mercoledì 22 aprile 2020




Inni di Sant’Efrem sulla crocefissione[1]
Una riflessione a campionario, su alcune strofe
          Gli Inni pasquali di Sant’Efrem il Siro sono una triplice raccolta degli inni sugli azimi, sulla crocifissione e sulla risurrezione. Mi soffermo in queste pagine soltanto su alcune strofe degli ini sulla crocifissione. Sono dei testi poetici e teologici allo stesso tempo, cioè Efrem ci porta al confronto / dilemma tra teologia poetica e poesia teologica. Faccio la lettura a modo di campionario, benché la lettura degli inni debba essere fatta per intero. Come indicato nella nota, seguo l’insuperabile traduzione fatta da fr. Ignazio De Francesco.

          Inno III. In questo testo troviamo due aspetti importanti che Efrem mette in rilievo: la grandezza-piccolezza di Cristo, cioè la sua divino-umanità, con il retroterra di 2Cor 8,9, e Fil 2,9; quindi il battesimo come nuova creazione.
6. Tutte le cose compiute per mezzo di Mosè
erano flebili come parabole,
ed era opportuno che crescessero, affinché non venissero disprezzate,
fino alla venuta del loro compimento[2].
Era opportuno infatti che si facesse piccola
quella grandezza del nostro Salvatore, poiché la sua natura
gloriosa non può manifestarsi alle creature
senza debolezza.
          Per Efrem l’incarnazione di Cristo, la sua kenosi, il suo farsi piccolo, è in vista alla comprensione che ne avranno coloro che sono, siamo, piccoli. La grandezza di Dio si fa piccola affinché la piccolezza dell’uomo diventi grande: Era opportuno infatti che si facesse piccola, quella grandezza del nostro Salvatore. La condizione creaturale riesce a comprendere la piccolezza soltanto, anche quella che Dio stesso assume.

7. In te apparve anche ad Abramo
mentre veniva a portare il vitello ai vigilanti[3].
I serafini fremettero vedendo il Figlio
che, cinto ai fianchi un lino,
lavava nel catino i piedi,
la sozzura del ladro che lo avrebbe consegnato.
Ogni bocca è piccola
e ogni lingua è debole per giungere
al termine delle sue rivelazioni.
          Efrem accosta l’umiltà di Abramo all’umiltà di Cristo. I. De Francesco nella nota 11 a p. 268 fa notare come il testo siriaco mette in prima persona in bocca di Abramo: “vado a prendere acqua per lavarvi io i piedi”, a Gen 18, mentre che il testo greco della LXX lo mette in terza persona: “si prenda dell’acqua e siano lavati i piedi…”. Si noti anche la meraviglia, il fremito dei serafini vedendo Cristo lavare anche i piedi del traditore: I serafini fremettero vedendo il Figlio che…lavava nel catino i piedi, la sozzura del ladro che lo avrebbe consegnato.

8. Il nostro Signore purificò il corpo dei fratelli
nel catino che è simbolo della concordia[4].
Simbolicamente fu anche reciso il membro
che amputò sé stesso e consegnò sé stesso.
Nel ventre delle acque Cristo ci ha formati nuovamente.
Non siamo membra divise
che, le une contro le altre,
disputano e non si accorgono di lottare contro il proprio Amore!
          In questa strofa troviamo dei temi che sono il punto centrale di questi inni di Efrem: la nuova creazione che avviene nel battesimo, e la comunione che ne sgorga, sia dalla lavanda dei piedi sia del battesimo stesso. Notiamo il contrasto tra concordia e scissione del membro malato, Giuda: Il nostro Signore purificò il corpo dei fratelli nel catino che è simbolo della concordia. Simbolicamente fu anche reciso il membro che amputò sé stesso e consegnò sé stesso. I fratelli, i discepoli sono anche un corpo solo, in una concordia che li unisce. Giuda consegna sé stesso; quindi la consegna volontaria di Cristo alla sua morte redentrice il “consegnò sé stesso” che troviamo in tante delle anafore orientali nella narrazione dell’istituzione eucaristica, e la consegna volontaria di Giuda al suo tradire Cristo.
Il battesimo poi è per i cristiani una nuova creazione, una nuova nascita, ed il cattino battesimale un nuovo ventre, un nuovo grembo materno[5]: Nel ventre delle acque Cristo ci ha formati nuovamente. L’ultimo versetto: le une contro le altre, disputano e non si accorgono di lottare contro il proprio Amore!, può essere un riferimento alle dispute teologiche presenti nei tempi di Efrem? La gnosi? Il giudeocristianesimo? Dispute che portano a lottare contro l’amore, contro Cristo stesso.

9. Beato sei tu, luogo, poiché la tua piccolezza
è posta di fronte a tutta la creazione.
Di ciò che avvenne in te tutta la creazione
è piena, ed è troppo piccola.
Beata la tua dimora, nella quale fu spezzato
quel pane proveniente dal covone benedetto.
In te fu spremuto
il grappolo venuto da Maria, coppa della salvezza.
          Efrem ritorna al tema grandezza / piccolezza dei misteri di Cristo. In diverse delle strofe seguenti Efrem inizierà con l’espressione: Beato sei tu, luogo…, in riferimento al luogo dell’ultima cena, che tipologicamente si riferisce alla Chiesa stessa, il luogo dove avvengono i misteri della salvezza.
Maria come coppa di salvezza, in quanto è lei che porta il grappolo spremuto, Cristo stesso: In te fu spremuto il grappolo venuto da Maria, coppa della salvezza.
          Riferimenti all’eucaristia e alla Chiesa sono molto evidenti: Beato sei tu, luogo poiché nessuno ha visto ciò che tu vedesti, né lo vedrà: il nostro Signore che si fece vero altare, sacerdote, pane e coppa della salvezza… Altare e agnello, sacrificio e sacrificatore, sacerdote e cibo (10)[6].

          Inno V. È un inno attorno alla crocefissione di Cristo e concretamente un contemplare la sua croce. La cristologia che in esso troviamo è tipicamente efremiana, cioè fatta da contrasti tra la grandezza e la piccolezza, riprendendo 2Cor 8,9, e Fil 2,9.
1.Rimasero svergognati i crocifissori che lo fecero
montare[7] sul legno glorioso rivestito di simboli.
Lui che così spesso si fa esseri sublimi dai lampi,
e un carro di raggi di luce,
come quel carro dei cherubini cinto di folgori.
Benedetto Colui che aggiogò cherubini e astri:
le loro briglie stanno al suo cenno.
          Per Efrem la croce di Cristo è piena di simboli della sua umanità e della sua divinità: sul legno glorioso rivestito di simboli. Riguardo poi al legno sul quale lo fecero montare, quel legno è la causa della misericordia (3). La croce per Efrem è il carro dei cherubini su cui Cristo è assiso, montato.

6. La tunica che non lacerarono è il grande simbolo della fede:
gli apostoli la distesero nel mondo senza lacerarla.
Le altre vesti che furono divise
hanno indicato le divisioni e gli scismi trovati nel suo gregge.
Il simbolo della tunica plaude i saldi;
i divisi sono stati accusati dalle sue vesti.
Per Efrem la tunica non lacerata di Cristo è simbolo e della fede e della Chiesa che non si lacerano mai: La tunica che non lacerarono è il grande simbolo della fede: gli apostoli la distesero nel mondo senza lacerarla. Le eresie ed gli scismi sono altre tuniche, ma non quella di Cristo.

7. Quando, infuriati, lo misero in mezzo ai briganti,
indicarono sé stessi.
Quello alla sinistra è il loro simbolo: in lui sono abbandonati
poiché Cristo ha scelto i popoli accorsi a rifugiarsi nella sua crocefissione,
come l’altro brigante che depredò nostro Signore.
Il suo Signore lo vide affamato, aprì il proprio scrigno davanti a lui,
ed egli depredando, ne prese le promesse.
Molto bello il tema sviluppato in questa strofa: il buon ladrone che ruba il dono di Cristo, lo depreda: Il suo Signore lo vide affamato, aprì il proprio scrigno davanti a lui, ed egli depredando, ne prese le promesse. Il ladrone buono sembra appartenere, secondo Efrem, ai popoli accorsi a Cristo: Cristo ha scelto i popoli accorsi a rifugiarsi nella sua crocefissione, come l’altro brigante che depredò nostro Signore.
Per Efrem l’eresia è amara come il fiele e per questo il Signore nella croce non ne bevete: I libri menzogneri ad ogni riga vomitano morte e i loro trattati sono preparati con fiele. Poiché il nostro Signore non gustò l’aceto della spugna, non gustate il fiele delle dottrine.

          Offro quindi in queste pagine una prima lettura degli inni di Efrem, nella speranza di avviare il lettore ad una lettura completa nel loro insieme.



[1]Efrem il Siro, Inni Pasquali, introduzione, traduzione e note di Ignazio De Francesco, Paoline, Milano 2001.
[2]L’antica legge non viene mai disprezzata né annullata, ma ha il suo compimento in Cristo. Essa deve crescere, maturare in qualche modo, per arrivare alla pienezza di Cristo.
[3]Il termine siriaco “vigilanti”, cioè “coloro che non dormono, coloro che vegliano” è applicato sia agli angeli che ai monaci.
[4]Il catino della lavanda dei piedi è anche la vasca battesimale.
[5]Giovanni Crisostomo nelle omelie sul sacerdozio, parlerà del vescovo come “madre” che genera figli nel battesimo, cioè battezzando loro lui stesso, diventa la madre che genera loro a una vita nuova.
[6]Notevole la somiglianza con la preghiera dell’inno Cherubikon nella tradizione bizantina: Tu infatti, o Cristo Dio nostro, sei l'offerente e l'offerto, sei colui che riceve i doni, e che in dono si dà… Συ γαρ ει ο προσφρων και προσφερμενος και προσδεχμενος και διαδιδμενος, Χριστ ο Θες ημν
[7]I. De Francesco, nella nota 4 a p. 287 della traduzione, fa notare come il termine da lui tradotto come “montare” indica non tanto “appendere o essere appeso” alla croce, quando il “salire in groppa” a una cavalcatura, oppure “sedersi alla guida di un carro”. Cioè Cristo “salito” sulla croce, guida il suo popolo.

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