Gli Enkomia del
mattutino del Sabato Santo. Dalla croce alla risurrezione.
Non ti attardare, o
vita, tra i morti
Una delle
ufficiature più popolari ed allo stesso tempo più belle e profonde della
Settimana Santa nella tradizione bizantina è il mattutino del Sabato Santo. In
modo speciale ci soffermiamo nel canto degli Enkomia. Si tratta di un
testo formato da 176 strofe divise in tre stanze o gruppi; composto tra il XII
e il XIV sec., non se ne conosce l'autore, benché i temi di fondo risalgono ai
testi pasquali di San Gregorio di Nazianzo e di Romano il Melode. Il canto
degli Enkomia viene fatto di fronte al tafos, che rappresenta la
tomba di Cristo, dov’è posto l'Epitafios, che è il velo ricamato in cui
viene raffigurato il corpo di Gesù nella tomba. Il poema sgrana lentamente
dando voce a diversi personaggi, tutti i misteri che sono avvenuti, specialmente
la sepoltura di Gesù, la sua discesa nell'Ade fino alla sua risurrezione. Ci
troviamo in un costante via va di dolcezza e di amarezza, di lacrime e di
attesa gioiosa della risurrezione. Questa tomba diventa il centro
dell'universo: “Tutte le generazioni, o Cristo mio, offrono un canto alla tua
sepoltura”; tomba di Cristo che è il centro della vita e della preghiera della
Chiesa, che porta dalla terra al cielo, dalla morte alla vita.
Diverse delle strofe del testo mettono
in contrasto la figura di Cristo morto come fonte di vita, il parallelo
morte-vita: “O Cristo, tu che sei la vita sei stato deposto in una tomba: le
schiere angeliche piene di stupore davano gloria alla tua condiscendenza… O
vita, come muori? come dimori in una tomba, mentre distruggi il regno della
morte e risusciti dall’ade i defunti? O Vita, quale prodigio, tu sei nella
morte! E come la morte è distrutta dalla morte? E come da un morto scaturisce
la vita?”. Troviamo sottolineato il dolore, lo sgomento, la meraviglia dei
diversi personaggi di fronte alla morte di Cristo; comunque man mano la morte
diventa più comprensibile, sempre alla luce della risurrezione: “Su di te, o Gesù,
la pura tua Madre effondeva gemiti e lacrime, ed esclamava: Come potrò
seppellirti, o Figlio? Risorgi, o datore di vita! dice tra le lacrime la Madre
che ti ha partorito. Affrettati a risorgere, o Verbo, e dissipa la tristezza di
colei che puramente ti ha partorito”.
Altre strofe mettono in rilievo come il
Verbo di Dio Creatore è allo stesso tempo il Verbo di Dio incarnato ed oggi
rinchiuso in una tomba: “Tu che hai fissato le misure
della terra, o Gesù, Re dell’universo, abiti oggi in una piccola tomba, per far
risorgere i morti dai sepolcri. Anche la moltitudine delle schiere
intelligibili accorre con Giuseppe e Nicodemo, per rinchiudere in un piccolo
sepolcro te, che nulla può contenere. Tu che nel principio, col solo tuo cenno
hai fissato l’orbita terrestre, come uomo mortale scendi sotto terra esanime:
fremi, o cielo, a questa vista!”. Sono delle strofe che mettono in risalto il
tema della vera incarnazione del Verbo di Dio: “È stato innalzato sulla croce
colui che ha sospeso la terra sulle acque, ed ora, esanime, è sepolto sotto la
terra, che non lo può sostenere e terribilmente si scuote”. Uno degli argomenti
centrali del Sabato Santo è la discesa di Cristo nell’ade per riprendersi Adamo
ed Eva e riportargli nel paradiso. “Sulla terra sei disceso per salvare Adamo,
e non avendolo trovato sulla terra, o Sovrano, sino all’ade sei disceso per
cercarlo. Come morto, nella tomba, come Dio, col Padre, e nell’ade come Sovrano
del creato… Adamo ebbe paura di Dio che camminava nel paradiso, ma gioisce ora
per la sua venuta nell’ade…”. Il Signore cerca Adamo come lo cercò nel paradiso
dopo il peccato.
Diverse delle strofe del poema
riprendono quindi il tema di Cristo come nuovo Adamo: “Apparso nella carne come
nuovo Adamo, o Salvatore, con la tua morte riporti alla vita Adamo, un tempo
per invidia messo a morte. Tu che un tempo, prendendo una costola da Adamo, ne plasmasti
Eva, sei stato trafitto al fianco e ne hai fatto sgorgare torrenti di
purificazione”. Negli Enkomia inoltre è ben presente a figura di Maria,
la Madre di Dio; le strofe in cui essa interviene ce la presentano con delle
immagini molto forti in cui si intreccia il dolore della madre di fronte al
Figlio morto e la speranza mescolata anche alla fretta per la sua risurrezione:
“Su di
te, o Gesù, la pura effondeva gemiti e lacrime di madre, ed esclamava: Come
potrò seppellirti, o Figlio? Ahimè, luce del mondo, ahimè, mia luce, Gesù mio
amatissimo! gridava la Vergine con gemito penoso. O Dio e Verbo, o gioia mia!
Come sopporterò la tua sepoltura di tre giorni? Sono straziate le mie viscere
materne! Quando ti
vedrò, o Salvatore, luce intemporale, gioia e diletto del mio cuore? esclamava
la Vergine gemendo. Piangeva amaramente la tua Madre immacolata, o Verbo, vedendo nella tomba
te, eterno Dio ineffabile. Vedendo la tua morte, o Cristo mio, la tua purissima
Madre gridava a te amaramente: Non ti attardare, o vita, tra i morti! O mia
dolce primavera, dolcissimo Figlio mio, dove è tramontata la tua bellezza? Per
liberare Adamo ed Eva io soffro tutto questo: non piangere, Madre...”.
Oltre alla Madre di Dio, attorno alla
tomba vivificante di Cristo ci sono Giuseppe di Arimatea, Nicodemo e le donne
mirofore che diventano tipo della Chiesa che offre al corpo di Cristo gli
unguenti, gli aromi, le cure e l’amore verso Colui che si è incarnato, è morto
ed è risorto il terzo giorno: “Venite, cantiamo al Cristo morto un sacro
compianto, come un tempo le miròfore, per udire con loro il saluto: Gioite’! Sei
tu, o Verbo, il vero unguento profumato che mai vien meno, perciò le miròfore
ti portavano unguenti: a te, il vivente, come a un morto. Con aromi, o Cristo,
Nicodemo e il nobile Giuseppe, compongono in modo nuovo la tua salma,
esclamando: Trema, o terra tutta! Cosparsero di unguenti profumati il sepolcro,
le miròfore, giungendo al mattino al far del giorno.. Aromi e unguenti offrono
le discepole al sepolcro. E subito odono, in cambio dei loro doni, il saluto: Gioite!”.
Gli Enkomia
del Sabato Santo diventano una vera e propria catechesi sulla fede
cristiana: la creazione, il peccato, la vera incarnazione del Verbo di Dio, la
sua passione, morte e risurrezione, la maternità divina di Maria. È Maria che
parla, che piange e si rallegra; è la Chiesa stessa che ha le doglie del dolore
e la gioia della risurrezione; siamo ognuno di noi coinvolti, concelebranti,
come soltanto la liturgia sa e deve farlo nella celebrazione della nostra fede.
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