giovedì 21 settembre 2017

             “…vissero insieme per molti anni e non litigarono mai…”.
     Un apoftegma dei padri del deserto dice: Due anziani vissero insieme per molti anni e non litigarono mai. Disse allora uno all’altro: “Litighiamo anche noi, come fanno gli altri uomini!”. E quello rispose al fratello: “Non so come avvenga una lite”. Il primo disse: “Ecco io metto in mezzo una brocca e dico: ‘è mia’, e tu dici: ‘no, è mia’. È così che comincia una lite”. Misero dunque nel mezzo una brocca e uno disse all’altro: “è mia”, e l’altro disse: “è mia”. E il primo riprese: “Se è tua, prendila e và pure!”. E si separarono senza aver trovato di che litigare l’un contro l’altro.
I testi dei Padri del deserto sono sempre non soltanto attuali ma anche riescono a toccare il punto centrale di una questione. “Due anziani vissero insieme per molti anni e non litigarono mai…”. In queste ultime settimane questo apoftegma mi è venuto in mente tante volte, proprio nella frase: “…vissero insieme per molti anni e non litigarono mai…”. Vedendo le immagini e le notizie che arrivano dalla Catalogna, e trovandomi con delle persone molto diverse per quanto riguarda le loro provenienze ed anche le loro idee politiche, e che mi chiedono cosa penso del momento allo stesso tempo drammatico e paradossale che si vive nella Catalogna, e quando loro mi domandano cosa farò in quel ormai mitico primo ottobre, confesso che sento in me un senso strano, cioè di disaggio, di disgusto, ma soprattutto di tristezza, come se senza preavviso fossimo ritornati a quarant’anni fa oppure come se questi quarant’anni trascorsi non fossero mai esistiti e adesso una voce fredda e cinica ci dicesse: “guarda che stavi sognando… l’hai immaginato…. Noi siamo ancora qua…”. Chi è, chi sono questi “noi”? Identifico questo “noi” non con una parte o con l’altra ma con ambedue le parti in confronto in questo momento storico. Oso dire questo “noi” non sono delle persone ma degli atteggiamenti di intolleranza, di non dialogo, in fondo di intransigenza estrema. E l’intransigenza estrema, che nella politica esiste e si manifesta sia nelle posizioni estreme di destra che in quelle di sinistra, è fondamentalmente un atteggiamento intollerante che genera sempre terrore, sfiducia, repressione.
          Perché si è arrivato qua? In balia di chi? Perché si ha l’impressione che gli interessi non sono né la Spagna né la Catalogna bensì gli interessi di partito. Come ci si è arrivato? Di chi è la colpa? (questa è la domanda esplicita o implicita che ci si pone sempre, e più che mai in questi giorni). Come mai le forze dell’ordine che qualche settimana fa intervennero a bloccare in tutti i modi possibili quel terribile atto di terrorismo che colpì Barcelona nel suo passeggiare tranquillo nella serenità e nella bellezza di Les Rambles, come mai le forze dell’ordine adesso sono viste, e non dico percepite ma viste nelle immagini pubbliche nel loro intervento non poliziale ma direi poliziesco, contro e dovendo bloccare / reprimere un popolo che dialogante lo è stato sempre, un popolo che ha dei limiti come tutti, ma che nei limiti ha sempre dialogato, accolto, e anche subìto. Un popolo pero, chiediamocelo e diciamolo pure, anch’esso forse adesso manipolato, fino ad arrivare ad atteggiamenti intolleranti ed aggressivi mai visti prima?
Più di quarant’anni fa, adolescente ancora, nella clandestinità che richiedeva la repressione politica degli anni 70’, mi misi a studiare per bene la mia lingua catalana, quasi fosse un ripulire e proteggere un oggetto prezioso di famiglia che mi / ci identificava come popolo, e presi il titolo di professore di lingua catalana, con dei corsi fatti privatamente in orario extra scolare, (perché non si poteva sapere pubblicamente che facevo quei corsi); e presi allora quel titolo per poter dopo, e lo feci fino all’ingresso nel monastero, insegnare la lingua catalana, quasi a consegnare ai bambini e ai giovani un oggetto prezioso che conteneva in se stesso l’identità di un popolo, di una cultura, di una realtà nazionale. Ed insegnare per bene la lingua catalana, e non soltanto per uno scopo magari morfologico, ortografico o sintattico che fosse, ma con lo scopo di trasmettere a catalani e non catalani (la scuola che dopo feci non escludeva assolutamente nessuno fosse o non catalano) per trasmettere dicevo la lingua sì, ma soprattutto la cultura, la tradizione di un popolo che sempre, e dico sempre, ha dialogato, è stato aperto, non ha escluso nessuno. Non vorrei mai dover ricredermi su questo carattere dialogante e sereno dei catalani, anche se ci arrivano delle immagini che ci porterebbero a ricrederci. Ma no! Malgrado tutto il dialogo è sempre possibile! E in questo dialogo necessario, il ruolo della cultura, della lingua, della storia dovrebbe segnare il sentire ed il maturare della gioventù della Catalogna oggi.
Racconto questi fatti non per fare l’apologia di un popolo che è il mio, ma perché di fronte alla situazione attuale di intolleranza, di non dialogo, di chiusura e diciamolo anche di manipolazione ideologica e populista -demagogica!- a cui si è arrivato da ambedue le parti in conflitto, torna in me la frase dell’apoftegma: “…vissero insieme per molti anni e non litigarono mai…”. Il Vangelo di Gesù Cristo, su cui si edifica la vita dei cristiani -e la vita dell’Europa, della Spagna e della Catalogna ha le fondamenta nel Vangelo-, dovrebbe portarci -o averci portato- a un fronte comune di valutazione e di messa in primo piano della cultura (la storia, la lingua), dell’essere e della vita di un popolo, non manipolato né manipolabile secondo gli interessi di qualsiasi ideologia o partito politico.
Parte della mia famiglia erano contadini. E da piccolo avevo visto tanti greggi di capre andare al pascolo. Tra di loro i maschi, per questioni territoriali e di dominio sulle femmine, litigavano a colpi di testa l’uno contro l’altro. Colpi così forti che nello scontro ambedue i contendenti rimanevano nel loro posto senza retrocedere neanche un centimetro. Fino a quando uno dei due cedeva o avevano ambedue la testa quasi fracassata. Quest’immagine mi sembra che non abbia bisogno di spiegazioni o di commenti se la si applica al momento attuale che stiamo vivendo.
Due anziani vissero insieme per molti anni e non litigarono mai…”. Sembra un’utopia, un’impossibile tra gli uomini. Ma quei due anziani, monaci, vissero secondo il Vangelo tutta la loro vita, ed il Vangelo guarisce, sana, “evangelizza” il cuore dell’uomo e fa quel quasi miracolo: “…vissero insieme per molti anni e non litigarono mai…”.

P.S. Scrivo queste note di post scriptum, dopo i fatti gravissimi del primo ottobre e dei giorni successivi. Nelle pagine precedenti ho cercato di mettere in guardia sugli atteggiamenti intolleranti che generano sempre terrore, sfiducia, repressione… Guardando un popolo -e non dico soltanto i catalani ma il popolo della Catalogna che ormai è anche multietnico- che ha sempre dialogato, accolto, e anche subìto. E quel primo ottobre il popolo di nuovo subì la violenza di quei manganelli che oltre al dolore fisico riportavano a un dolore storico di più di quarant'anni fa.
         E il primo ottobre non ha portato né dialogo, né intesa. E, cosa più grave ancora, da colui che doveva essere al di sopra per essere così accanto a tutti, da chi tutti potevamo -dovevamo- aspettare una parola di comunione, di pace, di serenità, abbiamo sentito soltanto la durezza delle parole di condanna, e non condanna della violenza, da qualsiasi parte essa venisse, ma la condanna di un popolo che ancora oggi vuol dialogare.
         Malgrado ciò, sono ancora e sempre convinto che il Vangelo può guarire, sanare, “evangelizzare” il cuore dell’uomo e fare quel quasi miracolo: “…vissero insieme per molti anni e non litigarono mai…”.




martedì 12 settembre 2017

L’Esaltazione della Santa Croce nella tradizione bizantina.
Oggi per noi è fiorito l’albero della croce.
          La festa del 14 di settembre nei libri liturgici della tradizione bizantina porta come titolo: “Universale Esaltazione della Croce Preziosa e Vivificante”, ed ha un’origine gerosolimitana collegata alla dedicazione della basilica della Risurrezione edificata sulla tomba del Signore nel 335, ed anche con la celebrazione del ritrovamento della reliquia della Croce da parte dell'imperatrice Elena e del vescovo Macario. La Croce ha un posto rilevante nella liturgia bizantina, ed è sempre presentata e celebrata come luogo di vittoria della vita sulla morte, luogo della gioia e della salvezza. La celebrazione liturgica del 14 settembre nella tradizione bizantina è preceduta da un giorno di prefesta il 13, in cui si celebra appunto la dedicazione della basilica della Risurrezione, e si prolunga con un’ottava fino al giorno 21 dello stesso mese di settembre.
          I tropari della festa odierna mettono in primo piano ripetutamente la figura della croce come quello strumento da dove sgorga la bellezza e la vita. I testi pare quasi volessero mettere in parallelo quasi in confronto le immagini della croce stessa e della sua simbologia: morte / vita, albero del peccato / albero della salvezza: “La croce esaltata di colui che in essa è stato elevato, induce tutta la creazione a celebrare l’immacolata passione: poiché, ucciso con essa colui che ci aveva uccisi, egli ha ridato vita a noi che eravamo morti, ci ha dato bel­lezza e ci ha resi degni, nella sua compassione, per sua som­ma bontà, di prendere cit­tadinanza nei cieli… Adoriamo il legno benedetto per il quale si è realizzata l’eterna giustizia: poiché colui che con l’albero ha ingannato il progenitore Adamo, viene adesca­to dalla croce, e cade travolto in una funesta caduta, lui che si era tirannicamente impadronito di una creatura regale. Col sangue di Dio viene lavato il veleno del serpente… poiché con un albero bisognava risanare l’albero, e con la passione dell’impas­si­bile di­strug­gere nell’al­bero le passioni del condannato”.
          Ci soffermiamo in alcuni dei tropari del mattutino della festa, le cosiddette katavasie, cioè i primi tropari delle odi che vengono ripetuti all’inizio e alla fine di ognuna di esse e che danno in qualche modo la chiave di lettura dei diversi testi biblici e innografici. Spesso sono dei testi che fanno una lettura cristologica del cantico biblico che si trova all’origine di ognuna delle odi: “Tracciando una croce, Mosè, col bastone ver­ticale, divise il Mar Rosso per Israele che lo passò a piedi asciutti, poi lo riuní su se stesso con frastuono volgendolo contro i carri di faraone, di­segnando, orizzontalmente, l’arma invincibile…”. La lettura cristologica di Esodo 14 e 15 che troviamo in questo tropario, la ritroviamo presente in molti dei testi della festa. In un’altra delle odi il tropario riprende il testo del libro di Giona: “Nelle viscere del mostro marino, Giona sten­­den­do le palme a forma di croce, chiara­mente prefigurava la salvifica passione: perciò uscendo il terzo giorno, rappre­sentò la risurrezione ultra­mondana del Cristo Dio crocifisso nella carne che con la sua risurrezione il terzo giorno ha illuminato il mondo”. Ancora la roccia nel deserto da dove scaturisce acqua grazie all’intervento di Mosè col suo bastone, è tipo e della croce e della Chiesa stessa da dove scaturisce l’acqua ed il sangue della salvezza: “Una verga è assunta come figura del mistero perché, con la sua fioritura, essa designa il sacerdote: e per la Chiesa un tempo sterile, è fiorito ora l’albero della croce, come forza e sostegno… La dura roccia colpita dalla verga, facendo scaturire acqua, mani­fe­stava il mistero della Chiesa eletta da Dio, di cui la cro­ce è forza e sostegno. Il fianco immacolato colpito dalla lancia fece scaturire acqua e sangue, inaugurando l’alleanza e lavando i pec­cati: la croce è infatti vanto dei credenti…”.
          Il cantico del libro di Daniele viene ripreso in due dei tropari, facendone anche una lettura in chiave trinitaria: “Il folle editto di un tiranno empio sconvolse i popoli, ma non spaventò però i tre fanciulli quel fuo­co crepitante; ma in mezzo al fuoco, che strideva sotto il vento rugiadoso, essi salmeg­giavano: * O celebratissimo Dio dei padri e nostro Dio, tu sei benedetto… Benedite, fanciulli, pari in numero alla Trinità, Dio Padre Creatore, inneggiate al Verbo che è disceso, e ha mutato il fuoco in rugiada; e sovresaltate per i secoli lo Spirito santissimo…”. Per la ode nona, con i cantici della Madre di Dio e di Zaccaria, il tropario iniziale riprende il tema di Maria come nuovo paradiso da dove sgorga Cristo fonte di salvezza e di vita nuova: “Sei mistico paradiso che, senza coltivazione, o Madre di Dio, ha prodotto il Cristo, dal quale è stato piantato sulla terra l’albero vivificante della croce… Esultino tutti gli alberi del bosco, perché la loro natura è stata santificata da colui che nel principio l’ha piantata, Cristo, disteso sul legno: e per mezzo di questo, che ora viene innalzato, noi lo adoriamo e lo magnifichiamo… La morte, sopravvenuta alla nostra stirpe per il frutto dell’albero, è oggi distrutta dalla croce, perché la maledizione che nella progenitrice colpiva tutta la stirpe, è annullata grazie alla prole della pura Madre di Dio…”.
          La celebrazione dell’esaltazione della santa Croce è una celebrazione che porta la gioia a tutta la Chiesa, a tutta la creazione. Tutta una serie di titoli vengono dati alla croce stessa che mettono in risalto l’azione salvatrice di Cristo stesso per mezzo di essa: “Gioisci, croce vivificante, invitto trofeo della pietà, porta del paradiso, sostegno dei fedeli, muro fortificato della Chiesa… arma invincibile, gloria dei martiri, porto di salvezza… segno della vera gioia, decoro dei sacerdoti, arma di pace. Gioisci, croce del Signore, guida dei ciechi, medico degli infermi, risurrezione dei morti…”.


domenica 3 settembre 2017

La Natività della Madre di Dio nella tradizione bizantina.
Oggi nasce la Madre del Creatore di tutti.
La festa della natività della Madre di Dio, il giorno 8 settembre, è celebrata nei calendari liturgici delle Chiese di Oriente e di Occidente; poi parecchi dei tropari della tradizione bizantina per questa festa sono entrati poi nell’ufficiatura romana odierna. Inoltre l’inizio dell’anno liturgico bizantino il primo settembre, situa la festa della nascita di Maria come la prima delle grandi feste, allo stesso modo che il 15 agosto, la sua dormizione, diventa in qualche modo la conclusione, è l’ultima grande festa dell’anno liturgico. La celebrazione dell’8 settembre è preceduta da un giorno di pre festa il 7, e prosegue con alcuni giorni di celebrazione fino alla vigilia dell’Esaltazione della Croce il 13 settembre. I testi liturgici bizantini della festa già dal giorno vigiliare sottolineano la gioia per la nascita di colei che diventa la Madre del Verbo incarnato. I titoli che i testi danno a Maria quasi sempre vengono messi in parallelo con un titolo cristologico dato al Verbo di Dio incarnato: “Con la tua natività, o immacolata, sono sorti sul mondo i raggi spirituali della gioia universale, che a tutti preannunciano il sole della gloria, Cristo Dio… La Vergine ricettacolo di Dio, la Madre di Dio pura, il van­to dei profeti, la figlia di Davide, nasce oggi da Gioac­chi­no e da Anna la casta, e rovescia col suo parto la male­dizione di Adamo che ci colpiva… Tu sei stata Madre del Creatore di tutti”. Uno dei tropari della vigilia mette insieme dodici titoli dati a Maria che vengono presi da diversi testi veterotestamentari interpretati sempre in chiave cristologica e quindi anche mariologica: l’immagine dei monti presa dai salmi, la mensa ed il candelabro dal libro dell’Esodo, il trono da Isaia e Daniele, il roveto ardente infine ancora dal libro dell’Esodo: “Gioisci, ricapitolazione dei mortali; gioisci, tempio del Signore; gioisci, monte santo; gioisci, mensa di­vina; gioi­sci, candelabro tutto luminoso; gioisci, vanto dei veri cre­denti, o venerabile; gioisci, Maria, Ma­dre del Cristo Dio; gioi­­sci, tutta immacolata; gioisci, trono di fuoco; gioisci, dimora; gioisci, roveto in­combusto; gioisci, speranza di tutti.
Uno dei tropari del vespro, ripetuto per ben due volte, mette in evidenza il mistero, la teologia della festa odierna. Per confermare la professione di fede nella vera incarnazione del Verbo eterno di Dio, l’autore di questo tropario e di altri della stessa festa, Sergio patriarca di Costantinopoli nel VII secolo, presenta in parallelo inseparabile il cielo e la terra, la dimora di Dio e la dimora dell’uomo, la terra che diventa per l’incarnazione del Verbo di Dio nel grembo di Maria pure essa dimora del Dio vivente. Troviamo quindi il parallelo tra i due troni, i due cieli, l’altro parallelo per contrasto con l’immagine della radice sterile da cui germoglia la pianta che a sua volta genera l’autore della vita: “Oggi Dio, che riposa sui troni spirituali, si è apprestato sulla terra un trono santo; colui che ha con­so­lidati i cieli con sapienza, nel suo amore per gli uomini si è preparato un cielo vivente: perché da sterile radice ha fat­to germogliare per noi, come pianta portatrice di vita, la Madre sua. O Dio dei prodigi, speranza dei disperati, Signore, gloria a te.
       Un secondo tropario, sempre dello stesso Sergio di Costantinopoli, propone anche una lettura ecclesiologica della stessa festa. Maria è il luogo dove si congiungono ineffabilmente le due nature nel Verbo di Dio incarnato; la Chiesa diventa pure luogo della bellezza, diventa essa pure tempio e talamo della divinità: “Venite, fedeli tutti, corriamo verso la Vergine, per­ché ec­co, nasce colei che prima di essere concepita in seno è stata predestinata ad essere Madre del nostro Dio; il tesoro della verginità, la verga fiorita di Aron­ne, che spunta dalla radice di Iesse, l’annuncio dei profeti, il germoglio dei giusti Gioacchino e Anna nasce, e il mondo con lei si rin­nova. Essa è partorita, e la Chiesa si riveste del proprio de­co­ro. Il tempio santo, il ricettacolo della Divinità, lo stru­mento verginale, il talamo regale nel quale è stato portato a compimento lo straordinario mistero della ­inef­fabile unione delle nature che si congiungono in Cristo: adorando lui, celebriamo l’immacolata nascita della Vergine”.
         L’anno liturgico bizantino che si svolge tra le due grandi feste della Madre di Dio: la sua nascita e la sua dormizione. La vita stessa di Maria, che percorre il mistero di Cristo; la vita stessa della Chiesa che lo annuncia e lo celebra anche. Quello che avviene nella vita di Maria avverrà anche nella vita della Chiesa: “Oggi le porte sterili si aprono e ne esce la divina por­ta ver­ginale. Oggi la grazia comincia a dare i suoi frutti, manifestando al mondo la Madre di Dio, per la quale le cose ter­restri si uniscono a quelle celesti, a salvezza delle anime nostre… Oggi è il preludio della gioia universale. Oggi cominciano a spirare le aure che preannunciano la salvezza. La sterilità della nostra natura è finita, perché la sterile diventa madre di colei che resta vergine dopo aver partorito il Creatore, di colei dalla quale colui che è Dio per natura assume ciò che gli è estraneo, e, con la carne, per gli sviati opera la sal­vezza”.