Viaggio di Papa Francesco in
Iraq, 5 a 8 marzo 2021.
Domani inizia il viaggio di papa Francesco in Iraq,
un viaggio desiderato già da papa san Giovanni Paolo II ma sempre rimandato a
causa della situazione politica e strategica di quel paese del Medio Oriente. Un
paese non in pace neppure pacificato da decenni, provato dal terrorismo e dai
regimi politici autoritari e tante volte intolleranti. Un paese teatro di
scontri bellici, terroristici ed economici legati alla grande ricchezza di
quella terra, cioè quella della proprietà e lo sfruttamento degli impianti
petroliferi della zona. Tante volte mi ritorna in mente la frase sentita da
diverse persone dagli anni 90’ del XX secolo in poi: “Se in Iraq non ci
fosse neanche una goccia di petrolio, non ci sarebbe neppure un soldato… in
quella parte del mondo”. Un ritornello risaputo e ripetuto ma sempre vero
nella sua drammaticità ancora nei nostri giorni.
Domani inizia la visita di papa Francesco in questo
paese martoriato da guerre infinite, macchiato drammaticamente dal sangue e dal
petrolio, dagli interessi e dalle bugie internazionali, dalla volontà di
ripresa e dal continuo essere buttato nel baratro della rovina, un paese
comunque sempre amato dal Signore che ha voluto sigillare -o se vogliamo dire anche
Lui macchiare- col dono della fede cristiana e dello Spirito Santo gli uomini e
le donne di quella terra, in cui il Signore stesso avrebbe potuto nella propria
lingua materna annunciare il Vangelo. Una terra dove uomini e donne, bambini e
anziani che hanno riso e pianto, lodato e sofferto in quella lingua siriaca/aramaica
testimoniata dal Suo grido sofferente ed abbandonato sulla Croce, al canto
poetico e teologico di Sant’Efrem, di quel poeta teologo che nel IV secolo
cantò e spinse a cantare la sua fede cristiana quel popolo pure lui un popolo con
animo di poeta e di teologo.
Domani inizia la visita di papa Francesco in Iraq,
visita ai cristiani oriundi di quelle terre, assiri e caldei, siro ortodossi e
siro cattolici, terre e genti già cristiane agli albori del secondo secolo dopo
Cristo. Visita, inoltre, a tanti altri cristiani, maroniti, armeni, bizantini e
latini, e membri di altre confessioni cristiane che lungo i secoli hanno
trovato dimora in quei luoghi che sono cristiani già dall’inizio della
predicazione del Vangelo, luoghi cristiani che vanno dai cuori degli uomini e le
donne, direi fino alla sabbia calpestata dai loro piedi. Sabbia “cristiana”
calpestata da pellegrini, da monaci ed eremiti, da commercianti, e purtroppo
anche da eserciti e soldati vittoriosi o sconfitti. Sabbia calpestata nella
fretta e nella corsa da tanti e tanti cristiani perseguitati negli ultimi
decenni e forzati ad abbandonare case e terre, chiese e famiglie, e fuggire, cristiani
marchiati da una lettera, quella “n”, ma che nei loro cuori si sapevano sempre segnati
e benedetti dalla Croce di Cristo. Sabbia calpestata infine dai passi stanchi
ma fiduciosi di tanti e tanti cristiani che sulle loro stesse orme su quella sabbia,
stanno ritornando per riprendere sì le loro proprietà, ma soprattutto la loro
vita. Una vita cristiana e quindi sempre fraterna, accogliente, generosa.
Domani inizia la visita di papa Francesco in Iraq
dove troverà Chiese cristiane antichissime e con un patrimonio storico, teologico
e liturgico unico nel loro genere, Chiese che oggi soffrono le divisioni, quelle
confessionali di fronte alle Chiese sorelle della propria tradizione, ma anche divisioni
nel loro interno, frutto di tensioni, incomprensioni e magari maldicenze. Nella
speranza, nel cuore del papa e di tanti e tanti pastori cristiani che la visita
sia -o magari fosse!- un momento di riconciliazione e di ripresa, per ritrovare
nelle proprie radici storiche, teologiche e spirituali, quella linfa spirituale
e quella sabbia sotto i piedi che li unisce, sabbia calpestata dai loro padri e
che li fa un solo popolo del Signore, e insisto un solo popolo consolidato sulle
proprie radici storiche, teologiche e spirituali.
Domani inizia la visita di papa Francesco in Iraq
dove, lui come papa, pastore e vescovo della Chiesa di Roma, che presiede nella
carità tutte le Chiese cristiane, concelebrerà una liturgia in rito caldeo, in
quella tradizione antichissima e venerabilissima che ha nel suo patrimonio
liturgico, e oserei dire nella sua linfa cristiana, uno dei testi eucologici
più arcaici e preziosi tra le Chiese Orientali. Penso all’anafora di Addai e
Mari, quella “perla” unica tra i testi cristiani antichi, quella preghiera
eucaristica tra le più primitive, in lingua siriaca, testo per la sua arcaicità
e brevità oggetto di studi, discussioni e proposte, ma sempre un testo non
soltanto antico e venerabile, ma usato fino ai nostri giorni da tante Chiese di
tradizione siro-orientale dal Medio Oriente fino all’India. Nel solco di quella
tradizione teologica e spirituale unica, che unisce e non divide, la
celebrazione eucaristica caldea con l’anafora di Addai e Mari sarebbe stato un
segno forte, un messaggio chiaro dato a tutta la Chiesa Caldea e alle altre
Chiese Orientali cattoliche e ortodosse, di amore, di rispetto e di vincolo con
la propria tradizione ecclesiale. Una liturgia, nel solco della tradizione
della Chiesa siro-orientale, concelebrata dal Papa e dal patriarca caldeo, che sarebbe
stata un’occasione unica, un momento di grazia per mostrare come una Chiesa
cristiana ha pregato lungo i secoli e prega tuttora con un testo appunto venerabile
ed antico, un testo che nell’invocazione dello Spirito Santo sui doni del pane
e del vino e sui fedeli, tutti i fedeli di quella Chiesa e quella terra
martoriata, li mostra e fa vedere al mondo come vero Corpo e Sangue del
Signore.
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