sabato 23 aprile 2016

Ordinazione episcopale a San Paolo fuori le mura, 15 aprile 2016
Saluto finale e ringraziamento.
Cristo,j avne,sth!
Eminenze, cari fratelli nell’episcopato, padri abati, monaci, sacerdoti, diaconi, seminaristi, fratelli e sorelle. Alla fine di questa bellissima celebrazione dei Santi Misteri, in cui per l’imposizione delle mani del fratello vescovo Demetrio e degli altri arcivescovi e vescovi concelebranti, e per l’invocazione della “Grazia Divina che guarisce le nostre debolezze…”, sono stato ordinato vescovo nella successione apostolica, in questa basilica romana e toccando questo santo altare che si trova sopra il sepolcro del beato Paolo, l’apostolo delle genti, che annunciò il Cristo risorto, Vivente e Vivificante, e lo annunciò da Oriente ad Occidente, da Damasco a Gerusalemme, ad Atene e a Roma, arrivando fino all’allora lontana la nostra Tarraco. Alla fine di questa celebrazione quindi voglio ringraziare il nostro unico e vero Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, che nel suo grande amore per gli uomini ci ha salvati e continua ad amarci e salvarci.
Uno dei Padri della Chiesa a me più cari: Sant’Efrem di Nisibi in uno dei suoi inni, parlando al suo vescovo, gli dice: Nella tua persona il Maestro si fa presente: tu innalzi i suoi tratti! Vorrei che questo fosse il programma del mio servizio episcopale nell’Esarcato Apostolico per i cattolici di tradizione bizantina in Grecia: innalzare (mettere in alto, in primo piano, far presenti…) i tratti del Signore, del Maestro in me stesso, e questo per mezzo della sua Parola, dei sacramenti e della carità. Far presente alla mia Chiesa e nella mia Chiesa che è in Grecia quei tratti che sono quelli del mio Maestro, del mio Signore Cristo. Il suo Vangelo, la sua Parola di amore, di perdono, di salvezza, di vita nuova. Una Parola delle volte affilata come una spada a doppio taglio. Una Parola delle volte consolante come un padre che esce all’incontro del figlio prodigo che ritorna a casa. Una Parola che tante volte mette a nudo quello che c’è nei nostri cuori. Una Parola che non si stanca mai di perdonare fino a settanta volte sette. Una Parola che sempre è la Parola della Croce, della Croce di Cristo. Per questo, l’avete visto, ho voluto mettere il lemma dello stemma episcopale in questa Parola: “il Verbo si è fatto carne… ov Lo,goj sa,rx evge,neto”. Il Verbo, la Parola che si è incarnata. Una Parola vissuta nell’ascolto del Vangelo, nella vita di grazia attraverso i sacramenti della Chiesa, attraverso i fratelli, pure loro sacramenti del Signore incarnato e vivente. E per questo che chiedo al Signore che mi dia di essere e fare il vescovo nel confermare la fede dei fratelli. Nel condividere le gioie e le speranze degli uomini, le tristezze e le sofferenze degli uomini. Nel presiedere nella carità; un presiedere nel senso monastico: quel prodesse magis quam praeesse della RB che è di più un servizio che un onore. Nell’essere esempio di carità. Nel vivere la carità. Buon pastore e medico. Nella consapevolezza dei propri peccati che ti fa disponibile verso la misericordia. Servizio del vescovo come “liturgo”, come colui che invoca lo Spirito Santo, che fa l’epiclesi sui santi doni, sulla Chiesa. “…innalzare, dipingere, in me stesso e negli altri i tratti del Maestro”.
In questo momento, sotto lo sguardo unico del Signore nella maestà di questo bellissimo mosaico, sento la fiducia in Lui, il Signore, che guida la nostra vita, ogni giorno, ogni istante. In tutto quello a cui Lui ci chiama. Ed è in profondo atteggiamento di fede che ho accettato questo nuovo incarico, episcopale, che mi è stato affidato, in cui oggi sono stato consacrato.
Ringrazio sua Santità papa Francesco, per la sua fiducia verso la mia persona. La mia risposta è stata libera, ma fatta in spirito di ubbidienza alla volontà del Signore che si manifesta attraverso le decisioni di coloro che da Lui stesso sono stati messi a guida della Chiesa. Ringrazio sua eminenza il cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, sua eccellenza Cyril Vasil’ arcivescovo segretario e p. Lorenzo Lorusso OP, sottosegretario. Saluto gli altri ufficiali e impiegati della Congregazione
Un saluto fraterno e cordiale ai vescovi orientali e latini che avete voluto concelebrare questi Santi Misteri. Saluto le loro eminenze i cardinali Michael Harvey, arciprete di questa basilica, e Lluis Martinez Sistach, arcivescovo emerito di Barcelona che il 18 aprile di diciotto anni fa mi ordinò sacerdote a Montserrat.
Guardando la Grecia, saluto il fratello vescovo Demetrio Salachas, mio predecessore all’Esarcato Apostolico, mio ordinante e, posso dirlo, mio bastone e vincastro nei miei primi pasi nel servizio episcopale all’Esarcato. Saluto i miei fratelli vescovi delle diverse diocesi della Grecia, in modo speciale mio fratello Sebastiano Rosolatos, arcivescovo dei cattolici di Atene, e pure lui uno dei tre vescovi ordinanti. Χαιρετίζω τòν Πατέρα Άθανάσιο καì όλους όσοι ηλθαν εκπροσωπωντας την Αποστολικη Εξαρχια, απο την Ελλαδα. Σημερα, απο εδω, τη Ρωμη, η ευλογια μου και η προσευχη μου στους ιερεις της Εξαρχιας, στις μοναχες, στους ασθενεις, στους ηλικιωμενους, στους νεους, σε ολους τους πιστους: ελληνες, ουκρανους, χαλδαιους. Σε σας ολους που αναγγελλετε την πιστη σας στον Ανασταντα Χριστο μεσα στον υπεροχο καθεδρικο ναο της Αγιας Τριαδος.
Saluto il fratello vescovo Donato di Lungro, ordinante pure lui e tutti gli altri vescovi venuti da tante parti dell’Europa.
Guardando ad Occidente ringrazio i diversi vescovi latini venuti alla celebrazione. In modo speciale Jaume Pujol, arcivescovo metropolita di Tarragona e primate, amico e testimone delle mie terre native e testimonianza paolina privilegiata. Saluto mons. Joan Enric Vives, arcivescovo de la Sèu d’Urgell. Mons. Piero Marini, Francesco Brugnaro. E gli altri vescovi di tradizione latina.
Saluto e ringrazio i rappresentanti dei diversi organismi della Santa Sede e della curia romana con cui ho collaborato in questi anni romani. Mons. Guido Marini e l’ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice. L’OR col suo direttore prof. Giovanni Maria Vian, che mi ha aperto sempre le pagine del quotidiano della Santa Sede per far conoscere le ricchezze teologiche-liturgiche-spirituali dell’Oriente cristiano.
Saluto gli abati e i monaci benedettini. L’abate Primate Notker Wolf, Procuratore Apostolico del Pontificio Collegio Greco. L’abate Bruno Marin, Presidente della Congregazione di Subiaco Montecassino. Un ringraziamento speciale al p. Abate Roberto di San Paolo e alla sua comunità per la sua accoglienza veramente benedettina in questa basilica e in questa abazia. Saluto il P. Lamberto Vos priore del monastero di Chevetogne, grazie per la tua presenza in questa celebrazione, ed anche in Collegio Greco in questi anni. Saluto gli altri abati benedettini e monaci delle diverse comunità italiane e europee che avete fatto lo sforzo di affrontare un viaggio per pregare insieme questa mattina romana. Saluto il p. priore del monastero di Grottaferrata.
Salutando i confratelli benedettini il mio pensiero ed il mio cuore va a Montserrat. La presenza del P. Abate Josep M, e dei pp: Ignasi M, Ramon, Josep Enric, Jordi Agusti, Gabriel, Bernat e Anton, mi spinge a un grande grazie per la vostra paternità ed amicizia fraterna mostratemi in questi anni, ormai quaranta di vita monastica, paternità ed amicizia salde nei momenti di gioia e di sofferenza, di peccato e di grazia. Sento e vedo lo sguardo sorridente, la protezione e l’intercessione della Santissima Madre di Dio e sempre vergine Maria, la Moreneta; questo sguardo sono sicuro che continuerà a guardarmi e a proteggermi fino ad Atene. È a Montserrat, già nei primi anni, dove ho conosciuto ed amato l’Oriente cristiano, nello studio delle lingue antiche, nella lettura dei Padri. Montserrat è una delle colonne su cui ha poggiato e poggia la mia vita, per questo ho voluto dire queste parole in italiano affinché fossero da tutti capite. Anche il dono del pastorale fatto dal p. Abate Josep M., e dei confratelli ha questa simbologia
L’altra colonna della mia vita è Roma. La terza, ne sono sicuro, sarà la Grecia! E a Roma in modo speciale il PCG, dove ho abitato per ben 20 anni. Non è facile dire arrivederci al PCG. Ringrazio il Signore per questa realtà romana, tra le più antiche e venerabili dell’urbe. Ringrazio p. Giovanni. D. Natale, i seminaristi. Le suore di don Daste, mons. Michel Berger i gli impiegati della casa. Nel ricordo del servizio prestato anche dalle Piccole Operaie dei Sacri Cuori. Ricordo p. Lanne, e in modo speciale p. Olivier Raquez, da cui ho imparato quel suo “savoir faire” sano, sereno e responsabile nella conduzione della vita del Collegio. Saluto anche la comunità di Sant’Atanasio, nel ricordo di mons. Eleuterio Fortino.
Grazie al numeroso gruppo di sacerdoti orientali e latini venuti da tanti luoghi dell’Europa: Grecia, Lungro, Piana degli Albanesi, Ungheria, Ucraina, Romania, Terra Santa ed il Prossimo Oriente, Bulgaria, Spagna, Serbia. Un grande grazie!
Saluto i Rettori dei Collegi Orientali e latini di Roma, con i numerosi loro studenti.
Ringrazio i rappresentanti delle università pontificie romane con cui ho collaborato -e mi auguro di poter continuare a collaborare in qualche modo: Sant’Anselmo, ateneo e collegio benedettino, prima residenza romana, dove poi ho iniziato la mia vita come professore. La Pontificia Università della Santa Croce ed il Pontificio Istituto Orientale. Ringrazio i tantissimi professori e studenti oggi qui presenti in questa celebrazione.
Saludo al excelentisimo sr. Eduardo Gutierrez Saenz de Buruaga, embajador de España ante la Santa Sede. Gracias por el interés con el que siempre ha seguido la vida del PCG. Un saluto anche agli altri ambasciatori -della Bulgaria e dell’Ordine di Malta presso la Santa Sede- e gli altri membri del corpo diplomatico che siete presenti in questa celebrazione.
Una salutaciò especial per al molt horonable Sr. Oriol Junqueras, vicepresident del Govern i conseller d’Economia i Hisenda de la Generalitat de Catalunya, amb la delegaciò que l’acompanya.
Gracias a los sacerdotes y amigos venidos desde diversas partes de la peninsula: Madrid, Salamanca, Zamora, Andalucia.

Grazie agli amici romani e non, che in questi anni mi avete fatto il grande dono dell’amicizia e dell’accoglienza fraterna nella vostra casa.

Un gràcies molt gran a la meva família i a tots els amics vinguts del Vendrell i de diversos llocs de Catalunya: diversos preveres de les diòcesis catalanes. En aquest moment molt important en la meva vida, la vostra presència “en ple” a Roma és per a mi un gran motiu de joia i d’acciò de gràcies. I veient-vos a vosaltres, veig tots aquells que també hi sòn presents des del cel, la mirada, la rialla dels quals la podem palpar entre nosaltres.



venerdì 1 aprile 2016

Gli Enkomia del mattutino del Sabato Santo. Dalla croce alla risurrezione.
Non ti attardare, o vita, tra i morti
Una delle ufficiature più popolari ed allo stesso tempo più belle e profonde della Settimana Santa nella tradizione bizantina è il mattutino del Sabato Santo. In modo speciale ci soffermiamo nel canto degli Enkomia. Si tratta di un testo formato da 176 strofe divise in tre stanze o gruppi; composto tra il XII e il XIV sec., non se ne conosce l'autore, benché i temi di fondo risalgono ai testi pasquali di San Gregorio di Nazianzo e di Romano il Melode. Il canto degli Enkomia viene fatto di fronte al tafos, che rappresenta la tomba di Cristo, dov’è posto l'Epitafios, che è il velo ricamato in cui viene raffigurato il corpo di Gesù nella tomba. Il poema sgrana lentamente dando voce a diversi personaggi, tutti i misteri che sono avvenuti, specialmente la sepoltura di Gesù, la sua discesa nell'Ade fino alla sua risurrezione. Ci troviamo in un costante via va di dolcezza e di amarezza, di lacrime e di attesa gioiosa della risurrezione. Questa tomba diventa il centro dell'universo: “Tutte le generazioni, o Cristo mio, offrono un canto alla tua sepoltura”; tomba di Cristo che è il centro della vita e della preghiera della Chiesa, che porta dalla terra al cielo, dalla morte alla vita.
         Diverse delle strofe del testo mettono in contrasto la figura di Cristo morto come fonte di vita, il parallelo morte-vita: “O Cristo, tu che sei la vita sei stato deposto in una tomba: le schiere angeliche piene di stupore davano gloria alla tua condiscendenza… O vita, come muori? come dimori in una tomba, mentre distruggi il regno della morte e risusciti dall’ade i defunti? O Vita, quale prodigio, tu sei nella morte! E come la morte è distrutta dalla morte? E come da un morto scaturisce la vita?”. Troviamo sottolineato il dolore, lo sgomento, la meraviglia dei diversi personaggi di fronte alla morte di Cristo; comunque man mano la morte diventa più comprensibile, sempre alla luce della risurrezione: “Su di te, o Gesù, la pura tua Madre effondeva gemiti e lacrime, ed esclamava: Come potrò seppellirti, o Figlio? Risorgi, o datore di vita! dice tra le lacrime la Madre che ti ha partorito. Affrettati a risorgere, o Verbo, e dissipa la tristezza di colei che puramente ti ha partorito”.
         Altre strofe mettono in rilievo come il Verbo di Dio Creatore è allo stesso tempo il Verbo di Dio incarnato ed oggi rinchiuso in una tomba: “Tu che hai fissato le misure della terra, o Gesù, Re dell’universo, abiti oggi in una piccola tomba, per far risorgere i morti dai sepolcri. Anche la moltitudine delle schiere intelligibili accorre con Giuseppe e Nicodemo, per rinchiudere in un piccolo sepolcro te, che nulla può contenere. Tu che nel principio, col solo tuo cenno hai fissato l’orbita terrestre, come uomo mortale scendi sotto terra esanime: fremi, o cielo, a questa vista!”. Sono delle strofe che mettono in risalto il tema della vera incarnazione del Verbo di Dio: “È stato innalzato sulla croce colui che ha sospeso la terra sulle acque, ed ora, esanime, è sepolto sotto la terra, che non lo può sostenere e terribilmente si scuote”. Uno degli argomenti centrali del Sabato Santo è la discesa di Cristo nell’ade per riprendersi Adamo ed Eva e riportargli nel paradiso. “Sulla terra sei disceso per salvare Adamo, e non avendolo trovato sulla terra, o Sovrano, sino all’ade sei disceso per cercarlo. Come morto, nella tomba, come Dio, col Padre, e nell’ade come Sovrano del creato… Adamo ebbe paura di Dio che camminava nel paradiso, ma gioisce ora per la sua venuta nell’ade…”. Il Signore cerca Adamo come lo cercò nel paradiso dopo il peccato.
         Diverse delle strofe del poema riprendono quindi il tema di Cristo come nuovo Adamo: “Apparso nella carne come nuovo Adamo, o Salvatore, con la tua morte riporti alla vita Adamo, un tempo per invidia messo a morte. Tu che un tempo, prendendo una costola da Adamo, ne plasmasti Eva, sei stato trafitto al fianco e ne hai fatto sgorgare torrenti di purificazione”. Negli Enkomia inoltre è ben presente a figura di Maria, la Madre di Dio; le strofe in cui essa interviene ce la presentano con delle immagini molto forti in cui si intreccia il dolore della madre di fronte al Figlio morto e la speranza mescolata anche alla fretta per la sua risurrezione: “Su di te, o Gesù, la pura effondeva gemiti e lacrime di madre, ed esclamava: Come potrò seppellirti, o Figlio? Ahimè, luce del mondo, ahimè, mia luce, Gesù mio amatissimo! gridava la Vergine con gemito penoso. O Dio e Verbo, o gioia mia! Come sopporterò la tua sepoltura di tre giorni? Sono straziate le mie viscere materne! Quando ti vedrò, o Salvatore, luce intemporale, gioia e diletto del mio cuore? esclamava la Vergine gemendo. Piangeva amaramente la tua Madre immacolata, o Verbo, vedendo nella tomba te, eterno Dio ineffabile. Vedendo la tua morte, o Cristo mio, la tua purissima Madre gridava a te amaramente: Non ti attardare, o vita, tra i morti! O mia dolce primavera, dolcissimo Figlio mio, dove è tramontata la tua bellezza? Per liberare Adamo ed Eva io soffro tutto questo: non piangere, Madre...”.
         Oltre alla Madre di Dio, attorno alla tomba vivificante di Cristo ci sono Giuseppe di Arimatea, Nicodemo e le donne mirofore che diventano tipo della Chiesa che offre al corpo di Cristo gli unguenti, gli aromi, le cure e l’amore verso Colui che si è incarnato, è morto ed è risorto il terzo giorno: “Venite, cantiamo al Cristo morto un sacro compianto, come un tempo le miròfore, per udire con loro il saluto: Gioite’! Sei tu, o Verbo, il vero unguento profumato che mai vien meno, perciò le miròfore ti portavano unguenti: a te, il vivente, come a un morto. Con aromi, o Cristo, Nicodemo e il nobile Giuseppe, compongono in modo nuovo la tua salma, esclamando: Trema, o terra tutta! Cosparsero di unguenti profumati il sepolcro, le miròfore, giungendo al mattino al far del giorno.. Aromi e unguenti offrono le discepole al sepolcro. E subito odono, in cambio dei loro doni, il saluto: Gioite!”.

Gli Enkomia del Sabato Santo diventano una vera e propria catechesi sulla fede cristiana: la creazione, il peccato, la vera incarnazione del Verbo di Dio, la sua passione, morte e risurrezione, la maternità divina di Maria. È Maria che parla, che piange e si rallegra; è la Chiesa stessa che ha le doglie del dolore e la gioia della risurrezione; siamo ognuno di noi coinvolti, concelebranti, come soltanto la liturgia sa e deve farlo nella celebrazione della nostra fede.


L’inizio della Settimana Santa nella tradizione bizantina
Vedendoti sull’asinello, ti contempliamo sui cherubini.
La tradizione bizantina inizia le celebrazioni della Settimana Santa con l’ingresso di Cristo a Gerusalemme la domenica delle Palme, celebrazione preceduta dalla settimana di Lazzaro che ha contemplato la malattia, e la morte dell’amico di Cristo fino alla sua risurrezione il sabato. I testi liturgici della domenica delle palme intrecciano in un modo insistente e pedagogicamente ripetitivo il tema della vittoria di Cristo sulla morte di Lazzaro e il suo ingresso trionfale a Gerusalemme per vivere lì, nella sua città, la propria passione, morte e risurrezione: “Prefigurando per noi la tua augusta risurrezione, col tuo comando hai risuscitato un morto, il tuo amico Lazzaro ormai senza respiro, traendolo dal sepolcro già maleodorante, dopo quattro giorni, o buono…”. Diversi dei tropari del giorno riprenderanno, applicandola a Cristo, la profezia di Zaccaria 9,9: “Su dunque, anche noi oggi, tutto il nuovo Israele, la Chiesa delle genti, esclamiamo col profeta Zaccaria: Gioisci grandemente, figlia di Sion, dà l’annuncio, figlia di Gerusalemme: ecco, il tuo Re viene a te, mite e per salvare, montato su un puledro d’asina…”. In molti dei testi liturgici della festa troviamo delle figure che sottolineano la confessione di fede cristologica nella vera incarnazione del Verbo di Do, servendosi di immagini presentate per via di contrasto: “Colui che ha per trono i cieli e per sgabello la terra, il Verbo di Dio Padre, il Figlio a lui coeterno, viene oggi a Betania modestamente seduto su un puledro…”. Diverse volte nei tropari il puledro diventa il trono ed il cocchio su cui siede il Signore dei cieli umilmente entrando a Gerusalemme: “Tu che cavalchi i cherubini, e sei celebrato dai serafini, sei montato su un asinello alla maniera di Davide, o buono: i bambini ti celebravano come conviene a Dio… Vedendoti su un asinello, ti contemplavano come assiso sui cherubini”. Uno dei tropari del mattutino, oltre al parallelo tra il trono celeste nella gloria e quello terrestre sull’asinello, parallelo che si allarga ancora agli angeli e ai fanciulli, introduce già il tema centrale della Pasqua ormai vicina, cioè la redenzione di Adamo e il suo rientro in paradiso: “In cielo assiso in trono, in terra sull’asinello, o Cristo Dio, tu hai accolto la lode degli angeli e lacclamazione dei fanciulli che a te gridavano: Benedetto sei tu che vieni a richiamare Adamo dallesilio.
L’ingresso di Cristo a Gerusalemme è quindi in vista alla salvezza, alla redenzione di Adamo, e alcuni dei tropari mettono in relazione il tema dei due Adamo, l’uomo creato ed il Cristo creatore: “Con rami di palme spirituali, con l’anima purificata, come i fanciulli esaltiamo con fede Cristo, acclamando a gran voce il Sovrano: Benedetto tu, che sei venuto nel mondo per salvare Adamo dalla maledizione antica, divenendo il nuovo Adamo spirituale, o amico degli uomini, secondo il tuo beneplacito. O Verbo che tutto disponi per il bene, gloria a te”. L’albero della croce diventa il nuovo albero dove Adamo è rialzato dalla sua caduta attraverso la passione del nuovo Adamo. Un lungo tropario del mattutino di questa domenica riassume tutti gli aspetti che verranno celebrati lungo la Settimana Santa: l’incontro col Cristo, Verbo di Dio incarnato che cammina ed entra a Gerusalemme; l’unione sponsale tra Cristo e la Chiesa, unione che avviene nella croce del Signore: “Uscite genti, uscite, popoli, contemplate oggi il Re dei cieli che si avvicina a Gerusalemme su un povero asinello come su trono eccelso. Generazione adultera e incredula, vieni e contempla colui che vide Isaia, venuto per noi nella carne. Vedi come egli sposa la nuova Sion quale sposa casta… Come a nozze senza macchia né corruzione, accorrono acclamanti i fanciulli senza macchia e ignari del male: con loro anche noi acclamiamo…”. Da questo tropario e da altri della festa, vediamo come la tradizione bizantina legge sempre in chiave cristologica e cristiana le profezie dell’Antico Testamento ed i testi salmici: “Cristo, il nostro Dio che viene manifestamente, verrà e non tarderà, verrà dal boscoso monte adombrato, dalla Vergine che lo partorisce ignara duomo: cosí diceva un tempo il profetaI monti e tutti i colli facciano erompere la loro gioia grande per la misericordiaVerrà rivestito di potenza il re dei secoli, il Signore…”.
Infine in un altro dei tropari troviamo il parallelo tra i bimbi di Betlemme fatti sgozzare da Erode ed i bimbi di Gerusalemme acclamanti e salvati dal Cristo crocefisso. E nello stesso tropario troviamo accostati il paradiso chiuso con la spada che ne vieta l’ingresso, ed il costato di Cristo aperto dalla lancia diventato porta di accesso al paradiso per Adamo e per tutta l’umanità: “Poiché hai legato l’ade, o immortale, ucciso la morte e risuscitato il mondo, con palme ti esaltavano i bambini, o Cristo, come vincitore, a te gridando oggi: Osanna al Figlio di Davide! I bimbi - essi dicono - non saranno piú sgozzati per il bimbo di Maria, perché per tutti, bimbi e vecchi, tu solo sarai crocifisso. La spada non si volgerà piú contro di noi, perché il tuo fianco sarà trafitto dalla lancia. Perciò diciamo esultanti: Benedetto sei tu che vieni per richiamare Adamo dall’esilio”.
         La liturgia bizantina nella domenica delle palme ci consegna i rami con cui acclamiamo il Cristo vincitore, rami che per tutti noi sono tipo ed immagine della croce che ci salva: Oggi la grazia dello Spirito santo ci ha riuniti, e portando tutti la tua croce, diciamo: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, osanna nel piú alto dei cieli.