giovedì 11 agosto 2016

La Dormizione della Madre di Dio
Salvati dalla sua vigile intercessione.
         La festa della dormizione della Madre di Dio è l’ultima delle grandi feste nel calendario delle Chiese di tradizione bizantina. Il ciclo liturgico annuale ha la prima grande festa il giorno 8 settembre con la celebrazione della nascita della Madre di Dio, e si conclude con la sua dormizione, il suo transito glorioso in cielo accolta tra le braccia di suo Figlio. I testi della liturgia di questa festa abbondano nell’esegesi di carattere cristologico ed ecclesiologico di molti passi dell’Antico Testamento, proponendo soprattutto delle immagini bibliche applicate a Maria e al suo ruolo nel mistero dell’incarnazione del Figlio e Verbo di Dio. Una delle immagini che più è presente nella liturgia odierna è quella dell’arca: “arca tutta d’oro… nuova arca dell’alleanza che è portata nel santuario…”, presa da Es 25,10. Come l’arca dell’alleanza è portata nel tempio, anche Maria vi è paragonata nel suo transito, nel suo ingresso nella gloria di Dio. Il titolo di arca applicato a Maria lo troviamo anche in un’altra delle grandi feste dell’anno liturgico, quella del 21 novembre, cioè il suo ingresso nel tempio. Maria, portata al tempio da fanciulla, ed entrando ora nella gloria del cielo, è presentata come la nuova arca dell’alleanza che porta nel suo grembo il Verbo di Dio incarnato. In alcuni dei testi liturgici troviamo delle immagini che mettono in risalto il rapporto tra il cielo e la terra, tra la divinità e l’umanità nel mistero celebrato in questo giorno: “O straordinario prodigio! La fonte della vita è deposta in un sepolcro, e la tomba diviene scala per il cielo. Rallegrati, Getsemani, santo sacrario della Madre di Dio”. Ritroviamo queste immagini quasi opposte tra la fonte di vita e la sepoltura, tra la tomba sulla terra e la scala che sale nei cieli, anche nei testi del Sabato Santo quando si canta la morte e sepoltura di Cristo.
         La liturgia della festa odierna è anche una confessione di fede nella vera incarnazione del Verbo di Dio e nella sua doppia consustanzialità come vero Dio e vero uomo: mentre l’ascensione di Cristo ne sottolinea la sua natura divina, la dormizione e l’assunzione in cielo di sua Madre ne sottolinea la vera natura umana: “Era conveniente che i testimoni oculari e ministri del Verbo vedessero anche la dormizione della Madre sua secondo la carne, l’ultimo dei misteri che la riguarda, perché non risultassero spettatori solo dell’ascensione del Salvatore dalla terra, ma anche testimoni del transito di colei che lo aveva generato”. I testi sottolineano il rapporto di maternità di Maria verso suo Figlio, ma anche il rapporto sponsale: “La sposa tutta immacolata e Madre del beneplacito del Padre, colei che da Dio è stata prescelta come luogo della sua unione senza confusione, consegna oggi l’anima immacolata a Dio Creatore”.
         L’esegesi cristologica e mariologica specialmente dei salmi è molto presente nei testi liturgici della festa. Diversi dei tropari riprendono il versetto 6 del salmo 30: “Nelle tue mani affido il mio spirito… Signore, Dio fedele”, applicato al transito di Maria in cielo, ed anche evidenziato nell’icona della festa dall’immagine dell’anima di Maria accolta tra le braccia del Figlio: “Colei che su tutti regna, consegna la sua anima nelle mani del Figlio… Deposta la tua anima tra le mani di coli che, tuo Creatore e Dio, da te per noi si è incarnato…, nelle mani di colui che da lei, senza seme, si è incarnato”. La liturgia, adoperando questo versetto salmico, sottolinea due immagini che ritroviamo in molti dei tropari: Maria nelle mani del Figlio e nelle mani del Creatore. Oltre al salmo 30, altri salmi vengono applicati allegoricamente al mistero che oggi si celebra. I salmi 23,7; 44, 15, e specialmente il salmo 131 in diversi dei suoi versetti, particolarmente nel versetto 8: “Sorgi, Signore, verso il tuo riposo, tu e l’arca della tua santità”. Uno dei tropari del vespro mette in parallelo in modo contrastante Maria che ha partorito il Verbo incarnato, ed il cielo che apre il suo grembo per accoglierla, quasi per “partorirla” alla vita nuova: “Vieni, assemblea degli amici della festa, venite e formiamo un coro… nel giorno in cui l’arca di Dio giunge al luogo del suo riposo. Oggi infatti il cielo apre il suo grembo per ricevere colei che ha partorito colui che l’universo non può contenere; e la terra, consegnando la fonte della vita, si abbiglia di benedizione e decoro. Gli angeli fanno coro insieme agli apostoli, fissando pieni di timore colei che ha partorito l’autore della nostra vita mentre passa da vita a vita”. Il doppio coro, degli angeli in cielo e degli apostoli in terra diventa anch’esso un’icona della confessione della fede della Chiesa nel Verbo di Dio incarnato come vero Dio e vero uomo. Altri testi ancora riprendono questo paragone tra il grembo di Maria che accoglie nell’incarnazione il Verbo di Dio, ed il cielo che la accoglie gloriosa in questo giorno: “Tomba e morte non hanno trattenuto la Madre di Dio, sempre desta con la sua intercessione e immutabile speranza con la sua protezione: quale Madre della vita, alla vita l’ha trasferita colui che nel suo grembo semprevergine aveva preso dimora. Colui che, incarnandosi, o Madre-di-Dio, ha straordinariamente abitato nel tuo grembo immacolato, lui accogliendo il tuo sacratissimo spirito, in sé stesso gli dona riposo… Oggi la Madre di Dio ha reso paradiso la tomba che ha abitata”. Il grembo e le braccia di Maria accolgono l’incarnazione del Figlio di Dio, il cielo e le braccia del Figlio diventano trono per la Madre di Dio.
         Molti dei tropari cantano infine Maria come interceditrice. In uno dei testi troviamo un’immagine molto bella dell’intercessione, della preghiera vegliante di Maria per la Chiesa: “Per la dormizione dell’unica Madre di Dio esulti il cuore di tutti i fedeli, salvati dalla sua vigile (insonne) intercessione”. Maria è colei che, come i monaci nella Chiesa, veglia incessantemente nella preghiera. In molti altri tropari della festa ritroviamo questa insistenza nella preghiera di intercessione di Maria presso il Figlio: “Non dimenticarti, Sovrana, di quanti festeggiano con fede la tua santissima dormizione… Colei che senza sosta intercede perché a tutta la terra siano donate la pace e la grande misericordia…”.



venerdì 5 agosto 2016

La festa della Trasfigurazione del Signore
Oggi la divinità risplende sul Tabor in povera carne.
         La festa della Trasfigurazione del Signore nella tradizione bizantina è una delle grandi feste del calendario liturgico. I testi eucologici si snodano in un continuo parallelo tra le teofanie veterotestamentarie e la trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor da una parte, e l’apparizione gloriosa di Mosè ed Elia e la presenza meravigliata ed atterrita degli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Questa doppia presenza, cioè della divino umanità di Cristo nella sua Trasfigurazione, viene messa in luce in modo speciale nel canone del mattutino della festa, un testo attribuito a san Giovanni Damasceno (+749). Prendendo spunto dei cantici veterotestamentari che si trovano alla base di tutto il canone dell’ufficiatura bizantina, l’innografo mette in luce in primo luogo come la Trasfigurazione di Cristo viene prefigurata nelle teofanie veterotestamentarie: “Mosè, sul mare, vedendo un tempo profeticamente nella nube e nella colonna di fuoco la gloria del Signore, esclamava: Cantiamo al nostro Redentore e Dio. Protetto dal corpo deificato come un tempo dalla roccia, il veggente Mosè, contemplando l’invisibile, esclamava: Cantiamo al nostro Redentore e Dio. Sia sul monte della legge che sul Tabor ti sei mostrato a Mosè: ma un tempo, nella caligine, ora invece, nella luce inaccessibile della divinità”. L’esperienza di Mosè sul Sinai viene messa in parallelo a quella che lui vive di nuovo sul Tabor. Lungo tutto il poema del Damasceno, la Trasfigurazione è presentata anche come una manifestazione della vera incarnazione, e della realtà delle due nature, divina ed umana, nel Verbo di Dio incarnato: “La gloria che un tempo adombrava la tenda e parlava con Mosè tuo servo, era figura della tua trasfigurazione che ineffabilmente ha brillato sul Tabor, o Sovrano. Con te sono saliti sul monte Tabor, o eccelso Verbo Unigenito, i sommi tra gli apostoli, e ti hanno assistito Mosè ed Elia, in qualità di servi di Dio, o solo amico degli uomini. Tu che sei il Dio Verbo, sei divenuto pienamente uomo, congiungendo nella tua persona l’umanità alla pienezza della divinità: tale ipòstasi nelle sue due nature videro Mosè ed Elia sul monte Tabor.
         L’apparizione di Mosè ed Elia nella scena della Trasfigurazione accanto alla presenza di Pietro, Giacomo e Giovanni, diventa nel poema di Giovanni Damasceno quasi un’occasione per sottolineare, per confessare la doppia natura di Cristo umana e divina, e la nascita, la fondazione della Chiesa stessa: “Signore, creatore della volta celeste che ci ricopre, e fondatore della Chiesa, rafforzami nel tuo amore, o vertice di ogni desiderio, sostegno dei fedeli, solo amico degli uomini”. In diversi dei testi di Giovanni Damasceno si paragona l’opera creatrice di Dio all’inizio del mondo, con l’opera della ricreazione dell’uomo attraverso la vita della Chiesa. La Trasfigurazione stessa è vista quasi come una nuova creazione che ridarà all’uomo la primitiva bellezza in cui era stato creato: “Tu, o Cr isto, che con mani invisibili avevi plasmato l’uomo a tua immagine, hai mostrato quale fosse la tua bellezza archetipa nella creatura: e non come in un’immagine l’hai mostrata, ma come sei tu per essenza, Dio e uomo. Tu che ti eri unito senza confusione alla natura umana, sul monte Tabor ci hai mostrato il carbone ardente della divinità che brucia i peccati e illumina le anime: con ciò hai rapito in estasi Mosè, Elia e i primi tra i discepoli”. Notiamo come il Cristo trasfigurato viene paragonato in questo tropario alla brace ardente, immagine presa da Isaia 6, e che le tradizioni liturgiche orientali applicano al Corpo di Cristo nella celebrazione dei Santi Misteri.
Inoltre, sempre nei testi della festa, vediamo Cristo che nella sua Trasfigurazione manifesta la sua divinità attraverso la sua carne gloriosa: “Dalla tua carne partivano i dardi radiosi della divinità: per questo i prescelti tra i profeti e gli apostoli cantando acclamavano: Gloria, Signore, alla tua potenza. Tu che hai conservato indenne il roveto tra le fiamme, hai mostrato a Mosè la tua carne sfolgorante di divinità, o Sovrano, ed egli canta: Gloria alla tua potenza, Signore. Si eclissò il sole sensibile di fronte ai raggi della divinità, quando, sul monte Tabor, ti vide trasfigurato, o mio Gesù… Fuoco immateriale che non consuma la materia del corpo, tale ti sei mostrato a Mosè, agli apostoli e ad Elia, o Sovrano: uno, da due e in due perfette nature”.
         La Trasfigurazione di Cristo, il suo manifestare la divinità attraverso la carne assunta da noi, prepara i discepoli all’altra grande teofania sul Calvario; una delle strofe accosta i due momenti di manifestazione nella luce l’una e nella tenebra l’altra, del Verbo di Dio incarnato: “Ti sei trasfigurato sul monte, e i tuoi discepoli, per quanto ne erano capaci, hanno contemplato la tua gloria, o Cristo Dio: affinché, vedendoti crocifisso, comprendessero che la tua passione era volontaria, e annunciassero al mondo che tu sei veramente irradiazione del Padre. L’ode settima del canone del Damasceno diventa una vera e propria confessione di fede: il Figlio che è coeterno al Padre, la sua concezione verginale nel seno di Maria, la sua vera incarnazione: “Si è mostrato ora agli apostoli ciò che non è dato contemplare: la divinità che risplende in povera carne sul Tabor di fronte a loro… Fremettero di timore, sbigottiti per lo splendore del regno divino, gli apostoli sul Tabor, e ti acclamavano… Ora si è udito ciò che non è dato udire: il Figlio senza padre della Vergine, riceve gloriosa testimonianza dalla voce paterna, quale Dio e uomo egli stesso nei secoli. Non sei divenuto per adozione Figlio dell’Altissimo, essendone già per essenza il Figlio diletto, venuto senza mutamento tra noi…”. L’ultimo dei tropari del poema quindi è una confessione di fede trinitaria: “O Verbo, luce immutabile della luce del Padre ingenito, nella tua luce che oggi appare sul Tabor, noi vediamo come luce il Padre, e come luce lo Spirito, luce che illumina tutto il creato”. Nella trasfigurazione gloriosa di Cristo sul monte Tabor, lo spazio si riempie della sua presenza, ed il cuore sente il soffio dello Spirito.

+P. Manuel Nin

Esarca Apostolico.