sabato 23 luglio 2022


Il profeta Elia, in un kontakion di Romano il Melodo

Profeta e annunciatore delle meraviglie del nostro Dio,

o Elia dal grande nome,

la cui parola trattiene l’acqua delle nuvole,

intercedi per noi presso l’Amico degli uomini.

          Romano il Melodo (490-555) ha un kontakion dedicato alla figura del profeta Elia, che prende spunto a partire del testo di 1Re 17, 1ss, cioè la “maledizione” fata da Elia al popolo peccatore con il giuramento e la condanna alla fame e alla morte. Il poema ha 33 strofe e forma l’acrostico “Romano celebra il profeta Elia”. Si sviluppa dall’inizio alla fine attraverso un dialogo, quasi una disputa tra Elia che difende la sua maledizione e quindi il giuramento fatto, e la volontà benevolente di Dio verso il suo popolo; disputa tra lo zelo duro e pesante come una pietra del profeta e la misericordia, la pietà di Dio verso il popolo, peccatore certamente, ma amato e da Lui salvato e redento da Cristo nella sua incarnazione. Presento una lettura in diagonale delle strofe del kontakion, mettendone in evidenza gli aspetti più notevoli.

          Dall’inizio troviamo quasi come filo conduttore di tutto il testo lo zelo del profeta nel chiedere a Dio la punizione del popolo peccatore, e allo stesso tempo la consapevolezza da parte dello stesso Elia delle viscere di misericordia di Dio; quasi affiorasse tra le righe del testo la “paura” del profeta verso la misericordia del Signore, la consapevolezza da parte di Elia che il Signore, comunque, avrebbe usato sempre misericordia: “…non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva”.

          La prima strofa inquadra, situa tutto il tema che verrà sviluppato lungo le trentatré strofe:

1. Considerando la grande iniquità degli uomini e l'immenso amore di Dio per loro, il profeta Elia sconvolto e pieno di sdegno rivolse al Pietoso queste parole spietate: "Pesa con la tua collera su quanti oggi ti disprezzano, o Giudice di perfetta giustizia". Ma per nulla Elia riusciva a mutare i sentimenti del Misericordioso, circa il castigo dei detrattori di lui, perché egli attende sempre il pentimento (μετάνοια) di ognuno, lui, l’unico Amico degli uomini (ο μόνος φιλάνθρωπος).

          Tutto il poema gioca con il contrasto tra “…la grande iniquità degli uomini e l'immenso amore di Dio per loro…”, contrasto che in alcune strofe si presenterà quasi in opposizione tra lo zelo inamovibile del profeta e l’immenso amore di Dio, tra lo sforzo di Elia nel far mutare i sentimenti di Dio e l’inamovibilità di Costui nell’attesa del pentimento degli uomini. Ogni strofa poi si conclude con la frase, la confessione di fede quasi: “…Lui, l’unico Amico degli uomini” (ο μόνος φιλάνθρωπος).

          Le strofe 2 e 3 presentano in modo molto diretto e anche forte e duro la reazione del profeta al cospetto della “non reazione” di Dio di fronte al peccato del popolo, ed Elia propone sé stesso come colui che dovrà “agire” di fronte al “non agire” di Dio. Il profeta prende in mano lui stesso la vendetta, in un atteggiamento con cui tante volte ci troviamo nella nostra stessa vita: “Dio non agisce… Dio è troppo buono… Quindi agisco io, anche a nome suo…”. Possiamo dire che nella strofa 3 il profeta mette il dito nella piaga proponendo il giuramento che lui farà.

2. Quando il profeta vide tutta la terra divenuta preda dell'empietà e l'Altissimo irremovibile nel sopportarlo, oltre che nel non farne motivo d'ira, fu preso da furore e chiamò a testimone il Misericordioso: "Agirò io nel comando e punirò l'empietà di quanti offendono te. Hanno tutti disprezzato la grande pazienza tua senza riguardo alcuno per te che sei Padre misericordioso. E tu, Padre affettuoso, nutri pietà per i figli, o unico Amico degli uomini!"

3. "Giudicherò io a favore del Creatore, sterminerò gli iniqui sulla terra, decreterò la loro punizione. Ma temo l'indulgenza di Dio, se l'Amico degli uomini si lascia intenerire anche da poche lacrime. Che posso inventare per prevenire la sua bontà senza misura, per fermare la pietà sua? Ebbene! Fisserò il verdetto a giuramento, nella speranza che il Giusto non possa rendere vana simile sentenza ma la confermi da Potente quale è lui, l’unico Amico degli uomini"

          Nella strofa 4 e 5 troviamo la spiegazione del per ché il giuramento è l’arma nella mano del profeta per poter quasi “forzare” la mano di Dio, o almeno per evitare che la misericordia di Dio gli faccia fare quasi “un passo indietro”. Il profeta fa un giuramento, mentre Dio fa la sua promessa, mostra la sua misericordia:

4. Il giuramento precedette la sentenza e servì da premessa alle decisioni. Con il vostro permesso, ricorriamo alla Bibbia e leggiamone il testo. Sta dunque scritto che il profeta, al colmo della collera, esclamò: "Per la vita del Signore! Non vi saranno rugiada né pioggia se non dopo la mia parola". Ma subito il Sovrano rispose ad Elia: "Quando vedo il pentimento e le lacrime a fontane, non posso non aprire il cuore agli uomini, io, l’unico Amico degli uomini".

Dall’inizio del kontakion il profeta è al colmo dell’ira e Dio si trova già al colmo della misericordia. Elia parla del giuramento custodito e sigillato quasi fosse una tomba, il sepolcro prima della risurrezione.

5. Il profeta passò alla difesa insistendo sul diritto di giuramento: "Signore santissimo -disse-, per te che sei Dio dell'universo, ho giurato che non cadrà pioggia se non dopo la mia parola: così quando constaterò il pentimento del popolo, sarò io a supplicarti. Non è più in tuo potere, Dio di giustizia, opporti al castigo inflitto per giuramento. Custodiscilo (φύλαξον) e sigillalo (σφράγισον) anzi, e frena la tua pietà, o unico Amico degli uomini".

Il profeta si presenta anche come colui che supplicherà Dio al momento del pentimento del popolo: “…così quando constaterò il pentimento del popolo, sarò io a supplicarti…”. Notiamo anche la libertà del profeta e dello stesso autore del poema nella frase: “Non è più in tuo potere, Dio di giustizia, opporti al castigo inflitto per giuramento”.

          La strofa 6 ci mette di fronte al dilemma che tocca il cuore di Dio. Lungo tutto il poema, l’autore dà a Dio, mette nel suo cuore, dei sentimenti molto umani, quasi a preannunciare quel che sarà la conclusione o il culmine del poema e della nostra stessa redenzione: l’Incarnazione del Verbo di Dio. Dall’inizio Dio avrebbe potuto lasciarsi andare alle sue viscere di misericordia, ma allo stesso tempo vuol rispettare il giuramento fatto dal profeta, e perciò lo mette alla prova:

6. La carestia assediava la terra, ed i suoi abitanti deperivano tra i gemiti, alzando le mani verso il molto misericordioso. Il Maestro (ο δεσπότης) aveva però le mani legate per due versi (εκατέρωθεν): da un lato desiderava aprire il suo cuore a quanti lo invocavano e lasciarsi andare a pietà; dall'altro, arrossiva per il profeta e per il suo giuramento. Perciò astenendosi dal concedere la pioggia, preparò lui un motivo di turbamento per l'animo del profeta, lui, unico Amico degli uomini.

La frase: “Il Maestro aveva però le mani legate per due versi…”, si potrebbe anche tradurre: “il Signore era in preda a un dilemma… Il Signore era diviso tra…”. I sentimenti che il poeta dà al Signore sono sentimenti molto umani che toccano e ci toccano.

          Nelle strofe 7 e 8 troviamo Elia provato dalla fame. Il Signore vuole che lui stesso provi quello che provano gli uomini, affinché si ravveda dal suo giuramento e chieda misericordia.

7. Alla vista del Tisbita in collera contro i propri simili, il Maestro decise che il giusto dovesse soffrire la carestia quanto gli altri; quindi, provato dalla fame, egli sarebbe tornato a sentimenti più generosi nell'emanare la sentenza, avrebbe anzi messo termine alla punizione. Senza dubbio è cosa tremenda l'urgente necessità di cibo: ogni creatura viva, ragionevole o no, si mantiene con gli alimenti che, nella propria sapienza divina, può dare l’unico Amico degli uomini.

8. Lo stomaco perorava a sostegno della natura e, per legge di natura, muoveva il vegliardo a mutare decisione. Egli però, duro come sasso (ώσπερ λίθος αναίσθητος ενίστατο), resisteva nel proprio zelo, quasi fosse l'unico alimento sufficiente. Il Giudice sollevò allora lo sconforto dell'amico affamato, ritenendo Lui errato che il Giusto soffrisse la fame come gli ingiusti e gli empi, lui, l’unico Amico degli uomini.

          Il Signore aspetta che con la fame, con l’aiuto dello stomaco che “perorava a sostegno della natura” Elia si sarebbe ravveduto. Ma costui, “duro come un sasso” oppure “come pietra insensibile” resiste alla fame. Il poeta presenta il cuore del profeta “duro come un sasso”, un’immagine che ci riporta ancora alla pietra che chiude, che sigilla il sepolcro.

          Le strofe 9 a 12 presentano l’intervento dei corvi (1Re 17,4). Il poeta sviluppa la tradizione secondo cui i corvi sono animali senza pietà che non danno del cibo ai loro piccoli che, invece, lo ricevono dal cielo. Allo stesso modo che i corvi non alimentano i figli, così anche il profeta non dà del cibo al suo popolo.

9. Concedendogli cibo, il Misericordioso agì in perfetta saggezza: dette ordine ai corvi senza cuore di procurargli il cibo. I corvi sono una specie che non conosce pietà: non danno mai ai loro piccoli il cibo dovuto, lasciando che sia dato loro dal cielo. Poiché Elia pensava e si comportava da padre che odia i propri figli, Dio immensamente saggio si servì dei corvi, che odiano i loro implumi, per colui che odiava gli uomini, lui, l’unico Amico degli uomini.

          Neanche l’esempio dei corvi, che “si mutano in ministri della mia misericordia”, non smuove la durezza di cuore di Elia.

10. "Il tuo grande amore per Dio -disse Dio discutendone con Elia- non ti ispiri sentimenti di odio verso gli uomini. Anzi, guarda i corvi: essi hanno solo avversione per i propri piccoli, eppure, vedi, di colpo si fanno generosi con te, si mutano in ministri della mia misericordia, e ti portano cibo. Ma vedo che ancora non riesco a far breccia nelle tue inclinazioni verso gli uomini, io, unico Amico degli uomini".

          L’atteggiamento del Signore è di una grande misericordia verso il popolo. Cerca di essere fedele e non annullare il giuramento fatto dal profeta, ma si commuove anche dal pianto di uomini ed animali.

11. "Sei tenuto, ora, o profeta, a cambiare e a imitare la docilità degli animali: come mai, questi esseri che pur senza pietà rispettano me, il Dio di pietà, si sono di colpo trasformati? Rispetto la tua amicizia e la tua sentenza; non posso però sopportare il pianto e l'angoscia universale di uomini che fui io a creare. E come farò a tollerare le grida dei neonati e le lacrime loro, e il muggito confuso del bestiame che sale fino a me? Come potrò, da Creatore, non compatire ognuno, io, l’unico Amico degli uomini?"

          Infine, il profeta chiede a Dio di non mandargli più alimento attraverso i corvi e di lasciarlo morire.

12. Il profeta intanto non desisteva dal corruccio e rispondeva al Maestro: "Toglimi il cibo, finanche tramite i corvi tuoi servitori, Maestro. Preferisco morire piuttosto di fame, Santissimo. Se potrò punire gli empi, sarà tuttavia notevole sollievo per me. Non temo il perire con tutti coloro che ti rinnegano. Non compatirmi, dunque, non risparmiarmi dalla carestia, togli unicamente gli empi dalla terra, o unico Amico degli uomini".

          Le strofe da 13 a 23 si trattengono nell’episodio della vedova di Sarepta (1Re 17,8ss). La “strategia” nell’agire del Signore porta Elia da una donna vedova, pagana e con dei figli a carico, nella speranza che questi fatti portassero il profeta a commuoversi e a chiedere la pioggia.

13. Sentite queste parole, il Creatore allontanò il profeta dalla regione, dando ordine agli uccelli di non portargli più da mangiare come prima, e mandò l'affamato a Sarepta, presso la vedova, dicendogli: "Darò ordine a una donna di darti da mangiare". Saggio disegno: la donna presso la quale egli lo mandava, era vedova e pagana e aveva dei figli a carico. Così il giusto, venendo a conoscenza che essa era pagana avrebbe gridato: "Dona le piogge, tu unico Amico degli uomini!"

          Dio manda il profeta a quella donna nella speranza che lui, uomo fedele alla legge, non avrebbe preso cibo da lei ed avrebbe, affamato, implorato la pioggia per il popolo. Elia, invece, chiede il cibo dalla donna.

14. Era vietato ai Giudei mangiare insieme con gente straniera. Per questo Dio orientò Elia presso una donna di altra razza, nell'intento di promuovere in lui avversione al cibo che ella gli avrebbe dato ed obbligarlo senza indugio ad implorare la pioggia del Misericordioso. Quello però, indifferente nel cercare rifugio presso pagani, si affrettò verso la donna e pretese da lei cibo con estrema durezza dicendo: "Ho l'ordine, donna, di rivolgermi a te, da chi è l’unico Amico degli uomini".

          La risposta della vedova tocca il cuore indurito del profeta e ci mette di fronte al primo momento di compassione di costui, se non altro verso la donna vedova.

15. A queste parole la vedova oppose senza indugio al profeta: "Non ho pane cotto, sotto le ceneri, ho soltanto un pugno di farina che vado a impastare per dividerlo con i figli miei, dopo di che nulla mi rimarrà se non la morte". La voce della vedova stupì il profeta muovendolo a compassione. Disse tra sé: "Questa vedova è stremata, la carestia opprimerà lei più che non me, se non sarà visitata dall'alto, dall’unico Amico degli uomini".

          Per la prima volta Elia si apre alla misericordia. Sono delle parole toccanti e forti allo stesso tempo.

16. "Ora -seguitava- questa donna mi pone in imbarazzo: se io soffro la fame, sono solo; ma questa vedova, presso la quale sono venuto, sta morendo di fame insieme con i propri figli. E sarò io, suo ospite, a invitare presso di lei la morte, e mi farò, agli occhi della mia ospite, uccisore di figli? No, devo ormai aprirmi alla pietà. Sono stato per tutti insensibile, ma per lei non sono più lo stesso. Permetterò alla mia indole di compiacersi nella misericordia, perché da sempre è misericordioso l'Autore dell'universo, il solo Amico degli uomini".

          Il profeta annuncia alla vedova il dono dell’olio dalla giara, e che continuerà ad essere elargito, un dono annunciato dal profeta ma che sarà sempre elargito dal Signore. Troviamo una frase che ci porta quasi ad una “formulazione” possiamo dire di teologia sacramentaria: “Fu Elia ad elargire la benedizione con le sue parole, ma fu il Creatore con la sua generosità e misericordia a compiere l’opera!”.

17. Il profeta rispose alla vedova: "Hai un pugno di farina, dici? Per te la giara mai sarà esaurita, per te il boccale rigurgiterà di olio". Fu Elia ad elargire la benedizione con le sue parole, ma fu il Creatore con la sua generosità e misericordia a compiere l’opera! (Καί λόγοις μέν Ηλίας ευλογίαν εχαρίσατο, ο κτίστης δέ ευθέως ως φιλότιμος καί εύσπλαγχνος τό έργον επήγαγε). Per realizzare l'intento del profeta, secondo la Scrittura, o, più esattamente, per attenersi al miglior pretesto, nella sua perfetta saggezza, Dio accorda l'abbondanza per la vedova, lui, unico Amico degli uomini.

          Elia rimane comunque inamovibile nella sua decisione e il popolo continua a morire. Allora il Signore possiamo dire cambia tattica affinché il profeta si commuova.

18. Dio acconsentì alle parole del profeta e concesse cibo a lui e alla vedova. Elia, però, non ne fu commosso affatto, rimanendo inflessibile. Il Misericordioso, allora, vedendo che il popolo periva e il profeta rifiutava di piegarsi, fece ricorso nella sua giustizia ad altra procedura, molto valida: fece morire il figlio della vedova, perché, alle sue lacrime, e per tutto quanto ella pativa, egli gridasse: "Dona la pioggia, tu, unico Amico degli uomini!"

          Troviamo il duro rimprovero della vedova ad Elia per la morte del figlio nelle strofe 19 a 21. La vedova ritorna il cibo ad Elia e gli chiede il ritorno del figlio.

19. Alla morte del figlio, la vedova si rivoltò con rancore contro il profeta e disse: "Ahimè! Perché non sono morta di fame io, prima di avere incontrato te? Meglio per me che la carestia mi avesse uccisa da tempo che non vedere il figlio mio cadavere in tua presenza. Questa non è mercede per così buona accoglienza: ero felice con i miei figli prima della tua venuta, o uomo. Venendo, tu mi hai privata del figlio mio, a nome dell’unico Amico degli uomini".

20. Le mani della vedova si stringevano fortemente a colui che tratteneva le nubi e le piogge. Era lei l'unico essere capace di prostrare colui che con una sola parola aveva prostrato tutti gli uomini. Una meschina, senza alcun potere, detiene come un condannato colui che credeva di controllare il cielo con la parola. Aggrappandosi a lui folle di dolore ella lo trascina quasi fosse un assassino davanti al tribunale, gridando: "Rendimi il figlio che mi hai ucciso. Non so che farmene della tua farina, non darmi più nutrimento quando debbo ritenere te amico degli uomini".

21. “Hai seminato di pane il mio stomaco, ma ne hai sradicato il frutto con il ramo, e mi vendi a ben caro prezzo i viveri che mi hai dato. Mi hai estorto una vita in cambio di farina e di olio. Te ne supplico: fai il cambio e rendimi ciò che mi hai preso. O forse tanti morti non ti sono sufficienti nel popolo da dover correre qui, per colpire la mia casa? Libera l'anima del mio piccolo e prendi al suo posto la mia e sii amico degli uomini".

          Straziato dal pianto della vedova, Elia si rivolge al Signore quasi accusandolo della “strategia” della morte del figlio.

22. Lacerato da queste parole come da uncini, alle grida della vedova che lo sospettava di aver rapito con forza la vita del figlio, Elia fu colto da vergogna e cercava di convincerla del contrario con le parole, ma senza riuscirvi. Vedendo ripudiata la propria difesa, egli si lamentava senza tregua, e guardando al cielo gridava: "Ahimè! Signore, sii mio testimone di verità presso questa donna che mi ha ospitato: sei stato tu ad esasperarla affinché a me richiedesse il figlio, tu, unico Amico degli uomini".

23. "Non credo, Salvatore -disse il profeta a Dio Onnipotente-, che la morte sia stata per questo ragazzo l'evento naturale cui tutti sono sottoposti. Deve essere stato un artificio della tua sapienza, di te che sei immune da peccato. Hai escogitato il modo per costringermi alla misericordia, affinché quando ti chiederò di risuscitare il figlio morto della vedova tu mi rimprovererai subito: "Mio figlio Israele è nell'angoscia, abbi pietà di lui e di tutto il popolo, o unico Amico degli uomini".

          Dalle strofe 24 alla 27 è Dio che prende la parola e parla al profeta, e si presenta come Colui che è misericordioso, che ha viscere di perdono e di misericordia.

24. Volendo salvare la terra, il Misericordioso rispose subito a Elia: "Presta ora maggiore attenzione alle mie parole, lasciami parlare. Io soffro e mi adopero per togliere la punizione, ho fretta di dare cibo a tutti gli affamati, perché sono misericordioso. Di fronte a torrenti di lacrime, come un padre ripiego su me stesso, ho pietà di quanti sono consunti dalla fame e dall'angoscia, perché voglio la salvezza dei peccatori attraverso il pentimento (μετανοία), io, l’unico Amico degli uomini!"

          La misericordia Dio verso gli uomini è un patto che Lui ha fatto con loro.

25."Ascoltami dunque senza timore, profeta. Io tengo molto a che tu sappia: tutti gli uomini hanno in me un patto di misericordia, che mi impegna a non volere la morte dei colpevoli, ma piuttosto la loro vita. Non smentire dunque loro la mia parola, ma accogli la mia richiesta. Ti offro la mia mediazione, perché soltanto le lacrime della vedova hanno potuto turbare te; io sono invece per tutti l’unico Amico degli uomini".

          Le strofe 26 e 27 sono in qualche modo il segno dell’accordo tra il profeta e Dio stesso. Elia diventa di nuovo, come nella strofa 16 dispensatore della grazia di Dio agli uomini. Infatti, nell’ultimo versetto della strofa 27 il filantropo è il profeta stesso.

26. Elia si piegò, animo e cuore, alle parole dell'Altissimo, e così furono le sue orecchie. Mise a tacere l'animo, il che fece più bella la risposta, dicendo: "Sia fatta dunque la tua volontà, Maestro: dona la pioggia e la vita a chi è morto, e dà la vita all'universo, Dio, tu che sei la vita, la risurrezione e la redenzione. Accorda la tua grazia a uomini e animali, perché tu solo puoi salvare la vita di tutti gli esseri, o unico Amico degli uomini".

27. Appena il profeta finì di parlare, il Misericordioso rispose: "Accetto la tua decisione, la lodo e tengo a felicitarmi con te. Ricevo da te la grazia che accordi a quelli, e tu renditi ora intermediario (μεσίτης) e trasmetti loro la mia grazia, perché non voglio la loro riconciliazione senza la tua. Muoviti allora ad annunciare loro la grazia della pioggia, affinché tutti esclamino: Lo spietato prima si è fatto ora amico degli uomini (Ο πρώην άσπλαγχνος εφάνη νυν εξαίφνης προς πάντας φιλάνθρωπος)."

Le strofe 28 e 29 parlano dell’annuncio della buona novella della pioggia al re Acab, e della risurrezione del figlio della vedova.

28. "Affrettati, profeta, presentati da Acab e dagli il buon annunzio. Io comanderò alle nubi ed esse disseteranno la terra con le loro acque. Rivela tu stesso il dono, amico mio caro, io confermerò tale decisione considerando la generosità tua". A queste parole egli adorò subito l'Altissimo, esclamando al Misericordioso: "Sapevo quanto sei compassionevole, imparo ora quanto indugi di fronte alla collera, Dio mio, unico Amico degli uomini".

29. Obbedendo all'ordine ricevuto, il profeta si affrettò verso Acab per annunciare la buona novella, secondo quanto aveva detto il Misericordioso. Subito le nubi apparvero nell'aria, per ordine del Creatore, e riversarono in pioggia le acque di cui erano gonfie. La terra esultò e rese gloria al Signore. La donna ebbe il figlio, risuscitato. Con tutti gli esseri Elia si rallegrava e rendeva lode al solo Amico degli uomini.

          Le strofe 30 a 32 presentano, quasi fosse un re inizio da capo lo zelo del profeta di fronte alla continua malvagità degli uomini. Di nuovo Dio si presenta al profeta come colui che è compassionevole ed ha pietà dei peccatori.

30. Molto tempo era già trascorso, quando Elia conobbe la cattiveria degli uomini e meditò di dare un castigo ancora più duro. A tale vista, il Misericordioso rispose al profeta: "Conosco lo zelo che pratichi nel bene e so la tua buona volontà. Ma io compatisco i peccatori, quando vengono puniti oltre misura. Tu, al contrario, provi irritazione, ti senti immune da rimprovero e non riesci a rassegnarti. Io non posso rassegnarti se anche soltanto uno sia perduto, perché sono l’unico Amico degli uomini".

          Le tre ultime strofe, dalla 31 alla 33, sono la confessione di fede del poeta, attraverso il testo veterotestamentario, nell’Incarnazione di Dio ed il suo abitare tra gli uomini. Dio prende con sé Elia in cielo e scende Lui in mezzo agli uomini.

31. In seguito, quando rilevò l'umore acre di lui nei confronti degli uomini, il Signore fece propria la sorte di quelli e allontanò Elia dalla terra che essi abitavano, dicendo: "Allontanati, amico, dalla terra degli uomini; io stesso, incarnandomi, scenderò presso di loro nella mia misericordia. Tu lascia la terra e sali quassù, dal momento che non riesci a tollerare gli errori degli uomini. Ma io, che sono nel cielo, vivrò tra i peccatori e li salverò dai loro errori, io, l’unico Amico degli uomini".

32. "Se, come ho detto, profeta, non ti è possibile la convivenza con gli erranti, vieni qui, abita nel regno dei miei amici, dove non vi è posto per il peccato. Sarò io a scendere, perché posso prendere sulle mie spalle e riportare all'ovile la pecora smarrita, e gridare a quanti inciampano: "Accorrete tutti, peccatori, venite a me e quietatevi, io non sono venuto per punire quanti ho creato, ma per strappare il peccatore all'empietà, io, l’unico Amico degli uomini".

          Nella strofa 33 il poeta paragona Elia e Cristo nelle loro ascensioni.

33. Così, allorché Elia fu rapito per il cielo, egli apparve come emblema delle cose venture. Il Tisbita, riporta la Scrittura, fu rapito sopra un carro di fuoco; Cristo, lui, ascese fra le nuvole e le Potenze. Il primo mandò dall'alto dei cieli ad Eliseo la sua pelle di montone; Cristo mandò ai suoi apostoli il Santo, il Paraclito (ο Χριστός δε κατέπεμψε τοις αποστόλοις τοις εαυτου τον παράκλητον και άγιον), lo stesso che noi battezzati abbiamo tutti accolto, attraverso il quale siamo santificati, come insegna a tutti l’unico Amico degli uomini.

           Dopo la lettura di questo bel kontakion, possiamo dire che Romano il Melodo, leggendo e parafrasando il testo di 1Re 17 ci porta, lungo trentatré strofe, al punto focale, al momento centrale della nostra fede: l’Incarnazione del Verbo di Dio. Quasi il Signore, dopo il dialogo, la disputa lungo tutto il poema, non aspettasse altro che poter dire: “Assai! Tu Sali da me, dove non c’è peccato né peccatore, ed io scendo da te per salvare i peccatori dal peccato”. Riprendendo le strofe 32 e 33: “"Se… non ti è possibile la convivenza con gli erranti, vieni qui, abita nel regno dei miei amici, dove non vi è posto per il peccato. Sarò io a scendere, perché posso prendere sulle mie spalle e riportare all'ovile la pecora smarrita… Elia mandò dall'alto dei cieli ad Eliseo la sua pelle di montone; Cristo mandò ai suoi apostoli il Santo, il Paraclito”.

+P. Manuel Nin

Esarca Apostolico


giovedì 7 luglio 2022

 Alcune riflessioni sul momento attuale: guerra, pandemia… estate

Luglio 2022.

Nel nostro mondo contemporaneo viviamo in una situazione che oserei dire di “cascata” -inondazione quasi- di notizie. Fino al mese di febbraio di quest’anno 2022 le notizie sulla pandemia, sul numero di contagiati e di decessi erano sempre in prima pagina. Da febbraio, dall’inizio dell’invasione russa e quindi della guerra in Ucraina, la pandemia sembra sia passata a secondo piano e le notizie drammatiche sui fatti in quella terra che è stata ed è tuttora oggi frontiera geografica, politica, strategica, culturale ed anche ponte tra l’Europa e la Russia, e l’Asia, sono tuttora in primo piano. Ma pure queste notizie tendono a cedere il passo ad altre notizie apparentemente meno aggressive, meno toccanti ma non per questo meno preoccupanti. Infatti, nelle ultime settimane le notizie in prima pagina non sono tanto il numero dei morti, dei feriti, delle città quasi rase al suolo in Ucraina, bensì l’atteggiamento che l’Europa, e i diversi paesi nel mondo assumono di fronte al conflitto russo-ucraino e quindi anche la risposta che potremo chiamare mercantile di fronte ad una vendita-commercio di armi verso quei due popoli fratelli che si contendono tra di loro: uno spazio…? Un’ideologia sociopolitica? Un futuro in una Europa o lontano da un’Europa che essa stessa si scopre purtroppo non unita, non solidale, debole, senza dei lider forti ed autorevoli che dovrebbero farne un punto di riferimento e non un punto di divisione e di lontananza?

La fine della pandemia -delle volte mi chiedo se dovremo forse parlare dell’illusione di una fine della pandemia!- ci ha portato ad una ripresa della vita “nella normalità”, nel semplice “com’era prima” senza forse aver fatto -e questo è un peccato di omissione di cui dovremo / dobbiamo accusarci sicuramente!- senza aver fatto una vera e propria riflessione sì sull’accaduto, ma soprattutto sul da farsi nei prossimi mesi, magari anni.

E questo “da farsi” nel nostro caso in Grecia, nel nostro Esarcato, nelle nostre due parrocchie della Santissima Trinità ad Atene e dei Santi Pietro e Paolo a Giannitsà, della comunità delle suore di Pammakaristos a Kifissià e della cappella a Nea Makri, è da inquadrarsi nella riflessione sul cosa e come fare affinché i nostri fedeli già senza i limiti imposti dalla quarantena, tornino, riprendano una vita cristiana che qualcuno chiama “presenziale” ma che preferisco semplicemente chiamare “sacramentale”, “reale” se si vuole, perché i sacramenti nelle Chiese cristiane sono sempre ed unicamente reali, incarnati nella quotidiana realtà viva delle Chiese.

Durante la pandemia le reti sociali ed i mezzi on line hanno aiutato certamente, ed hanno permesso di rimanere in contatto i fedeli cristiani con i loro pastori, ed anche hanno aiutato la vita cristiana dei fedeli in un momento di chiusura totale delle chiese, dei monasteri, delle parrocchie. Questo fatto è evidente e non vogliamo ignorarlo neppure minimizzarlo. Come vedete io stesso mi sono servito di questi mezzi e me ne servo ancora. Ma le reti sociali non sono i sacramenti della Chiesa neppure li possono veicolare, sono soltanto dei mezzi “di emergenza” e non “di sostituzione”.

Finita l’emergenza pandemica, il nostro dovere senza dubbio -il nostro zelo pastorale oso dire- dovrebbe portarci a fare per i nostri fedeli una catechesi, una mistagogia per poterli direi quasi letteralmente “prendere per mano” e riportare loro in chiesa, riportare loro ad una vita ed una prassi veramente cristiane vissute nella normalità. È il momento necessario e direi improrogabile in cui dobbiamo non soltanto esortare ma dire chiaramente ai nostri fedeli che la vita cristiana avviene, passa, e questo in modo unico, attraverso la vita sacramentale nella Chiesa, ed avviene in modo reale, presenziale, sacramentale in quanto questo significa un rapporto reale con il Signore attraverso queste realtà materiali, fisiche, concrete -pane, vino, olio, acqua- che, santificate, diventano per noi cammino, dono della salvezza di Cristo.

Perciò, in questo momento in cui abbiamo scoperto la varietà e la ricchezza delle reti sociali e dei mezzi di comunicazione, che hanno fatto una presenza non sostitutiva ma sì di appoggio, negli anni della pandemia, in questo momento è necessaria anche una parola serena e chiara sulla vita sacramentale cristiana “presenziale e reale” per tutti noi, che non può assolutamente essere sostituita dalle realtà -se sono tali!- on line, che sono state un aiuto ma che non possono essere per sempre il mezzo per vivere come cristiani nella Chiesa. Sono dei mezzi validi che aiutano ed aiuteranno senza dubbio le persone anziane e malate che nei loro limiti rimangono a casa, questo è ovvio, ma la vita cristiana avviene attraverso i sacramenti e la nostra partecipazione ad essi.

I sacramenti nella vita cristiana non sono delle realtà secondarie, di cui “mi servo” secondo i miei gusti e comodità -qualcuno giustamente ha messo in guardia di fronte ad un eventuale “self service” sacramentale-, bensì sono quelle realtà naturali e primarie attraverso cui il Signore si fa presente nelle nostre vite e le santifica, ci santifica e ci fa membra del suo Corpo che è la Chiesa. E da ciò ne sgorga una vita cristiana nelle nostre parrocchie, nelle nostre comunità, che vuol dire una vita di preghiera personale e comunitaria, una vita di partecipazione alla celebrazione della Divina Liturgia ogni domenica, di comunione ai Santi Misteri, di accoglienza del perdono e della riconciliazione con il Signore nel sacramento della penitenza, una vita che ci coinvolga anche nel quotidiano vivere ed agire della nostra Chiesa come diocesi, come parrocchie dove siamo inseriti e dove viviamo. Ciò vuol dire un essere presenti nelle celebrazioni, senza scuse ne autogiustificazioni senza fondamento; e vuol dire anche un sentirci coinvolti nei bisogni a cui le nostre comunità parrocchiali debbono far fronte a livello economico, caritatevole, assistenziale.

Essere Chiesa e sentirci Chiesa. E per noi, cattolici di tradizione bizantina e di tradizione caldea in Grecia, vorrà dire sentirci membra vive del nostro Esarcato Apostolico, in questo momento in cui ricordiamo e celebriamo i cento anni dell’arrivo in Grecia del primo Esarca Apostolico Giorgio Kalavasis nel 1922. Un centenario che, come vi accennavo nella Lettera Pastorale della Pentecoste, deve essere un momento non per sdraiarci ed addormentarci su vecchi allori, su vecchie glorie, ma un momento per continuare a camminare con il Signore e con i fratelli, insieme nella fraternità che sgorga dall’essere e vivere come cristiani, che ci fa veramente cattolici, nella fede, nella fraternità, nella carità e nell’accoglienza.

Il periodo estivo, con i suoi giorni di vacanze che fanno bene sia al nostro corpo che alla nostra anima, dovrebbe farci riflettere sul nostro essere cristiani e soprattutto sul nostro vivere come tali. Essere e vivere come cristiani che per noi avviene ed unicamente nella Chiesa e attraverso i mezzi che la Chiesa ci dà: la Parola del Signore, i Sacramenti, la Carità, i Fratelli.

+P. Manuel Nin

Esarca Apostolico


 

ΜΕΡΙΚΕΣ ΣΚΕΨΕΙΣ ΓΙΑ ΤΗΝ ΠΑΡΟΥΣΑ ΣΤΙΓΜΗ: ΠΟΛΕΜΟΣ, ΠΑΝΔΗΜΙΑ, …. ΚΑΛΟΚΑΙΡΙ

Ιούλιος 2022

Μέσα στον σύγχρονο κόσμο ζούμε σε μία κατάσταση, την οποία θα τολμούσα να ονομάσω «καταρρακτώδη», σχεδόν σε μία πλημμύρα πληροφοριών. Μέχρι τον μήνα Φεβρουάριο 2022 οι ειδήσεις για την πανδημία, για τον αριθμό των κρουσμάτων και των θανάτων βρίσκονταν πάντοτε στην πρώτη σελίδα. Από τον Φεβρουάριο με την έναρξη της ρώσικης εισβολής , δηλαδή του πολέμου στην Ουκρανία, η πανδημία φαίνεται να πέρασε σε δεύτερο επίπεδο, και οι δραματικές ειδήσεις γύρω από τα γεγονότα αυτής της χώρας, η οποία ήταν και παραμένει μέχρι τώρα ως σύνορα γεωγραφικά, πολιτικά, στρατηγικά, πολιτισμικά, και επίσης ως γέφυρα μεταξύ της Ευρώπης και της Ρωσίας, της Ασίας, παραμένουν μέχρι σήμερα στην πρώτη γραμμή. Αλλά και αυτές οι ειδήσεις τείνουν να παραχωρήσουν τη θέση τους σε άλλες ειδήσεις, ίσως λιγότερο επιθετικές, λιγότερο εντυπωσιακές αλλά όχι λιγότερο ανησυχητικές. Πραγματικά, κατά τις τελευταίες εβδομάδες οι ειδήσεις στην πρώτη σελίδα δεν είναι τόσο ο αριθμός των νεκρών, των τραυματισμένων, των πόλεων που σχεδόν εξαλείφθηκαν από τη χώρα της Ουκρανίας, αλλά η στάση της Ευρώπης και των διαφόρων άλλων χωρών του κόσμου, την οποία λαβαίνουν έναντι της ρωσο-ουκρανικής σύγκρουσης· επομένως και η απάντηση, ας πούμε εμπορική, έναντι μίας πώλησης-εμπορίου όπλων προς τους δύο συγκρουόμενους αδελφικούς λαούς. Πρόκειται άραγε για το μέλλον μίας Ευρώπης, ή για το μέλλον μακριά από μία Ευρώπη, η οποία αποκαλύπτεται δυστυχώς όχι ενωμένη, όχι αλληλέγγυη , αδύναμη, χωρίς ηγέτες με δύναμη και αυθεντία, οι οποίοι την κάνουν όχι ένα σημείο αναφοράς και όχι ένα σημείο διαίρεσης και απομάκρυνσης;

Το τέλος της πανδημίας, (μερικές φορές διερωτώμαι αν πρέπει να μιλάμε για την αυταπάτη περί του τέλους της πανδημίας), μας οδήγησε στην επανάληψη «της κανονικότητας της ζωής», στο απλό «όπως ήταν πριν», χωρίς ίσως να έχουμε κάνει (και αυτό αποτελεί μία αμαρτία παράλειψης, για την οποία οφείλουμε ασφαλώς να αυτοκατηγορηθούμε), χωρίς να έχουμε κάνει ένα αληθινό και καθορισμένο στοχασμό, όχι μόνο πάνω στο συμβάν, αλλά προπάντων σ’ αυτό που θα συμβεί στους προσεχείς μήνες, ίσως ακόμα και σε μερικά χρόνια.

Και αυτό που πρέπει να γίνει στην περίπτωση μας εδώ στην Ελλάδα, στην εκκλησιαστική μας επαρχία, στις δύο ενορίες μας της Αγίας Τριάδας στην Αθήνα και των Αγίων Πέτρου και Παύλου στα Γιαννιτσά, της κοινότητας των Αδελφών της Παμμακαρίστου Θεοτόκου στην Κηφισιά και του παρεκκλησίου στη Νέα Μάκρη, είναι να συγκεντρωθούμε στον στοχασμό πάνω στο τι και πως πρέπει να κάνουμε, ώστε οι πιστοί μας, χωρίς τους περιορισμούς της καραντίνας, να επιστρέψουν και να ξαναρχίσουν την κανονική χριστιανική τους ζωή, την οποία προτιμώ να ονομάζω απλά “μυστηριακή ζωή”, ή αν θέλετε πραγματική χριστιανική ζωή, γιατί τα ιερά μυστήρια στις χριστιανικές Εκκλησίες είναι πάντοτε και απόλυτα πραγματικά, ενσαρκωμένα στην ζωντανή καθημερινή πραγματικότητα των Εκκλησιών.

Κατά την περίοδο της πανδημίας τα κοινωνικά κανάλια και τα μέσα «on line» βοήθησαν ασφαλώς, και επέτρεψαν στους χριστιανούς πιστούς να μένουν σε επαφή με τους πνευματικούς ποιμένες τους, και βοήθησαν τη χριστιανική ζωή των πιστών σε μία εποχή των ολότελα κλεισμένων εκκλησιών, μοναστηριών και ενοριών. Το γεγονός αυτό είναι φανερό και δεν θέλουμε να το αγνοήσουμε, ούτε να το ελαχιστοποιήσουμε. Όπως μπορείτε να δείτε, εγώ ο ίδιος έχω χρησιμοποιήσει αυτά τα μέσα και εξακολουθώ να τα χρησιμοποιώ. Αλλά τα κοινωνικά κανάλια δεν είναι ιερά μυστήρια της Εκκλησίας, ούτε μπορούν να καθοδηγήσουν τη χριστιανική ζωή·αποτελούν μονάχα μέσα «έκτακτης ανάγκης», και όχι «αντικατάσταση της εκκλησιαστική ζωής».

Μετά το τέλος της επιδημικής έκτακτης ανάγκης το αναμφίβολο καθήκον μας (τολμώ να πω ο ποιμαντικό μας ζήλος), πρέπει να μας οδηγήσει να κάνουμε στους πιστούς μας μία κατήχηση, μία μυσταγωγία, για να τους πάρουμε από το χέρι», να τους επαναφέρουμε στην εκκλησία, να τους επαναφέρουμε σε μία ζωή και σε μία πράξη αληθινά χριστιανικές, μέσα στην κανονικότητα της ζωής. Είναι η απαραίτητη στιγμή που δεν αναβάλλεται, κατά την οποία οφείλουμε όχι μόνο να προτρέπουμε, αλλά να εξηγούμε καθαρά στους πιστούς μας, ότι η χριστιανική ζωή περνά αποκλειστικά διαμέσου της μυστηριακής ζωής μέσα στην Εκκλησία, και κατορθώνεται με τρόπο πραγματικό, μυστηριακό, καθόσον αυτό σημαίνει μία πραγματική σχέση με τον Κύριο, διαμέσου υλικών, φυσικών, συγκεκριμένων πραγματικοτήτων (του άρτου, του οίνου, του ελαίου, του νερού), οι οποίες πραγματικότητες γίνονται για μας πορεία, δώρο της σωτηρίας μας «έν Χριστώ».

Γι αυτό κατά την παρούσα στιγμή κατά την οποία ανακαλύψαμε την ποικιλία και τον πλούτο των κοινωνικών δικτύων επικοινωνίας επιβάλλεται επίσης ένας λόγος ειρηνικός και καθαρός για τη μυστηριακή χριστιανική ζωή όλων μας, η οποία δεν μπορεί να αντικατασταθεί με κανένα τρόπο από τις πραγματικότητες «on line» (αν πραγματικά είναι πραγματικότητες). Αυτές ήταν μία αληθινή βοήθεια, αλλά δεν μπορούν να παραμείνουν για πάντα ως κατάλληλο μέσο για να ζούμε ως χριστιανοί μέσα στην Εκκλησία. Είναι φανερό ότι τα μέσα αυτά παραμένουν ισχυρά, βοηθούν και θα βοηθούν τα υπερήλικα ή τα ασθενούντα πρόσωπα τα οποία αναγκάζονται να μένουν στο σπίτι, αλλά η χριστιανική ζωή πραγματοποιείται διαμέσου των ιερών μυστηρίων και διαμέσου της συμμετοχής μας σ’ αυτόν.

Τα ιερά μυστήρια στη χριστιανική ζωή δεν είναι δευτερεύουσες πραγματικότητες, τις οποίες «χρησιμοποιώ» ανάλογα με την ευαρέσκεια μου και τις ευκολίες μου, -κάποιος σωστά προειδοποίησε για μια πιθανή μυστηριακή "αυτοεξυπηρέτηση"-, αντίθετα είναι φυσικές και πρωταρχικές πραγματικότητες, διαμέσου των οποίων ο Κύριος γίνεται παρών στις ζωές μας, τις εξαγιάζει, μας εξαγιάζει, μας κάνει μέλη του Σώματός του, δηλαδή της Αγίας Εκκλησίας. Από αυτό αναβλύζει μία χριστιανική ζωή στις ενορίες μας, στις κοινότητές μας, μία ζωή που σημαίνει προσωπική και κοινοτική προσευχή, μία ζωή συμμετοχής στην τέλεση της Θείας Λειτουργίας κάθε Κυριακή, συμμετοχής στα Ιερά Μυστήρια, συγνώμης και άφεσης και συμφιλίωσης με τον Κύριό μας, στο ιερό μυστήριο της μετάνοιας· η ζωή αυτή μας συνδέει με την καθημερινή ζωή και δράση στην εκκλησιαστική μας επαρχία, στην ενορία στην οποία είμαστε ενσωματωμένοι και στην οποία ζούμε. Αυτό σημαίνει να είμαστε παρόντες στις ιεροτελεστίες, χωρίς αβάσιμες δικαιολογίες· σημαίνει επίσης να αισθανόμαστε ενωμένοι με τις ανάγκες τις οποίες αντιμετωπίζουν οι ενοριακές μας κοινότητες, σε επίπεδο οικονομικό, φιλανθρωπικό, κοινωνικό.

Να είμαστε Εκκλησία και να αισθανόμαστε Εκκλησία. Και για μας τους Καθολικούς βυζαντινής και χαλδαϊκής παράδοσης στην Ελλάδα, αυτό σημαίνει να αισθανόμαστε ζωντανά μέλη της Αποστολικής Εξαρχίας μας, στην εποχή  κατά την οποία θυμούμαστε και τελούμε  την εκατονταετία από την άφιξη στην Ελλάδα του πρώτου Αποστολικού Εξάρχου, του κυρού Γεωργίου Χαλαβαζή το 1922. Πρόκειται για μία εκατονταετηρίδα η οποία όπως σας είπα με την Ποιμαντορική μου Επιστολή της Πεντηκοστής, πρέπει να είναι μία στιγμή όχι ανάπαυσης και ονειροπόλησης στην παλαιά ιστορία, στις παλιές δόξες, αλλά μία στιγμή για να συνεχίσουμε να πορευόμαστε με τον Κύριο και με τους αδελφούς μας, μαζί στην αδελφοσύνη που αναβλύζει από την οντότητά μας και τη ζωή μας ως χριστιανοί, οντότητα και ζωή που μας κάνουν αληθινά καθολικούς στην πίστη, στην αδελφοσύνη, στην αγάπη και στη φιλοξενία.

Η θερινή περίοδος, με τις ημέρες των διακοπών, οι οποίες ωφελούν και το σώμα μας και την ψυχή μας, πρέπει να μας κάνει να στοχαστούμε την οντότητά μας ως χριστιανοί, και προπάντων την συγκεκριμένη χριστιανική ζωή. Να είμαστε και να ζούμε ως χριστιανοί κατορθώνεται από μας αποκλειστικά διαμέσου της Εκκλησίας, και διαμέσου των μέσων που η Εκκλησία μας προσφέρει: του Λόγου του Κυρίου, των Ιερών Μυστηρίων, της Φιλανθρωπίας, των Αδελφών μας.

             + π. Εμμανουήλ Νιν

    Αποστολικός Έξαρχος