mercoledì 11 dicembre 2019


A proposito del motu proprioAperuit illis
di papa Francesco
          Il giorno 30 settembre 2019 papa Francesco pubblicò il motu proprioAperuit illis” con cui istituiva la III domenica del tempo per annum nel rito latino come “Domenica della Parola di Dio”. Scrivo qua alcune note personali dopo la lettura del testo pontificio. Sono delle note a un testo che mi sembra bello e pieno di spunti importanti per la vita della Chiesa.
Tutte le liturgie di Oriente e di Occidente danno un ruolo importante e fondamentale alla Parola di Dio nelle celebrazioni liturgiche. Il libro dei Vangeli viene portato in processione prima della proclamazione della pericope evangelica nella Divina Liturgia e nei sacramenti. Col libro dei Vangeli si riceve il vescovo alla porta della chiesa. Il libro dei Vangeli viene baciato assieme all’altare.

          Alcuni punti di riflessione.
Dall’inizio delle mie note confesso e lo dico per onestà intellettuale e direi personale e spirituale, che sono molto restio e mi creano difficoltà (quasi prurito spirituale e liturgico!) le domeniche “tematizzate”. Cioè le solite affermazioni: “il tema di questa domenica è… le missioni… le comunicazioni sociali… i poveri… i profughi…”. L’unico tema domenicale, se si tratta di temi, è la risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo e quindi la celebrazione dei Santi Misteri in cui si ascolta la Parola di Dio e si fa la comunione ai Santi Doni del su Corpo e del suo Sangue. “Poveri li avete sempre con voi, me non sempre mi avrete” (Mc 14,6-9), afferma il Signore stesso nel vangelo.
È Cristo ed unicamente Cristo che celebriamo, che ascoltiamo nella sua Parola, che riceviamo nel suo Corpo e nel suo Sangue. E celebrando Cristo celebriamo la nostra fede, celebriamo anche la carità. Sempre, però ed unicamente a partire di Cristo, Parola di Dio fattosi carne, fattosi uno di noi.
Il testo del papa inizia con un paragrafo in cui mette in rilievo come per la comunità dei credenti, sempre è Cristo stesso che spiega la Parola di Dio, il senso che la Sacra Scrittura ha per la vita delle Chiese cristiane. Cristo stesso è l’esegeta per la Chiesa: «Aprì loro la mente per comprendere le Scritture» (Lc 24,45). È uno degli ultimi gesti compiuti dal Signore risorto, prima della sua Ascensione. Appare ai discepoli mentre sono radunati insieme, spezza con loro il pane e apre le loro menti all’intelligenza delle Sacre Scritture… e promette lo Spirito Santo che darà loro la forza di essere testimoni di questo Mistero di salvezza. La relazione tra il Risorto, la comunità dei credenti e la Sacra Scrittura è estremamente vitale per la nostra identità. Senza il Signore che ci introduce è impossibile comprendere in profondità la Sacra Scrittura, ma è altrettanto vero il contrario: senza la Sacra Scrittura restano indecifrabili gli eventi della missione di Gesù e della sua Chiesa nel mondo. Giustamente San Girolamo poteva scrivere: «L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo”.
A proposito del paragrafo 3 del motu proprio: “…la III Domenica del Tempo Ordinario sia dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio. Questa Domenica della Parola di Dio verrà così a collocarsi in un momento opportuno di quel periodo dell’anno, quando siamo invitati a rafforzare i legami con gli ebrei e a pregare per l’unità dei cristiani… celebrare la Domenica della Parola di Dio esprime una valenza ecumenica, perché la Sacra Scrittura indica a quanti si pongono in ascolto il cammino da perseguire per giungere a un’unità autentica e solida”. Insisto su un punto che mi sembra fondamentale, cioè che i cristiani leggiamo la Parola di Dio perché essa ci parla di Cristo, del suo mistero di incarnazione, passione, morte e risurrezione, perché essa annunciata nella liturgia deve incarnarsi nei nostri cuori. Non leggiamo la Parola di Dio e facciamo una domenica dedicata ad essa per rafforzare legami o amicizie con gli ebrei o con le altre confessioni cristiane che sembrerebbe abbiano più in stima o in centro la Parola di Dio. Noi cattolici leggiamo e celebriamo la Parola di Dio, come d’altronde tutti i cristiani dovremmo farlo, perché la Parola si è fatta carne. Unicamente e per nient’altro che per questo. Non per un ecumenismo con le comunità riformate o dialogo interreligioso con gli ebrei, in cui non troviamo certamente al centro della professione di fede la Parola di Dio fatta carne.
Nella tradizione bizantina non si intronizza mai una Bibbia in nessuna parte della chiesa o durante la liturgia. L’Evangeliario si trova sempre e rimane sull’altare, sia prima che dopo la proclamazione del Vangelo nella liturgia. E nella prima parte della liturgia l’evangeliario lo si porta in processione “dall’altare all’altare” si può dire, in quello che viene chiamato “piccolo ingresso” o “ingresso con l’evangeliario”. Esso, l’evangeliario rimarrà sempre sull’altare che simbolicamente è la tomba di Cristo, da dove lui il Risorto e vincitore dalla morte ci dà, ci elargisce la sua Parola, ed il suo Corpo ed il suo Sangue. L’altare quindi come tomba/sepolcro fonte di vita. In questo senso, nella tradizione bizantina, la domenica nell’ufficiatura del mattutino, l’evangeliario viene aperto sull’altare stesso ed il vangelo che si legge è sempre una pericope della risurrezione e viene proclamato come dicevo dall’altare stesso, dai piedi del Risorto, e poi l’evangeliario è presentato ai fedeli che, in processione come per la Santa Comunione, si avvicinano per la sua venerazione.
Il motu proprio è un testo bello e profondo e in diversi paragrafi fa una rilettura della costituzione Dei Verbum del Vaticano II, un testo da riscoprire assieme all’esortazione apostolica Verbum Domini di Benedetto XVI pubblicata dopo il sinodo del 2008. Anche in diverse parti del testo del motu proprio del papa si fa un bel riferimento alla lectio divina con cui ci si approccia anche alla Parola di Dio.
Il papa mette in risalto un tema caro ai Padri della Chiesa, cioè la ricchezza multiforme della Parola di Dio, e cita un bel testo di Sant’Efrem nel suo Commentario al Diatessaron: “…far rivivere alla Chiesa il gesto del Risorto che apre anche per noi il tesoro della sua Parola perché possiamo essere nel mondo annunciatori di questa inesauribile ricchezza. Tornano alla mente in proposito gli insegnamenti di Sant’Efrem: «Chi è capace di comprendere, Signore, tutta la ricchezza di una sola delle tue parole? È molto di più ciò che sfugge di quanto riusciamo a comprendere. Siamo proprio come gli assetati che bevono a una fonte. La tua parola offre molti aspetti diversi, come numerose sono le prospettive di quanti la studiano. Il Signore ha colorato la sua parola di bellezze svariate, perché coloro che la scrutano possano contemplare ciò che preferiscono. Ha nascosto nella sua parola tutti i tesori, perché ciascuno di noi trovi una ricchezza in ciò che contempla» (Commenti sul Diatessaron, 1, 18)”.
Nel paragrafo 4 il papa mette giustamente in guardia contro l’appropriazione ed eventuale manipolazione della Sacra Scrittura: “La Bibbia non può essere solo patrimonio di alcuni e tanto meno una raccolta di libri per pochi privilegiati. Essa appartiene, anzitutto, al popolo convocato per ascoltarla e riconoscersi in quella Parola. Spesso, si verificano tendenze che cercano di monopolizzare il testo sacro relegandolo ad alcuni circoli o a gruppi prescelti. Non può essere così. La Bibbia è il libro del popolo del Signore che nel suo ascolto passa dalla dispersione e dalla divisione all’unità. La Parola di Dio unisce i credenti e li rende un solo popolo”.
Nel paragrafo 6 del testo, il papa riprende in modo bello il paragrafo 1, cioè come Cristo stesso è il primo a fare l’esegeta del testo sacro, a farne l’omelia ai discepoli cammino di Emmaus (cf., Lc 24): “Prima di raggiungere i discepoli, chiusi in casa, e aprirli all’intelligenza della Sacra Scrittura il Risorto appare a due di loro lungo la via che porta da Gerusalemme a Emmaus… il giorno stesso della Risurrezione… Con discrezione, il Risorto stesso si avvicina e cammina con i discepoli, ma quelli non lo riconoscono… li chiama «stolti e lenti di cuore» e «cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui». Cristo è il primo esegeta! Non solo le Scritture antiche hanno anticipato quanto Egli avrebbe realizzato, ma Lui stesso ha voluto essere fedele a quella Parola per rendere evidente l’unica storia della salvezza che trova in Cristo il suo compimento”.
Il rapporto stretto tra Sacra Scrittura ed Eucaristia, lo troviamo nel paragrafo 8 del testo. La Parola viene proclamata durante la celebrazione eucaristica e durante la celebrazione dei sacramenti, mai gli uni senza l’altra. Le letture fatte nella celebrazione della Divina Liturgia e dei sacramenti non sono una sorta di “complemento testuale o storico” a quello che si celebra, ma l’annuncio della Parola che si incarna nel Corpo e nel Sangue di Cristo, nell’acqua del battesimo, nell’olio che unge: “Comprendiamo da questa scena (discepoli di Emmaus) quanto sia inscindibile il rapporto tra la Sacra Scrittura e l’Eucaristia. Il Concilio Vaticano II insegna: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (Dei Verbum, 21). La frequentazione costante della Sacra Scrittura e la celebrazione dell’Eucaristia rendono possibile il riconoscimento fra persone che si appartengono. Come cristiani siamo un solo popolo che cammina nella storia, forte della presenza del Signore in mezzo a noi che ci parla e ci nutre… perché abbiamo urgente necessità di diventare familiari e intimi della Sacra Scrittura e del Risorto, che non cessa di spezzare la Parola e il Pane nella comunità dei credenti… Sacra Scrittura e Sacramenti tra loro sono inseparabili. Quando i Sacramenti sono introdotti e illuminati dalla Parola, si manifestano più chiaramente come la meta di un cammino dove Cristo stesso apre la mente e il cuore a riconoscere la sua azione salvifica”.
Nel paragrafo 9 troviamo tre aspetti che in qualche modo spiegano e direi giustificano la proclamazione della Parola di Dio nella celebrazione dei sacramenti ed anche nella lectio divina fata da ogni cristiano: “Nella Seconda Lettera a Timoteo… l’Apostolo è convinto che «tutta la Sacra Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare» (3,16). Questa raccomandazione di Paolo a Timoteo costituisce una base su cui la Costituzione conciliare Dei Verbum affronta il grande tema dell’ispirazione della Sacra Scrittura, una base da cui emergono in particolare la finalità salvifica, la dimensione spirituale e il principio dell’incarnazione per la Sacra Scrittura… la Dei Verbum sottolinea che «i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza… le verità contenute in esse servono per la nostra salvezza. La Bibbia non è una raccolta di libri di storia, né di cronaca, ma è interamente rivolta alla salvezza integrale della persona… Per raggiungere tale finalità salvifica, la Sacra Scrittura sotto l’azione dello Spirito Santo trasforma in Parola di Dio la parola degli uomini scritta in maniera umana... Il ruolo dello Spirito Santo nella Sacra Scrittura è fondamentale… Lo Spirito Santo, dunque, trasforma la Sacra Scrittura in Parola vivente di Dio, vissuta e trasmessa nella fede del suo popolo santo… L’azione dello Spirito Santo non riguarda soltanto la formazione della Sacra Scrittura, ma opera anche in coloro che si pongono in ascolto della Parola di Dio”.
Nel paragrafo 10 sembra che il papa citi senza dirlo l’affermazione di Origene: “Lo stesso Spirito (Santo) che ha ispirato l’agiografo, deve ispirare l’esegeta”.
Nel paragrafo 11 si insiste nel legame inscindibile tra Sacra Scrittura e Tradizione della Chiesa. “È in questo evento che prende forma la Tradizione, che è anch’essa Parola di Dio… Spesso si corre il rischio di separare tra loro la Sacra Scrittura e la Tradizione, senza comprendere che insieme sono l’unica fonte della Rivelazione. Il carattere scritto della prima nulla toglie al suo essere pienamente parola viva; così come la Tradizione viva della Chiesa, che la trasmette incessantemente nel corso dei secoli di generazione in generazione, possiede quel libro sacro come la «regola suprema della fede»… La fede biblica, pertanto, si fonda sulla Parola viva, non su un libro.
Duplice aspetto di dolcezza ed amarezza della Parola di Dio. Essa è consolazione ma è anche spada a doppio taglio: “La dolcezza della Parola di Dio ci spinge a parteciparla a quanti incontriamo nella nostra vita per esprimere la certezza della speranza che essa contiene. L’amarezza, a sua volta, è spesso offerta dal verificare quanto difficile diventi per noi doverla vivere con coerenza, o toccare con mano che essa viene rifiutata perché non ritenuta valida per dare senso alla vita. È necessario, pertanto, non assuefarsi mai alla Parola di Dio, ma nutrirsi di essa per scoprire e vivere in profondità la nostra relazione con Dio e i fratelli.
La Parola di Dio ha sempre questo duplice aspetto che il testo del motu proprio chiama dolcezza/amarezza, cioè consolazione e spada a doppio taglio potremo dire. Testi chiari ed evidenti a tutti, e testi che rimangono oscuri, difficili, testi di lode e testi di imprecazione contro il male ed il peccato, mai contro il peccatore che il Signore perdona e redime. L’evangeliario viene collocato sull’altare, come se la liturgia cristiana volesse indicare la sua dimensione sacra e il suo essere annunciato, dato e commentato da colui -il vescovo, il prete o il diacono- che la Chiesa ha ordinato a questo ministero. Evitiamo, e mi si consenta l’espressione, un “self service” biblico. Il lezionario nelle liturgie ci viene dato dalla Chiesa, non a gusto di colui che celebra. La Parola di Dio incarnata, il Vangelo, giace sull’altare, mai, assolutamente mai, portato sottobraccio ad uso personale.
Il 13 è un paragrafo radicato nel Vangelo e allo stesso tempo molto proprio da papa Francesco, cioè il legame Sacra Scrittura e carità: “Un’ulteriore provocazione che proviene dalla Sacra Scrittura è quella che riguarda la carità. Costantemente la Parola di Dio richiama all’amore misericordioso del Padre che chiede ai figli di vivere nella carità. La vita di Gesù è l’espressione piena e perfetta di questo amore divino che non trattiene nulla per sé, ma a tutti offre sé stesso senza riserve… Ascoltare le Sacre Scritture per praticare la misericordia: questa è una grande sfida posta dinanzi alla nostra vita. La Parola di Dio è in grado di aprire i nostri occhi per permetterci di uscire dall’individualismo che conduce all’asfissia e alla sterilità mentre spalanca la strada della condivisione e della solidarietà”.
Infine, nel paragrafo 15 troviamo presentato il modello di Maria come donna di accoglienza nel cuore e nel grembo della Parola di Dio. Cita di sant’Agostino che conclude il motu proprio: “Nel cammino di accoglienza della Parola di Dio, ci accompagna la Madre del Signore, riconosciuta come beata perché ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le aveva detto. La beatitudine di Maria precede tutte le beatitudini pronunciate da Gesù per i poveri, gli afflitti, i miti, i pacificatori e coloro che sono perseguitati, perché è la condizione necessaria per qualsiasi altra beatitudine. Nessun povero è beato perché povero; lo diventa se, come Maria, crede nell’adempimento della Parola di Dio. Lo ricorda un grande discepolo e maestro della Sacra Scrittura, Sant’Agostino: «Qualcuno in mezzo alla folla, particolarmente preso dall’entusiasmo, esclamò: “Beato il seno che ti ha portato”. E lui: “Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio, e la custodiscono”. Come dire: anche mia madre, che tu chiami beata, è beata appunto perché custodisce la parola di Dio, non perché in lei il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi, ma perché custodisce il Verbo stesso di Dio per mezzo del quale è stata fatta, e che in lei si è fatto carne» (Sul Vang. di Giov., 10, 3)”.
Domenica dedicata alla Parola di Dio? Esiste, dobbiamo chiederci, una domenica in cui essa, la Parola di Dio proclamata, celebrata, luogo di mistagogia nell’omelia, Parola incarnata, non sia al centro della nostra professione di fede?
Riprendendo il motu proprio nel suo paragrafo 9: ogni domenica celebriamo e viviamo la Parola che proclamata, annunciatala ed accolta nella sua finalità salvifica, la sua dimensione spirituale e il suo principio dell’incarnazione.

+P. Manuel Nin
Esarca Apostolico


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