Scrivo queste mie riflessioni, perché scrivere è una
forma di creatività ed aiuta nei momenti di stanchezza, di noia, di accidia, usiamola
questa parola della tradizione monastica cristiana senza che ci faccia paura.
Quando si fa il lungo pellegrinaggio a piedi a
Santiago di Compostela, ad un certo momento si sale una piccola collina
chiamata in spagnolo “Monte del gozo”, il monte / il colle della gioia. Quale
gioia? La gioia che sgorga nel cuore dei pellegrini che vedono nella lontananza
le guglie della cattedrale di Santiago di Compostella. Forse nel nostro
pellegrinare quaresimale e pasquale segnato dalle privazioni, dai digiuni, da
tante sofferenze a causa della pandemia del Covit-19, siamo arrivati al nostro “monte
del gozo”, arrivati ad intravedere le guglie delle nostre cattedrali, delle
nostre chiese parrocchiali, delle piccole cappelle che sono sempre sacramento
di quella meta finale del nostro pellegrinare quotidiano come cristiani.
Scrivo
in questi giorni in cui, mentre da una parte la pandemia sembra che cominci a diminuire
e perdere violenza, dall’altra parte emergono i primi problemi e non da poco
conto da risolvere o da affrontare. In questi giorni a livello europeo in
genere, e concretamente italiano e greco, si tende a rimandare una riapertura
delle chiese per le celebrazioni liturgiche verso la metà di giugno. Le reazioni e le domande, di noi vescovi e di tanti
fedeli emergono e sono a fior di pelle: “Per ché le chiese vengono lasciate
per ultime nella riapertura? Per ché musei ed altri luoghi sì e le chiese no?”.
Sono temi che ci mettono se non altro a disagio e,
senza voler fare polemica, ci fanno chiedere se non siamo forse stati troppo
zitti o ammutoliti noi pastori della Chiesa nelle settimane che ci hanno
preceduto. È una questione che per me rimane ancora aperta… Certamente siamo
stati “ubbidienti nella sofferenza” alle disposizioni dello stato, e questo dal
primo momento ho sottolineato che bisognava farlo per il bene di tutti, anche
di fronte alle perplessità da parte di molte persone ed anche di fronte alle
critiche non sempre “benevole” fatte dagli stessi fedeli.
All’inizio della pandemia ero molto perplesso su
alcuni fatti che stavano accadendo, e concretamente sulla diffusione delle
trasmissioni delle liturgie in televisione o via internet, trasmissioni comunque
seguite da tantissimi fedeli nostri e da tante persone che attraverso di esse
hanno potuto vedere e sentire la liturgia delle Chiese cristiane. Infatti, in
diverse delle lettere di questo periodo ho ridimensionato un po la mia
posizione, soprattutto a partire e spinto da qualche commento o scambio di
opinione con degli amici, e a dei suggerimenti e riflessioni loro assai giusti
e profondi.
Continua la mia perplessità anche sulla non soltanto
possibile ma ben provabile “intossicazione” di televisione ed internet su
persone labili emotivamente e anche deboli nell’età, cioè il fatto di inghiottire
senza discernimento il cumulo di notizie che ci arrivano, e credere che tutte
siano vere o possano esserlo allo stesso livello. E sottolineo il “senza
discernimento” perché in questo c’è la chiave del buon uso e la “buona
digestione” -mi si consenta l’espressione- delle notizie che ci arrivano, che
ci cascano sopra, che ci piovono addosso. Comunque, riconoscendo il bene che ha
fatto e fa la trasmissione via internet delle liturgie cristiane, ritengo che
il pericolo di “neo docetismo” a cui accennavo in lettere precedenti sussiste
comunque, e che bisognerà fare una mistagogia ai fedeli da parte dei pastori
della Chiesa, sul mistero centrale della nostra fede, cioè la vera Incarnazione
del Verbo eterno di Dio e sulla vita sacramentale che ne sgorga per le Chiese
cristiane. Qualcuno potrebbe dirmi che questo è un argomento che viene fuori in
ognuna delle mie lettere ed interventi, certamente perché lo ritengo un / il
tema fondamentale e centrale della nostra professione di fede.
Se in queste lunghe settimane quaresimali e pasquali
le celebrazioni fatte attraverso i mezzi sociali hanno spinto molte persone
alla meraviglia, magari alla gioia ed anche alla preghiera è stata sempre, non
lo dimentichiamo, una spinta che viene dal di fuori, come una bella musica di sottofondo
può spingerci ad un atteggiamento di serenità, di preghiera addirittura. Ma, ripeto,
è sempre una spinta dal di fuori, che entra dallo sguardo e dall’ascolto ma che
non ha la sua origine nel cuore del credente, senza dimenticare comunque che i sensi:
visione, ascolto, olfatto, tutti i sensi… sono fondamentali nella vita di noi tutti
cristiani. Entrare in una bella chiesa affrescata e guardare le icone, ci
spinge, attraverso la bellezza dei dipinti, a guardare e a pregare Colui che in
esse è rappresentato, ci spinge a ritrovare nel nostro cuore credente,
attraverso anche il bacio dell’icona, a ritrovare e a rivivere la nostra fede
in Colui che dallo Spirito Santo e dalla Vergine si è incarnato e fatto uomo. Entrare
in una chiesa in cui ci sia una registrazione musicale di sottofondo, canto
gregoriano o bizantino che esso sia, quell’audizione, bella e magari anche
commuovente, non sostituisce la nostra preghiera, anzi dovrebbe magari scuoterci
e spingerci a pregare. Ascoltare quei bei canti non sostituisce la nostra
preghiera ma la provoca, la fa nascere, ci fa prendere il salterio, o il libro
di preghiera e ci porta a esprimere quel che sgorga dal nostro cuore, anche attraverso
versetti salmici che la memoria custodisce gelosamente nel profondo di noi
stessi. Come nelle belle chiese affrescate a cui accennavo, non si rimane a guardare
incantati, ma lo sguardo diventa preghiera nella metania (prostrazione) davanti
alle icone e il bacio ad esse, che diventa possiamo dire l’incarnazione e la
manifestazione della nostra preghiera.
Cose da farsi quando si normalizzi la vita cristiana
o forse meglio quando si normalizzi la “prassi, la pastorale” cristiana nelle
nostre diocesi e parrocchie? Per primo stiamo a vedere il quando ci sarà questa
normalizzazione. Sarà possibile già fare qualche celebrazione comunitaria alla
conclusione della Pasqua? O almeno a Pentecoste? E per questo si parla della
fine maggio ed inizio giugno. Fondamentale sarà il riprendere una catechesi sia
per bambini sia per adulti sui sacramenti e sulla liturgia. I mesi di “assenza”
forzata potrebbero aver “minimizzato” la percezione della vita sacramentale nei
nostri fedeli. O forse no! Il “sensus fidelium” è stato sempre ed è
molto più forte e radicato nel cuore dei fedeli dai nostri timori e
perplessità.
Sono dei punti che lascio aperti, da pensarci nei prossimi
giorni. Credo che le decisioni saranno importanti per tutti. Si tratterà di un
momento di ripartenza, di rinascita e di riscoperta della fede, della vita
sacramentale, della Chiesa, del nostro Esarcato in tutta la sua ricchezza e
allo stesso tempo complessità.
Atene 28 aprile 2020
+P. Manuel Nin
Esarca Apostolico
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