Inni di
Sant’Efrem sulla crocefissione[1]
Una
riflessione a campionario, su alcune strofe
Gli
Inni pasquali di Sant’Efrem il Siro sono una triplice raccolta degli
inni sugli azimi, sulla crocifissione e sulla risurrezione. Mi soffermo in
queste pagine soltanto su alcune strofe degli ini sulla crocifissione. Sono dei
testi poetici e teologici allo stesso tempo, cioè Efrem ci porta al confronto /
dilemma tra teologia poetica e poesia teologica. Faccio la lettura a modo di
campionario, benché la lettura degli inni debba essere fatta per intero. Come indicato
nella nota, seguo l’insuperabile traduzione fatta da fr. Ignazio De Francesco.
Inno
III. In questo testo troviamo due aspetti importanti che Efrem mette in
rilievo: la grandezza-piccolezza di Cristo, cioè la sua divino-umanità, con il
retroterra di 2Cor 8,9, e Fil 2,9; quindi il battesimo come nuova creazione.
6. Tutte
le cose compiute per mezzo di Mosè
erano
flebili come parabole,
ed era
opportuno che crescessero, affinché non venissero disprezzate,
Era
opportuno infatti che si facesse piccola
quella grandezza
del nostro Salvatore, poiché la sua natura
gloriosa
non può manifestarsi alle creature
senza
debolezza.
Per Efrem l’incarnazione di Cristo, la
sua kenosi, il suo farsi piccolo, è in vista alla comprensione che ne avranno
coloro che sono, siamo, piccoli. La grandezza di Dio si fa piccola affinché la
piccolezza dell’uomo diventi grande: Era opportuno infatti che si facesse
piccola, quella grandezza del nostro Salvatore. La condizione
creaturale riesce a comprendere la piccolezza soltanto, anche quella che Dio
stesso assume.
7. In
te apparve anche ad Abramo
I
serafini fremettero vedendo il Figlio
che,
cinto ai fianchi un lino,
lavava
nel catino i piedi,
la
sozzura del ladro che lo avrebbe consegnato.
Ogni
bocca è piccola
e ogni
lingua è debole per giungere
al
termine delle sue rivelazioni.
Efrem accosta l’umiltà di Abramo
all’umiltà di Cristo. I. De Francesco nella nota 11 a p. 268 fa notare come il
testo siriaco mette in prima persona in bocca di Abramo: “vado a prendere
acqua per lavarvi io i piedi”, a Gen 18, mentre che il testo greco della
LXX lo mette in terza persona: “si prenda dell’acqua e siano lavati i piedi…”.
Si noti anche la meraviglia, il fremito dei serafini vedendo Cristo lavare anche
i piedi del traditore: I serafini fremettero vedendo il Figlio che…lavava
nel catino i piedi, la sozzura del ladro che lo avrebbe consegnato.
8. Il
nostro Signore purificò il corpo dei fratelli
Simbolicamente
fu anche reciso il membro
che
amputò sé stesso e consegnò sé stesso.
Nel
ventre delle acque Cristo ci ha formati nuovamente.
Non siamo
membra divise
che, le
une contro le altre,
disputano
e non si accorgono di lottare contro il proprio Amore!
In questa strofa troviamo dei temi che
sono il punto centrale di questi inni di Efrem: la nuova creazione che avviene
nel battesimo, e la comunione che ne sgorga, sia dalla lavanda dei piedi sia
del battesimo stesso. Notiamo il contrasto tra concordia e scissione del membro
malato, Giuda: Il nostro Signore purificò il corpo dei fratelli nel
catino che è simbolo della concordia. Simbolicamente fu anche reciso il membro
che amputò sé stesso e consegnò sé stesso. I fratelli, i
discepoli sono anche un corpo solo, in una concordia che li unisce. Giuda
consegna sé stesso; quindi la consegna volontaria di Cristo alla sua morte
redentrice il “consegnò sé stesso” che troviamo in tante delle anafore
orientali nella narrazione dell’istituzione eucaristica, e la consegna
volontaria di Giuda al suo tradire Cristo.
Il battesimo
poi è per i cristiani una nuova creazione, una nuova nascita, ed il cattino
battesimale un nuovo ventre, un nuovo grembo materno[5]:
Nel ventre delle acque Cristo ci ha formati nuovamente. L’ultimo
versetto: …le une contro le altre, disputano e non si accorgono di
lottare contro il proprio Amore!, può essere un riferimento alle
dispute teologiche presenti nei tempi di Efrem? La gnosi? Il
giudeocristianesimo? Dispute che portano a lottare contro l’amore, contro
Cristo stesso.
9. Beato
sei tu, luogo, poiché la tua piccolezza
è posta
di fronte a tutta la creazione.
Di ciò
che avvenne in te tutta la creazione
è piena,
ed è troppo piccola.
Beata la
tua dimora, nella quale fu spezzato
quel pane
proveniente dal covone benedetto.
In te fu
spremuto
il
grappolo venuto da Maria, coppa della salvezza.
Efrem
ritorna al tema grandezza / piccolezza dei misteri di Cristo. In diverse delle
strofe seguenti Efrem inizierà con l’espressione: Beato sei tu, luogo…,
in riferimento al luogo dell’ultima cena, che tipologicamente si riferisce alla
Chiesa stessa, il luogo dove avvengono i misteri della salvezza.
Maria
come coppa di salvezza, in quanto è lei che porta il grappolo spremuto, Cristo
stesso: In te fu spremuto il grappolo venuto da Maria, coppa della
salvezza.
Riferimenti
all’eucaristia e alla Chiesa sono molto evidenti: Beato sei tu, luogo
poiché nessuno ha visto ciò che tu vedesti, né lo vedrà: il nostro Signore che
si fece vero altare, sacerdote, pane e coppa della salvezza… Altare e agnello,
sacrificio e sacrificatore, sacerdote e cibo (10)[6].
Inno
V. È un inno attorno alla crocefissione di Cristo e concretamente un
contemplare la sua croce. La cristologia che in esso troviamo è tipicamente
efremiana, cioè fatta da contrasti tra la grandezza e la piccolezza,
riprendendo 2Cor 8,9, e Fil 2,9.
1.Rimasero
svergognati i crocifissori che lo fecero
Lui che
così spesso si fa esseri sublimi dai lampi,
e un
carro di raggi di luce,
come quel
carro dei cherubini cinto di folgori.
Benedetto
Colui che aggiogò cherubini e astri:
le loro
briglie stanno al suo cenno.
Per
Efrem la croce di Cristo è piena di simboli della sua umanità e della sua
divinità: sul legno glorioso rivestito di simboli. Riguardo
poi al legno sul quale lo fecero montare, quel legno è la causa della misericordia
(3). La croce per Efrem è il carro dei cherubini su cui Cristo è assiso, montato.
6. La tunica
che non lacerarono è il grande simbolo della fede:
gli
apostoli la distesero nel mondo senza lacerarla.
Le altre
vesti che furono divise
hanno
indicato le divisioni e gli scismi trovati nel suo gregge.
Il
simbolo della tunica plaude i saldi;
i divisi
sono stati accusati dalle sue vesti.
Per Efrem
la tunica non lacerata di Cristo è simbolo e della fede e della Chiesa che non
si lacerano mai: La tunica che non lacerarono è il grande simbolo della
fede: gli apostoli la distesero nel mondo senza lacerarla. Le eresie ed
gli scismi sono altre tuniche, ma non quella di Cristo.
7. Quando,
infuriati, lo misero in mezzo ai briganti,
indicarono
sé stessi.
Quello
alla sinistra è il loro simbolo: in lui sono abbandonati
poiché
Cristo ha scelto i popoli accorsi a rifugiarsi nella sua crocefissione,
come
l’altro brigante che depredò nostro Signore.
Il suo
Signore lo vide affamato, aprì il proprio scrigno davanti a lui,
ed egli
depredando, ne prese le promesse.
Molto
bello il tema sviluppato in questa strofa: il buon ladrone che ruba il dono di
Cristo, lo depreda: Il suo Signore lo vide affamato, aprì il proprio
scrigno davanti a lui, ed egli depredando, ne prese le promesse. Il
ladrone buono sembra appartenere, secondo Efrem, ai popoli accorsi a Cristo: Cristo
ha scelto i popoli accorsi a rifugiarsi nella sua crocefissione, come l’altro
brigante che depredò nostro Signore.
Per Efrem
l’eresia è amara come il fiele e per questo il Signore nella croce non ne
bevete: I libri menzogneri ad ogni riga vomitano morte e i loro trattati
sono preparati con fiele. Poiché il nostro Signore non gustò l’aceto della
spugna, non gustate il fiele delle dottrine.
Offro
quindi in queste pagine una prima lettura degli inni di Efrem, nella speranza
di avviare il lettore ad una lettura completa nel loro insieme.
[1]Efrem il Siro, Inni
Pasquali,
introduzione, traduzione e note di Ignazio De Francesco, Paoline, Milano 2001.
[2]L’antica legge non viene
mai disprezzata né annullata, ma ha il suo compimento in Cristo. Essa deve
crescere, maturare in qualche modo, per arrivare alla pienezza di Cristo.
[3]Il termine siriaco “vigilanti”,
cioè “coloro che non dormono, coloro che vegliano” è applicato sia agli angeli
che ai monaci.
[5]Giovanni Crisostomo nelle
omelie sul sacerdozio, parlerà del vescovo come “madre” che genera figli nel
battesimo, cioè battezzando loro lui stesso, diventa la madre che genera loro a
una vita nuova.
[6]Notevole la somiglianza con la preghiera
dell’inno Cherubikon nella tradizione bizantina: Tu infatti, o Cristo Dio
nostro, sei l'offerente e l'offerto, sei colui che riceve i doni, e che in dono
si dà… Συ γαρ ει ο προσφέρων και
προσφερόμενος και προσδεχόμενος και
διαδιδόμενος, Χριστέ ο Θεός ημών…
[7]I. De Francesco, nella
nota 4 a p. 287 della traduzione, fa notare come il termine da lui tradotto
come “montare” indica non tanto “appendere o essere appeso” alla croce, quando il
“salire in groppa” a una cavalcatura, oppure “sedersi alla guida di un carro”.
Cioè Cristo “salito” sulla croce, guida il suo popolo.
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