Venerdì e
Sabato Santo nella tradizione bizantina
Oggi il
Signore per noi diventa straniero
Il
mistero pasquale nella tradizione bizantina viene inquadrato nella celebrazione
della passione e morte del Signore in croce, la sua discesa all’ade e la sua
gloriosa risurrezione. Il Creatore di tutto, il Signore onnipotente ed inaccessibile
è inchiodato alla croce e muore. È messo in un sepolcro da Giuseppe di Arimatea
e Nicodemo. Quindi il Signore che scende negli inferi per riprendersi Adamo e
riportarlo al paradiso da cui era stato espulso. La liturgia di questi giorni
mette in parallelo la grandezza del Signore Onnipotente che per noi si
annienta, si fa piccolo, si fa uomo, come canta uno dei tropari del Venerdì: “Oggi
è appeso al legno colui che ha appeso la terra sulle acque; oggi il Re degli
angeli è cinto di una corona di spine; oggi è avvolto di una finta porpora colui
che avvolge il cielo di nubi; riceve uno schiaffo, colui che nel Giordano ha
liberato Adamo; è inchiodato con chiodi lo Sposo della Chiesa; è trafitto da
una lancia il Figlio della Vergine. Adoriamo, o Cristo, i tuoi patimenti!
Mostraci anche la tua gloriosa risurrezione”. I tropari della liturgia
contemplano la divinità e l’umanità di Cristo nel suo essere inchiodato alla
croce: “Oggi il Sovrano del creato e Signore della gloria, è confitto alla
croce e viene trafitto al fianco; gusta fiele e aceto la dolcezza della Chiesa;
è cinto di una corona di spine colui che copre di nuvole il cielo; indossa un
manto di derisione ed è schiaffeggiato da una mano di creta colui che con la
sua mano ha plasmato l’uomo; è flagellato alle spalle colui che avvolge il
cielo di nubi; riceve sputi e flagelli, oltraggi e schiaffi, e per me, il
condannato, tutto egli sopporta, il mio Redentore e Dio, per salvare il mondo
dall’inganno, nella sua amorosa compassione”. Il dolore e la fede della Madre
di Dio vedendo il Figlio appeso alla croce diventa il dolore e la fede della
Chiesa stessa: “Oggi colui che per essenza è inaccessibile, diventa per me
accessibile, e soffre la passione per liberare me dalle passioni; colui che dà
la luce ai ciechi, riceve sputi da labbra inique e, per i prigionieri, offre le
spalle ai flagelli. Vedendolo sulla croce, la pura Vergine e Madre
dolorosamente diceva: Ahimè, Figlio mio, perché hai fatto questo? Tu, splendido
di bellezza più di tutti i mortali, appari senza respiro, sfigurato, senza più
forma né bellezza!. Ahimè, mia luce! Non posso vederti addormentato, sono
ferite le mie viscere e una dura spada mi trapassa il cuore. Io celebro i tuoi
patimenti, adoro la tua amorosa compassione: o longanime Signore, gloria a te”.
La passione e la morte del Signore manifestano la gloria e la grandezza della
sua divino umanità: “Oggi vediamo compiersi un tremendo
e straordinario mistero: l’intangibile è catturato, viene legato colui che
scioglie Adamo dalla maledizione; è iniquamente interrogato colui che scruta
cuori e reni; è rinchiuso in una prigione colui che ha chiuso l’abisso; compare
davanti a Pilato colui davanti al quale si tengono con tremore le potenze dei
cieli; il Creatore è schiaffeggiato dalla mano della creatura; è condannato
alla croce il Giudice dei vivi e dei morti; è deposto in una tomba il
distruttore dell’ade. O tu che per compassione tutto sopporti, e tutti salvi
dalla maledizione, o paziente Signore, gloria a te”.
Giuseppe di Arimatea e Nicodemo vengono presentati come coloro che
hanno cura del corpo del Signore, e la sua sepoltura diventa il vero riposo del
sabato della nuova creazione: “Giuseppe insieme a Nicodemo depose dal legno te,
che ti avvolgi di luce come di un manto; e contemplandoti morto, nudo,
insepolto, iniziò il lamento pieno di compassione… Come potrò seppellirti, Dio
mio? Come ti avvolgerò in una sindone? Con quali mani toccherò il tuo corpo
immacolato? Oggi una tomba racchiude colui che tiene in sua mano il
creato; una pietra ricopre colui che copre i cieli con la sua maestà. Dorme la
vita, l’ade trema e Adamo è sciolto dalle catene…. Tu oggi ci doni il sabato
eterno con la tua santissima risurrezione dai morti: perché tu sei Dio… Il Re
dei secoli, dopo aver compiuto l’economia con la passione, celebra il sabato in
una tomba, per prepararci un nuovo riposo sabbatico”.
Un
altro dei tropari, con delle immagini di una bellezza toccante, viene messo in
bocca a Giuseppe di Arimatea che chiede a Pilato il corpo di Gesù. Il testo
canta il Verbo di Dio che nella sua incarnazione “si fa, diventa straniero”. È
un testo che medita tutta l’economia dell’incarnazione, lo svuotarsi, lo straniarsi
del Figlio di Dio. Un diventare straniero lo è stato il suo ingresso nel mondo
nell’incarnazione; la sua morte fuori della città: “…Giuseppe
andò da Pilato, e così lo pregava: Dammi questo straniero, che dall’infanzia
come straniero si è esiliato nel mondo. Dammi questo straniero, odiato e ucciso
come straniero. Dammi questo straniero, di cui stranito contemplo la morte
strana. Dammi questo straniero, che ha saputo accogliere poveri e stranieri.
Dammi questo straniero, che per invidia è stato estraniato dal mondo. Dammi
questo straniero, perché io lo seppellisca in una tomba, giacché, come
straniero, non ha ove posare il capo. Dammi questo straniero, al quale la
Madre, vedendolo morto, gridava: O Figlio e Dio mio, anche se sono trafitte la
mie viscere e il mio cuore dilaniato al vederti morto, tuttavia ti magnifico,
confidando nella tua risurrezione… E il nobile Giuseppe ricevette il corpo del
Salvatore: con timore lo avvolse in una sindone con mirra e depose in una tomba
colui che a tutti elargisce la vita eterna e la grande misericordia”.
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