martedì 11 aprile 2017

Venerdì e Sabato Santo nella tradizione bizantina
Oggi il Signore per noi diventa straniero
Il mistero pasquale nella tradizione bizantina viene inquadrato nella celebrazione della passione e morte del Signore in croce, la sua discesa all’ade e la sua gloriosa risurrezione. Il Creatore di tutto, il Signore onnipotente ed inaccessibile è inchiodato alla croce e muore. È messo in un sepolcro da Giuseppe di Arimatea e Nicodemo. Quindi il Signore che scende negli inferi per riprendersi Adamo e riportarlo al paradiso da cui era stato espulso. La liturgia di questi giorni mette in parallelo la grandezza del Signore Onnipotente che per noi si annienta, si fa piccolo, si fa uomo, come canta uno dei tropari del Venerdì: “Oggi è appeso al legno colui che ha appeso la terra sulle acque; oggi il Re degli angeli è cinto di una corona di spine; oggi è avvolto di una finta porpora colui che avvolge il cielo di nubi; riceve uno schiaffo, colui che nel Giordano ha liberato Adamo; è inchiodato con chiodi lo Sposo della Chiesa; è trafitto da una lancia il Figlio della Vergine. Adoriamo, o Cristo, i tuoi patimenti! Mostraci anche la tua gloriosa risurrezione”. I tropari della liturgia contemplano la divinità e l’umanità di Cristo nel suo essere inchiodato alla croce: “Oggi il Sovrano del creato e Signore della gloria, è confitto alla croce e viene trafitto al fianco; gusta fiele e aceto la dolcezza della Chiesa; è cinto di una corona di spine colui che copre di nuvole il cielo; indossa un manto di derisione ed è schiaffeggiato da una mano di creta colui che con la sua mano ha plasmato l’uomo; è flagellato alle spalle colui che avvolge il cielo di nubi; riceve sputi e flagelli, oltraggi e schiaffi, e per me, il condannato, tutto egli sopporta, il mio Redentore e Dio, per salvare il mondo dall’in­gan­no, nella sua amorosa compassione”. Il dolore e la fede della Madre di Dio vedendo il Figlio appeso alla croce diventa il dolore e la fede della Chiesa stessa: “Oggi colui che per essenza è inaccessibile, diventa per me accessibile, e soffre la passione per liberare me dalle passioni; colui che dà la luce ai ciechi, riceve sputi da labbra inique e, per i prigionieri, offre le spalle ai flagelli. Vedendolo sulla croce, la pura Vergine e Madre dolorosamente diceva: Ahimè, Figlio mio, perché hai fatto questo? Tu, splendido di bellezza più di tutti i mortali, appari senza respiro, sfigurato, senza più forma né bellezza!. Ahimè, mia luce! Non posso vederti addormentato, sono ferite le mie viscere e una dura spada mi trapassa il cuore. Io celebro i tuoi patimenti, adoro la tua amorosa compassione: o longanime Signore, gloria a te”. La passione e la morte del Signore manifestano la gloria e la grandezza della sua divino umanità: “Oggi vediamo compiersi un tremendo e straordinario mistero: l’intangibile è catturato, viene legato colui che scioglie Adamo dalla maledizione; è iniquamente interrogato colui che scruta cuori e reni; è rinchiuso in una prigione colui che ha chiuso l’abisso; compare davanti a Pilato colui davanti al quale si tengono con tremore le potenze dei cieli; il Creatore è schiaffeggiato dalla mano della creatura; è condannato alla croce il Giudice dei vivi e dei morti; è deposto in una tomba il distruttore dell’ade. O tu che per compassione tutto sopporti, e tutti salvi dalla maledizione, o paziente Signore, gloria a te”.
Giuseppe di Arimatea e Nicodemo vengono presentati come coloro che hanno cura del corpo del Signore, e la sua sepoltura diventa il vero riposo del sabato della nuova creazione: “Giuseppe insieme a Nicodemo depose dal legno te, che ti avvolgi di luce come di un manto; e contemplandoti morto, nudo, insepolto, iniziò il lamento pieno di compassione… Come potrò seppellirti, Dio mio? Come ti avvolgerò in una sindone? Con quali mani toccherò il tuo corpo immacolato? Oggi una tomba racchiude colui che tiene in sua mano il creato; una pietra ricopre colui che copre i cieli con la sua maestà. Dorme la vita, l’ade trema e Adamo è sciolto dalle catene…. Tu oggi ci doni il sabato eterno con la tua santissima risurrezione dai morti: perché tu sei Dio… Il Re dei secoli, dopo aver compiuto l’economia con la passione, celebra il sabato in una tomba, per prepararci un nuovo riposo sabbatico”.

Un altro dei tropari, con delle immagini di una bellezza toccante, viene messo in bocca a Giuseppe di Arimatea che chiede a Pilato il corpo di Gesù. Il testo canta il Verbo di Dio che nella sua incarnazione “si fa, diventa straniero”. È un testo che medita tutta l’economia dell’incarnazione, lo svuotarsi, lo straniarsi del Figlio di Dio. Un diventare straniero lo è stato il suo ingresso nel mondo nell’incarnazione; la sua morte fuori della città: “…Giuseppe andò da Pilato, e così lo pregava: Dammi questo straniero, che dall’infanzia come straniero si è esiliato nel mondo. Dammi questo straniero, odiato e ucciso come straniero. Dammi questo straniero, di cui stranito contemplo la morte strana. Dammi questo straniero, che ha saputo accogliere poveri e stranieri. Dammi questo straniero, che per invidia è stato estraniato dal mondo. Dammi questo straniero, perché io lo seppellisca in una tomba, giacché, come straniero, non ha ove posare il capo. Dammi questo straniero, al quale la Madre, vedendolo morto, gridava: O Figlio e Dio mio, anche se sono trafitte la mie viscere e il mio cuore dilaniato al vederti morto, tuttavia ti magnifico, confidando nella tua risurrezione… E il nobile Giuseppe ricevette il corpo del Salvatore: con timore lo avvolse in una sindone con mirra e depose in una tomba colui che a tutti elargisce la vita eterna e la grande misericordia”.


giovedì 6 aprile 2017

La Settimana Santa nella tradizione bizantina
Da Betania a Gerusalemme.
Un importante testo del IV secolo, la Peregrinatio Egeriae, nel capitolo XXIX racconta la celebrazione della risurrezione di Lazzaro che si svolge tra Betania e Gerusalemme, e che avviene il sabato che precede immediatamente la Domenica delle Palme. La famosa pellegrina narra come il vescovo di Gerusalemme con i monaci ed il popolo si radunano a Betania e lì si legge il vangelo della risurrezione di Lazzaro; quindi si avviano in processione verso la Città Santa. Le liturgie orientali hanno questa celebrazione appunto il sabato immediatamente precedente la Domenica delle Palme, celebrazione in qualche modo preparata lungo tutta la settimana che la precede attraverso la malattia, la morte e la risurrezione di Lazzaro e che a sua volta diventa prefigurazione, annuncio della grande settimana della passione, morte e risurrezione del Signore. Nella tradizione bizantina troviamo in questa settimana dei tropari liturgici che mettono in luce due aspetti importanti: in primo luogo i testi contemplano in modo progressivo la malattia, la morte e la risurrezione dell’amico del Signore, quasi volessero coinvolgerci con Cristo nel suo camminare, nel suo salire a Betania e a Gerusalemme. In secondo luogo, la liturgia facendo una lettura dei testi ed una esegesi potremmo dire “per omonimia”, accosta nel nome comune i due personaggi evangelici che portano il nome di Lazzaro: il povero della parabola del vangelo di Luca e l’amico di Cristo del vangelo di Giovanni.
I testi liturgici ci introducono nel cammino di Gesù verso Betania con i suoi discepoli: “Oggi la malattia di Lazzaro viene manifestata a Cristo, che si trattiene al di là del Giordano... coi suoi apostoli verrà il Signore per risuscitare un nativo di questa terra”. Nel progredire della malattia di Lazzaro, i tropari mettono in luce la pedagogia voluta da Cristo anche dal suo attardarsi al di là del Giordano: “Oggi come ieri Lazzaro soffre la malattia... nella gioia, preparati Betania, per ricevere il tuo maestro e il tuo Re e canta con noi: Signore, gloria a te”. Martedì al vespro e mercoledì si parla già della morte e quindi della sepoltura di Lazzaro: “In questo giorno Lazzaro consegna lo spirito, per raffermare nel tuo amico, Signore, la fede nella tua divina risurrezione che calpesta la morte e ci dà la vita; per questo noi ti lodiamo e ti cantiamo”. Nel cammino di Cristo verso Betania, vediamo già sottolineata la sua vittoria sulla morte: “Lazzaro è nella tomba da due giorni... si avvicina il Creatore per spogliare la morte e darci la vita; per questo noi lo invochiamo: Signore, gloria a te”. Lo strappo fatto da Cristo alla morte nella persona dell’amico Lazzaro è preannuncio della nuova creazione che avverrà nella risurrezione di Cristo quando scendendo nell’ade lui strapperà dagli inferi Adamo ed Eva e li riporterà al paradiso. I testi della liturgia di questi giorni inoltre mescolano la gioia dell’imminente risurrezione di Lazzaro e quella dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme: “O Cristo, che siedi sui serafini celesti nella divina maestà di Creatore dell'universo, adesso nella terra ti prepari a sedere su un asinello; Betania si rallegra di accoglierti come Salvatore, Gerusalemme si rallegra di ricevere il Messia atteso... Oggi viene resa nota al Cristo, che è al di là del Giordano, la malattia di Lazzaro… Prepàrati, Betania, adorna divinamente i tuoi ingressi, allarga le tue dimore: perché ecco, verrà il Sovrano con gli apostoli per ridare la vita al tuo figlio”. Quindi la liturgia del sabato di Lazzaro accosta la risurrezione di Lazzaro alla risurrezione di Gesù; si sottolinea il parallelo tra i due giorni di sabato: quello di Lazzaro e quello di Gesù dopo una settimana: “Volendo vedere la tomba di Lazzaro, o Signore, tu che volontariamente ti accingevi ad abitare una tomba...”. Tutta la sesta settimana di Quaresima quindi viene inquadrata in questa contemplazione dell'incontro ormai vicino tra Gesù e la morte, quella dell'amico per primo, quella propria la settimana dopo, e i testi liturgici riescono a coinvolgerci in questo cammino di Gesù verso Betania, verso Gerusalemme. La grande filantropia di Dio che si rivelerà nella croce di Cristo, ci viene fatta pregustare nella filantropia verso l’amico Lazzaro.
Il secondo aspetto che vorrei mettere in evidenza, è l’accostare dei due Lazzaro nella loro omonimia. I due personaggi sono presenti nei testi della liturgia di questi giorni: “I farisei, vestiti di porpora e di seta... hanno come tesoro la Legge e i Profeti; essi hanno fatto crocifiggere te, il Povero, fuori delle porte della città … e ti hanno rifiutato malgrado la tua risurrezione te, che sei da sempre nel seno paterno … La grazia sarà per loro come la gotta di acqua desiderata dal ricco empio... ed essi vedranno una moltitudine di pagani che nel seno di Abramo portano il vestito del battesimo e la porpora del tuo sangue…”. Quasi che i testi della liturgia mettono in parallelo la malattia, morte e risurrezione di Lazzaro amico di Cristo, con la sofferenza nella povertà, la morte e la glorificazione nel seno di Abramo del Lazzaro della parabola. “Da ricco, o Cristo, ti sei fatto povero, e hai arricchito i mortali di immortalità e illuminazione: arricchiscimi dunque di virtù, poiché mi sono impoverito con i piaceri della vita, e collocami insieme al povero Lazzaro… Non condannarmi, o Cristo, al fuoco della geenna, come il ricco a causa di Lazzaro, ma dona anche a me, che te lo chiedo in pianto, una goccia di amore per gli uomini, o Dio, e abbi pietà di me…”.

Infine uno dei tropari di questi giorni riprende il legame indissolubile tra il digiuno e la misericordia che ha guidato tutto il cammino quaresimale: “Fratelli tutti, prima della fine: accostiamoci al Dio compassionevole con cuore puro. Messe da parte le contingenze della vita, prendiamoci cura dell’anima; lasciato con disgusto il piacere dei cibi in virtù della continenza, occupiamoci della misericordia: per essa, infatti, come sta scritto, alcuni senza saperlo diedero ospitalità a degli angeli; nutriamo nei poveri colui che ci ha nutriti con la propria carne; rivestiamoci di colui che si avvolge di luce come di un manto…”.

lunedì 3 aprile 2017


Cristo.j avne,sth Cristo è Risorto!

+ O Καρκαβίας Εμμανουήλ Νιν
Επίσκοπος-Έξαρχος Ελληνορρύθμων Καθολικών Ελλάδος

+ P. Manuel Nin
Esarca Apostolico per i cattolici di tradizione bizantina in Grecia




ΑΓΙΟΝ ΠΑΣΧΑ 2017
Χριστός Ανέστη!
Αγαπητοί μου πιστοί,
Καθ´ όλη τη διάρκεια της  Πασχαλινής περιόδου ψάλουμε το Χριστός Ανέστη. Είναι επαναλαμβανόμενο γεγονός που σκοπό έχει να μετατρέψει και να ανανεώσει τη ζωή μας.  Σαν πραγματικοί χριστιανοί  οφείλουμε να βιώνουμε  πραγματικά  κάθε μέρα το αποτέλεσμα της προσευχής μας. Όλη τη Μεγάλη Σαρακοστή και ιδίως τη Μεγάλη Εβδομάδα, ψέλναμε λειτουργικά κείμενα μοναδικού θεολογικού βάθους. Τα τροπάρια και τα Απολυτίκια μας βοήθησαν να ψάλλουμε και να βιώσουμε το μυστήριο του Πάθους, του Θανάτου και της Ανάστασης του Κυρίου μας. Στην ουσία πρόκειται για Αναγνώσματα από κείμενα της Αγίας Γραφής που συγχρόνως μελετάμε και στην Ακολουθία των ωρών.
Ο Κατηχητικός Λόγος που απαγγέλουμε την ημέρα του Πάσχα, του Αγίου Ιωάννου του Χρυσοστόμου, που συνήθως διαβάζεται στο τέλος της Θείας Λειτουργίας της Αναστάσεως, είναι πραγματικά μια κατήχηση που αφορά τη χριστιανική μας πίστη. Είναι ένα κείμενο που μας βοηθάει να μελετήσουμε τη νίκη του Χριστού επάνω στο θάνατο, σαν επίκεντρο του χριστιανικού δόγματος: «εμφανίστηκε η κοινή βασιλεία, κανείς ας μην οδύρεται για τα σφάλματά του γιατί ανέτειλε από τον τάφο η συγχώρεση. Κανείς ας μη φοβάται το θάνατο, γιατί ο θάνατος του Σωτήρα μας ελευθέρωσε! Αναστήθηκε ο Χριστός και ο θάνατος του Σωτήρα μας ελευθέρωσε!» Τι σημαίνει λοιπόν για μας το να πανηγυρίζουμε το Άγιο Πάσχα, την Ανάσταση του Χριστού, και επομένως το να ομολογούμε την πίστη μας για την Ανάσταση Εκείνου που πέθανε κρεμασμένος  πάνω στο ξύλο του Σταυρού;
Καταρχάς για μας τους χριστιανούς, ο θάνατος του Χριστού επάνω στο ξύλο του Σταυρού, δεν είναι μια αποτυχία. Ο θάνατος επάνω στο Σταυρό είναι η νίκη της αγάπης πάνω στο θάνατο. Σίγουρα αυτά δεν είναι απλά καλά λόγια, αλλά είναι σημαντική πραγματικότητα για μας. Η αγάπη του Χριστού φανερώθηκε λαμπρά και ολοκληρωτικά επάνω στο ξύλο του Σταυρού.  Φανερώθηκε βέβαια και σε διάφορες και πολλές  στιγμές της επίγειας ζωής Του, όπως μας αναφέρει το Ιερό Ευαγγέλιο, όμως είναι επάνω στο Σταυρό που αυτή η αγάπη εκδηλώθηκε περίτρανα. Δηλαδή αυτή η σταυρική θυσία του Χριστού εκδηλώνει την απέραντη αγάπη Του προς τον Ουράνιο Πατέρα Του  και στα αδέλφια του, η οποία παραμένει πάντα εμφανής για την Εκκλησία, και για όλους τους ανθρώπους. Η αγάπη του Χριστού είναι μια αγάπη πονεμένη, επειδή συγκρούστηκε και συγκρούεται πάντα με το μίσος και με το κακό. Η μελέτη της Αγίας Γραφής μας αποδεικνύει πως ο Θεός δημιούργησε τον κόσμο από αγάπη. Από αγάπη ο Χριστός γεννήθηκε σ αυτό τον κόσμο, και από αγάπη πήρε πάνω Του την αδύναμη ανθρώπινη φύση μας.
Στην προσωπική και εκκλησιαστική μας ζωή,  είμαστε μάρτυρες πως ο πόνος μπορεί να καταστρέψει τα πάντα. Όμως το μοναδικό πράγμα που παραμένει, είναι η αγάπη που ο ίδιος ο Κύριος φύτεψε μέσα στις καρδιές μας. Κάθε φορά που απαρνούμεθα  κάτι, ή που υποφέρουμε για κάτι, όχι όμως με αίσθημα πικρίας, αλλά θεληματικά και με αγάπη για το Χριστό, τότε παραδόξως γινόμαστε πιο δυνατοί. Η μεγάλη δύναμη και δυναμικότητα του Θεού φανερώνεται όχι τόσο στη δημιουργία και στα θαύματα, αλλά στο γεγονός ότι ο Θεός ταπεινώθηκε: «τα απαρνήθηκε όλα, πήρε δούλου μορφή κι έγινε άνθρωπος· και όντας πραγματικός άνθρωπος ταπεινώθηκε θεληματικά υπακούοντας μέχρι θανάτου, και μάλιστα θανάτου σταυρικού» (Φιλ. 2, 7-8).
Το Πάσχα είναι η νίκη της ζωής επάνω στο θάνατο, η νίκη της αγάπης επάνω στο μίσος. Η αγάπη και το μίσος δεν είναι απλά υποκειμενικά συναισθήματα, αλλά αντικειμενικότητες που μπορούν να επηρεάζουν τον εαυτό μας εφόσον είμαστε άνθρωποι και μάλιστα χριστιανοί.  Η αγάπη είναι μια δημιουργική δύναμη της ζωής μας, ενώ το μίσος είναι μια καταστρεπτική δύναμη της ζωής. Πολλές φορές παρατηρούμε πως το μίσος καταστρέφει τα πάντα, ενώ η αγάπη πάντα οικοδομεί, παρ´όλες τις δυσκολίες και τους πόνους που συναντάει. Η νίκη του Χριστού επάνω στο Σταυρό και η ένδοξη Ανάστασή Του, δεν μας προτρέπει απλά σε άμιλλα, αλλά μας μαθαίνει να υποφέρουμε κι εμείς με αγάπη και υπομονή, γιατί έτσι ο πόνος έχει δημιουργική και αναζωογονητική δύναμη. Επομένως αυτή η αγάπη μεταμορφώνει την καρδιά μας και μας κάνει ικανούς να αγαπάμε με ένα μέτρο πέραν της δικής μας ικανότητας. «Φτιάξε μου, Θεέ, μια καθαρή καρδιά και πνεύμα σταθερό εντός μου βάλε… Της λύτρωσής σου δώσ’ μου πάλι τη χαρά…» (Ψαλμός 50). Τότε, όπως λέει ο Άγιος Βασίλειος, ο θάνατος του Χριστού πάνω στο σταυρό δημιουργεί τη ζωή.
Τα λειτουργικά κείμενα όλης της περιόδου του Πεντηκοσταρίου είναι γεμάτα από ενδιαφέροντα  κείμενα για τη χριστιανική μας ζωή. Οι τρεις πρώτες Κυριακές, δηλαδή η Κυριακή του Πάσχα, του Θωμά και των αγίων Μυροφόρων γυναικών, μας συγκρίνουν με την πραγματικότητα και την αλήθεια του Αναστημένου Χριστού. Οι επόμενες τρεις Κυριακές, δηλαδή του Παραλύτου, της Σαμαρείτιδος και του Τυφλού, μας υπενθυμίζουν το ρόλο του Βαπτίσματος για τη χριστιανική μας ζωή, εφόσον και οι τρεις ευαγγελικές περικοπές αφορούν το Άγιο Βάπτισμα.  Έπεται η Κυριακή της Αναλήψεως  του Κυρίου, η Κυριακή των Θεοφόρων Πατέρων της Α’ Οικουμενικής Συνόδου, η Πεντηκοστή και η Κυριακή των Αγίων Πάντων. Εμείς οι χριστιανοί είμαστε ανανεωμένοι από το Άγιο Πνεύμα που λάβαμε την ημέρα του Βαπτίσματος καθώς  και από τα υπόλοιπα Μυστήρια που αυξάνουν μέσα μας τη χάρη του Θεού. Για να συνειδητοποιήσει κανείς την ενδόμυχη παρουσία του Χριστού μέσα του, και να γευθεί το βαθύ νόημα του Θεού και των πραγμάτων του Θεού και επομένως να βιώσει μια αποφασιστική εσωτερική ανανέωση, πρέπει να υποδέχεται κάθε μέρα τη δωρεά του Αγίου Πνεύματος που καταλήγει εντός του με ποικίλους τρόπους. Υπογραμμίζω τη λέξη «να υποδέχεται» διότι ως χριστιανοί χρειαζόμαστε να ανοίγουμε την καρδιά μας στην εν Θεώ ζωή. Με άλλα λόγια έχουμε ανάγκη να φροντίζουμε την πνευματική και χριστιανική μας ζωή. Ένας από τους πολλούς κινδύνους στη ζωή μας είναι ακριβώς το να μην δίνουμε σημασία στη ζωή μας, να παραμένουμε αδιάφοροι για την πνευματική μας ζωή, δηλαδή την προσωπική μας σχέση με το Θεό, με τους συνανθρώπους μας αλλά και με τον ίδιο τον  εαυτό μας. Στην πραγματική μας ζωή πρέπει να αφήνουμε τον Κύριο να μας μεταμορφώνει, και να ανανεώνει την καρδιά μας. Ζητάει όμως από μας καθημερινή προσπάθεια και  πιστότητα στο Ευαγγέλιο και στην προσευχή.
Δημιουργημένοι, ξαναδημιουργημένοι και ανανεωμένοι από τον Κύριο και την ένδοξη Ανάστασή Του, πρέπει να βιώνουμε την ίδια την πίστη που αναφέρεται στο Ανάγνωσμα του Προφήτη Ιεζεκιήλ (37, 1-10) που διαβάζουμε το πρωί του Μεγάλου Σαββάτου: «Ένιωσα πάνω μου τη δύναμη του Κυρίου. Μ’ έβγαλε με το Πνεύμα Του έξω, μ’ έφερε σε μια πεδιάδα που ήταν γεμάτη κόκαλα…». Εδώ η ερώτηση: «άνθρωπε, μπορούν να γίνουν ζωντανοί άνθρωποι αυτά τα κόκαλα;» Η απάντηση του ανθρώπου είναι: «Κύριε, Θεέ, εσύ ξέρεις». Το «εσύ ξέρεις» δε σημαίνει μια απλή γνώση, αλλά μια βαθιά γνώση του μυστηρίου, του πυρήνα των πραγμάτων. Και στο τέλος του Αναγνώσματος: «Εγώ θα φέρω πνοή μέσα σας και θα πάρετε ζωή. Θα σας δώσω νεύρα και θα κάνω να έρθει πάνω σας σάρκα και θα τη σκεπάσω με δέρμα· μετά θα σας δώσω πνοή και θα πάρετε ζωή. Τότε θα μάθετε ότι εγώ είμαι ο Κύριος». Αυτή η καταπληκτική περικοπή του Ιεζεκιήλ πρέπει να διαβαστεί μέσα στο λειτουργικό πλαίσιο του Μεγάλου Σαββάτου: ο Χριστός κατεβαίνει στον Άδη και δωρίζει τη ζωή σ’ εκείνα τα ξερά κόκαλα, και, βγαίνοντας από τον Άδη, πιάνει από το χέρι τον Αδάμ και έτσι ενώνει τον λαό της Παλαιάς Διαθήκης με τον λαό της Καινής Διαθήκης. Ο Χριστός γίνεται «Pontifex» δηλαδή «Κατασκευαστής Γεφυρών» εφόσον δημιουργεί μια γέφυρα μεταξύ παλαιού και νέου, μεταξύ θανάτου και ζωής. «Άνθρωπε, μπορούν να γίνουν ζωντανοί άνθρωποι αυτά τα κόκαλα;» αυτή είναι μια ερώτηση που ο Κύριος απευθύνει στον καθένα μας σε σχέση με το Χριστό που αναστήθηκε, και σε σχέση με την πραγματική μας ζωή. «Άνθρωπε, μπορούν να γίνουν ζωντανοί άνθρωποι αυτά τα κόκαλα;» Η απάντηση σε αυτή την ερώτηση είναι πάντα ίδια: «Κύριε, Θεέ, εσύ ξέρεις». Η ανάγνωση μας συγκρίνει με μια συγκεκριμένη όψη της πίστης μας, δηλαδή με την ελπίδα. Η ερώτηση του Κυρίου στον Προφήτη, υποβάλλεται κάθε μέρα και σε μας, λαό συγκεντρωμένο γύρω από τον Τάφο Του, που  Τον ομολογούμε Ζωοποιό. Ο Απόστολος Παύλος απαντάει λέγοντας πως η δική μας ελπίδα είναι ο ίδιος ο Χριστός. «Άνθρωπε, μπορούν να γίνουν ζωντανοί άνθρωποι αυτά τα κόκαλα; … Κύριε, Θεέ, εσύ ξέρεις». Επομένως η χριστιανική ελπίδα, είναι ελπίδα χαράς που προέρχεται από την Ανάσταση του Χριστού, σαν μεγαλύτερο δώρο του Αναστημένου μας Κυρίου. «Κύριε, Θεέ, εσύ ξέρεις!» Έτσι απαντάμε και εμείς, με τα λόγια του Προφήτη, επειδή ο Κύριος είναι εκείνος που σώζει, κατέβηκε στον Άδη και ανέβηκε στους ουρανούς παίρνοντας μαζί Του τον Αδάμ και την Εύα, δηλαδή όλη την ανθρωπότητα. Να ζούμε λοιπόν κι εμείς με την ελπίδα, να ζούμε με τη χαρά του Χριστού.  Ακούγοντας την προφητεία του Ιεζεκιήλ, εγγυώμεθα πως η ελπίδα μας είναι ο ίδιος ο Χριστός, που πέθανε και αναστήθηκε και εισέρχεται σε όλη τη χριστιανική μας ζωή.
Και εμείς, πιστοί της Ελληνικής Καθολικής Εξαρχίας θα συγκεντρωθούμε γύρω από τον κενό Τάφο του Χριστού, γύρω από εκείνον τον ωραίο Τάφο για να ομολογήσουμε την πίστη μας, για να ψάλλουμε σε Εκείνον, την Ζωή εν Τάφω, που είναι η Πηγή της νέας Ζωής, ανανεωμένης διαμέσου του θανάτου Του και της Ανάστασής Του. Αυτό το Άγιο Πάσχα που εορτάζω μαζί σας ως Αποστολικός Έξαρχος, επιθυμώ να σας ενθαρρύνω να βιώσουμε μαζί πνευματικά αυτές τις άγιες και μεγάλες ημέρες, με ανανεωμένη καρδιά, με τη δύναμη της Ανάστασης του Κυρίου μας. Να ζήσουμε πραγματικά σαν χριστιανοί, καλεσμένοι από τον Κύριο, για να Τον ομολογούμε και να Τον κηρύττουμε Αναστημένο εκ νεκρών, και επομένως να Τον βιώνουμε  στη Χώρα μας ως μικρό αλλά αγαπητό ποίμνιο Εκείνου, του Αναστημένου Κυρίου.
Χριστός νέστη κ νεκρν, θανάτ θάνατον πατήσας, καί τος ν τος μνήμασι ζωήν χαρισάμενος.




Pasqua 2017
Χριστός ανέστη!
Durante tutto il periodo pasquale cantiamo il tropario Χριστός ανέστη…. È come un ritornello che vuole configurare, rinnovare tutta la nostra vita. Quello che preghiamo, che fa parte della nostra vita di preghiera, del nostro patrimonio di preghiera, è quello che poi dovremmo vivere nella quotidianità della nostra vita concreta come fedeli cristiani. Durante la Quaresima e soprattutto nella Settimana Santa abbiamo cantato dei testi liturgici, dei tropari di una profondità teologica unica. Testi, tropari, che ci hanno portato a cantare ed a vivere il mistero della passione, della morte e della risurrezione del Signore. Sono dei testi che ci fanno riprendere, ritornare alla Parola di Dio che ci viene data nella liturgia.
L’omelia o catechesi di san Giovanni Crisostomo che viene letta alla fine della liturgia della notte di Pasqua è una vera catechesi sulla fede cristiana, un testo che, come tanti tropari, ci fa contemplare la vittoria di Cristo sulla morte, il centro della nostra fede: ...è apparso infatti il regno universale, nessuno pianga i suoi peccati, perché dalla tomba è sorto il perdono; nessuno tema la morte, perché la morte del Salvatore ci ha liberati! Cristo è risorto dai morti... (tropario di Pasqua); la morte del Salvatore ci ha liberati! (Omelia di San Giovanni Crisostomo). Cosa vuol dire per noi oggi celebrare, vivere la Pasqua di Cristo, proclamare la nostra fede nella risurrezione di Colui che fu appeso al legno della croce? In primo luogo per noi cristiani la morte di Cristo sulla croce non è un fallimento; la morte sulla croce è una vittoria dell’amore sulla morte, e queste non sono né possiamo viverle noi come belle parole e basta. L’amore di Cristo si è manifestato in modo pieno nella croce; si manifestò in diversi momenti lungo la sua vita come ci insegnano i vangeli, ma è nella croce dove questo amore, questa donazione al Padre e ai fratelli diventa ed è tuttora vera epifania per la Chiesa, per gli uomini. Un amore, quello di Cristo che è un amore sofferente, in tanto che si è scontrato e si scontra con l’odio, con il male. Il nostro contatto con la Sacra Scrittura ci mostra che Dio per amore creò il mondo, per amore nacque in questo mondo come uomo, per amore prese su di se la nostra fragile umanità.
Siamo testimoni, nella nostra vita personale, ecclesiale, nel mondo, che la sofferenza può distruggere tutto; però una cosa alla fine rimarrà: l’amore, quello che il Signore ha piantato nei nostri cuori. Ogni volta che rinunciamo a qualcosa, che sopportiamo qualcosa, e non con un senso di ribelle amarezza, ma volontariamente e per amore, questo ci rende paradossalmente non più deboli ma più forti. La grande potenza, forza di Dio si manifesta più che nella creazione o in qualcuno dei suoi miracoli, nel fatto che ha “svuotato” se stesso: ma annientò se stesso prendendo natura di servo, diventando simile agli uomini; e apparso in forma umana si umiliò facendosi obbediente fino alla morte e alla morte in croce (Fil 2,7).
Pasqua come vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio; amore e odio che non sono due cose, due sentimenti puramente soggettivi, ma realtà ben oggettive che segnano e cambiano o possono cambiare la nostra realtà concreta come uomini, come cristiani. Amore come realtà creativa nella nostra vita; odio come realtà distruttiva in essa; tante volte ne facciamo esperienza di come l’odio distrugge e come l’amore, pur nella difficoltà, nella sofferenza, costruisce. La vittoria di Cristo sulla croce, e la sua risurrezione ci pongono a noi cristiani non soltanto davanti ad un bel esempio da imitare -e questo sarebbe già qualcosa; ma molto di più: la vittoria di Cristo sulla morte, il suo amore totale nella sofferenza ha una forza creativa, ricreativa in noi, trasforma il nostro cuore e ci fa capaci di amare in una misura al di là delle nostre capacità. “Un cuore puro crea in me, o Dio, e uno spirito retto rinnova nelle mie viscere… Rendimi l’esultanza della tua salvezza…” (Salmo 50). Allora la morte di Cristo sulla croce, come afferma san Basilio, è una morte creatrice di vita.
La liturgia del periodo pasquale, come d’altronde tutti i periodi della liturgia bizantina, è assai carica di temi importanti per la nostra vita come cristiani: per tre domeniche: Pasqua, Tommaso e le Mirofore la liturgia ci confronta con la realtà e la verità del Risorto; per tre altre domeniche: il Paralitico, la Samaritana ed il Cieco Nato ci mette di fronte alla centralità -al ruolo- battesimale nella vita cristiana -sono tre Vangeli chiaramente centrati nel tema pasquale del battesimo; poi ancora l’Ascensione, la Domenica dei Padri di Nicea, la Penteco­ste e alla fine Tutti i Santi. Noi, cristiani, siamo rinnovati dallo Spirito Santo nel Battesimo e negli altri sacramenti che accrescono in noi questo dono iniziale. Infatti, perché ognuno di noi prenda coscienza della presenza intima di Cristo, perché ognuno di noi acquisti il gusto e il senso profondo di Dio e delle cose di Dio ed esperimenti così un rinnovamento interiore decisivo, è necessario che ogni giorno accogliamo il dono dello Spirito che approda in noi in modi assai diversi. Sottolineo la parola accogliere perché come cristiani abbiamo bisogno di aprire il nostro cuore alla vita di Dio; in altre parole abbiamo bisogno di curare la nostra vita di fede, la nostra vita in Cristo. Uno dei più grandi pericoli che abbiamo nella nostra vita è quello della non curanza della propria vita, una non curanza per quanto riguarda al rapporto con Dio, con gli altri, con noi stessi. Nella nostra vita concreta dobbiamo lasciarci trasformare dal Signore, lasciar che lui nella sua vita di Risorto trasformi -ricrei- il nostro cuore, e questo richiede da parte nostra una fedeltà quotidiana al Vangelo, all’annuncio della sua Buona Novella, alla preghiera.
Creati, ricreati, rinnovati dal Signore nella sua Pasqua, dobbiamo vivere quella fede che abbiamo visto profetizzata il Sabato Santo nel testo di Ezechiele 37,1-10: Fu su di me la mano del Signore... mi portò fuori... e mi mise nel mezzo della pianura piena di ossa umane... E quindi la domanda: Figlio dell’uomo, vivranno queste ossa? E la risposta dell’uomo: Signore, tu lo sai! -e questo “sai” non indica una semplice conoscenza, ma un penetrare fino in fondo il segreto, il cuore di qualcosa. E infine: Io vi mando lo Spirito di vita, metto in voi i nervi, faccio crescere la carne, stendo la pelle e vi do il mio Spirito e vivrete. E conoscerete che io sono il Signore... Questo bellissimo testo di Ezechiele va letto nel contesto liturgico del Sabato Santo: Cristo scende nell’Ade e porta la vita a quelle “ossa inaridite”, e tirando fuori, prendendo per mano Adamo unisce il popolo dell’Antica Alleanza con quello della Nuova Alleanza, lui Cristo diventa il vero “pontifex” cioè colui che crea un ponte, un passaggio tra il vecchio e il nuovo, tra la morte e la vita­. “Figlio dell’uomo, vivranno queste ossa? È una domanda che ci viene fatta ad ognuno di noi sia in riferimento a Cristo -e per la fede sappiamo che lui è risorto e vive in noi-, sia in riferimento alla nostra realtà concreta: “Figlio dell’uomo, vivranno queste ossa?” E la risposta è sempre quella del profeta: “Signore, tu lo sai!” La lettura ci confronta con ­un aspetto preciso della nostra fede, cioè la speranza. La domanda del Signore al profeta, ci viene posta a noi, comunità radunata per la preghiera attorno a un sepolcro di cui confessia­mo che ne sgorga la vita, ci viene posta a noi ogni giorno. Paolo risponde che la nostra speranza è Cristo; non è qualcosa che ci viene data da fuori ma è Lui Cristo, la nostra speranza. “Figlio dell’uo­mo, vivranno queste ossa?... Signore, tu lo sai!...”. La speranza cristia­na, allora, è una speranza gioiosa che viene, che nasce dalla risurrezione di Cristo, il grande dono del Risorto. “Signore, tu lo sai!”, nella parola del profeta, perché tu sei colui che ci salva, colui che disceso agli inferi ne rissali trascinando con te Adamo ed Eva, cioè l’umani­tà. Vivere nella speranza, vivere in Cristo. Sempre ascoltando ancora la profezia di Ezechie­le, affermiamo quindi che la nostra speranza, Cristo, morto e risorto, arriva e penetra tutta la nostra vita cristiana.
E noi come Esarcato Apostolico in Grecia, come Chiesa, ci raduneremo attorno alla tomba vuota di Cristo, attorno a quella tomba bella per professare la nostra fede, per cantare che Lui, la Vita messa nella tomba, è anche la fonte della vita nuova rinnovata nella sua morte e la sua risurrezione. Nella mia prima Pasqua come esarca apostolico, voglio incoraggiarvi a vivere questi giorni santi con un cuore nuovo, ricreato dalla forza della risurrezione del Signore. A viverlo come cristiani greco cattolici chiamati ad annunciare che Lui, il Signore, è risorto dai morti. A viverlo come Chiesa di Cristo in Grecia, piccola e debole in tante cose ma fortificata e vivificata dalla speranza di sapersi amata, guidata e voluta dal Signore Risorto.

Χριστός νέστη κ νεκρν, θανάτ θάνατον πατήσας, καί τος ν τος μνήμασι ζωήν χαρισάμενος