venerdì 27 novembre 2020

 



Oggi l’umanità è intagliata nel sigillo della divinità.

Inno I Sulla Natività di Cristo di sant’Efrem il Siro[1]

 

         In queste righe voglio fare una lettura ed un commento del primo inno Sulla Natività di sant’Efrem il Siro[2]. Si tratta di un testo poetico molto lungo, di 99 strofe, in cui troviamo con una bellezza e profondità uniche, cantato il mistero centrale della nostra fede: l’incarnazione e la nascita nella carne del Verbo eterno di Dio.

         Divido il testo in diverse sezioni di strofe, a partire dalla tematica sviluppata in esse. L’incarnazione del Verbo eterno di Dio, ed anche la sua nascita, è il filo conduttore dell’inno, sviluppato a partire dall’annuncio e dalle profezie che Efrem trova nei diversi personaggi e fatti dell’Antico Testamento. I gruppi di strofe in cui dividiamo la presentazione sono: 1-11; 12-60; 61-81; 82-96; 97-99.

 

         Strofe 1-11.

         Le prime undici strofe sgranano diverse profezie veterotestamentarie sulla nascita del Verbo di Dio incarnato. Notiamo da subito che la prima strofa e l’ultima dell’inno 1 e 99, iniziano con due termini sinonimi quasi uguali: “questo giorno / oggi[3]” Nei testi di Efrem, e poi in quelli della tradizione liturgica siriaca ed anche bizantina, il termine “oggi” ha una forza quasi epicletica nel testo e quindi nella celebrazione liturgica in quanto fa presente la realtà del mistero che si celebra. Infatti, i verbi adoperati assieme al “oggi” sono sempre in presente o in passato perfetto ad indicare la realtà che avviene in modo compiuto in quest’oggi.

1.Questo giorno ha fatto gioire, Signore,

i re, i sacerdoti e i profeti,

poiché in esso si compirono le loro parole,

avvennero proprio tutte.

         Nell’ordine non dei libri biblici neppure se vogliamo cronostorico, troviamo come prima profezia quella che è “cristologica” per eccellenza, sia nella tradizione patristica che liturgica in Oriente ed in Occidente, cioè Is 7,14:

2.La vergine infatti ha oggi partorito

l’Emmanuele a Betlemme.

La parola proferita da Isaia

È divenuta oggi realtà.

 

         Poi Efrem fa passare davanti gli occhi del lettore, quasi sfogliando il testo biblico, diversi di coloro che sono profeti della nascita di Cristo, presi da personaggi oppure da libri biblici che diventano profezia: i Salmi, Michea, Giacobbe, Salomone nel libro dei Proverbi.

3.Là è nato colui

che nel Libro enumera i popoli[4].

Del salmo cantato da Davide

c’è oggi il compimento.

 

5.Ecco, una stella da Giacobbe,

è sorto un capo da Israele.

Della profezia proferita da Balaam

c’è oggi la spiegazione.

 

8.L’albero della vita[5]

fa giungere la speranza ai mortali.

Della parabola celata di Salomone

c’è oggi l’interpretazione.

 

Strofe 12-60.

         Questo è il gruppo più numeroso di strofe, ed elenca tutta una serie di personaggi e di fatti veterotestamentari che preannunciano cristologicamente la nostra salvezza. Quasi ad indicare la “cadenza” cristologica di tutte le strofe, le tre prime di questa sezione, da 12 a 14, presentano nei primi due versetti il fatto antico, e negli altri due versetti il fatto odierno, introdotto appunto con un “oggi”[6] con la forza di attualizzazione che questo termine ha. Come vediamo nella strofa 14, Efrem spesso fa il parallelo tra Adamo e Cristo e tra Eva e Maria; la prima partorisce il peccato, la corruzione, e la seconda partorisce il Salvatore.

12.Poiché il re era celato in Giuda

lo rubò Tamar dai suoi fianchi.

Oggi si è levato lo splendore

della bellezza di cui lei ha amato il nascondimento.

 

13.Rut si era messa a giacere presso Booz

poiché aveva visto celato in lui il farmaco della vita.

Oggi si è compiuto il suo voto,

poiché dalla sua discendenza si è levato

l’onnivivificante.

 

14.Adamo aveva posto la corruzione

sulla donna uscita da lui.

Oggi ella ha sciolto la sua corruzione

partorendogli il Salvatore.

 

         Alcuni dei diversi personaggi veterotestamentari che vengono elencati:

         Adamo. Strofe 14-16. Bella l’immagine della strofa 15: il parto di Adamo ed il parto verginale di Maria. La creazione della donna dal costato di Adamo è vista da Efrem come un parto.

15.Un uomo che mai partorisce

ha partorito la madre Eva.

Quanto più si crederà alla figlia di Eva

che senza uomo ha partorito un figlio!

 

16.Una terra vergine aveva partorito

Adamo, capo della terra.

Una vergine oggi ha partorito

l’Adamo capo del cielo.

 

         Verga di Aronne. Strofa 17.

17.La verga di Aronne è germogliata,

un legno secco ha fruttificato.

Il suo simbolo[7] oggi è stato spiegato:

è il grembo vergine, che ha partorito!

 

         Noè. Strofe 22-24. Faccio notare la strofa 22 con il passaggio da “santi/casti” a “fornicatori”, coloro che si danno alla lussuria, e poi in Cristo il ritorno alla “santità/castità/purezza” [8]. Nella strofa 23 è bello il parallelo dei due fratelli che “non guardando” il padre ubriaco e nudo, “guardano” verso Cristo.

22.Noè vide i figli di Dio,

i santi, che improvvisamente si erano dati alla lussuria,

e attese il Figlio santo,

grazie al quale sarebbero stati santificati e fornicatori.

 

23.I due fratelli che coprirono Noè

guardavano verso l’Unigenito di Dio,

che sarebbe venuto a coprire la nudità

di Adamo ubriacatosi d’orgoglio.

 

24.Sem e Jafet, misericordiosi,

attesero il Figlio misericordioso,

che sarebbe venuto a liberare Canaan

dalla servitù del peccato.

 

         Notiamo come in diverse delle strofe si insiste nel fatto che i personaggi dell’AT “attendono/guardano verso” Cristo che viene: “I due fratelli che coprirono Noè guardavano verso l’Unigenito di Dio… attesero il Figlio misericordioso”.

 

         Interessante l’espressione usata da Efrem per Melchisedek come “vicario”, la cui traduzione letterale dal siriaco sarebbe “luogotenente” [9].

25.Melchisedek attendeva lui.

Il vicario fissava lo sguardo

per vedere il Signore del sacerdozio,

il cui issopo sbianca la creazione.

 

         Efrem torna ancora in altre strofe al tema “lussuria/castità”, benché come indicavamo il termine siriaco usato sia letteralmente “santità[10]”. Sarà un tema che riemerge in tutta l’opera di Efrem che la vede, la santità/castità come un dono del Signore: “Guardò verso il Signore delle nature, che avrebbe dato una castità che non è della natura”.

26.Lot aveva visto i sodomiti

pervertire la retta disposizione di natura.

Guardò verso il Signore delle nature,

che avrebbe dato una castità che non è della natura.

         Efrem prosegue ancora con la scia di personaggi dell’AT, cogliendo profezie cristologiche anche in figure e fatti non sempre evidenti a un primo sguardo o lettura.

 

         Caleb. La spia di Nm 13,23, che porta il grappolo di uva, e che diventa profezia del grappolo che è Cristo stesso; inoltre, il grappolo appeso sulla stanga può essere anche letto come immagine di Cristo appeso sulla croce:

30.Caleb la spia portò

il grappolo sulla stanga e venne.

Attendeva di vedere il Grappolo

il cui vino ha consolato la creazione.

 

         Mosè, Elias ed Enoch. In tutti e tre personaggi troviamo il tema dell’ascensione verso la gloria di Dio. Attesa di Cristo a cui guardano salendo in cielo. Mosè ed Elia vedranno il Cristo inoltre nella trasfigurazione. La vita stessa dell’uomo come un cammino, una salita verso la visione di Dio che avviene in cielo in modo pieno.

34.Lui Elia bramava

e poiché non vide il Figlio sulla terra,

credette e continuò a purificarsi

per poter salire a vederlo in cielo.

 

35.Lui videro Mosè ed Elia.

Il mite ascese dalle profondità,

e lo zelota scese dall’alto:

videro il Figlio nel mezzo.

 

53.Enoch aveva bramato lui,

e poiché non lo vide sulla terra

accrebbe la fede e fu trovato giusto,

così da potere salire a vederlo in cielo.

 

         Le strofe 38-40 sono come una specie di “pausa di riposo” fatta da Efrem, quasi a dire la sua insufficienza nel lodare e nel narrare le opere di coloro che profetarono il Cristo nell’AT.

38.Chi mi porterà al termine della conta

di tutti i giusti che attesero il Figlio,

il cui numero non può essere limitato

dalla nostra debole bocca?

 

40.Chi saprebbe glorificare

il Figlio di verità che si levò per noi,

lui che i giusti bramavano

vedere nelle loro generazioni?

         Dopo la pausa delle strofe 38 a 40, dalla strofa 41 Efrem riprende la presentazione di personaggi dell’AT, ricominciando da capo, da Adamo stesso. L’attesa ed il desiderio di Adamo verso il Cristo diventano per lui pegno del suo ritorno in paradiso. In paradiso inoltre c’è anche l’albero della vita che per Efrem spesso è profezia e prefigurazione dell’altro albero che è la croce di Cristo.

41.Adamo attese lui,

poiché è lui il Signore del cherubino,

e lui solo avrebbe potuto farlo entrare e abitare

sotto i rami dell’albero della vita.

 

         Noè-Diluvio. L’arca è simbolo della Chiesa che accoglie tutti.

45.Anche l’arca degli animali,

il suo tipo guardava verso il nostro Signore,

che avrebbe costruito la santa Chiesa

nella quale trovano rifugio le anime.

 

47.La terra che il diluvio annegò,

il suo silenzio invocava il suo Signore.

Egli scese e aprì (le fonti) del battesimo,

mediante il quale (gli uomini) sono stati tirati su

fino al cielo[11].

 

         Efrem sottolinea come l’attesa di tutti i personaggi dell’AT verso il Signore, è anche essa un dono dello Spirito Santo.

51.È lo Spirito Santo che in loro,

quietamente contemplando per loro

li spingeva a vedere, grazie a lui,

il Salvatore che essi bramavano.

 

52.L’anima dei giusti percepì

il Figlio, il farmaco della vita,

e desiderò che nei propri giorni

egli venisse ed essa potesse gustarne la dolcezza.

 

         Abramo e Isacco. Loro due attendono il Figlio, con ansia, e il termine usato è “bramare”. Inoltre, Isacco salvato dall’essere offerto in sacrificio, strofa 60, è tipo della salvezza adoperata da Cristo; il suo essere salvato, risparmiato, è pregustazione di quello che Cristo stesso opera in noi.

 

59.In Spirito Abramo percepì

che la nascita del Figlio era lontana.

Per sé bramò

almeno di vedere da lontano il suo giorno.

 

60.Di vederlo bramò Isacco,

che gustò il sapore della sua redenzione.

Se il suo segno salvava così

quanto più egli avrebbe salvato nella sua verità.

 

             Strofe 61-81.

         Queste venti strofe hanno come filo conduttore l’antitesi sonno-veglia, dormire-vigilare, e quindi la presenza dei “vigilanti” che sono gli angeli. Nella letteratura siriaca i vigilanti sono anche i monaci, i “veglianti”. Per Efrem Cristo è il Vigilante per eccellenza, colui che ci sveglia dal sonno.

61.I vigilanti oggi sono nella gioia,

poiché è venuto il Vigilante a farci vegliare.

Chi dormirà in questa notte

nella quale veglia l’intera creazione?

 

62.Poiché Adamo aveva introdotto nella creazione

il sonno della morte mediante i peccati,

scese il Vigilante a svegliarci

dal torpore del peccato.

 

         Dalle strofe 63 a 72 troviamo esempi di veglia fatta nel peccato o nella negligenza. Per Efrem c’è anche una veglia fatta nella negligenza, fatta non tanto nell’indolenza bensì nell’operosità verso il peccato.

63.Non stiamo svegli come gli avidi,

che si lambiccano per il denaro dato a prestito,

e moltiplicano le veglie notturne

per calcolare capitale e interesse.

 

64.Il ladro è vigile e riflette,

lui che ha scavato in terra e ha nascosto

il proprio sonno.

La sua veglia è tutta per questo:

moltiplicare il pianto di chi dorme!

 

 

65.Sta sveglio anche il mangione,

che stramangia e poi sta male.

Star sveglio è il suo tormento,

poiché lui non sopporta la moderazione.

 

66.Sta sveglio anche il mercante;

di notte affatica le sue dita

a calcolare quanto gli è fruttata la sua mina,

e se il suo spicciolo è raddoppiato o triplicato.

 

69.È Satana, fratelli miei, che insegna

una veglia al posto della veglia,

a dormire nelle cose buone

e ad essere svegli e vigilanti per quelle odiose.

 

70.Anche Giuda Iscariota

rimase sveglio tutta la notte…

 

72.Anche i farisei, figli della tenebra,

vegliarono tutta la notte…

 

         Dalle strofe 73 a 81 Efrem presenta una esortazione alla veglia, alla vigilia in questa notte di luce. Veglia fatta nella verità e non nell’inganno.

73.State svegli, voi, come luci,

in questa notte di luce,

poiché anche se nero è il suo colore (esteriore),

essa risplende per la sua forza (interiore).

 

76.Non cadiamo dunque in errore, miei carissimi,

riguardo al nostro vegliare:

chi non veglia nel modo dovuto,

la sua veglia è indebita.

 

77.Chi non veglia in purezza,

la sua veglia è sonno.

E chi non veglia in castità,

anche il suo vegliare è contro di lui.

 

         Dalle strofe 76 a 81 torna con gli esempi di coloro che vegliano nella falsità e non nella verità.

79.L’iracondo, se sta sveglio,

dall’ira è intorbidato il suo vegliare…


80.Se il chiacchierone veglia

la sua bocca è un canale di vanità…

 

         Strofe 82-96.

Dalle strofe 82 a 96 Efrem enumera tutta una lista di virtù ed atteggiamenti propri dei cristiani.

         Purezza-Limpidezza. Sono due termini in siriaco sinonimi ma che vengono usati diciamo in un percorso in crescita, di salita; il termine purezza indica un grado iniziale, mentre che il termine limpidezza arriva quasi al livello della perfezione. Cristo è il vero puro, il vero limpido.

82.Limpida fu la notte nella quale si manifestò

il Limpido venuto a renderci limpidi.

Non introduciamo nella nostra veglia

nulla che possa intorbidirla.

 

83.Il sentiero dell’orecchio diventi limpido,

la vista dell’occhio pura,

il pensiero del cuore santo,

e l’eloquio della bocca sia passato al filtro.

 

         Diverse volte Efrem nei due primi versetti di ogni strofa dà un esempio biblico, mentre che gli altri due versetti li applica alla vita cristiana o alla vita e all’agire nostro come cristiani.

84.Oggi Maria ha nascosto in noi

il lievito della casa di Abramo.

Amiamo dunque i poveri,

come Abramo amò i bisognosi.

 

85.Oggi ha fatto cadere in noi il fermento

della casa di Davide, il clemente.

Ciascuno sia misericordioso con il proprio prossimo,

come fu il figlio di Iesse con Saul.

 

         In Cristo dobbiamo vivere senza amarezza e con umiltà. Cristo è presentato come colui che è mite ed umile.

88.Questa è notte di riconciliazione,

non vi sia chi è adirato o rabbuiato.

In questa notte, che tutto acquieta,

non vi sia chi minaccia o strepita.

 

89.Questa è la notte del Mite,

non vi sia amaro o duro.

In questa notte dell’Umile,

non vi sia altezzoso o borioso.

 

         Nelle strofe 90 a 96 Efrem elenca una serie di buone opere da farsi, a partire dal “oggi” della nascita di Cristo.

90.In questo giorno[12] di perdono

non vendichiamo le offese.

In questo giorno di gioie

non distribuiamo dolori.

 

92.In questo giorno della venuta

di Dio presso i peccatori,

non si esalti, nella propria mente,

il giusto sul peccatore.

 

94.In questo giorno, nel quale si è fatto povero

per noi il Ricco,

anche il ricco renda partecipe

il povero della sua tavola.

 

96.Questo è il giorno che ha aperto per noi

la porta dell’alto alle nostre preghiere.

Anche noi apriamo le porte

a quelli che chiedono, che hanno sbagliato

e poi hanno supplicato.

 

         Strofe 97-99.

         Nelle strofe 97 a 99, che sono le conclusive dell’inno, Efrem riprende il tema centrale di tutto il testo, cioè l’incarnazione del Verbo e Figlio di Dio.

97.Il Signore delle nature oggi

si è trasformato contrariamente alla propria natura.

Non ci sia dunque troppo difficile

invertire la nostra volontà malvagia.


98.Il corpo è legato alla sua natura

e non può accrescersi o rimpicciolire.

Ma la volontà ha il potere

di crescere in tutte le dimensioni.


99.Oggi si è impresa sé stessa

la divinità nell’umanità,

affinché anche l’umanità

fosse intagliata nel sigillo della divinità[13].

          L’ultima strofa riassume il mistero centrale della nostra fede, il mistero che ha percorso tutto l’inno del poeta siriaco. E in qualche modo riprende e si collega a quel “oggi” della prima strofa, che riscrivo anche qua e che fanno, ambedue come inizio e conclusione, una bella coppia di testi nel canto del mistero della nostra fede:

 

1.Questo giorno ha fatto gioire, Signore,

i re, i sacerdoti e i profeti,

poiché in esso si compirono le loro parole,

avvennero proprio tutte.

 

99.Oggi si è impresa sé stessa

la divinità nell’umanità,

affinché anche l’umanità

fosse intagliata nel sigillo della divinità.

 

 

+P. Manuel Nin

Esarca Apostolico

 

 



[1] Per una ottima traduzione di tutti gli inni di sant’Efrem Sulla Natività di Cristo, cf., I. De Francesco (a cura di), Efrem il Siro, Inni sulla Natività e l’Epifania, Paoline, Milano 2003.

[2] I. De Francesco, Efrem il Siro, Inni sulla Natività e l’Epifania, Paoline, Milano 2003, pp. 111-136.

[3] In siriaco rispettivamente: “ܗܢܐ ܝܘܡܐ / ܝܘܡܢܐ”.

[4] Cf., Salmo 86, 5-6: “Si dirà di Sion: "L'uno e l'altro in essa sono nati e lui, l'Altissimo, la mantiene salda. Il Signore registrerà nel libro dei popoli: “Là costui è nato”.

[5] Cf., Pr 13,12. L’immagine dell’albero della vita, sia nel paradiso sia nel Golgota, sarà molto presente nei testi di Efrem.

[6] Come indicato sopra, nella tradizione liturgica bizantina, come in quella siriaca, troviamo tantissimi testi liturgici introdotti con σήμερον oppure col ܝܘܡܢܐ.

[7] Il termine siriaco ܐܪܙܐ” significa anche “mistero”, ed è usato anche in riferimento ai “santi misteri” nella celebrazione eucaristica.

[8] Nella tradizione siriaca il termine “santità” indica anche “castità”, e sono termini sinonimi che spesso vengono abbinati ed accostati a livello semantico. Nella strofa 23 “santi” e “santificati” hanno la stessa radice siriaca “ܩܕܫ”.

[9] In siriaco troviamo la forma “ܢܛܪ ܕܘܟܬܐ”, che letteralmente sarebbe “il custode del luogo”.

[10] Il termine siriaco usato per castità è “ܩܘܕܫܐ”.

[11] In questa strofa troviamo evidente il parallelo simbolico tra il diluvio ed il battesimo cristiano. Anche con l’immagine della strofa 45 tra l’arca e la Chiesa.

[12] Il termine siriaco usato è “ܒܗܢܐ ܝܘܡܐ” (in questo giorno… oggi), che si ripete nelle strofe successive.

[13] Scrivo qua la strofa intera in siriaco. La radice siriaca “ܛܒܥ” significa letteralmente “sigillare, imprimere, immergersi, intagliare”. Il sigillo, l’icona dell’umanità nuova in Cristo entra nel sigillo reale della divinità.

ܝܘܡܢܐ ܛܒܥܬ ܢܦܫܗ

ܐܠܗܘܬܐ ܒܐܢܫܘܬܐ

ܕܬܨܛܒܬ ܐܦ ܐܢܫܘܬܐ

ܒܓܘ ܛܒܥܗ ܕܐܠܗܘܬܐ


lunedì 16 novembre 2020



“…perché in Te mi sono rifugiato”.

Note personali. A partire dal salmo 142.

Di fronte a una ormai evidente a tutti “seconda ondata” di contagi a causa del Covit-19, di fronte a una “seconda ondata” pure di decisioni governative, fatte in vista al bene comune, sicuramente, ma decisioni che porteranno e portano non soltanto disagio ma anche sofferenza ai nostri fedeli e a tutto il mondo, perché immune nessuno lo è. Come pastore di una Chiesa cristiana in Grecia, piccola ma viva, sento il dovere di dire e di dare in questi tempi una parola ai fedeli, che sia di conforto e soprattutto di vicinanza paterna e fraterna. I fedeli, tutti noi stiamo subendo questa seconda ondata in un silenzio rassegnato, perché tutte quelle nostre domande, angosce, dubbi, ed anche ribellioni che uscivano dal nostro cuore nella prima ondata del virus alcuni mesi fa, hanno ceduto il posto oggi al silenzio rassegnato. Per questo penso che i pastori delle Chiese dobbiamo in questo momento di sofferenza e di angoscia, dobbiamo dire e dare una parola ai fedeli, che una parola che sgorghi in noi dall’incontro con Colui che è la Parola fatta carne. Riecheggiando alcuni dei tropari bizantini della Settimana Santa: “Dammi una parola, o Parola”.

Durante il periodo della pandemia Covit-19, e specialmente nelle settimane e mesi di quarantena a cui siamo stati e siamo tuttora sottoposti, vi insistevo nella preghiera personale e in famiglia, e vi dicevo di farlo attraverso i salmi. Qualche settimana fa vi ho mandato la proposta di lettura del salmo 87, uno dei sei salmi del mattutino nella tradizione bizantina. Oggi vi propongo la lettura del salmo 142, un altro dei sei salmi del mattutino. Un salmo che troviamo inoltre nell’apodipnon bizantino, l’ultima ora di preghiera prima di coricarci a dormire. Come se la Chiesa, mettendoci nelle mani questo salmo all’inizio della giornata, volesse che il nostro cammino quotidiano come cristiani fosse fondato nella fiducia, nella confidenza, nella libertà verso Colui che per noi è il cammino, la verità e la vita. Infatti i sei salmi iniziali e fissi ogni giorno del mattutino nella tradizione bizantina, cioè 3, 37, 62, 87, 102 e 142, sono dei salmi che intrecciano nei loro versetti la confessione e la lode della grandezza di Dio, la sua giustizia e la sua misericordia, e allo stesso tempo la fiducia dell’uomo nella vittoria del Signore, di Cristo, sulla tenebra della notte, sul peccato e sulla morte.

1. Signore, ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio alla mia supplica nella tua verità; esaudiscimi nella tua giustizia.

2. E non entrare in giudizio con il tuo servo, perché non sarà giustificato davanti a te alcun vivente.

Ci troviamo di fronte alla grande confidenza, alla grande libertà del salmista verso il suo e nostro Signore: Signore ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio alla mia supplica…; esaudiscimi…. E notiamo nei tre verbi la presenza del complemento oggetto: …mia preghiera, mia supplica…, …mi. Di buon mattino noi cristiani ci porgiamo davanti al Signore nel nostro bisogno, nella nostra preghiera, nella nostra confidenza-siamo uomini di bisogno, di preghiera e di confidenza. Confidenza che ci fa sentire “servi” -Lui è il Signore invocato come tale all’inizio del salmo-, ma che ci dà anche la parresia di chiedergli di non essere sottoposti al suo giudizio, che è reale e che incide nella nostra vita, ma che è anche aperto verso tutto il creato, verso tutto ciò che vive. Penso a tanti tropari del mattutino nella nostra tradizione bizantina che abbinano la confessione del proprio peccato da parte nostra, alla confessione della grandezza misericordiosa di Dio. Nella lingua siriaca la parola “confessione” è sinonimo di “manifestazione, lode, glorificazione”, quasi mettendo allo stesso livello la confessione della propria miseria alla confessione-lode di Colui che è misericordioso. Confessare-manifestare-glorificare. Per questo portiamo sempre nella nostra preghiera i tre verbi iniziali: ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio alla mia supplica…; esaudiscimi.

 3. Sì, il nemico ha perseguitato l’anima mia, ha umiliato fino a terra la mia vita, mi ha fatto sedere in luoghi tenebrosi, come i morti dal tempo antico.

4. Si è abbattuto in me il mio spirito, in me si è turbato il mio cuore.

Il salmista prosegue enumerando, quasi “confessando” la propria situazione come uomo e come credente: …ha perseguitato…, ha umiliato…, mi ha fatto sedere in luoghi tenebrosi…, come i morti…. Se noi possiamo pregare e portare davanti al Signore questi versetti è perché lui per primo li ha vissuti e sopportati, e lo ha fatto per noi. Ricordiamo quanto sant’Agostino ci dice di Cristo che è pregato nei salmi e prega anche lui con noi nei salmi. Il Signore, per noi è stato perseguitato…, umiliato…, …fatto sedere in luoghi tenebrosi…, come i morti…. E aggiungiamo che in Lui ed anche in noi: Si è abbattuto in me il mio spirito, in me si è turbato il mio cuore…. In questi nostri giorni in cui ci sentiamo in tanti modi perseguitati, umiliati, quasi morti…, -e il nostro pensiero va alla immediatezza della pandemia sicuramente, ma anche alle persecuzioni e al martirio di tanti nostri fratelli cristiani nel Medio Oriente, nel cuore dell’Europa e nel mondo intero-, Lui, il Signore continua in noi la sua passione, nella sua e nostra carne continua a vivere la solitudine e l’angoscia. Sottolineo queste parole: solitudine ed angoscia -umiliato, fatto sedere in luoghi tenebrosi. In questi mesi in cui continuiamo ad essere provati e colpiti dalla pandemia, dal terrorismo anticristiano, la tentazione che tocca il nostro cuore è quella non della disperazione o della ribellione, bensì quella ormai di rimanere lì come i morti dal tempo antico, come dice il salmista. Tentati dal non far nulla, dal non dire neanche una parola anche se fosse di ribellione e di rimprovero. … sedendo in luoghi tenebrosi, come i morti dal tempo antico.

 5. Mi sono ricordato dei giorni antichi e ho meditato su tutte le tue opere: sulle azioni delle tue mani me­ditavo.

6. Ho teso a te le mie mani; la mia anima, davanti a te, co­me terra senz’acqua.

Mi sono ricordato…, ho meditato…, ho teso a te le mie mani…. Sono parole che rinfrancano il cuore dell’uomo che prega, di ognuno di noi. Non di una vittoria sul nemico si tratta, ma di una consolazione, di una salvezza che è memoria, e da essa sgorga. Una memoria, una anamnesi di tutto quello che Lui, il Signore ha fatto e fa per noi. Per tutti noi è una memoria della salvezza, che ci viene dalla lettura della sua Parola, dai suoi Santi Misteri, dai suoi e nostri fratelli che ci fanno presente questa potremo dire eucaristia che dal salmo sgorga, per la sua salvezza, la sua risurrezione, la sua vita. Quando nella nostra vita ci sentiamo come terra senz’acqua, è allora che siamo chiamati ad accoglierlo, malgrado sentirci ancora in deserto, nella solitudine. Una terra senz’acqua dice il salmista con una immagine molto forte.

 7. Presto esaudiscimi, Signore, è venuto meno il mio spirito; non distogliere da me il tuo volto, perché sarei simile a quelli che scendono nella fossa.

8. Fammi sentire al mattino la tua misericordia, perché in te ho sperato; fammi conoscere, Signore, la via su cui camminare, perché a te ho levato l’anima mia.

9. Strappami ai miei nemici, Signore, perché in te mi sono rifugiato.

10. Insegnami a fare la tua volontà, perché tu sei il mio Dio; il tuo spirito buono mi guiderà nella via retta.

La fiducia del salmista, la nostra fiducia perché siamo noi a pregare il salmo, viene a galla di nuovo con dei verbi: …esaudiscimi…, non distogliere da me…, fammi sentire…, fammi conoscere…, strappami ai miei nemici…. Tante volte sentiamo nella nostra vita non soltanto il desiderio della salvezza, della libertà, ma anche ne sentiamo l’ansia: Presto esaudiscimi, Signore…. Siamo come un bambino che chiede dalla mamma nell’ansia quello di cui sente il bisogno. Il Signore ci ascolta, il Signore ci guarda, e questo suo ascoltarci e guardarci è per noi qualcosa di vitale, come i raggi del sole lo sono per la vita degli uomini: Presto esaudiscimi, Signore, è venuto meno il mio spirito; non distogliere da me il tuo volto, perché sarei simile a quelli che scendono nella fossa. È un testo che ci tocca nel più profondo del nostro essere figli di Dio, di quel Dio che ci ascolta e ci guarda; non un Dio lontano e quasi assente, quasi sordo fosse, ma un Dio accanto a noi tutti i giorni della nostra vita. Presto esaudiscimi…, non distogliere da me il tuo volto. È un versetto che per noi prende una forza, una grazia specialmente in momenti come quelli che ci tocca da vivere quando ci sentiamo venir meno il nostro spirito, la nostra voglia di vivere, la voglia di pregare, la voglia di guardare l’altro e di essere da lui guardato. Fiduciosi che il Signore mai e poi mai toglie, allontana da noi il suo volto. Abbiamo fatto tutti l’esperienza di guardare una icona, e quando la guardiamo la prima cosa che ci colpisce è il sentirci da lei, dall’icona guardati, e con uno sguardo che mai non si distoglie da noi. Sorretti da questo sguardo del Signore, possiamo pregare con fiducia ancora il salmo: Fammi sentire al mattino la tua misericordia, perché in te ho sperato; fammi conoscere, Signore, la via su cui camminare, perché a te ho levato l’anima mia. Il salmo 142 lo preghiamo ogni giorno al mattino; iniziamo il nostro camminare quotidiano quasi sorretti dai verbi, dalle preghiere: Fammi sentire…, fammi conoscere…. Sono dei versetti messi quasi in parallelo tra la preghiera ed il motivo da cui sgorga: Fammi sentire… / perché in te ho sperato. Fammi conoscere… / perché a te ho levato l’anima mia. Strappami… / perché in te mi sono rifugiato. Insegnami…, / perché tu sei il mio Dio. Pregando al mattino questo salmo che, come abbiamo sopra accennato, ritroveremo di nuovo nell’ultima preghiera del giorno, il cristiano mette tutta la sua vita nelle mani del Signore che è Maestro, Sapienza, Redenzione, Guida. Quasi questi versetti diventassero annuncio del testo evangelico di Giovanni 14: “Io sono il cammino, la verità e la vita”.

 11. Per amore del tuo nome, Signore, mi farai vivere; nella tua giustizia trarrai dalla tribolazione l’anima mia.

12. Nella tua misericordia sterminerai i miei nemici e farai perire tutti quelli che opprimono l’anima mia, perché io sono tuo servo.

Come se in questi versetti ricominciasse l’anamnesi della salvezza adoperata dal Signore. Il tuo nome, la tua giustizia, la tua misericordia… La preghiera fiduciosa di ognuno di noi nel Signore che per amore e nell’amore salva, vivifica, libera dalla tribolazione.

Nel salmo 142 troviamo per ben due volte la preghiera per essere liberati dal nemico chiedendone la sua sconfitta, la sua fine. I salmi hanno questi versetti “imprecatori” che delle volte ci possono creare delle “difficoltà”, magari “disaggio”, se non altro. Sono dei versetti salmici che la Tradizione cristiana ha pregato senza sosta, e che vanno pregati da noi senz’altro, e assolutamente “non evitati, messi da parte, soppressi…”. Noi cristiani col Vangelo e dal Vangelo preghiamo per i nemici, per i malvagi, e preghiamo anche il Signore di distruggere, di far sprofondare, di porre fine non loro bensì il male che annida nel loro cuore.

Si ripete:

1c-2a. Esaudiscimi, Signore, nella tua giustizia, e non entrare in giudizio con il tuo servo.

10b. Il tuo spirito buono mi guiderà nella via retta.

Nella ripetizione di questi due versetti alla fine, ripetizione di uno o due versetti che troviamo in tutti i sei salmi del mattutino bizantino, rinveniamo possiamo dire la linea portante del salmo: la fiducia nella guida che lo Spirito del Signore porta a termine in noi cristiani, provati dall’angoscia, dalla malattia, e soprattutto tentati di lasciarci andare, sprofondare nella disperazione. Ma fermi nella parresia, nella confidenza e nella fede che è sempre: Il tuo spirito buono mi guiderà nella via retta. 


ΓΙΑΤΙ ΣΕ ΣΕΝΑ ΚΑΤΕΦΥΓΑ

Προσωπικές σημειώσεις πάνω στον Ψαλμό 142

 

Μπροστά πλέον σ’ ένα φανερό δεύτερο κύμα κρουσμάτων από τον Covit-19 μπροστά, επίσης σ’ ένα φανερό δεύτερο κύμα κυβερνητικών αποφάσεων υπέρ του κοινού καλού ασφαλώς, αλλά αποφάσεων που θα οδηγήσουν και ήδη οδηγούν, όχι μόνο σε δυσκολίες αλλά και σε πόνο τους πιστούς μας και τον κόσμο όλο, γιατί κανένας δεν είναι απαλλαγμένος. Ως ποιμένας μία χριστιανικής Εκκλησίας στην Ελλάδα, μικρής αλλά ζωντανής, αισθάνομαι το καθήκον να πω και να απευθύνω ένα λόγο προς τους πιστούς, οι οποίος να είναι ο λόγος πνευματικής ενίσχυσης και προπάντων λόγος πατρικής και αδελφικής συμπαράστασης. Οι πιστοί και όλοι εμείς, αντιμετωπίζουμε το δεύτερο αυτό κύμα με υπομονετική σιωπή, γιατί όλα τα ερωτήματά μας, οι αγωνίες μας, οι αμφιβολίες ακόμη και οι επαναστάσεις της καρδιάς μας, κατά το πρώτο κύμα του κορωναϊού πριν λίγους μήνες, σήμερα άφησαν τη θέση τους στην υπομονετική σιωπή. Για το λόγο αυτό σκέπτομαι ότι οι πνευματικοί ποιμένες των Εκκλησιών, κατά τις στιγμές αυτές του πόνου και της αγωνίας, οφείλουμε να πούμε και να δώσουμε ένα λόγο στους πιστούς, ένα λόγο που να αναβλύζει από μέσα μας από τη συνάντησή μας με Εκείνον, ο οποίος είναι ο Λόγος που ενσαρκώθηκε. Ο λόγος μας αυτός απηχεί μερικά τροπάρια της Μεγάλης Εβδομάδος: Δώσε μου ένα λόγο, ω Λόγε.

Κατά την περίοδο της πανδημίας Covit-19 και ιδιαίτερα κατά τις εβδομάδες και μήνες της καραντίνας, στην οποία βρισκόμασταν και βρισκόμαστε ακόμα, επέμενα στην προσωπική και οικογενειακή προσευχή, και σας έλεγα να προσεύχεστε με ψαλμούς. Πριν από λίγες εβδομάδες σας πρότεινα να προσεύχεστε με τον ψαλμό 87, έναν από τους πρωινούς ψαλμούς της βυζαντινής παραδόσεως. Σήμερα σας προτείνω την ανάγνωση-προσευχή του 142ου ψαλμού, έναν ψαλμό από τον εξάψαλμο του όρθρου. Ένα ψαλμό τον οποίο βρίσκουμε επίσης στο βυζαντινό απόδειπνο στην τελευταία ώρα προσευχής πριν πλαγιάσουμε για να κοιμηθούμε. Βάζοντας στο στόμα μας αυτόν τον ψαλμό στην αρχή της ημέρας, φαίνεται ότι η Εκκλησία θέλει να εδραιώσει την καθημερινή μας πορεία ως χριστιανοί στην εμπιστοσύνη, στην οικειότητα, στην ελευθερία προς Εκείνον, ο οποίος για μας είναι η οδός, η αλήθεια και η ζωή. Πραγματικά, οι έξι πρώτοι ψαλμοί, οι καθορισμένοι καθημερινά στον όρθρο, κατά τη βυζαντινή παράδοση, δηλαδή, οι ψαλμοί 3, 37, 62, 87, 102 και 142, είναι ψαλμοί οι οποίοι στους στίχους τους διασταυρώνουν την ομολογία και τον ύμνο της δόξας του Θεού, την δικαιοσύνη Του, την ευσπλαχνία Του, και ταυτόχρονα την εμπιστοσύνη του ανθρώπου στη νίκη του Κυρίου, του Χριστού, μέσα στο σκοτάδι της νύχτας, της αμαρτίας και του θανάτου.

 

1.Κύριε, εσάκουσον τς προσευχς μου, νώτισαι τν δέησίν μου ν τ ληθεί σου, εσάκουσόν μου ν τ δικαιοσύν σου.

2.Κα μ εσέλθς ες κρίσιν μετ το δούλου σου, τι ο δικαιωθήσεται νώπιόν σου πς ζν.

Βρισκόμαστε μπροστά στην μεγάλη εμπιστοσύνη, στην μεγάλη ελευθερία του ψαλμωδού προς τον Κύριό του και τον δικό μας Κύριο. Κύριε, εσάκουσον τς προσευχς μου, νώτισαι τν δέησίν μου ν τ ληθεί σου, εσάκουσόν μου … Και στα τρία ρήματα σημειώνουμε την παρουσία του αντικειμένου μας: της προσευχής μου, την δέησή μου. Από πολύ πρωί εμείς οι χριστιανοί βρισκόμαστε μπροστά στον Κύριο, παρουσιάζοντας του την ανάγκη μας, την προσευχή μας την εμπιστοσύνη μας, γιατί είμαστε άνθρωποι ανάγκης, προσευχής και εμπιστοσύνης. Αυτή η εμπιστοσύνη μας κάνει να αισθανόμαστε δούλοι. Εκείνος είναι ο Κύριος, τον οποίο επικαλούμαστε ως Κύριο μας στην αρχή του ψαλμού, αλλά και ο οποίος μας δίνει επίσης την παρρησία να του ζητήσουμε να μη μας βάλει στην κρίση του, η οποία είναι πραγματική, και συμπίπτει στη ζωή μας, αλλά είναι επίσης ανοιχτή προς όλη τη δημιουργία, προς κάθε οντότητα που ζει. Σκέπτομαι τόσα και τόσα τροπάρια του όρθρου στη βυζαντινή μας παράδοση, τα οποία συνδυάζουν την ομολογία της αμαρτίας εκ μέρους μας, με την ομολογία του μεγαλείου της ευσπλαχνίας του Θεού. Στη συριακή γλώσσα η λέξη ομολογία είναι συνώνυμο με τις λέξεις φανέρωση, αίνος, δοξολογία σαν να βάζει στο ίδιο επίπεδο την ομολογία της δικιάς μας αθλιότητας, με την ομολογία –αίνο του Πολυεύσπλαχνου Θεού. Ομολογώ, φανερώνω, δοξολογώ. Γι’ αυτό στην προσευχή μας επαναλαμβάνουμε πάντοτε τα τρία πρωταρχικά ρήματα: .. εσάκουσον τς προσευχς μου, νώτισαι τν δέησίν μου…, εσάκουσόν μου.

3. τι κατεδίωξεν χθρς τν ψυχήν μου· ταπείνωσεν ες γν τν ζωήν μου. κάθισέ με ν σκοτεινος ς νεκρος αἰῶνος, (δηλαδή με κάθισε σε τόπους σκοτεινούς, σαν τους αρχαίους νεκρούς).

4. Ήκηδίασεν π᾿ μ τ πνεμά μου, ν μο ταράχθη καρδία μου. (δηλαδή γκρεμίστηκε μέσα μου το πνεύμα μου, ταράχτηκε μέσα μου η καρδιά μου).

Ο ψαλμωδός συνεχίζει απαριθμώντας, σχεδόν ομολογώντας την κατάστασή του ως άνθρωπος και ως πιστός: κατεδίωξεν… ταπείνωσεν…. έκάθισέ με ν σκοτεινος…ς νεκρος. Αν εμείς σήμερα μπορούμε να προσευχόμαστε και να παρουσιάζουμε μπροστά στον Κύριο αυτούς τους στίχους, αυτό οφείλεται στο ότι Εκείνος πρώτος τους έζησε τους υπέμενε, και το έκανε για χάρη μας. Ας θυμηθούμε αυτό που ο Ιερός Αυγουστίνος μας λέει για τον Χριστό: προς τον οποίο προσευχόμαστε με τους ψαλμούς, και ο οποίος επίσης στους ψαλμούς προσεύχεται μαζί μας. Ο Κύριος, για χάρη μας κατεδίωξεν ταπείνωσεν …. έκάθισέ με ν σκοτεινος…ς νεκρος, και ας προσθέσουμε ότι σ’ Αυτόν, όπως και σ’ εμάς, Ήκηδίασεν π᾿ μ τ πνεμά μου, ν μο ταράχθη καρδία μου. Σ’ αυτές τις ημέρες μας, κατά τις οποίες αισθανόμαστε ότι είμαστε με τόσους και τόσους τρόπους καταδιωγμένοι, ταπεινωμένοι, σχεδόν νεκροί… (και η σκέψη μας πηγαίνει ασφαλώς στην πανδημία, αλλά και στους διωγμούς και στα μαρτύρια τόσων και τόσων χριστιανών αδελφών μας στη Μέση Ανατολή, στην καρδιά της Ευρώπης και σε όλο τον κόσμο), Εκείνος, ο Κύριος μας, στα πρόσωπά μας συνεχίζει τα τίμια πάθη του, και στη δική του σάρκα όπως και στη δική μας συνεχίζει να ζει την απομόνωση και την αγωνία. Υπογραμμίζω αυτές τις λέξεις: μοναξιά και αγωνία, ταπεινωμένος, καθισμένος σε τόπους σκοτεινούς. Κατά τους μήνες αυτούς κατά τους οποίους συνεχίζουμε να δοκιμαζόμαστε και να χτυπιόμαστε από την πανδημία, από την αντιχριστιανική τρομοκρατία, ο πειρασμός που αγγίζει την καρδιά μας δεν είναι ο πειρασμός της απελπισίας, ή της επανάστασης αλλά ο πειρασμός να μείνουμε ως νεκροί αιώνος (σαν τους αρχαίους νεκρούς), όπως λέει ο ψαλμωδός. Από τον πειρασμό του να μην κάνουμε τίποτα από το να μη λέμε ούτε μία λέξη, έστω και λέξη επανάστασης και αποδοκιμασίας … καθισμένοι σε τόπους σκοτεινούς, όπως οι νεκροί της αρχαίας εποχής.

5. Έμνήσθην μερν ρχαίων, μελέτησα ν πσι τος ργοις σου, ν ποιήμασι τν     χειρν σου μελέτων.

6. Διεπέτασα πρς σ τς χεράς μου· ψυχή μου ς γ νυδρός σοι.

Έμνήσθην …, μελέτησα ., διεπέτασα πρς σ τς χεράς μου·…, είναι λέξεις που δυναμώνουν την καρδιά του ανθρώπου ο οποίος προσεύχεται, την καρδιά  του καθενός από εμάς. Δεν πρόκειται για μία νίκη κατά του εχθρού, αλλά για μια παρηγοριά για μια σωτηρία η οποία είναι ανάβλυση, και από αυτήν αναβλύζει. Μία ανάμνηση όλων εκείνων τα οποία ο Κύριος έκανε για μας. Για όλους εμάς είναι μία ανάμνηση της σωτηρίας, η οποία μας έρχεται από την ανάγνωση του Λόγου του, από τα Ιερά Μυστήρια, από τα δικά του και τα δικά μας αδέλφια, τα οποία μας παρουσιάζουν, μπορούμε να πούμε, την ευχαριστία, που από τον ψαλμό αναβλύζει, για τη σωτηρία του, την ανάστασή του, τη ζωή του. Όταν στη ζωή μας αισθανόμαστε σαν γη άνυδρη, τότε καλούμαστε να τον υποδεχθούμε, παρόλο που αισθανόμαστε ότι βρισκόμαστε στην έρημο, στη μοναξιά. Ο ψαλμωδός μιλά για μία άνυδρη γη, χρησιμοποιώντας μία δυνατή εικόνα.

7. Ταχ εσάκουσόν μου, Κύριε, ξέλιπε τ πνεμά μου.

Μ ποστρέψς τ πρόσωπόν σου π᾿ μο, κα μοιωθήσομαι τος καταβαίνουσιν ες λάκκον.

κουστν ποίησόν μοι τ πρω τ λεός σου, τι π σο λπισα.

8. Γνώρισόν μοι, Κύριε, δν ν πορεύσομαι, τι πρς σ ρα τν ψυχήν μου.

9.ξελο με κ τν χθρν μου, Κύριε, πρς σ κατέφυγον·

10. Δίδαξόν με το ποιεν τ θέλημά σου, τι σ ε Θεός μου.

    Τ Πνεμά σου τ γαθν δηγήσει με ν γ εθεί·

 

Η εμπιστοσύνη  του ψαλμωδού, η δικιά μας εμπιστοσύνη, εφόσον εμείς προσευχόμαστε με τον ψαλμό, έρχεται και πάλι στην επιφάνεια με τις λέξεις: εσάκουσόν μου… Μ ποστρέψς π᾿ μοῦ…, κουστν ποίησόν…, Γνώρισόν μοι,…, ξελο με κ τν χθρν μου…  Τόσες και τόσες φορές στη ζωή μας αισθανόμαστε όχι μονάχα την επιθυμία της σωτηρίας και της ελευθερίας, αλλά αισθανόμαστε και την αγωνία γι’ αυτές: Ταχ εσάκουσόν μου, Κύριε, Είμαστε σαν ένα μικρό παιδί το οποίο ζητά με αγωνία από την μητέρα του αυτό που αισθάνεται ότι το έχει ανάγκη. Ο Κύριος μας ακούει, ο Κύριος μας κοιτάζει, και αυτή η προσοχή του για μας είναι κάτι το ζωτικό, όπως ζωτικές είναι οι ακτίνες του ήλιου για τη ζωή των  ανθρώπων: Ταχ εσάκουσόν μου, Κύριε, ξέλιπε τ πνεμά μου. Μ ποστρέψς τ πρόσωπόν σου π᾿ μο, κα μοιωθήσομαι τος καταβαίνουσιν ες λάκκον. Είναι ένα κείμενο που μας αγγίζει στα βαθύτερα της οντότητάς μας, ως παιδιά του Θεού· του Θεού εκείνου ο οποίος μας ακούει και μας βλέπει: όχι ενός Θεού μακρινού και σχεδόν απόντος, σαν να ήταν κωφάλαλος, αλλά ενός Θεού που βρίσκεται δίπλα μας, όλες τις ημέρες της ζωής μας. Ταχ εσάκουσόν μου, …. Μ ποστρέψς τ πρόσωπόν σου π᾿ μο, Ο στίχος αυτός για μας παίρνει μία δύναμη, μία χάρη, ιδιαίτερα σε στιγμές κατά τις οποίες πρέπει να ζήσουμε, όταν αισθανόμαστε ότι σβήνουν μέσα μας το πνεύμα μας, η επιθυμία της ζωής, η επιθυμία της προσευχής, η επιθυμία να κοιτάξουμε τον άλλο, και ο άλλος να κοιτάξει εμάς. Έχουμε εμπιστοσύνη ότι ο Κύριος ποτέ δεν απομακρύνει το πρόσωπό του από εμάς. Όλοι μας έχουμε την εμπειρία από το κοίταγμά μας σε μία εικόνα όταν την κοιτάζουμε, το πρώτο που μας εντυπωσιάζει είναι το αίσθημα ότι αυτή η ίδια η εικόνα μας κοιτάζει, και μας κοιτάζει έτσι ώστε αυτή η ματιά της δεν θα σβηστεί ποτέ από μέσα μας. Στηριζόμενοι από αυτή τη ματιά του Κυρίου, μπορούμε να προσευχόμαστε με νέα εμπιστοσύνη, λέγοντας στον ψαλμό: κουστν ποίησόν μοι τ πρω τ λεός σου, τι π σο λπισα. Γνώρισόν μοι, Κύριε, δν ν πορεύσομαι, τι πρς σ ρα τν ψυχήν μου.

 

Με τον ψαλμό 142 προσευχόμαστε καθημερινά το πρωί, στον όρθρο: αρχίζουμε την καθημερινή μας πορεία στηριζόμενοι στα λόγια του, στην προσευχή του: κουστν ποίησόν μοι τ πρωῒ…, Γνώρισόν μοι,… είναι στίχοι βαλμένοι σχεδόν παράλληλα, μεταξύ της προσευχής και της αιτίας από την οποία η προσευχή αυτή αναβλύζει: κουστν ποίησόν μοι… τι π σο λπισα. Γνώρισόν μοι,….τι πρς σ ρα τν ψυχήν μου. ξελο με κ τν χθρν μου, Κύριε, πρς σ κατέφυγον· Δίδαξόν με το ποιεν τ θέλημά σου, τι σ ε Θεός μου. Προσευχόμενος το πρωί αυτόν τον ψαλμό, τον οποίο όπως προαναφέραμε,  θα τον ξαναβρούμε κατά την τελευταία δωδέκατη προσευχή της ημέρας, ο χριστιανός βάζει όλη τη ζωή του στα χέρια του Κυρίου και Διδασκάλου του, ο οποίος είναι: Σοφία, Λύτρωση, Οδηγός. Αυτοί οι στίχοι φαίνονται σχεδόν σαν προάγγελμα του ευαγγελικού κειμένου Ιω. 14: Εγώ είμαι ή οδός, ή αλήθεια και η ζωή.

11.Ένεκεν το νόματός σου, Κύριε, ζήσεις με. ν τ δικαιοσύν σου ξάξεις κ θλίψεως τν ψυχήν μου·

12.Έν τ λέει σου ξολοθρεύσεις τος χθρούς μου· κα πολες πάντας τος θλίβοντας τν ψυχήν μου, τι γ δολός σού εμι.

Οι στίχοι  αυτοί μοιάζουν σαν να ξανάρχισε η ανάμνηση της σωτηρίας την οποία πραγματοποίησε ο Κύριος. Το όνομά σου, η δικαιοσύνη σου, η ευσπλαχνία σου, (το έλεος σου)… Η προσευχή γεμάτη εμπιστοσύνη του καθενός από εμάς προς τον Κύριο, ο οποίος, από αγάπη και μέσα στην αγάπη, σώζει, ζωοποιεί, απελευθερώνει από την δυστυχία.

Στον ψαλμό 142 βρίσκουμε δύο φορές την προσευχή για να απελευθερωθούμε από τον εχθρό, ζητώντας την ήττα του και το τέλος του. Οι ψαλμοί έχουν στίχους με παρόμοιες ικεσίες, οι οποίες μερικές φορές μπορούν να μας δημιουργήσουν δυσκολίες ή τουλάχιστον να μας βάλουν σε δύσκολη θέση. Πρόκειται για ψαλμικούς στίχους με τους οποίους η χριστιανική Παράδοση δεν έπαψε να προσεύχεται, και με τους οποίους εμείς σήμερα προσευχόμαστε, χωρίς με κανένα τρόπο να τους αποφεύγουμε, να τους παραλείψουμε ή να τους καταργούμε… Εμείς οι χριστιανοί με το Ευαγγέλιο και από το Ευαγγέλιο προσευχόμαστε για τους εχθρούς, για τους κακούς και προσευχόμαστε επίσης στον Κύριο μας ζητώντας του να καταστρέψει να βάλει τέλος, όχι στους εχθρούς μας αλλά στο κακό που φωλιάζει μέσα στην καρδιά τους.

Επανάληψη:

1γ-2α   Εσάκουσον μου, Κύριε,ν τ δικαιοσύν σου. κα μ εσέλθς ες κρίσιν μετ το δούλου σου.

10β Τ Πνεμά σου τ γαθν δηγήσει με ν γ εθεί.

Στην επανάληψη των τελευταίων αυτών στίχων, μία επανάληψη ενός ή δύο στίχων την οποία βρίσκουμε και στους έξι ψαλμούς του βυζαντινού όρθρου, μπορούμε να πούμε ότι ανακαλύπτουμε την βασική γραμμή του ψαλμού: την εμπιστοσύνη στην καθοδήγηση με την οποία το Άγιο Πνεύμα καθοδηγεί εμάς τους χριστιανούς, δοκιμαζόμενους από την αγωνία, από την αρρώστια, και προπάντων από τον πειρασμό της απόγνωσης και της απελπισίας. Αλλά παραμένουμε σταθεροί στην παρρησία, στην εμπιστοσύνη και στην πίστη, η οποία ψάλλει πάντοτε: Το πνεύμα σου το αγαθόν οδηγήσει με εν φη ευθεία.