La festa della
Trasfigurazione del Signore
Oggi la divinità
risplende sul Tabor in povera carne.
La festa
della Trasfigurazione del Signore nella tradizione bizantina è una delle grandi
feste del calendario liturgico. I testi eucologici si snodano in un continuo
parallelo tra le teofanie veterotestamentarie e la trasfigurazione di Cristo
sul monte Tabor da una parte, e l’apparizione gloriosa di Mosè ed Elia e la
presenza meravigliata ed atterrita degli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Questa
doppia presenza, cioè della divino umanità di Cristo nella sua Trasfigurazione,
viene messa in luce in modo speciale nel canone del mattutino della festa, un
testo attribuito a san Giovanni Damasceno (+749). Prendendo spunto dei cantici
veterotestamentari che si trovano alla base di tutto il canone dell’ufficiatura
bizantina, l’innografo mette in luce in primo luogo come la Trasfigurazione di
Cristo viene prefigurata nelle teofanie veterotestamentarie: “Mosè, sul
mare, vedendo un tempo profeticamente nella nube e nella colonna di fuoco la
gloria del Signore, esclamava: Cantiamo al nostro Redentore e Dio. Protetto dal
corpo deificato come un tempo dalla roccia, il veggente Mosè, contemplando
l’invisibile, esclamava: Cantiamo al nostro Redentore e Dio. Sia sul monte
della legge che sul Tabor ti sei mostrato a Mosè: ma un tempo, nella caligine,
ora invece, nella luce inaccessibile della divinità”. L’esperienza di Mosè sul
Sinai viene messa in parallelo a quella che lui vive di nuovo sul Tabor. Lungo
tutto il poema del Damasceno, la Trasfigurazione è presentata anche come una
manifestazione della vera incarnazione, e della realtà delle due nature, divina
ed umana, nel Verbo di Dio incarnato: “La gloria che un tempo adombrava la
tenda e parlava con Mosè tuo servo, era figura della tua trasfigurazione che
ineffabilmente ha brillato sul Tabor, o Sovrano. Con te sono saliti sul monte
Tabor, o eccelso Verbo Unigenito, i sommi tra gli apostoli, e ti hanno
assistito Mosè ed Elia, in qualità di servi di Dio, o solo amico degli uomini. Tu
che sei il Dio Verbo, sei divenuto pienamente uomo, congiungendo nella tua
persona l’umanità alla pienezza della divinità: tale ipòstasi nelle sue due
nature videro Mosè ed Elia sul monte Tabor”.
L’apparizione di Mosè ed Elia nella scena della Trasfigurazione
accanto alla presenza di Pietro, Giacomo e Giovanni, diventa nel poema di
Giovanni Damasceno quasi un’occasione per sottolineare, per confessare la
doppia natura di Cristo umana e divina, e la nascita, la fondazione della
Chiesa stessa: “Signore, creatore della volta celeste che ci ricopre, e
fondatore della Chiesa, rafforzami nel tuo amore, o vertice di ogni desiderio,
sostegno dei fedeli, solo amico degli uomini”. In diversi dei testi di Giovanni
Damasceno si paragona l’opera creatrice di Dio all’inizio del mondo, con
l’opera della ricreazione dell’uomo attraverso la vita della Chiesa. La Trasfigurazione
stessa è vista quasi come una nuova creazione che ridarà all’uomo la primitiva
bellezza in cui era stato creato: “Tu, o Cr isto, che con mani invisibili avevi
plasmato l’uomo a tua immagine, hai mostrato quale fosse la tua bellezza
archetipa nella creatura: e non come in un’immagine l’hai mostrata, ma come sei
tu per essenza, Dio e uomo. Tu che ti eri unito senza confusione alla natura umana, sul monte
Tabor ci hai mostrato il carbone ardente della divinità che brucia i peccati e
illumina le anime: con ciò hai rapito in estasi Mosè, Elia e i primi tra i
discepoli”. Notiamo come il Cristo trasfigurato viene paragonato in questo tropario
alla brace ardente, immagine presa da Isaia 6, e che le tradizioni liturgiche
orientali applicano al Corpo di Cristo nella celebrazione dei Santi Misteri.
Inoltre, sempre nei testi della festa, vediamo Cristo che nella sua
Trasfigurazione manifesta la sua divinità attraverso la sua carne gloriosa: “Dalla
tua carne partivano i dardi radiosi della divinità: per questo i prescelti tra
i profeti e gli apostoli cantando acclamavano: Gloria, Signore, alla tua
potenza. Tu che hai conservato indenne il roveto tra le fiamme, hai mostrato a
Mosè la tua carne sfolgorante di divinità, o Sovrano, ed egli canta: Gloria
alla tua potenza, Signore. Si eclissò il sole sensibile di fronte ai raggi
della divinità, quando, sul monte Tabor, ti vide trasfigurato, o mio Gesù… Fuoco
immateriale che non consuma la materia del corpo, tale ti sei mostrato a Mosè,
agli apostoli e ad Elia, o Sovrano: uno, da due e in due perfette nature”.
La
Trasfigurazione di Cristo, il suo manifestare la divinità attraverso la carne
assunta da noi, prepara i discepoli all’altra grande teofania sul Calvario; una
delle strofe accosta i due momenti di manifestazione nella luce l’una e nella
tenebra l’altra, del Verbo di Dio incarnato: “Ti sei trasfigurato sul monte, e i tuoi
discepoli, per quanto ne erano capaci, hanno contemplato la tua gloria, o
Cristo Dio: affinché, vedendoti crocifisso, comprendessero che la tua passione era
volontaria, e annunciassero al mondo che tu sei veramente irradiazione del
Padre”. L’ode
settima del canone del Damasceno diventa una vera e propria confessione di fede:
il Figlio che è coeterno al Padre, la sua concezione verginale nel seno di
Maria, la sua vera incarnazione: “Si è mostrato ora agli apostoli ciò che non è
dato contemplare: la divinità che risplende in povera carne sul Tabor di fronte
a loro… Fremettero di timore, sbigottiti per lo splendore del regno divino, gli
apostoli sul Tabor, e ti acclamavano… Ora si è udito ciò che non è dato udire:
il Figlio senza padre della Vergine, riceve gloriosa testimonianza dalla voce
paterna, quale Dio e uomo egli stesso nei secoli. Non sei divenuto per adozione
Figlio dell’Altissimo, essendone già per essenza il Figlio diletto, venuto
senza mutamento tra noi…”. L’ultimo dei tropari del poema quindi è una
confessione di fede trinitaria: “O Verbo, luce immutabile della luce del Padre ingenito,
nella tua luce che oggi appare sul Tabor, noi vediamo come luce il Padre, e
come luce lo Spirito, luce che illumina tutto il creato”. Nella trasfigurazione
gloriosa di Cristo sul monte Tabor, lo spazio si riempie della sua presenza, ed
il cuore sente il soffio dello Spirito.
+P.
Manuel Nin
Esarca
Apostolico.
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