Dio trova posto dove gli animali vanno a
mangiare. Il fieno diventa il primo giaciglio per Colui che si rivelerà come
«il pane disceso dal cielo» (Gv 6,41). Una simbologia che già Sant’Agostino,
insieme ad altri Padri, aveva colto quando scriveva: «Adagiato in una
mangiatoia, divenne nostro cibo»”.
Il papa
cita le fonti francescane legate all’origine del presepe e ancora nel punto 2
riporta l’affermazione di Francesco: “«Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche
modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la
mancanza delle cose necessarie a un neonato… La gente accorsa manifestò una
gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale. Poi il
sacerdote, sulla mangiatoia, celebrò solennemente l’Eucaristia, mostrando il
legame tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e l’Eucaristia. In quella
circostanza, a Greccio, non c’erano statuine: il presepe fu realizzato e vissuto
da quanti erano presenti. È così che nasce la nostra tradizione: tutti attorno
alla grotta e ricolmi di gioia, senza più alcuna distanza tra l’evento che si
compie e quanti diventano partecipi del mistero”. Due
frasi sottolineo in questo paragrafo: “vedere con gli occhi del corpo…”, e poi
l’immagine della mangiatoia come altare. Tante volte nell’iconografia
cristiana, da Oriente a Occidente, la mangiatoia di Betlemme è rappresentata
come sepolcro in cui giace il bambino fasciato, “sepolto” in esso. L’icona, l’immagine,
il presepe diventa memoria, anamnesi vera e propria di quello che si celebra.
3.Il
paragrafo
è quasi un riassunto di quello che è la teologia dei sacramenti per ogni
cristiano: Dio che si abbassa, che si fa uno di noi, e per mezzo della sua
incarnazione diventa per noi fonte di vita. Cito alcune delle parti del testo:
“San Francesco… realizzò una grande opera di evangelizzazione…. per
riproporre la bellezza della nostra fede con semplicità. Il presepe manifesta
la tenerezza di Dio. Lui, il Creatore dell’universo, si abbassa alla nostra
piccolezza. Il dono della vita, già misterioso ogni volta per noi, ci affascina
ancora di più vedendo che Colui che è nato da Maria è la fonte e il sostegno di
ogni vita. In Gesù, il Padre ci ha dato un fratello che viene a cercarci quando
siamo disorientati e perdiamo la direzione; un amico fedele che ci sta sempre
vicino; ci ha dato il suo Figlio che ci perdona e ci risolleva dal peccato… In
modo particolare, fin dall’origine francescana il presepe è un invito a
“sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella
sua Incarnazione”. Il punto 3 della lettera è uno dei punti
teologicamente e anche iconograficamente più profondi. In primo luogo, l’icona,
il presepe, compie una opera di evangelizzazione. Il presepe è bello e in esso
vediamo e viviamo la bellezza della nostra fede, una bellezza che passa per la
povertà, per il farsi piccolo, povero. Ma sempre nella semplicità e la
bellezza. Il presepe, l’icona cristiana, ci fa sentire e toccare il mistero di
Dio.
4. In
questo punto, il Papa fa quasi una lettura allegorica e simbolica del presepe
stesso, vedendo nel contesto in cui è fatto una immagine della vita dell’uomo
nella povertà, nel bisogno. Afferma tra l’altro: “Mi
piace ora passare in rassegna i vari segni del presepe per cogliere il senso
che portano in sé. In primo luogo, rappresentiamo il contesto del cielo
stellato nel buio e nel silenzio della notte… Pensiamo a quante volte la notte
circonda la nostra vita. Ebbene, anche in quei momenti, Dio non ci lascia soli,
ma si fa presente per rispondere alle domande decisive che riguardano il senso
della nostra esistenza… Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché
soffro? Perché morirò? Per dare una risposta a questi interrogativi Dio si è
fatto uomo… Una parola meritano anche i paesaggi che fanno parte del presepe e
che spesso rappresentano le rovine di case e palazzi antichi… Quelle rovine
sono soprattutto il segno visibile dell’umanità decaduta, di tutto ciò che va
in rovina, che è corrotto e intristito. Questo scenario dice che Gesù è la
novità in mezzo a un mondo vecchio, ed è venuto a guarire e ricostruire, a
riportare la nostra vita e il mondo al loro splendore originari”.
5. Il
Papa parla di un aspetto che abbiamo tutti vissuto nella preparazione del
presepe, nel fare il presepe, cioè l’emozione nel preparare quel luogo, nel
prepararlo con tante delle cose -terra, sassi, piante…- prese dalla nostra
stessa terra e dai luoghi dove viviamo e ci muoviamo. Bella anche l’immagine
dei pastori poveri che vanno incontro del Signore fattosi povero: “Quanta
emozione dovrebbe accompagnarci mentre collochiamo nel presepe le montagne, i
ruscelli, le pecore e i pastori! In questo modo ricordiamo, come avevano
preannunciato i profeti, che tutto il creato partecipa alla festa della venuta
del Messia. Gli angeli e la stella cometa sono il segno che noi pure siamo
chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore…
i pastori diventano i primi testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che
viene donata. Sono i più umili e i più poveri che sanno accogliere
l’avvenimento dell’Incarnazione. A Dio che ci viene incontro nel Bambino Gesù,
i pastori rispondono mettendosi in cammino verso di Lui, per un incontro di
amore e di grato stupore. È proprio questo incontro tra Dio e i suoi figli,
grazie a Gesù, a dar vita alla nostra religione, a costituire la sua singolare bellezza,
che traspare in modo particolare nel presepe”.
6.
Rivoluzione dell’amore – rivoluzione della tenerezza. Due espressioni che
mettono in evidenza la realtà del Vangelo stesso. Tema della santità
quotidiana, nata dalla gioia del fare in modo straordinario quello che è a modo
suo ordinario e quotidiano. “I poveri e i semplici nel presepe
ricordano che Dio si fa uomo per quelli che più sentono il bisogno del suo
amore e chiedono la sua vicinanza… Nascendo nel presepe, Dio stesso inizia
l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati:
la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza. Dal presepe, Gesù
proclama, con mite potenza, l’appello alla condivisione con gli ultimi quale
strada verso un mondo più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed
emarginato… in questo nuovo mondo inaugurato da Gesù c’è spazio per tutto ciò
che è umano e per ogni creatura. Dal pastore al fabbro, dal fornaio ai
musicisti, dalle donne che portano le brocche d’acqua ai bambini che giocano…:
tutto ciò rappresenta la santità quotidiana, la gioia di fare in modo
straordinario le cose di tutti i giorni, quando Gesù condivide con noi la sua
vita divina”.
7. Tutto il punto 7 è dedicato alle figure di Maria e di
Giuseppe. Lei nel suo ruolo nell’Incarnazione del Figlio di Dio. Lui nel suo
ruolo di custode della sua famiglia. “Poco alla volta il presepe ci conduce
alla grotta, dove troviamo le statuine di Maria e di Giuseppe. Maria è una
mamma che contempla il suo bambino e lo mostra a quanti vengono a visitarlo…
All’annuncio dell’angelo che le chiedeva di diventare la madre di Dio, Maria
rispose con obbedienza piena e totale. Vediamo in lei la Madre di Dio che non
tiene il suo Figlio solo per sé, ma a tutti chiede di obbedire alla sua parola
e metterla in pratica…Accanto a Maria, in atteggiamento di proteggere il
Bambino e la sua mamma, c’è San Giuseppe… Lui è il custode che non si stanca
mai di proteggere la sua famiglia… Giuseppe portava nel cuore il grande mistero
che avvolgeva Gesù e Maria sua sposa, e da uomo giusto si è sempre affidato alla
volontà di Dio e l’ha messa in pratica”.
8. Il punto 8 è una riflessione teologica
sul mistero dell’incarnazione del Figlio e Verbo di Dio. Sembra quasi che il
Papa riprenda gli inni di Sant’Efrem il Siro sul Natale. Metto in evidenziato
alcune di queste espressioni oserei dire “calcedoniane”. “Il
cuore del presepe comincia a palpitare quando, a Natale, vi deponiamo la
statuina di Gesù Bambino. Dio si presenta così, in un bambino, per farsi
accogliere tra le nostre braccia. Nella debolezza e nella fragilità nasconde la
sua potenza che tutto crea e trasforma… Il presepe ci fa vedere, ci fa toccare
questo evento unico e straordinario che ha cambiato il corso della storia, e a
partire dal quale anche si ordina la numerazione degli anni, prima e dopo la
nascita di Cristo… Il modo di agire di Dio quasi tramortisce, perché sembra
impossibile che Egli rinunci alla sua gloria per farsi uomo come noi. Che
sorpresa vedere Dio che assume i nostri stessi comportamenti: dorme, prende il
latte dalla mamma, piange e gioca come tutti i bambini!”.
9.Nel punto
9 il papa introduce le figure dei tre magi venuti dall’Oriente. E commenta il
senso allegorico, la simbologia dei doni, simbologia che troviamo nei testi
delle liturgie dell’Oriente cristiano. “Quando si avvicina la festa
dell’Epifania, si collocano nel presepe le tre statuine dei Re Magi. Osservando
la stella, quei saggi e ricchi signori dell’Oriente si erano messi in cammino
verso Betlemme per conoscere Gesù, e offrirgli in dono oro, incenso e mirra.
Anche questi regali hanno un significato allegorico: l’oro onora la regalità di
Gesù; l’incenso la sua divinità; la mirra la sua santa umanità che conoscerà la
morte e la sepoltura”.
10.Il
punto 10 è la conclusione di tutta la lettera. Sottolineo qualche aspetto del testo,
come la tradizione e la trasmissione della fede attraverso l’icona del presepe:
“Davanti al presepe, la mente va volentieri a quando si era bambini… Questi
ricordi ci inducono a prendere sempre nuovamente coscienza del grande dono che
ci è stato fatto trasmettendoci la fede; e al tempo stesso ci fanno sentire il
dovere e la gioia di partecipare ai figli e ai nipoti la stessa esperienza…
Dovunque e in qualsiasi forma, il presepe racconta l’amore di Dio, il Dio che
si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano… Cari
fratelli e sorelle, il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di
trasmissione della fede. A partire dall’infanzia e poi in ogni età della vita,
ci educa a contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi, a sentire e
credere che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a
quel Bambino Figlio di Dio e della Vergine Maria… apriamo il cuore a questa
grazia semplice, lasciamo che dallo stupore nasca una preghiera umile: il
nostro “grazie” a Dio che ha voluto condividere con noi tutto per non lasciarci
mai soli”.
+P.
Manuel Nin
Esarca
Apostolico
LETTERA
APOSTOLICA Admirabile signum DEL SANTO PADRE FRANCESCO
SUL
SIGNIFICATO E IL VALORE DEL PRESEPE
1.
Il mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre
stupore e meraviglia. Rappresentare l’evento della nascita di Gesù equivale ad
annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e
gioia. Il presepe, infatti, è come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine
della Sacra Scrittura. Mentre contempliamo la scena del Natale, siamo invitati
a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è
fatto uomo per incontrare ogni uomo. E scopriamo che Egli ci ama a tal punto da
unirsi a noi, perché anche noi possiamo unirci a Lui.
Con
questa Lettera vorrei sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che
nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine
di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle
carceri, nelle piazze... È davvero un esercizio di fantasia creativa, che
impiega i materiali più disparati per dare vita a piccoli capolavori di
bellezza. Si impara da bambini: quando papà e mamma, insieme ai nonni, trasmettono
questa gioiosa abitudine, che racchiude in sé una ricca spiritualità popolare.
Mi auguro che questa pratica non venga mai meno; anzi, spero che, là dove fosse
caduta in disuso, possa essere riscoperta e rivitalizzata.
2.
L’origine del presepe trova riscontro anzitutto in alcuni dettagli evangelici
della nascita di Gesù a Betlemme. L’Evangelista Luca dice semplicemente che
Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose
in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (2,7). Gesù
viene deposto in una mangiatoia, che in latino si dice praesepium, da
cui presepe.
Entrando
in questo mondo, il Figlio di Dio trova posto dove gli animali vanno a
mangiare. Il fieno diventa il primo giaciglio per Colui che si rivelerà come
«il pane disceso dal cielo» (Gv 6,41). Una simbologia che già
Sant’Agostino, insieme ad altri Padri, aveva colto quando scriveva: «Adagiato
in una mangiatoia, divenne nostro cibo» (Serm. 189,4). In realtà, il
presepe contiene diversi misteri della vita di Gesù e li fa sentire vicini alla
nostra vita quotidiana.
Ma
veniamo subito all’origine del presepe come noi lo intendiamo. Ci rechiamo con
la mente a Greccio, nella Valle Reatina, dove San Francesco si fermò venendo
probabilmente da Roma, dove il 29 novembre 1223 aveva ricevuto dal Papa Onorio
III la conferma della sua Regola. Dopo il suo viaggio in Terra Santa, quelle
grotte gli ricordavano in modo particolare il paesaggio di Betlemme. Ed è
possibile che il Poverello fosse rimasto colpito, a Roma, nella Basilica di
Santa Maria Maggiore, dai mosaici con la rappresentazione della nascita di
Gesù, proprio accanto al luogo dove si conservavano, secondo un’antica
tradizione, le tavole della mangiatoia.
Le Fonti
Francescane raccontano nei particolari cosa avvenne a Greccio. Quindici
giorni prima di Natale, Francesco chiamò un uomo del posto, di nome Giovanni, e
lo pregò di aiutarlo nell’attuare un desiderio: «Vorrei rappresentare il
Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo
i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un
neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e
l’asinello».[1] Appena l’ebbe ascoltato,
il fedele amico andò subito ad approntare sul luogo designato tutto il
necessario, secondo il desiderio del Santo. Il 25 dicembre giunsero a Greccio
molti frati da varie parti e arrivarono anche uomini e donne dai casolari della
zona, portando fiori e fiaccole per illuminare quella santa notte. Arrivato
Francesco, trovò la greppia con il fieno, il bue e l’asinello. La gente accorsa
manifestò una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del
Natale. Poi il sacerdote, sulla mangiatoia, celebrò solennemente
l’Eucaristia, mostrando il legame tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e
l’Eucaristia. In quella circostanza, a Greccio, non c’erano statuine: il
presepe fu realizzato e vissuto da quanti erano presenti.
È così che nasce la nostra tradizione: tutti attorno alla grotta e ricolmi di
gioia, senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti
diventano partecipi del mistero.
Il
primo biografo di San Francesco, Tommaso da Celano, ricorda che quella notte,
alla scena semplice e toccante s’aggiunse anche il dono di una visione
meravigliosa: uno dei presenti vide giacere nella mangiatoia Gesù Bambino
stesso. Da quel presepe del Natale 1223, «ciascuno se ne tornò a casa sua pieno
di ineffabile gioia».[3]
3.
San Francesco, con la semplicità di quel segno, realizzò una grande opera di
evangelizzazione. Il suo insegnamento è penetrato nel cuore dei cristiani e
permane fino ai nostri giorni come una genuina forma per riproporre la
bellezza della nostra fede con semplicità. D’altronde, il luogo stesso dove
si realizzò il primo presepe esprime e suscita questi sentimenti. Greccio
diventa un rifugio per l’anima che si nasconde sulla roccia per lasciarsi
avvolgere nel silenzio.
Perché
il presepe suscita tanto stupore e ci commuove? Anzitutto perché manifesta
la tenerezza di Dio. Lui, il Creatore dell’universo, si abbassa alla
nostra piccolezza. Il dono della vita, già misterioso ogni volta per noi,
ci affascina ancora di più vedendo che Colui che è nato da Maria è la fonte
e il sostegno di ogni vita. In Gesù, il Padre ci ha dato un
fratello che viene a cercarci quando siamo disorientati e perdiamo la
direzione; un amico fedele che ci sta sempre vicino; ci ha dato il
suo Figlio che ci perdona e ci risolleva dal peccato.
Comporre
il presepe nelle nostre case ci aiuta a rivivere la storia che si è vissuta a
Betlemme. Naturalmente, i Vangeli rimangono sempre la fonte che permette di
conoscere e meditare quell’Avvenimento; tuttavia, la sua rappresentazione nel
presepe aiuta ad immaginare le scene, stimola gli affetti, invita a sentirsi
coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e
attuale nei più diversi contesti storici e culturali.
In
modo particolare, fin dall’origine francescana il presepe è un invito a
“sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé
nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla
via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di
Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con
misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi (cfr. Mt 25,31-46).
4.
Mi piace ora passare in rassegna i vari segni del presepe per cogliere il senso
che portano in sé. In primo luogo, rappresentiamo il contesto del cielo
stellato nel buio e nel silenzio della notte. Non è solo per fedeltà ai
racconti evangelici che lo facciamo così, ma anche per il significato che
possiede. Pensiamo a quante volte la notte circonda la nostra vita. Ebbene,
anche in quei momenti, Dio non ci lascia soli, ma si fa presente per rispondere
alle domande decisive che riguardano il senso della nostra esistenza: chi sono
io? Da dove vengo? Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché soffro?
Perché morirò? Per dare una risposta a questi interrogativi Dio si è fatto
uomo. La sua vicinanza porta luce dove c’è il buio e rischiara quanti
attraversano le tenebre della sofferenza (cfr Lc 1,79).
Una
parola meritano anche i paesaggi che fanno parte del presepe e che spesso
rappresentano le rovine di case e palazzi antichi, che in alcuni casi
sostituiscono la grotta di Betlemme e diventano l’abitazione della Santa
Famiglia. Queste rovine sembra che si ispirino alla Legenda Aurea del
domenicano Jacopo da Varazze (secolo XIII), dove si legge di una credenza
pagana secondo cui il tempio della Pace a Roma sarebbe crollato quando una
Vergine avesse partorito. Quelle rovine sono soprattutto il segno visibile
dell’umanità decaduta, di tutto ciò che va in rovina, che è corrotto e
intristito. Questo scenario dice che Gesù è la novità in mezzo a un mondo
vecchio, ed è venuto a guarire e ricostruire, a riportare la nostra vita e il
mondo al loro splendore originario.
5.
Quanta emozione dovrebbe accompagnarci mentre collochiamo nel presepe le
montagne, i ruscelli, le pecore e i pastori! In questo modo ricordiamo, come
avevano preannunciato i profeti, che tutto il creato partecipa alla festa della
venuta del Messia. Gli angeli e la stella cometa sono il segno che noi pure
siamo chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il
Signore.
«Andiamo
fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto
conoscere» (Lc 2,15): così dicono i pastori dopo l’annuncio fatto
dagli angeli. È un insegnamento molto bello che ci proviene nella semplicità
della descrizione. A differenza di tanta gente intenta a fare mille altre cose,
i pastori diventano i primi testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che
viene donata. Sono i più umili e i più poveri che sanno accogliere
l’avvenimento dell’Incarnazione. A Dio che ci viene incontro nel Bambino Gesù,
i pastori rispondono mettendosi in cammino verso di Lui, per un incontro di amore
e di grato stupore. È proprio questo incontro tra Dio e i suoi figli, grazie
a Gesù, a dar vita alla nostra religione, a costituire la sua singolare
bellezza, che traspare in modo particolare nel presepe.
6.
Nei nostri presepi siamo soliti mettere tante statuine simboliche. Anzitutto,
quelle di mendicanti e di gente che non conosce altra abbondanza se non quella
del cuore. Anche loro stanno vicine a Gesù Bambino a pieno titolo, senza che
nessuno possa sfrattarle o allontanarle da una culla talmente improvvisata che
i poveri attorno ad essa non stonano affatto. I poveri, anzi, sono i
privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a
riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi.
I
poveri e i semplici nel presepe ricordano che Dio si fa uomo per quelli che più
sentono il bisogno del suo amore e chiedono la sua vicinanza. Gesù, «mite e
umile di cuore» (Mt 11,29), è nato povero, ha condotto una vita semplice
per insegnarci a cogliere l’essenziale e vivere di esso. Dal presepe emerge chiaro
il messaggio che non possiamo lasciarci illudere dalla ricchezza e da tante proposte
effimere di felicità. Il palazzo di Erode è sullo sfondo, chiuso, sordo all’annuncio
di gioia. Nascendo nel presepe, Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà
speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione
dell’amore, la rivoluzione della tenerezza. Dal presepe, Gesù proclama, con
mite potenza, l’appello alla condivisione con gli ultimi quale strada verso un mondo
più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed emarginato.
Spesso
i bambini – ma anche gli adulti! – amano aggiungere al presepe altre statuine che
sembrano non avere alcuna relazione con i racconti evangelici. Eppure, questa immaginazione
intende esprimere che in questo nuovo mondo inaugurato da Gesù c’è spazio
per tutto ciò che è umano e per ogni creatura. Dal pastore al fabbro, dal fornaio
ai musicisti, dalle donne che portano le brocche d’acqua ai bambini che giocano…:
tutto ciò rappresenta la santità quotidiana, la gioia di fare in modo
straordinario le cose di tutti i giorni, quando Gesù condivide con noi la sua
vita divina.
7. Poco
alla volta il presepe ci conduce alla grotta, dove troviamo le statuine di Maria
e di Giuseppe. Maria è una mamma che contempla il suo bambino e lo mostra a quanti
vengono a visitarlo. La sua statuetta fa pensare al grande mistero che ha coinvolto
questa ragazza quando Dio ha bussato alla porta del suo cuore immacolato. All’annuncio
dell’angelo che le chiedeva di diventare la madre di Dio, Maria rispose con obbedienza
piena e totale. Le sue parole: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo
la tua parola» (Lc 1,38), sono per tutti noi la testimonianza di come abbandonarsi
nella fede alla volontà di Dio. Con quel “sì” Maria diventava madre del Figlio di
Dio senza perdere, anzi consacrando grazie a Lui la sua verginità. Vediamo in lei
la Madre di Dio che non tiene il suo Figlio solo per sé, ma a tutti chiede di obbedire
alla sua parola e metterla in pratica (cfr Gv 2,5).
Accanto
a Maria, in atteggiamento di proteggere il Bambino e la sua mamma, c’è San Giuseppe.
In genere è raffigurato con il bastone in mano, e a volte anche mentre regge una
lampada. San Giuseppe svolge un ruolo molto importante nella vita di Gesù e di Maria.
Lui è il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia. Quando Dio
lo avvertirà della minaccia di Erode, non esiterà a mettersi in viaggio ed emigrare
in Egitto (cfr Mt 2,13-15). E una volta passato il pericolo, riporterà la
famiglia a Nazareth, dove sarà il primo educatore di Gesù fanciullo e adolescente.
Giuseppe portava nel cuore il grande mistero che avvolgeva Gesù e Maria sua sposa,
e da uomo giusto si è sempre affidato alla volontà di Dio e l’ha messa in pratica.
8. Il
cuore del presepe comincia a palpitare quando, a Natale, vi deponiamo la statuina
di Gesù Bambino. Dio si presenta così, in un bambino, per farsi accogliere tra le
nostre braccia. Nella debolezza e nella fragilità nasconde la sua potenza
che tutto crea e trasforma. Sembra impossibile, eppure è così: in Gesù Dio è
stato bambino e in questa condizione ha voluto rivelare la grandezza del suo amore,
che si manifesta in un sorriso e nel tendere le sue mani verso chiunque.
La nascita
di un bambino suscita gioia e stupore, perché pone dinanzi al grande mistero della
vita. Vedendo brillare gli occhi dei giovani sposi davanti al loro figlio appena
nato, comprendiamo i sentimenti di Maria e Giuseppe che guardando il bambino Gesù
percepivano la presenza di Dio nella loro vita.
«La
vita infatti si manifestò» (1 Gv 1,2): così l’apostolo Giovanni riassume
il mistero dell’Incarnazione. Il presepe ci fa vedere, ci fa toccare questo evento
unico e straordinario che ha cambiato il corso della storia, e a partire dal quale
anche si ordina la numerazione degli anni, prima e dopo la nascita di Cristo.
Il modo
di agire di Dio quasi tramortisce, perché sembra impossibile che Egli rinunci alla
sua gloria per farsi uomo come noi. Che sorpresa vedere Dio che assume i
nostri stessi comportamenti: dorme, prende il latte dalla mamma, piange e gioca
come tutti i bambini! Come sempre, Dio sconcerta, è imprevedibile, continuamente
fuori dai nostri schemi. Dunque, il presepe, mentre ci mostra Dio così come è entrato
nel mondo, ci provoca a pensare alla nostra vita inserita in quella di Dio; invita
a diventare suoi discepoli se si vuole raggiungere il senso ultimo della vita.
9. Quando
si avvicina la festa dell’Epifania, si collocano nel presepe le tre statuine dei
Re Magi. Osservando la stella, quei saggi e ricchi signori dell’Oriente si erano
messi in cammino verso Betlemme per conoscere Gesù, e offrirgli in dono oro,
incenso e mirra. Anche questi regali hanno un significato allegorico: l’oro onora
la regalità di Gesù; l’incenso la sua divinità; la mirra la sua santa umanità
che conoscerà la morte e la sepoltura.
Guardando
questa scena nel presepe siamo chiamati a riflettere sulla responsabilità che ogni
cristiano ha di essere evangelizzatore. Ognuno di noi si fa portatore della Bella
Notizia presso quanti incontra, testimoniando la gioia di aver incontrato Gesù e
il suo amore con concrete azioni di misericordia.
I Magi
insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo. Sono uomini
ricchi, stranieri sapienti, assetati d’infinito, che partono per un lungo e pericoloso
viaggio che li porta fino a Betlemme (cfr Mt 2,1-12). Davanti al Re Bambino
li pervade una gioia grande. Non si lasciano scandalizzare dalla povertà dell’ambiente;
non esitano a mettersi in ginocchio e a adorarlo. Davanti a Lui comprendono che
Dio, come regola con sovrana sapienza il corso degli astri, così guida il corso
della storia, abbassando i potenti ed esaltando gli umili. E certamente, tornati
nel loro Paese, avranno raccontato questo incontro sorprendente con il Messia, inaugurando
il viaggio del Vangelo tra le genti.
10. Davanti
al presepe, la mente va volentieri a quando si era bambini e con impazienza si aspettava
il tempo per iniziare a costruirlo. Questi ricordi ci inducono a prendere sempre
nuovamente coscienza del grande dono che ci è stato fatto trasmettendoci la fede;
e al tempo stesso ci fanno sentire il dovere e la gioia di partecipare ai figli
e ai nipoti la stessa esperienza. Non è importante come si allestisce il presepe,
può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta, è che esso parli
alla nostra vita. Dovunque e in qualsiasi forma, il presepe racconta l’amore
di Dio, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere
umano, in qualunque condizione si trovi.
Cari
fratelli e sorelle, il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di
trasmissione della fede. A partire dall’infanzia e poi in ogni età della vita,
ci educa a contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi, a sentire e credere
che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino
Figlio di Dio e della Vergine Maria. E a sentire che in questo sta la felicità.
Alla scuola di San Francesco, apriamo il cuore a questa grazia semplice, lasciamo
che dallo stupore nasca una preghiera umile: il nostro “grazie” a Dio che ha voluto
condividere con noi tutto per non lasciarci mai soli.
Dato
a Greccio, nel Santuario del Presepe, 1° dicembre 2019, settimo del pontificato.
FRANCESCO
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