“Benedetto
vescovo, emerito di Roma”. A proposito della rinuncia di Benedetto XVI.
Otto
anni dopo le dimissioni di papa Benedetto XVI l’11 febbraio 2013, escono ancora
oggi articoli e commenti su quel fatto che scombussolò e scosse se non altro la
vita della Chiesa Cattolica, articoli e commenti con delle valutazioni
ecclesiologiche e soprattutto canoniche molto diverse, valutazioni e opinioni
che nella sua maggioranza ne sottolineano direi la validità, mentre altre
puntano ancora sull’eventuale invalidità canonica di tale decisione. Tutte le
opinioni concordano, comunque, sulla necessità di dare e stabilire alcuni
parametri canonici in vista del futuro, per questa situazione nuova nella
Chiesa. Qualcuno dirà forse che queste mie brevi pagine sono semplicemente un
“bel esercizio mentale”. Forse… Vogliono essere comunque, senza pretese, una
riflessione ecclesiale ed ecclesiologica.
Premetto
per prima cosa che non sono canonista; e poi per quello che mi risulta, non
esiste una legislazione precisa sulla rinuncia di un papa, sul come debba o
possa avvenire, e soprattutto sullo status e situazione di colui che,
rinunciando al ministero episcopale a Roma, diventa “emerito”. Soltanto il
canone 332.2 del CIC accenna alla rinuncia del papa, che deve essere fatta
nella libertà e manifestata pubblicamente. In più siamo di fronte alla scelta del
titolo da dare a questo “emerito”, titolo che ancora bisogna precisare bene: se
“papa oppure vescovo di Roma emerito”, o altri titoli più imprecisi ancora nel
momento attuale: “papa emerito ridiventato cardinale…”, proponeva qualcuno. La
dicitura può essere varia e dovranno essere non soltanto i canonisti ma anche i
teologi che -e questo credo che sia necessario farlo nell’immediato futuro per
evitare altri equivoci-, dovranno appunto redigere delle norme canoniche su
questa situazione diciamo “nuova”, ed anche sui titoli da dare ad essa, titoli
che ne chiariscano il fatto e non creino ulteriore confusione.
Sembra
che papa Pio XII avesse contemplato una sua eventuale rinuncia in diversi
momenti del suo pontificato, sia verso la fine della sua vita, quando anziano e
malato non si sentiva con le forze necessarie a svolgere il suo ministero, sia
specialmente durante la Seconda guerra mondiale e nel periodo in cui Roma era
stata occupata dai soldati tedeschi e quindi incombeva il pericolo reale di un
sequestro del papa da parte dell’esercito occupante. Non ho consultato gli
archivi e non so se esista o no un vero e proprio “testamento” o delle disposizioni
al riguardo da parte di papa Pacelli, ma dalla lettura di biografie e memorie
di ecclesiastici che furono presenti a Roma in quel periodo storico, sembra che
il papa avesse detto ai suoi più immediati collaboratori che, nel caso in cui
le truppe tedesche sequestrassero il papa, queste si troverebbero di fronte, cioè
avrebbero in mano, “non Pio XII ma il cardinale Pacelli”. Il papa contemplava
forse il divenire quasi “automatico” della sua rinuncia e dello scadere del suo
ministero apostolico come vescovo di Roma e papa, ed un “ritorno / ritrovarsi”
ad essere soltanto cardinale di Santa Romana Chiesa, nel caso di un suo
sequestro e quindi della perdita della sua libertà nell’esercitare il suo
ministero come vescovo di Roma? Dalla sua frase sopra citata, sembrerebbe che
lui contemplasse appunto questo suo ritorno nel collegio dei cardinali.
Altre
situazioni di possibili rinunce papali per malattia o incapacità fisica o
mentale, pare siano state contemplate sia da Paolo VI che da Giovanni Paolo II.
Sembra infatti che ambedue i papi, oggi santi, prospettassero la possibilità di
una loro rinuncia, soprattutto nel caso di gravi malattie fisiche o mentali che
ne impedissero la libertà e la lucidità mentale nell’esercizio nel loro
ministero episcopale a Roma.
La
domanda che ci poniamo è: con quale titolo e soprattutto con quale ruolo e
situazione ecclesiale si dovrebbe trovare o presentare colui che diventa “vescovo
emerito” nella sede romana? Pio XII sembra che prevedesse, come abbiamo visto e
per quel poco che si sa, un “ritorno” automatico al cardinalato nel caso di una
sua eventuale rinuncia o impedimento grave per poter svolgere il suo ministero.
Non mi risulta poi quale “soluzione” avessero contemplato per questa
eventualità sia Paolo VI sia Giovanni Paolo II.
Avvenuta poi
la rinuncia di papa Benedetto XVI, è stato deciso in linea di massima di
adoperare il titolo o la forma di “papa emerito / sommo pontefice emerito”,
benché personalmente suggerirei la forma forse più precisa di “Benedetto vescovo
emerito di Roma”. Nel “già pronto per la stampa” -mi si permetta questa
espressione- “De funere Summi Pontificis emeriti”, cioè il rituale per
le esequie del sommo pontefice emerito, vediamo che nel titolo si è preferita la
forma “sommo pontefice emerito”, e nei testi liturgici all’interno di questa
celebrazione si adopera -e qua per rigore scientifico dico che cito soltanto il
ricordo che ho a partire dalle bozze alla cui redazione ho collaborato tempo fa,
e non il testo definitivo che non ho visto-, si adoperano i titoli di “papa
emerito” oppure “vescovo emerito”.
Quindi a
livello di titolo, credo sia da preferire quello di “N. vescovo emerito di
Roma”, oppure qualcuno suggeriva “N. vescovo emerito di Roma e papa” per
sottolineare il ruolo di “papa” che per la stragrande maggioranza del popolo
fedele ha il vescovo di Roma. Infatti, la dimensione di giurisdizione
universale che ha ed esercita il papa, ce l’ha e l’esercita appunto in quanto è
vescovo di Roma. I titoli che fino ai nostri giorni ha il vescovo di Roma
-Vicario di Cristo, Sommo Pontefice, Papa-, sono titoli strettamente legati
appunto al suo essere in primo luogo vescovo, e quindi vescovo di Roma in modo
speciale. È evidente che il “papato”, il “sommo pontificato” fanno parte di
questo suo essere vescovo, e vescovo di Roma. Comunque, non dimentichiamo che ogni
vescovo è vicario di Cristo per la sua Chiesa -come lo è anche ogni abate nel
suo monastero, come afferma San Benedetto nella sua Regola. Ogni vescovo poi è
“pontifex” nella sua Chiesa, specialmente quando annuncia e predica il
Vangelo, quando celebra i Santi Misteri (nella tradizione bizantina ogni
vescovo viene chiamato Δεσπότης -signore, capo di casa- e Aρχιερέας -sommo
sacerdote). Ogni vescovo infine è “papa / padre” nella sua Chiesa, nella
paternità della guida sicura, dell’ascolto, dell’accoglienza, della
misericordia e del perdono. La tradizione dava il titolo di “papa” anche al
vescovo di Cartago, e lo dà ancora al patriarca di Alessandria in Egitto. Questi
diversi “titoli”, dimensioni se si vuole dell’episcopato in tutte le Chiese
cristiane, assumono una appropriazione ed un ruolo speciale nel vescovo di Roma
in quanto la Chiesa Cattolica gli riconosce una missione ed una giurisdizione universale
ed immediata appunto su tutta la Chiesa Cattolica, da Oriente ad Occidente.
Tornando
al tema iniziale di queste pagine: la rinuncia di Benedetto XVI è valida? Oppure
è stata e rimane canonicamente invalida? Direi che nella mancanza odierna di
una legislazione canonica precisa e definitiva su questo punto -oltre al canone
del CIC sopra citato-, ci sono tre aspetti nella Declaratio del 13
febbraio 2013 fatta da papa Benedetto XVI che, secondo me, rendono valida a
tutti gli effetti la sua rinuncia.
In
primo luogo, la rinuncia è avvenuta nella totale libertà, di coscienza e di
fede. Cito il testo della Declaratio: “Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a
Dio (conscientia mea iterum atque iterum coram
Deo explorata), sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per
l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il
ministero petrino… Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con
piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma… (…plena
libertate declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri,
renuntiare…)”. Decisione quindi presa nella libertà,
presa davanti a Dio, presa per il bene della Chiesa.
In
secondo luogo, la rinuncia è avvenuta “in conspectu Ecclesiae Romanae”, cioè
non in una udienza generale bensì di fronte al collegio cardinalizio che, per
il vescovo di Roma ha o dovrebbe avere, non lo dimentichiamo mai, una
dimensione quasi sinodale. Il testo della Declaratio è chiaro
dall’inizio: “Carissimi Fratelli (Fratres carissimi), vi ho convocati
(vos convocavi) a questo
Concistoro… per comunicarvi (communicem) una
decisione di grande importanza per la vita della Chiesa…”. Notiamo
l’importanza ecclesiale che il papa dà alla sua decisione: “Fratelli…,
convocati…, comunicarvi…, per la vita della Chiesa…”.
In
terzo luogo, l’annuncio della rinuncia si conclude con una frase del papa, che dà
alla sua decisione un valore direi chiaramente canonico, legale e definitivo -quasi
fosse tacitamente quel “decernimus / stabiliamo… decretiamo” che
si trova negli atti di canonizzazioni e in altri decreti papali: “Per questo, ben consapevole della
gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al
ministero di Vescovo di Roma, successore di San Pietro, (declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris
Sancti Petri, renuntiare…), a me affidato per mano dei Cardinali il
19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20.00, la sede
di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante (ita
ut a die 28 februarii MMXIII, hora 20, sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet)
e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione
del nuovo Sommo Pontefice”.
Ho evidenziato in grassetto quelle
parole che, secondo me, danno e assicurano la validità canonica ed ecclesiale
della decisione di papa Benedetto XVI, cioè che alle ore 20.00 del 28 febbraio
2013 “…la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante…”, fino
all’elezione di colui che dovrà occuparla. La sede di Roma è stata quindi vacante
dal 28 febbraio fino che è stato eletto il nuovo vescovo di Roma nella persona
del cardinale Jorge Mario Bergoglio, che eletto ha assunto il nome di Francesco.
Colui che occupava la sede romana fino alle ore 20.00 del 28 febbraio, è diventato
emerito non nel suo essere vescovo, ma si nel suo esserlo nella sede di Roma. Quindi
ci poniamo la domanda: gli altri titoli episcopali legati tradizionalmente e
strettamente alla sede romana: Papa, Sommo Pontefice, Vicario di Cristo… rimangono
associati alla sede vacante fino all’elezione del nuovo vescovo di Roma? Direi
di sì, senza ombra di dubbio. Per tanto la frase: “…dichiaro di rinunciare
al ministero di Vescovo di Roma…”, suppone la rinuncia anche al papato e al
sommo pontificato nella sede di Roma e per tutta la Chiesa Cattolica.
Dicevo all’inizio che queste mie brevi pagine possono sembrare semplicemente un “bel esercizio mentale”. Ed è anche vero. Le ritengo comunque se non altro, e senza pretese, una riflessione ecclesiale ed ecclesiologica. Per concludere torno sul titolo da dare a colui che diventa emerito nella sede romana. Proponevo come miglior titolo il: “Benedetto vescovo emerito di Roma”. Aggiungerei comunque una virgola dopo la parola vescovo, per salvaguardare anche nella forma il sacramento dell’episcopato in ogni persona che ne ha ricevuto l’ordinazione. Quindi concludo con la proposta del titolo: “Benedetto vescovo, emerito di Roma”.
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