venerdì 10 settembre 2021


 

La festa dell'Esaltazione della santa Croce nella tradizione Siro Occidentale.

Oggi la santa Chiesa si riveste dalla Croce di Cristo

         La tradizione liturgica siro occidentale celebra, con tutte le altre tradizioni liturgiche di Oriente e di Occidente, il giorno 14 settembre la festa dell'Esaltazione della santa Croce. La festa porta nei libri liturgici siriaci il titolo: “Esaltazione della Croce", ed ha un’origine gerosolimitana collegata alla dedicazione della basilica della Risurrezione edificata sulla tomba del Signore nel 335, ed anche con la celebrazione del ritrovamento della reliquia della Croce da parte dell'imperatrice Elena. I testi dell'ufficiatura sottolineano chiaramente in primo luogo il tema della croce come arma di vittoria per i cristiani: "Segnato il nostro volto con l'immagine preziosa della croce, tu ci fai la grazia, o Dio, di essere preservati dal nemico e di vincere le sue suggestioni… La croce santa sia per noi un'arma invincibile contro il nemico". La festa dell'esaltazione della croce coinvolge nella lode al Signore tutta la creazione che la inneggia come luogo dove avviene la salvezza, e con delle espressioni cristologiche proprie della tradizione siriaca: "Celebrando l'esaltazione della croce cosparsa con le gocce del sangue vivificante del Verbo di Dio incarnato, gli eserciti del cielo intonano la lode ed esultano per la salvezza del genere umano. Venite popoli, adorate la croce di salvezza, per cui il mondo ha ottenuto la nuova vita".

         Nell'ufficiatura del vespro, la liturgia siro occidentale collega in primo luogo l'esaltazione della croce con gli imperatori Costantino ed Elena, ma soprattutto con la vita della Chiesa stessa che la regge come vanto e sostegno: "Oggi la croce è apparsa a Costantino ed Elena come segno di vittoria… Oggi gli apostoli si rallegrano e con Paolo cantano: «il nostro vanto è la croce di nostro Signore Gesù Cristo». Oggi i martiri e i confessori esultano perché tu, o Cristo, appeso sulla croce, sei la loro ricompensa… Oggi la santa Chiesa si rallegra perché è la regina assisa alla tua destra vestita con la tua croce". In parecchi dei suoi inni, Efrem il Siro parlerà della croce di Cristo come timone della nave che è la Chiesa e che Cristo, il pilota conduce a porto tranquillo. In un secondo momento, introdotti sempre con la parola "oggi", la liturgia della festa si trattiene a fare una lettura in chiave cristologica di una lunga serie di fatti veterotestamentari che prefigurano la redenzione di Cristo adoperata per mezzo della sua croce: "Oggi Abramo esulta perché il mistero della croce gli fu rivelato per mezzo dell'agnello che vide impigliato nel cespuglio… Oggi Mosè, il primo dei profeti, si rallegra perché ha tracciato il segno della croce con le sue mani stese ed oranti in forma di croce… Oggi Eliseo il profeta è nella gioia per il legno gettato nell'acqua e che fecce galleggiare il ferro pesante, tipo della nostra natura umana che tu, o Cristo, hai innalzato ed onorato per mezzo della tua croce…". La croce ancora viene cantata nella liturgia siro occidentale come albero di vita, rifugio dei cristiani, compimento di tutti i misteri della Chiesa, saggezza dei credenti.

         Uno dei testi del vespro della festa associa nella lode e la confessione, senza distinzione Cristo e la croce stessa con gli stessi titoli cristologici dati e all'uno e all'altra: "Signore, Re della gloria, ti lodiamo perché hai fatto della croce il vanto di coloro che credono in te… Tu sei l'albero della vita per coloro che in te sperano, e sei anche l'albero che mai appassisce, e medico e rimedio di coloro che appassiscono nel peccato… Tu sei l'albero della vita piantato nel bel mezzo del paradiso e porti tutti alla terra della promessa… Tu sei lo scettro di forza mandato da Sion contro i nemici e vinti con la tua croce… Tu sei il mistero segreto e nascosto, manifestato a tutti gli uomini…".

         L'ufficiatura notturna della festa, divisa in tre parti, prevede il canto di due salmi per ognuna di esse: i salmi 43 e 60 per la prima; 135 e 138 per la seconda, ed il lungo cantico di Abacuc 3, 1-19 per la terza. In quest'ufficiatura notturna troviamo ben sei inni di sant'Efrem il Siro, due per ognuna delle parti, in cui l'autore canta il mistero della croce di Cristo con delle immagini e dei simboli sviluppati nella sua poesia teologica; il legno della croce sarà sempre fonte di un lungo sviluppo simbolico. Efrem accosta volentieri Cristo innalzato sulla croce al carro dei cherubini descritto dal profeta Ezechiele: "Cavalca la croce, sebbene, invisibilmente, cavalcasse il carro, quello dei cherubini… Rimasero svergognati i crocifissori che lo fecero montare sul legno glorioso rivestito di simboli…  Ho visto la bellezza di Adamo, immagine di Colui che lo ha plasmato… e la bellezza della croce, cavalcatura del Figlio del suo Signore…". Efrem ancora allarga la simbologia della croce alla spada del cherubino messo alle porte del paradiso, e la presenta anche come la lancia che uccide la morte: "Beato sei anche tu, legno vivente, che fosti una lancia invisibile per la morte. Quella lancia infatti aveva colpito il Figlio: trafitto da essa, con essa egli uccise la morte. La sua lancia ha allontanato la lancia, poiché il suo perdono ha strappato il nostro documento di debito. Il paradiso gioì perché erano tornati gli espulsi… Sia benedetto, Lui che mediante la sua croce ha forzato il passaggio verso il paradiso". Efrem mette in parallelo, in uno dei suoi inni e con delle immagini poetiche molto belle, i due alberi, quello del paradiso e quello della croce: "E poiché Adamo si era avvicinato all'albero, si precipitò poi verso il fico. Divenne simile al fico, delle cui foglie era coperto. Florido di foglie a modo di un legno, Adamo venne presso il legno glorioso, da esso si rivestì di gloria, da esso acquistò splendore, da esso udì la verità, che sarebbe di nuovo entrato nell'Eden". Finalmente in uno degli inni sulla crocefissione, Efrem ancora canta il tema evangelico del prendere la propria croce e seguire Cristo, faccendone una lettura doppia a Simone di Cirene che porta la croce di Cristo e a Simone Pietro che muore anche lui in croce: "Beato anche tu, Simone, che hai portato durante la vita la croce dietro al nostro Re. Sono fieri coloro che portano le insegne dei re ma svanirono i re con le loro insegne. Beate le tue mani che si alzarono e portarono in processione la croce che si chinò e ti donò la vita. Il tuo fardello ti ha portato nella dimora della vita e ti ha trasferito là, poiché è il vascello del Regno".


sabato 4 settembre 2021

 

Natività della Madre di Dio. 

Chiesa Cattedrale della Santissima Trinità

Atene

Le omelie di Andrea di Creta per la Natività della Madre di Dio.

Oggi nasce colei che generò la Parola eterna fattasi carne…

          La festa della Natività della Madre di Dio è la prima delle grandi feste nel calendario liturgico bizantino. Di questa festa abbiamo alcune omelie patristiche di tradizione greca, soprattutto di due autori contemporanei tra di loro e  ambedue di origine siriana: Giovanni Damasceno e Andrea di Creta; di quest’ultimo vorrei soffermarmi nella prima delle sue omelie sulla festa odierna. Andrea è nato nella seconda metà del VII secolo a Damasco, e diventa monaco a Gerusalemme presso il Santo Sepolcro. All’inizio del VIII secolo è nominato vescovo di Gortina nell’isola di Creta; muore verso il 740. Un posto rilevante nella sua riflessione teologica lo occupa la figura della Madre di Dio, riflessione legata sempre al mistero dell’incarnazione in lei del Verbo di Dio. Di Andrea di Creta abbiamo quattro omelie sulla Natività della Madre di Dio, una sull’Annunciazione e tre sulla Dormizione della Mare di Dio.

          Andrea inizia l’omelia con una sorta di captatio benevolentiae in cui mette l'accento nella completezza o se si vuol la perfezione del mistero che si celebra: "La celebrazione odierna e per noi l'inizio delle feste; e la prima per quanto riguarda la legge e l'ombra, ma in realtà è anche l'inizio per quanto riguarda la grazia e la verità. Inoltre è anche centrale e finale, poiché essa contiene l'inizio che e il passaggio della legge, il centro che è il collegamento degli estremi, e la fine che è la manifestazione della verità". Andrea presenta subito i due pilastri su cui si fondamenta il suo discorso, cioè la celebrazione della natività di Maria da una parte e il suo collegamento col mistero dell'incarnazione del Verbo di Dio dall’altra: "Questo è l'insieme dei benefici di Cristo verso di noi, questa è la manifestazione del mistero: la natura rinnovata, Dio e uomo, la divinizzazione dell'uomo assunto". L'espressione "natura rinnovata" adoperata qua da Andrea deve essere vista in riferimento alla natura umana rinnovata grazie all'incarnazione, benché una variante testuale proponga "natura spogliata", il che sarebbe un riferimento alla natura divina fattasi piccola, svuotata, a partire dalla lettera ai Filippesi 2,9.

          La festa della Natività di Maria è segnata dalla gioia, un tema che troviamo ripetutamente sottolineato nei testi della liturgia bizantina per l'8 settembre; una gioia che per Andrea scaturisce sì dalla nascita della Madre di Dio, ma soprattutto dal suo collegamento con l'incarnazione del Verbo: "E tuttavia, al soggiorno di Dio fra gli uomini, splendido e luminoso, bisognava che ci fosse anche un inizio di gioia, attraverso la quale il grande dono della salvezza cammina verso di noi... Questo giorno gradito a Dio, il primo delle feste, portando sul capo la luce della verginità e come raccogliendo una corona di fiori illibati dai pascoli spirituali della Scrittura annuncia la gioia comune a tutta la creazione dicendo: «Abbiate fiducia, la celebrazione è per il genetliaco ma anche per la rigenerazione della stirpe umana. Ora una vergine è generata, nutrita e plasmata, ed è preparata come Madre di Dio...". Andrea sviluppa poi il parallelo Maria-Davide, con uno sfondo cristologico chiaramente calcedoniano: "Colei che discende da Davide ha riunito per noi, insieme a Davide, quest'assemblea spirituale: l'una, come Madre di Dio, presentando la sua nascita donata da Dio; l'altro mostrando la buona fortuna della sua stirpe e la straordinaria famigliarità di Dio con gli uomini. Mirabile prodigio! L'una s'interpone fra l'altezza di Dio e la piccolezza della carne, e diventa madre del suo creatore; l'altro profetizza il futuro come già presente...".

          Andrea presenta poi Colei che generò la Parola eterna fattasi carne, ricevente adesso la sua parola di encomio: "Celebriamo in modo conveniente il mistero di questo giorno, e presentiamo in dono alla madre della Parola proprio le parole, dato che a lei null'altro è caro se non la parola e l'onore che viene dalle parole...". La liturgia bizantina poi, e anche Andrea nella sua omelia ne è testimone, sottolinea i diversi ruoli che le due donne, cioè Maria ed Anna sua madre, svolgono nella celebrazione odierna: sterile, donna, vergine, madre: "Le sterili accorrano con slancio, poiché colei che era sterile e senza figli ha generato la vergine del divin Figlio. Le madri esultino, poiché la madre senza prole ha partorito la madre e vergine pura. Le vergini gioiscano, poiché la terra non seminata ha prodotto mirabilmente colui che deriva dal Padre senza mutamento. Le donne si facciano forza poiché la donna, che anticamente con leggerezza diede inizio al peccato, ora ha introdotto la primizia della salvezza, e si mostra come eletta da Dio: madre che non conosce uomo, scelta dal creatore e restaurazione della nostra stirpe".

          L’autore continua il suo testo con una lunga serie di frasi che iniziano con la parola "oggi", dove presenta in modo sintetico e con delle immagini bibliche molto suggerenti, il ruolo della Madre di Dio nel mistero della salvezza, e le applica tutta una serie di titoli cristologici e mariologici che verranno accolti dalla stessa tradizione liturgica bizantina: "Oggi e stato edificato il santuario creato dal Creatore di tutte le cose, e la creatura diventa per il Creatore sua divina dimora. Oggi la natura prima ridotta a terra è divinizzata e la polvere si innalza verso la gloria suprema. Oggi Adamo, che presenta per noi a Dio la primizia che proviene da noi, gli offre Maria; e per mezzo di lei la primizia diventa pane per la rigenerazione della stirpe. Oggi la genuina nobiltà degli uomini riceve di nuovo il dono della prima divinizzazione... Oggi la natura generata, rimanendo unita alla madre di Colui che è il più Bello riceve il fulgore della belleza. Oggi la sterile (Anna) è scoperta come madre al di la di ogni speranza, e a sua volta la madre di un figlio senza padre...rende sante tutte le generazioni... Oggi inizia la rigenerazione della nostra natura, e il mondo invecchiato accoglie gli inizi di una seconda creazione da parte da Dio...". Per Andea di Creta Maria partorisce senza le doglie del parto; non che metta in dubbio la realtà dell'incarnazione del Verbo di Dio (il testo sottolinea appunto che Maria allatta il figlio!), ma per preservarne la verginità anche dopo il parto: "... egli era Dio, anche se scelse di essere generato carnalmente, ma senza le doglie: in modo che da una parte ella, la madre, evitasse ciò che è proprio delle madri, pur nutrendo con il latte colui che aveva generato senz’opera d'uomo; e d'altra parte ella, la vergine, partorendo una prole senza seme rimanesse vergine casta...".

          Andrea prosegue con un bel paragone tra la creazione di Adamo dalla terra vergine, e la ricreazione della stirpe umana da una madre vergine: “Il Redentore del genere umano volendo presentare una nuova generazione, come prima plasmò il primo Adamo avendo preso del fango dalla terra ancora intatta e vergine, così anche ora operando da se stesso la sua propria incarnazione… scelse da tutta la natura umana questa vergine pura e immacolata: e l’artefice di Adamo… diventò nuovo Adamo affinché quello recente ed eterno salvasse l’antico…”. Andrea, infine, conclude la sua omelia esortando ad imitare coloro che per noi sono dei modelli, cioè gli stessi Gioachino ed Anna genitori della Madre di Dio: “Se fra voi qualcuno è padre, imiti il padre della vergine… Se una madre sta allattando, gioisca con Anna che dopo la sterilità allatta la fanciulla… Se c’è una vergine casta, divenga madre della Parola, ornando con la parola la fermezza della sua anima…”.

 P. Manuel Nin

Esarca Apostolico