lunedì 23 dicembre 2024

 

Cristo Emmanuel


Alcune riflessioni nella Vigilia di Natale.

Il giorno 24 dicembre, vigilia del Santo Natale, la tradizione bizantina celebra le Grandi Ore, cioè le normalmente cosiddette “ore minori” di prima, terza, sesta e nona, prendono il titolo di “grandi” o “regali”. “Grandi” perché hanno dei salmi propri e delle letture sia dell’Antico Testamento sia del Nuovo Testamento e queste nei testi paolini e nei vangeli. “Regali” perché in queste Ore, attraverso gli antichi testi dei salmi e dei profeti si annuncia l’incarnazione e la nascita di Colui che è il Verbo eterno di Dio, il Re e Signore.

È un giorno tradizionalmente di digiuno e di preghiera, e soprattutto di annuncio di Colui che oggi –con tanti “oggi, σήμερον, hodie” sparsi nei testi liturgici- nasce, si fa uno di noi, si fa piccolo come noi. Il vangelo dell’ora terza contiene questo versetto: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. La nascita di Cristo è motivo di gioia, ma di una gioia che non è legata a un sentimento o sentimentalismo a fior di pelle, ma legato a un fatto concreto che segnerà tutta la nostra vita come cristiani: “…troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”.

Questo bambino che oggi, con gioia e speranza Maria e Giuseppe depongono in una “mangiatoia”, sarà lo stesso che un altro giorno, un altro “oggi, σήμερον, hodie” verrà deposto in un’altra “mangiatoia”, quel sepolcro che lo custodirà per tre giorni. Un vecchio professore romano quando faceva gli auguri per il Natale amava ripetere: “Buon Natale. Cristo è risorto!”. L’incarnazione del Verbo eterno di Dio ci collega, ci porta già alla sua stessa risurrezione dai morti il terzo giorno. Natale e Pasqua sono strettamente collegati, anche dall’iconografia stessa, orientale e occidentale, che ci mostra il bambino neonato avvolto in fasce e deposto in un sepolcro. Sant’Efrem il siro si compiacerà a “giocare” -sia simbolicamente sia, e soprattutto, teologicamente- con i nomi di Maria e Giuseppe alla nascita di Cristo, e di nuovo Giuseppe e Maria alla sua sepoltura e risurrezione.

Accingiamoci a vivere questo Natale, in primo luogo, con gioia -e non, come accennavo sopra, una gioia superficiale, ma una gioia fondata ed incarnata unicamente in Colui che oggi nasce, oggi si fa piccolo come uno di noi, cammina con noi-, ed anche con fede e speranza. Fede in Colui che con noi cammina, che ci sorregge, che tante e tante volte ci porta sulle spalle di buon Pastore, che non si stanca di farci ricominciare, di spingerci a rialzarci. Speranza che l’annuncio del Vangelo di Cristo porti sì la riconciliazione e la pace in tante e tante parti del nostro mondo martoriato dalla guerra -Ucraina, Terra Santa…-, ma soprattutto speranza che il Vangelo di Cristo metta radici nel profondo del nostro cuore e ci faccia uomini e donne di comunione, di perdono e di riconciliazione. Lasciamo che il Vangelo penetri nel profondo del nostro cuore, di ognuno di noi come vescovo, come sacerdoti, come suore, come fedeli laici, e ci faccia veramente cristiani, e insisto uomini di comunione, di perdono e di riconciliazione. Evangelizzato il nostro cuore, potremo evangelizzare anche gli altri.

“…troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. Chiediamo a questo Bambino fasciato e deposto nella mangiatoia che ci faccia vivere sempre come uomini del Vangelo, di comunione, di perdono e di riconciliazione.

Buon Natale. Cristo è Risorto!

+P. Manuel Nin

Esarca Apostolico


giovedì 5 dicembre 2024

 


Icona del Natale

Cattedrale della Santissima Trinità. Atene

Lettera Pastorale per Natale 2024 ed il Giubileo 2025

         Ai carissimi sacerdoti e fedeli delle tre comunità del nostro Esarcato Apostolico, ad Atene, a Giannitsà, a Kifissià e a Nea Makri, greci, ucraini e caldei. Quest’anno, la mia lettera pastorale per il Natale è una mia riflessione sul Grande Giubileo che ci accingiamo ad iniziare.

“«Spes non confundit», «la speranza non delude» (Rm 5,5). Nel segno della speranza l’apostolo Paolo infonde coraggio alla comunità cristiana di Roma. La speranza è anche il messaggio centrale del prossimo Giubileo, che secondo antica tradizione il Papa indice ogni venticinque anni”.

Questo testo introduce la bolla con cui Papa Francesco ha indetto l’Anno Santo del 2025. E con questa mia lettera pastorale desidero aiutarvi a preparare la celebrazione di questo Giubileo. Sarà un periodo, un anno, con delle celebrazioni speciali, ma soprattutto dovrebbe essere un anno in cui riscopriamo in modo speciale la nostra vita in Cristo e la nostra appartenenza ecclesiale al Corpo di Cristo che per noi è la Chiesa Cattolica di tradizione bizantina in Grecia. Queste mie riflessioni attorno al Giubileo, saranno anche la lettera pastorale per il Natale di quest’anno 2024.

         Storia.

Il Giubileo, che comunemente viene conosciuto anche come "Anno santo", è un periodo normalmente di un anno in cui la Chiesa Cattolica propone ai suoi fedeli di celebrare in modo speciale, in modo più intenso, qualche aspetto della professione di fede. È stato istituito infatti per consolidare la fede, favorire le opere di solidarietà e la comunione fraterna all'interno della Chiesa e nella società, richiamare e stimolare i credenti ad una più sincera e coerente professione di fede in Cristo unico Salvatore.

Il Giubileo può essere: ordinario, se legato a scadenze prestabilite; straordinario, se viene indetto per qualche avvenimento di particolare importanza. Il primo Giubileo ordinario fu indetto nel 1300 da Papa Bonifacio VIII, e ne fu occasione il desiderio di spiritualità, di perdono, di fratellanza che si stava diffondendo in tutta la cristianità in contrapposizione agli odi e alle violenze dominanti in quell'epoca. La prassi attuale nella Chiesa Cattolica è di indire un Anno Santo con la scadenza di ogni venticinque anni.

         Riflessioni sul Giubileo.

         Cosa vuol, dire celebrare il Giubileo? Celebrare il Giubileo vorrà dire per noi cristiani appartenenti alla Chiesa Cattolica, rimettere in primo piano quello che dovrebbe essere consuetudine ogni giorno della nostra vita come battezzati: la nostra vita in Cristo, il nostro vivere quotidiano come cristiani. Vita in Cristo che per noi vuole dire una vita di preghiera, personale ed ecclesiale e comunitaria; una partecipazione assidua ai sacramenti, che sono fonte di salvezza e di vita nuova per noi.

         Ritrovare anche e rinnovare la nostra vita secondo il Vangelo. Questo vorrà dire per noi sì un frequentare il Vangelo nella sua lettura, nel suo ascolto, ma anche configurare la nostra vita secondo i comandamenti del Vangelo di Cristo: dall’amore al prossimo, all’altro, al nemico -il Vangelo ci è sempre molto esigente-; e da questo amore evangelico ne nasce, ne sgorga anche il perdono, fino a settanta volte sette come ci insegna lo stesso Vangelo. Quindi il Giubileo anche come momento di perdono e quindi anche di riconciliazione con gli altri, con il fratello.

         Ritrovare e rinnovare la nostra vita come Chiesa Orientale Cattolica. La nostra appartenenza ecclesiale non dovrebbe essere mai una sorta di “tessera” che ci vincola, ci accomuna ad un gruppo umano o sociale, bensì l’appartenenza a una Chiesa che è Corpo di Cristo. Il nostro essere orientali cattolici vorrà dire vivere nella gioia e nell’impegno l’appartenere a una Chiesa che in Grecia è piccola e non sempre con un percorso facile, ma una Chiesa viva e che vive in questa nostra realtà sociale in cui vogliamo annunciare il Vangelo. Una Chiesa che ha una presenza etnica assai diversa -greci, ucraini e caldei-, che dovrà essere sempre per noi una grande ricchezza umana, spirituale ed ecclesiale. Le differenze di lingua, di provenienza nazionale o etnica, non sono mai un motivo di separazione o di divisione -guai se lo fossero!-, ma un motivo di fierezza nel nostro vivere come Chiesa Cattolica.

         Celebrazioni giubilari.

         Inizieremo il Giubileo la domenica 29 dicembre 2024, con una Divina Liturgia celebrata nella cattedrale della Santissima Trinità, presenti le tre comunità dell’Esarcato: greci, ucraini e caldei. La Divina Liturgia sarà preceduta da una processione attorno alla chiesa cattedrale che si concluderà con l’ingresso nella chiesa. Sarà una processione che faremo attorno a una chiesa fisica, la cattedrale della Santissima Trinità, ma simbolicamente il camminare, peregrinare attorno alla nostra cattedrale metterà in rilievo il nostro vincolo, di tutti: clero e laici, con la nostra Chiesa Orientale Cattolica che è in Grecia, una chiesa che non è soltanto greca, ma anche ucraina e caldea. Insisto su questo fatto perché tocca il nostro essere cristiani, come clero e come laici.

         Il testo di san Paolo nella lettera ai Galati 3,28: “Non c'è giudeo né greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”, è un testo fondamentale per tutti noi cristiani, un testo che ci fa sentire veramente cattolici. Ma vi propongo anche, per viverlo a fondo e in modo vero, e di capovolgerlo e dire che da noi ci sono greci, ucraini, caldei, e che questo fatto, questa diversità, vissuta sempre nell’amore del Vangelo, ci fa sentire veramente cattolici. Essere cattolici, essere membra del Corpo di Cristo che è la Chiesa Cattolica è veramente arricchente ed anche bello. Ed è anche impegnativo.

         Il Giubileo dovrà farci -farci riscoprire perché lo siamo dal battesimo-, uomini e donne di comunione, di amore, di speranza e di gioia. Viviamo la gioia che ci viene dalla risurrezione di Cristo. Allontaniamo -iniziando da quest’anno giubilare- dal nostro cuore la tristezza, l’ammarezza, la lamentazione che sono cose che oscurano e distruggono la bellezza del nostro cuore cristiano ed umano.

         Impegni giubilari.

         Cosa vogliamo, aspettiamo dal Giubileo 2025? Faremo sicuramente delle attività, degli incontri, dei pellegrinaggi, e questi sono dei fatti in sé buoni che ci configureranno e ci faranno presenti a noi stessi e agli altri come Chiesa Cattolica. Essere presenti in Grecia è importante, fondamentale, ma lo è anche essere presenti a noi stessi, mai vergognarci e nascondersi per quello che siamo e viviamo come Chiesa, malgrado le difficoltà, le contradizioni, le sofferenze. Incoraggio i sacerdoti delle tre comunità dell’Esarcato a pensare e portare a termine delle attività che coinvolgano ognuna di esse ed anche, questo è importante, assieme agli altri. In modo speciale propongo alla nostra Chiesa di riflettere in questo inizio del Giubileo, come essere e vivere come:

         Uomini e donne di comunione

         Uomini e donne di Vangelo.

         Uomini e donne di riconciliazione e di perdono.

         Uomini e donne aperti ogni giorno a lasciarsi “evangelizzare” il nostro cuore.

         Se questi aspetti li vivremo, il Giubileo avrà avuto senso per ognuno di noi, sacerdoti e fedeli, greci, ucraini e caldei, appartenenti all’Esarcato Apostolico per i Cattolici di tradizione bizantina in Grecia.

         Vi benedico e benedico il vostro cammino giubilare.

         +P. Manuel Nin

         Esarca Apostolico

 

Ποιμαντική επιστολή για τα Χριστούγεννα 2024 και το Ιωβηλαίο 2025

         Προς τους αγαπητούς ιερείς και πιστούς των τριών κοινοτήτων της Αποστολικής μας Εξαρχίας, Ελλήνων, Ουκρανών και Χαλδαίων στην Αθήνα, τα Γιαννιτσά, την Κηφισιά και τη Νέα Μάκρη. Φέτος, η ποιμαντική μου επιστολή για τα Χριστούγεννα είναι η πρόταση μου για το Μεγάλο Ιωβηλαίο που πρόκειται να ξεκινήσουμε.

«Spes non confundit», « δ λπς ο καταισχύνει » (Ρωμ. 5:5). Ως σημάδι ελπίδας, ο Απόστολος Παύλος ενθαρρύνει χριστιανική κοινότητα της Ρώμης. Η ελπίδα είναι επίσης το κεντρικό μήνυμα του επόμενου Ιωβηλαίου, το οποίο σύμφωνα με την αρχαία παράδοση ο Πάπας αναγγέλλει κάθε είκοσι πέντε χρόνια.

Το κείμενο που παρέθεσα εισάγει τη παπική βούλα με την οποία ο Πάπας Φραγκίσκος ανακήρυξε του Ιερό Έτος 2025. Και με αυτή την ποιμαντική επιστολή μου θα ήθελα να σας βοηθήσω να προετοιμαστείτε για τον εορτασμό αυτού του Ιωβηλαίου. Θα είναι μια περίοδος, ένα έτος, με ιδιαίτερες λειτουργίες και τελετές, αλλά πάνω απ' όλα θα πρέπει να είναι ένα έτος στο οποίο θα ξαναανακαλύψουμε με ιδιαίτερο τρόπο την εν Χριστώ ζωή μας και την εκκλησιαστική μας συμμετοχή στο Σώμα του Χριστού, η οποία για εμάς είναι η Καθολική Εκκλησία βυζαντινού ρυθμού στην Ελλάδα. Αυτές οι σκέψεις μου γύρω από το Ιωβηλαίο θα είναι επίσης η ποιμαντική επιστολή για τα Χριστούγεννα του τρέχοντος έτους 2024.

         Ιστορία.

Το Ιωβηλαίο, επίσης κοινώς γνωστό ως «Ιερό Έτος», είναι μια περίοδος που διαρκεί συνήθως ένα έτος, κατά τη διάρκεια του οποίου η Καθολική Εκκλησία προτείνει στους πιστούς της να γιορτάσουν με τρόπο ιδιαίτερο, με τρόπο πιο έντονο, κάποια πτυχή της ομολογίας της πίστεως. Πράγματι θεσμοθετήθηκε για να εδραιώσει την πίστη, να ευνοήσει έργα αλληλεγγύης και αδελφικής κοινωνίας εντός της Εκκλησίας και των κοινωτήτων, να καλέσει και να παρακινήσει τους πιστούς σε μια πιο ειλικρινή και συνεπή ομολογία πίστης στον Χριστό, μόνο Σωτήρα.

Το Ιωβηλαίο μπορεί να είναι: τακτικό, δηλαδή ανά καθορισμένα χρονικά διαστήματα εάν συνδέεται με προκαθορισμένες προθεσμίες* έκτακτη, αν προκηρυχθεί για κάποιο ιδιαίτερης σημασίας γεγονός. Το πρώτο τακτικό Ιωβηλαίο ανακηρύχθηκε το 1300 από τον Πάπα Βονιφάτιο Η ́ και η αφορμή ήταν η επιθυμία για πνευματικότητα, συγχώρεση και αδελφοσύνη που εξαπλωνόταν σε όλο τον Χριστιανικό κόσμο σε αντιπαράθεση με το μίσος και τη βία που κυριαρχούσαν εκείνη την εποχή. Η τρέχουσα πρακτική στην Καθολική Εκκλησία είναι να ανακηρύττεται ένα Ιερό Έτος με το πέρασμα και κλείσιμο κάθε είκοσι πέντε χρόνών.

         Σκέψεις περί του Ιωβηλαίου.

         Τι σημαίνει να γιορτάζουμε το Ιωβηλαίο; Ο εορτασμός του Ιωβηλαίου θα σημάνει για εμάς τους Χριστιανούς που ανήκουμε στην Καθολική Εκκλησία, να επαναφέρουμε στο προσκήνιο αυτό που θα έπρεπε να είθισται στη ζωή μας ως βαπτισμένοι κάθε μέρα: την εν Χριστώ ζωή μας, την καθημερινή μας ζωή ως Χριστιανοί. Ζωή εν Χριστώ που για μας σημαίνει ζωή προσευχής, ζωή προσωπικής και εκκλησιαστικής και συλλογικής προσευχής*  σημαίνει επιμελής συμμετοχή στα μυστήρια, που είναι η πηγή σωτηρίας και νέας ζωής για μας.

         Να ξαναβρούμε και να ανανεώσουμε την κατά Ευαγγέλιο ζωή μας. Αυτό για εμάς θα σημαίνει μεν να «επισκεπτόμαστε» το Ευαγγέλιο διαβάζοντάς το, ακούγοντάς το, αλλά και διαμορφώνοντας δε τη ζωή μας σύμφωνα με τις εντολές του Ευαγγελίου του Χριστού: ξεκινώντας από την αγάπη για τον πλησίον, και φτάνοντας μέχρι την αγάπη για τον άλλο, για τον εχθρό – το Ευαγγέλιο είναι πάντα πολύ απαιτητικό από εμάς* και από αυτή την ευαγγελική αγάπη γεννιέται, πηγάζει και η συγχώρεση, μέχρι εβδομήντα φορές επτά, όπως μας διδάσκει το ίδιο το Ευαγγέλιο. Επομένως, το Ιωβηλαίο – σαν στιγμή συγχώρεσης και επομένως και συμφιλίωσης με τους άλλους, με τον αδελφό, τον συγγενή μας.

         Να ξαναβρούμε και να ανανεώσουμε  τη ζωή μας ως Ανατολική Καθολική Εκκλησία. Η εκκλησιαστική μας συμμετοχή δεν θα έπρεπε να είναι ποτέ να είναι ένα είδος «δελτίου» που μας δεσμεύει, που μας κάνει όμοιους με μια ανθρώπινη ομάδα η κοινότητα, παρά να είναι συμμετοχή στην - και κοινωνία με – Εκκλησία που είναι Σώμα Χριστού. Το να είμαστε Ανατολικοί Καθολικοί θα σημαίνει να ζούμε με χαρά και δέσμευση αυτό το να ανήκουμε σε μια Εκκλησία που στην Ελλάδα είναι μικρή και δεν έχει πάντοτε μια εύκολη πορεία, αλλά σε μια Εκκλησία που είναι ζωντανή και ζει σε αυτή την κοινωνική μας πραγματικότητα στην οποία θέλουμε να κηρύξουμε το Ευαγγέλιο. Μια Εκκλησία που χαίρει ποίκιλης εθνικής παρουσίας - Έλληνες, Ουκρανοί και Χαλδαίοι - η οποία πρέπει πάντα να είναι ένας μεγάλος ανθρώπινος, πνευματικός και εκκλησιαστικός θησαυρός για εμάς. Οι διαφορές στις γλώσσα, στην εθνική ή πολιτισμική καταγωγή, δεν αποτελούν ποτέ λόγο διαχωρισμού ή διαίρεσης -αλίμονο αν ήταν-, αλλά λόγο υπερηφάνειας για τη ζωή μας ως Καθολική Εκκλησία.

         Εορτασμοί Ιωβηλαίου.

         Θα ξεκινήσουμε το Ιωβηλαίο την Κυριακή 29 Δεκεμβρίου 2024, με τη Θεία Λειτουργία στον Καθεδρικό Ναό της Αγίας Τριάδας, με την παρουσία των τριών κοινοτήτων της Εξαρχίας: Ελλήνων, Ουκρανών και Χαλδαίων. Της Θείας Λειτουργίας θα προηγηθεί λιτανεία γύρω από τον καθεδρικό ναό, η οποία θα καταλήξει στην είσοδο του ναού. Θα είναι μια λιτανεία που θα κάνουμε γύρω από έναν φυσικό «υλικό», τον Καθεδρικό Ναό της Αγίας Τριάδας, αλλά συμβολικά η πορεία γύρω από τον καθεδρικό μας ναό θα τονίσει τον δεσμό όλων μας: κληρικών και λαϊκών, με την Ανατολική Καθολική Εκκλησία μας που βρίσκεται στην Ελλάδα, μια εκκλησία που δεν είναι μόνο ελληνική, αλλά και ουκρανική και χαλδαϊκή. Επιμένω σε αυτό το γεγονός, διότι επηρεάζει το γεγονός ότι είμαστε χριστιανοί, ως κληρικοί και ως λαϊκοί.

         Το κείμενο του Αποστόλου Παύλου στην επιστολή προς Γαλάτες 3, 28: «οκ νι ουδαος οδ λλην, οκ νι δολος οδ λεύθερος, οκ νι ρσεν κα θλυ· πάντες γρ μες ες στε ν Χριστ ησο», είναι ένα θεμελιώδες για όλους εμάς τους Χριστιανούς, ένα κείμενο που μας κάνει να νιώθουμε πραγματικά Καθολικοί. Αλλά σας προτείνω επίσης, για να το ζήσετε βαθιά και με αληθινό τρόπο, να το γυρίσετε ανάποδα και να πείτε ότι στη χώρα μας υπάρχουν Έλληνες, Ουκρανοί, Χαλδαίοι και ότι αυτό το γεγονός, αυτή η ποικιλομορφία, που βιώνεται πάντα στην αγάπη του Ευαγγελίου, μας κάνει να νιώθουμε αληθινά Καθολικοί. Το να είσαι Καθολικός, να είσαι μέλος του Σώματος του Χριστού που είναι η Καθολική Εκκλησία είναι πραγματικά εμπλουτιστικό και επίσης όμορφο. Αλλά είναι και απαιτητικό.

         Το Ιωβηλαίο πρέπει να μας καταστήσει – να το ανακαλύψουμε ξανά διότι είμαστε αυτό από τη στιγμή της βάπτισης – άνδρες και γυναίκες συν-κοινωνούς και συν-μέτοχους της αγάπης, της ελπίδας και της χαράς. Ας βιώσουμε τη χαρά προερχόμενη σε μας από την ανάσταση του Χριστού. Ας απομακρύνουμε – ξεκινώντας από αυτό το ιωβηλαίο έτος - απο την καρδιά μας τη θλίψη, την πικρία, τον θρήνο που είναι πράγματα που συσκοτίζουν και καταστρέφουν την ομορφιά της χριστιανικής και ανθρώπινης καρδιάς μας.

         Ιωβηλαίες δεσμεύσεις.

         Τι θέλουμε, τι περιμένουμε από το Ιωβηλαίο του 2025; Σίγουρα θα κάνουμε δραστηριότητες, συναντήσεις, προσκυνήματα, και αυτά από μόνα τους είναι καλά, θα μας διαμορφώσουν και θα μας παρουσιάσουν στους εαυτούς μας και στους άλλους ως Καθολική Εκκλησία. Το να είμαστε παρόντες στην Ελλάδα είναι σημαντικό, θεμελιώδες, αλλά το ίδιο είναι να είμαστε παρόντες στον εαυτό μας, ποτέ να μην ντρεπόμαστε και να κρυβόμαστε γι' αυτό που είμαστε και ζούμε ως Εκκλησία, παρά τις δυσκολίες, τις αντιφάσεις, τα βάσανα.

Ενθαρρύνω τους ιερείς των τριών κοινοτήτων της Εξαρχίας να σκεφτούν και να πραγματοποιήσουν δραστηριότητες που θα συμπεριλάβουν καθεμία από αυτές και επίσης - είναι σημαντικό - μαζί με τους άλλους. Με ιδιαίτερο τρόπο, προτείνω στην Εκκλησία μας να προβληματιστεί σε αυτή την έναρξη του Ιωβηλαίου, πώς να είναι και να ζει ως:

         Άνδρες και γυναίκες της κοινωνίας.

         Άνδρες και γυναίκες του Ευαγγελίου.

         Άνδρες και γυναίκες της συμφιλίωσης και της συγχώρεσης.

Άντρες και γυναίκες που είναι ανοιχτοί καθημερινά στο να επιτρέψουν στην καρδιά μας να «ευαγγελιστεί».

         Αν ζήσουμε αυτές τις τρεις πτυχές, το Ιωβηλαίο θα έχει νόημα για τον καθένα από εμάς, ιερείς και πιστούς, Έλληνες, Ουκρανούς και Χαλδαίους, που ανήκουμε στην Αποστολική Εξαρχία για τους Καθολικούς της βυζαντινής παράδοσης στην Ελλάδα.

         Σας ευλογώ και ευλογώ την πορεία αυτή του Ιωβηλαίου.

         +Π. Εμμανουήλ Νιν

         Αποστολικός Έξαρχος

 

martedì 12 novembre 2024

Comunione degli apostoli
Icona siriaca. XX secolo


Qualche riflessione post sinodale.

Terza riflessione.

Spesso, nei miei corsi nelle università romane, mostrando agli studenti l’icona riprodotta qua sopra, chiedo loro di quale scena o quale icona si tratta. La risposta generale -con qualche notevole eccezione devo dirlo-, è che si tratta dell’icona dell’ultima cena di Gesù con i discepoli il giovedì prima della passione. Prima di qualsiasi smentita da parte mia, chiedo agli studenti di guardarla bene, in dettaglio, e allora qualcuno comincia a riconsiderare la sua risposta perché si accorge che il testo scritto nell’immagine -sia in greco, o in siriaco come nell’esempio che vi propongo in queste pagine- non porta le parole che l’identificherebbero appunto come l’ultima cena, cioè la “cena mistica” come troviamo scritto nelle icone del Grande Giovedì, ma tutt’altro. Inoltre, guardando i volti degli apostoli presenti nell’icona, altri studenti si accorgono che i due primi ai due lati dell’icona sono Pietro e Paolo, facilmente identificabili per le caratteristiche dei loro volti, e questo fatto conferma il non legame dell’icona con la celebrazione di Cristo con i Dodici il giovedì prima della passione. Allora, di fronte agli sguardi tra smarriti e confusi degli studenti, dico loro che si tratta dell’icona della “Comunione degli apostoli”, cioè l’icona di Cristo celebrando con i discepoli i Santi Misteri, nel momento in cui Lui dà loro il suo Corpo ed il suo Sangue. Quindi, questa è un’altra icona che potrebbe rappresentare oppure essere l’icona di un Sinodo dei vescovi.

Qualche nota su questa icona. L’icona di queste pagine è una riproduzione contemporanea fatta a partire da una miniatura che si trova in un manoscritto siriaco del XIII sec., proveniente da Tur Abdin, nell’odierna Turchia. Il testo scritto in siriaco nell’icona recita: “Nostro Signore, comunicando i suoi discepoli con il suo Corpo ed il suo Sangue”, cioè l’immagine rappresenta la celebrazione del Signore -concelebrata dagli apostoli-, nel momento della loro comunione. Notiamo la presenza di Pietro e di Paolo nell’icona, fatto che ne fa -come altre icone in cui sono rappresentati Pietro e Paolo come quella dell’Ascensione, della Pentecoste e della Dormizione della Madre di Dio-, un’icona certamente cristologica ma anche -e specialmente- ecclesiologica. Come accennavo, l’icona ci mostra Cristo stesso celebrando i Santi Misteri -e in altre icone con lo stesso argomento Cristo addirittura indossa i parati liturgici corrispondenti al vescovo-, ed è Cristo stesso che dà agli apostoli la comunione al suo Corpo ed al suo Sangue. Anche nelle celebrazioni della Divina Liturgia nella tradizione bizantina, quando presiede il vescovo è sempre lui, e soltanto lui, che distribuisce, che dà i Santi Misteri anche ai sacerdoti e ai diaconi concelebranti. Il Corpo ed il Sangue di Cristo vengono ricevuti -mai presi bensì ricevuti notiamolo bene, a sottolineare che essi sono un dono- che si riceve da colui, il vescovo, che nella celebrazione fa le veci di Cristo, cioè, fa presente sacramentalmente Colui che è il Pastore della Chiesa ed il vero celebrante.

La comunione degli apostoli come icona per un Sinodo? In riflessioni precedenti parlavo del Sinodo dei vescovi come cammino “con” Cristo e mai senza di Lui. Possiamo parlare anche del Sinodo come celebrazione quasi liturgica, certamente ecclesiologica, e propongo di usare anche il termine “concelebrazione” -parole che in greco inizia anche con la preposizione “σύν”-, in cui Cristo stesso presiede e celebra, ci elargisce la Sua Parola e i suoi Doni, che in questo caso sono la professione di fede, e la comunione ecclesiale che regge tra coloro che concelebriamo questa “liturgia”, e che ci fa “concelebranti… συλλειτουργοί…, ci fa sinodali” con Lui.

Quindi presentata questa possibile terza icona del Sinodo dei vescovi, vi condivido infine tre brevi riflessioni.

Prima riflessioneDurante la celebrazione della seconda sessione dell’Assemblea generale del Sinodo dei vescovi durante il mese di ottobre 2024, alla fine di una conferenza ai monaci benedettini di Sant’Anselmo, un giovane monaco mi chiese cosa io mi aspettassi, alla fine, da questo Sinodo. La mia risposta, inquadrata in una visione del Sinodo spero abbastanza ampia, ha avuto un contenuto per me molto chiaro che ho spiegato a partire da un fatto che considero molto significativo, ed è questo: mentre nel Sinodo del 2023 ben otto vescovi mi chiesero se io fossi “ortodosso”, cioè se appartenevo a una delle Chiese Ortodosse, nel Sinodo del 2024 soltanto due vescovi mi fecero la stessa domanda, ed erano due vescovi arrivati nuovi per questa seconda sessione. E concludevo la mia risposta alla domanda su cosa io mi aspettassi dal Sinodo, in questo modo: …se alla fine di queste due sedute del Sinodo dei vescovi tutti i padri sinodali di tradizione latina sapranno che le Chiese Orientali Cattoliche esistono, e che esse non sono né “Chiese ortodosse” né -mi si consenta l’espressione- soltanto “varianti folcloriche” dentro della Chiesa Cattolica, bensì Chiese vere e proprie, con una gerarchia ben organizzata in patriarcati, arcivescovati maggiori, metropolie, esarcati…, e con una tradizione teologica, liturgica e spirituale, ed anche una disciplina canonica proprie e che le distinguono tra di esse in diverse grandi tradizioni dentro dell’Oriente cristiano, allora il Sinodo sarà valso la pena.

Seconda riflessione. Mi sembra importante, nell’attuale momento ecclesiologico, fare attenzione a non presentare le Conferenze Episcopali nazionali come se fossero una sorta di Chiese sui juris, quasi a ridosso o in parallelo delle Chiese Orientali Cattoliche. Questo porterebbe a una diminuzione o distorsione ecclesiologica ed in fondo sostanziale di quello che siamo le Chiese Orientali Cattoliche ed anche di quello che sono le Conferenze Episcopali nazionali, sviluppatesi soprattutto a partire dal concilio Vaticano II. Quindi una necessaria complementarità tra le due istituzioni certamente sì, evitando eventuali confusioni ecclesiologiche e canoniche.

Terza riflessione. Credo che il Sinodo abbia offerto a noi padri e vescovi delle Chiese Orientali Cattoliche quello spazio dove poter far sentire la nostra voce, il nostro pensiero soprattutto dal punto di vista ecclesiologico. Non dobbiamo avere né paura né soggezione di manifestare -oserei dire con fierezza e con orgoglio- il nostro pensiero teologico ed ecclesiologico -perché ce l’abbiamo un pensiero teologico ed ecclesiologico senz’ombra di dubbio!-, mettendo in evidenza anche i nostri problemi, i nostri dubbi e le nostre sofferenze.

Un’ultima riflessione, come appendice. Il Sinodo ha permesso di mettere in evidenza il ruolo delle Chiese Orientali Cattoliche nel dialogo ecumenico (non vogliamo essere, neppure essere considerati, nel dialogo ecumenico odierno, come il sassolino nella scarpa, oppure dover dire da parte nostra quasi quel “scusate se esistiamo”). Per questo è necessario che i nostri fratelli delle Chiese Ortodosse vedano come la Chiesa Cattolica di tradizione latina conosce, stima, rispetta e ama le Chiese Orientali Cattoliche. Questa dovrebbe essere la vera premessa e la garanzia per un sano ecumenismo. Il rispetto, l’amore ed anche -e soprattutto direi- un’esigente spinta verso di noi stessi, pastori delle Chiese Orientali Cattoliche, affinché siamo e rimaniamo fedeli alle tradizioni ecclesiali a cui apparteniamo, nella comunione della e nella Chiesa Cattolica. Questa sarà una garanzia, una assicurazione di stima e di rispetto anche verso le Chiese Orientali Ortodosse, nell’attesa di quel giorno in cui, saliti “con Cristo… σύν Χριστώ”, sul monte Tabor, parteciperemo all’unica luce divina, all’unico Pane e Calice di salvezza. Sicuri, come afferma sant’Efrem il siro: “…che il Signore ci ascolterà non perché giusti ma perché penitenti”.

 

+P. Manuel Nin

Esarca Apostolico

 

 

giovedì 7 novembre 2024

 

Dormizione della Madre di Dio

G. Dimov. Sofia, XX secolo 

 

Qualche riflessione post sinodale.

Seconda riflessione.

 

La mia prima riflessione post sinodale era sorta attorno all’icona della Madre di Dio Odigitria, che aveva presieduto le sessioni del Sinodo dei vescovi nel 2023 e nel 2024. Ma diverse volte mi sono chiesto quale icona potrebbe diciamo così rappresentare il / un Sinodo dei vescovi? Questa domanda me la sono fatta diverse volte durante le sessioni del Sinodo. Se si trattasse di trovare passi della Sacra Scrittura che possono essere “icone” di un momento sinodale ce ne sono tante: Cristo seduto con i discepoli annunciando loro il Vangelo; Cristo celebrando con i discepoli la moltiplicazione dei pani e dei pesci; Cristo con i tre discepoli sul monte Tabor; Cristo con i Dodici il grande Giovedì quando diede loro, celebrò con e per loro, il suo Corpo ed il suo Sangue; Cristo, ancora con i discepoli scelti, nel Getsemani; Cristo risorto, sempre con i discepoli, sulle rive del lago di Galilea. Queste sarebbero “icone evangeliche” possiamo dire a rafforzare, poggiare, dare contenuto evangelico al cammino sinodale della Chiesa Cattolica. Icone evangeliche sempre con Cristo.

Ma, quale un’icona che mostri veramente quello che sia il Sinodo dei vescovi, come celebrazione ecclesiale e che ne faccia vedere quasi un’incarnazione? Certamente icone ed affreschi che rappresentano i grandi concili ecumenici –soprattutto i due di Nicea del 325 e del 787- ne troviamo diverse. Ma quale icona per “un / il Sinodo dei vescovi”? Oso proporne due: l’icona della Dormizione della Madre di Dio nella festa del 15 agosto, e l’icona della Comunione degli apostoli. E mi soffermo oggi soltanto nella prima.

Di questa icona ne sottolineo qualche tratto cristologico ed ecclesiologico: al centro dell’icona vediamo il corpo della Madre di Dio, sdraiato sul letto funebre, quasi fosse un altare con i Doni eucaristici deposti al disopra. In alto dell’icona, Cristo che riceve nelle sue mani l’anima di Maria, potremo dire riceve la sua offerta, e attorno a Cristo i Dodici apostoli, radunati da tutto il mondo. Due aspetti fondamentali: Cristo nel centro a presiedere, a celebrare, e attorno a lui i Dodici radunati miracolosamente da tutte le parti del mondo -come ci fa sapere il testo apocrifo da cui dipende anche l’icona. Gli apostoli son venuti da tutte le parti del mondo per celebrare la Divina Liturgia della piena e totale glorificazione della Madre di Dio in cielo, quasi a concelebrare con Cristo questo Sinodo, questo momento ecclesiale e fondamentale per la vita della Chiesa nascente. Perché la piena glorificazione della Madre di Dio è anche la piena glorificazione della Chiesa sposa e madre. La festa del 15 agosto, la Dormizione di Maria, chiude il ciclo, l’anno liturgico bizantino, chiude o forse possiamo dire porta alla perfezione il cammino fatto con Cristo e accanto ai fedeli, con Cristo e con la Chiesa lungo un anno, lungo un inizio ed una conclusione, fino alla sua perfezione.

Cristo è l'alfa e l'omega. Con Lui e mai senza di Lui tutto inizia, tutto quello che siamo e viviamo inizia e arriva alla sua perfezione in Lui. E questo fatto, quel che siamo, viviamo, con chi lo viviamo, è il nostro essere e vivere come cristiani. Un cammino quindi con Lui, e “accanto” ai fratelli. Il “con” -la preposizione greca “συν”- fa riferimento a Lui, a Cristo Signore, che ci guida, che ci precede, che ci sorregge, che ci salva. Il “accanto” fa riferimento ai fratelli, a coloro che come noi sono stati rivestiti di Cristo nel battesimo. Quindi riprendo un tema che ritengo fondamentale: quel che siamo e facciamo, è con Cristo, guidati da Cristo, preceduti da Lui che cammina davanti a noi. Se questo fatto sarà a tutti chiaro, allora tutta la derivazione “filologica” che abbiamo fatto lungo due anni con e a partire dalla preposizione “συν” avrà un senso.

Cristo che cammina con noi, che ci precede. Questo fatto lo vediamo in modo possiamo dire iconico nella vita della Chiesa, soprattutto quando celebra i Santi Misteri, cioè la presenza sacramentale e massima di Cristo in mezzo a noi. E nella stessa celebrazione dei Santi Misteri, della liturgia della Chiesa, siamo tutti, vescovo, sacerdoti e fedeli, che guardando verso Oriente, guardando verso Colui che è l'Oriente che viene dall'alto, diventiamo icone di un cammino veramente ecclesiale.

Queste premesse -forse lunghe, e chi le leggerà abbia pazienza- per dire in qualche modo, con quale spirito ho partecipato come vescovo della Chiesa Cattolica alla sessione del Sinodo dei vescovi di ottobre 2024. Quando il Papa, o un patriarca orientale, o un capo di una chiesa cristiana convoca il Sinodo dei vescovi, è un momento ecclesiale molto importante. Infatti, nelle Chiese Orientali cristiane, siano esse ortodosse o cattoliche, quando il patriarca o il capo di una di queste Chiese convoca il Sinodo, lo fa per diverse ragioni. Una prima è in vista alla consacrazione del Sacro Myron, l’olio Santo con cui saranno unti i neo battezzati, coloro che sono stati rivestiti di Cristo. L’olio Santo con cui saranno unti anche gli altari, le sacre mense su cui vengono santificati, consacrati il pane e il vino; il sepolcro da cui si annuncia ogni domenica il Vangelo della risurrezione, il Vangelo che ci annuncia che quel Crocifisso è Risorto; l’altare, infine, al cui contatto diretto vengono ordinati vescovi, preti e diaconi nelle diverse tradizioni orientali. Un’altra ragione per la convocazione del Sinodo è quando il patriarca convoca i fratelli i vescovi in vista alle elezioni, alle nomine dei nuovi vescovi. Infatti, essi vengono eletti dal Signore attraverso la preghiera, la comunione e la scelta di coloro che ne fanno le veci nel Corpo di Cristo, cioè di coloro che ne sono i veri vicari, i vescovi. Quindi attraverso il Sinodo, presieduti da colui che ne è il capo e il padre, si eleggono i nuovi membri di questo corpo episcopale, di questo corpo di pastori che guidano le loro Chiese. E questo avviene con e malgrado le loro debolezze, le loro mancanze, i loro peccati, ma sempre sorretti da quella “Grazia Divina” con cui, inginocchiati e toccando l'altare, toccando Cristo stesso, sono stati ordinati vescovi, “επίσκοποι”, cioè, “veglianti” della comunità e della comunione a loro affidata. Infine, per ultimo ma non meno importante, il Sinodo dei vescovi, nelle Chiese Orientali, è convocato dal capo della Chiesa anche per discutere fraternamente e prendere delle decisioni che toccano la vita di ognuna delle Chiese orientali cristiane.

Dopo tutte queste premesse -queste note marginali?- forse lunghe, qualcuno potrebbe dire: …e allora?

A partire dall’icona proposta sopra, vorrei dire che sono tornato a Roma ad ottobre e mi sono messo, umilmente e quasi di nascosto, come uno dei vescovi concelebranti nell’icona della Dormizione, nell’icona della Chiesa gloriosa, uno dei due vescovi che hanno in mano un libro aperto mostrandolo a coloro che l’icona la guardano. In questo libro mi sono permesso di scrivere qualche nota e l’ho condivisa, con i fratelli vescovi. Note per non dimenticare:

In primo luogo, il Sinodo dei vescovi. Quando mi dicono: “Beati voi gli orientali che avete avuto sempre la sinodalità”, io rispondo: “Eh no! Noi abbiamo il Sinodo dei vescovi e la collegialità episcopale, che forse non è lo stesso della “sinodalità” che ci troviamo ad avere tra le mani a gestire o provare di gestire in questo nostro momento ecclesiale.

In secondo luogo, la Chiesa Cattolica. Ci sono parole che riscaldano e rinfrancano il cuore, e penso che nel nostro percorso come Sinodo dei vescovi ci avrebbe fatto bene, spiritualmente ed ecclesiologicamente, sentire ad alta voce che siamo Chiesa Cattolica, estesa da Oriente ad Occidente.

Infine, Cristo, cioè Colui con Chi camminiamo. Nel lontano 1999 l’indimenticabile arcivescovo di Bologna, il cardinale Giacomo Biffi, scrisse quel libretto intitolato “Identikit del Festeggiato” in cui il grande vescovo-teologo ricollocava nel centro della riflessione della Chiesa Cristo, Colui che era e doveva essere appunto il Festeggiato nel grande Giubileo del 2000. Quindi il Sinodo come cammino che la Chiesa Cattolica fa con Cristo, un cammino guidato dai vescovi, e sempre all’ascolto di tutti. In Oriente il Sinodo è oppure ha sempre una dimensione ecclesiologica, ma soprattutto cristologica. Il Sinodo, il cammino che è sempre con la preposizione greca “συν”, cioè “con” Cristo. Mi chiedevo se ci fosse bisogno di un nuovo “Identikit del Festeggiato?”, ma credo basterebbe un semplice “Manuale per il buon uso filologico, e soprattutto, cristologico ed ecclesiologico della preposizione greca “συν”, che ha conformato il nostro vocabolario durante le settimane del mese di ottobre.

 +P. Manuel Nin

Esarca Apostolico


venerdì 1 novembre 2024

 

Madonna Odigitria


Qualche riflessione post sinodale.

Prima riflessione.

          Nel tardo pomeriggio di sabato 26 ottobre, finita l’ultima sessione della XVI Assemblea General del Sinodo dei vescovi, mentre i Padri sinodali uscivamo pian piano dall’aula Paolo VI, stanchi dopo una giornata di lettura e votazioni del Documento conclusivo, mi sono imbattuto per caso in una discussione tra alcuni padri sinodali, discussione nata dal loro stupore che quasi pareva scandalo per il fatto che l’ultimo paragrafo del testo poco prima votato -paragrafo piuttosto breve e contenente un affidamento finale alla Madre di Dio- non avesse avuto diciamo così il plauso generale di tutti gli aventi diritto al voto. Visto che quei padri -ed anche qualche madre- sinodali e venerabili, malgrado la stanchezza di una giornata e di un mese molto impegnativi, vedendomi arrivare vollero coinvolgermi nel loro scambio di vedute assai vivace, allora, pur senza rivelare il mio voto pocanzi dato a quel paragrafo conclusivo, mi sono permesso di far notare loro come non soltanto la dicitura del testo in questione, ma soprattutto il contenuto fosse se non altro discutibile e forse anche fuorviante e, secondo me, da rivedere. Il testo finale approvato diceva così: “Alla Vergine Maria, che porta lo splendido titolo di Odigitria, Colei che indica e guida il cammino, affidiamo…”. E ho detto a quei padri e madri sinodali, ripeto scioccati e forse turbati dal voto finale non unanimemente plaudente dato a quel paragrafo da parte di alcuni padri diciamo -mi si consenta l’espressione!- cristologicamente ben fondati, dissi loro che la redazione giusta del testo avrebbe dovuto essere: “Alla Vergine Maria, che porta lo splendido titolo di Odigitria, Colei che indica Colui che è il cammino, e verso di Lui ci guida, affidiamo…”. La mia spiegazione parve rasserenare un po’ quei venerabili padri, e finalmente partimmo verso le nostre residenze romane, loro, spero, più sereni, io ancora un po’ perplesso appunto del paragrafo in questione.

L’icona della Madre di Dio con il titolo di “Odigitria” è quella rappresentazione iconografica in cui la Vergine Maria regge Cristo seduto o poggiato sulle sue braccia, e lo mostra a chi la guarda, ad indicare che lei ci guida a / verso Colui che è il cammino, quasi a recitare il testo evangelico di Gv 14,6. Per noi cristiani, il Signore Gesù è il cammino che dobbiamo seguire per vivere la nostra fede cristiana; noi non seguiamo un cammino vago che ognuno può tracciarsi da sé e secondo le proprie possibilità, abitudini e modo di pensare, ma seguiamo un cammino che per noi è una Persona molto concreta, il Signore nostro Gesù Cristo.

L’icona della Madre di Dio Odigitria, che ha presieduto le sedute del Sinodo dei vescovi lungo tutto il mese di ottobre, ci ha indicato e guidato a Colui con cui camminiamo, Colui che per noi cristiani è il cammino, la verità e la vita. Durante quattro settimane lei ha guardato quell’assemblea e ci ha mostrato Colui che è il cammino, e noi l’abbiamo guardata nella fiducia della sua guida verso il Signore Gesù Cristo. La Chiesa Cattolica, durante un mese radunata in Sinodo dei vescovi, nella persona di tantissimi vescovi padri sinodali, coadiuvati da altre persone, sacerdoti e laici, ha pregato, riflettuto, condiviso tante opinioni e proposte per la vita della Chiesa. Per questo, nell’icona della Madre di Dio Odigitria abbiamo visto anche l’icona della Chiesa stessa, che porta Cristo nel suo grembo, che lo mostra come unico Cammino, e allo stesso tempo lei, la Chiesa, non cammina, riflette, agisce senza la guida di Colui che ne è lo Sposo e Maestro.

L’icona della Madre di Dio Odigitria ci ha ricordato, in una anamnesi quasi celebrativa, che in quell’aula eravamo la Chiesa Cattolica, estesa da Oriente ad Occidente, radunata in un sinodo dei vescovi, facendo un cammino con Colui che ne è il vero ed unico Pastore, Cristo Signore. Sapendosi, la stessa Chiesa anche a modo suo Odigitria, cioè con la sua parola ed il suo esempio, con la sua predicazione e la celebrazione della fede, colei che ci mostra e ci guida a Cristo Signore, vincitore del peccato e della morte.

Arrivando a casa quella sera di sabato, e celebrando il vespro settimanale della risurrezione, pensavo se la mia breve spiegazione avrebbe rasserenato i padri e madri sinodali, un po’ sconvolti dal risultato del voto dell’ultimo paragrafo. Spero di sì, convinto che le difficoltà con cui ci imbattiamo nel cammino cristiano, sia quelle che possono sorgere dalla stessa lettura e preghiera a partire della Sacra Scrittura, sia quelle che possono provenire dalla vita stessa della Chiesa, con una catechesi fatta in modo giusto possa dare sempre una risposta alle angosce e alle difficoltà degli uomini, per poter fare un bel cammino con Colui che per noi cristiani è anche la verità e la vita.

+P. Manuel Nin

Esarca Apostolico


giovedì 17 ottobre 2024

 



“Due desideri...”

Intervento al Sinodo dei vescovi. Roma 17 ottobre 2024

In questa parte dello istrumentum laboris (IL) i temi ci portano al momento centrale del nostro Sinodo dei vescovi. Vi troviamo i temi che ci configurano come Chiesa Cattolica in Sinodo: Episcopato e primato del vescovo di Roma; Chiese Orientali Cattoliche ed il nostro vero e proprio ruolo nella Chiesa Cattolica; Conferenze Episcopali; Dialogo ecumenico.

Bisogna fare attenzione a non presentare le Conferenze Episcopali Nazionali come se fossero Chiese sui juris, quasi a ridosso o un parallelo delle Chiese Orientali Cattoliche. Questo porterebbe a una diminuzione o distorsione ecclesiologica ed in fondo sostanziale di quello che siamo le Chiese Orientali Cattoliche ed anche di quello che sono le Conferenze Episcopali nazionali, nate e sviluppatesi soprattutto dall’ecclesiologia del concilio Vaticano II. Quindi una necessaria complementarietà tra le due istituzioni certamente, evitando eventuali confusioni ecclesiologiche e canoniche.

Due desideri.

Primo. Credo che ci viene offerto lo spazio, il luogo, dove noi padri e vescovi delle Chiese Orientali Cattoliche possiamo e dobbiamo far sentire la nostra voce, il nostro pensiero soprattutto dal punto di vista ecclesiologico. E farlo in un modo positivo e costruttivo -questo è molto importante-, e soprattutto in un modo che ci mostri uniti tra di noi. Non dobbiamo avere né paura né soggezione di manifestare -oserei dire con fierezza e con orgoglio- il nostro pensiero teologico ed ecclesiologico -perché ce l’abbiamo un pensiero teologico ed ecclesiologico-, mettendo in evidenza anche i nostri dubbi, i nostri problemi e le nostre sofferenze. Ma identificandogli per nome i dubbi, i problemi e le sofferenze, e presentandogli ad alta voce ai nostri fratelli vescovi di tutta la Chiesa Cattolica.

Secondo. I paragrafi nell’IL dove si fa riferimento all’ecumenismo -e vi parlo dopo otto anni come vescovo orientale cattolico in Grecia-, sono ottimi e necessari, assolutamente sì, ma sempre in un contesto che tenga conto, valuti e rispetti anche il ruolo delle Chiese Orientali Cattoliche nel dialogo ecumenico (non vogliamo essere neppure essere considerati come il sassolino nella scarpa). Bisogna che i nostri fratelli delle Chiese Ortodosse vedano come la Chiesa Cattolica di tradizione latina conosce, stima, rispetta, ama le Chiese Orientali Cattoliche. Questa dovrebbe essere la vera premessa e la garanzia per un sano ecumenismo. Il rispetto, l’amore ed anche -e soprattutto- un’esigente spinta verso di noi, pastori delle Chiese Orientali Cattoliche, affinché siamo fedeli alle tradizioni ecclesiali a cui apparteniamo, nella comunione della e nella Chiesa Cattolica. Questo sarà una garanzia, una assicurazione di stima e di rispetto anche verso le Chiese Orientali Ortodosse, nell’attesa di quel giorno in cui, saliti col Cristo, “σύν Χριστώ”, sul monte Tabor, parteciperemo all’unica luce divina, all’unico pane e calice di salvezza. Sicuri, come afferma sant’Efrem il siro: “…che il Signore ci ascolterà non perché giusti ma perché penitenti”.

+P. Manuel Nin

Vescovo titolare di Carcabia / Esarca Apostolico.

sabato 12 ottobre 2024

 



Invito a non dimenticare…

Intervento al Sinodo dei vescovi. Roma 12 ottobre 2024

Parlo da monaco / vescovo, con a libertà che i monaci abbiamo avuto ed abbiamo da sempre nella vita delle Chiese Cristiane di Oriente e di Occidente. Siamo pochi, pochissimi i monaci padri sinodali. I monaci, uomini di preghiera e uomini veramente comunitari e collegiali: l’abate nei monasteri chiede il parere di tutti, “anche il parere del monaco più giovane” dice san Benedetto. E, finalmente, decide l’abate, che fa le veci di Cristo nel monastero, e lo fa con il voto / con l’appoggio di tutti i monaci.

Non dimentichiamo il Sinodo dei vescovi. Invito in primo luogo le Chiese Orientali Cattoliche a far sentire la loro voce, (siamo nella seconda settimana, ne mancano altre due ancora!), con coraggio a partire dalla nostra esperienza del sinodo dei vescovi. Quando mi dicono: “Beati voi gli orientali che avete avuto sempre la sinodalità”. Rispondo: “Eh no! Noi abbiamo il Sinodo dei vescovi e la collegialità episcopale, che forse non è lo stesso della “sinodalità” che ci troviamo ad avere tra le mani a gestire o provare di gestire in questo nostro momento ecclesiale. Non dimentichiamo che siamo, e soprattutto, in/un Sinodo dei vescovi. La dicitura “Sinodo dei vescovi” mi manca.

Non dimentichiamo la Chiesa Cattolica. Ci sono parole che riscaldano e rinfrancano il cuore. Penso che nel nostro percorso come Sinodo dei vescovi ci farebbe bene, spiritualmente ed ecclesiologicamente, sentire ad alta voce che siamo Chiesa Cattolica, estesa da Oriente ad Occidente. Questo ci aiuterebbe sicuramente ad atterrare da una nuvola di temi forse troppo eterei, iperuranici, interessanti sicuramente. Diciamocelo, ricordiamocelo che siamo Chiesa Cattolica.

Non dimentichiamo Cristo, cioè con Chi camminiamo. Nel lontano 1999 l’indimenticabile arcivescovo di Bologna, il cardinale Giacomo Biffi, scrisse quel libretto intitolato “Identikit del Festeggiato” in cui il grande vescovo / teologo ricollocava nel centro della riflessione della Chiesa Colui che era e doveva essere appunto il Festeggiato nel grande Giubileo. Quindi il Sinodo come cammino che la Chiesa Cattolica fa con Cristo, un cammino guidato dai vescovi, e sempre all’ascolto di tutti. In Oriente il sinodo è oppure ha sempre una dimensione ecclesiologica, ma soprattutto cristologica. Il sinodo, il cammino è sempre con la preposizione greca “συν”, cioè “con” Cristo.

Identikit del Festeggiato? Basterebbe credo un semplice “Manuale per il buon uso filologico, e soprattutto, cristologico ed ecclesiologico della preposizione greca “συν”, che conforma il nostro vocabolario in queste settimane.

Grazie

+P. Manuel Nin

Vescovo titolare di Carcabia / Esarca Apostolico.




sabato 21 settembre 2024

 

Profeta Davide / Cattedrale Santissima Trinità, Atene

Masticare i Salmi.

San Benedetto, nella sua Regola, dà un’importanza unica al ruolo del Salterio nell’ufficiatura e, quindi, dei Salmi nella vita del monaco. Prevede la recita settimanale del Salterio, ne protegge gelosamente qualsiasi abbreviazione o riduzione, e si serve dei salmi anche come aggancio fondamentale per la sua cristologia e la sua ecclesiologia. Le citazioni implicite ed esplicite dei Salmi nella Regola Benedettina sono una testimonianza di questo ruolo fondamentale che san Benedetto dà a questo libro biblico.

Diverse volte mi sono servito dell’immagine del “masticare” applicata ai Salmi, o se si vuole al mio rapporto con essi come monaco e come vescovo. Direi che dall’ingresso nel noviziato fino all’ingresso nel Paradiso, i Salmi configurano la preghiera e la vita di ogni monaco. Anche durante la sessione del Sinodo dei vescovi del 2023, di fronte alla proposta di forme di preghiera e di meditazione utilizzate durante le sedute in aula sinodale che, confesso, mi creavano una certa perplessità, non mi stancavo di ripetere a me stesso e a chi mi chiedeva un parere che, come monaco, ero abituato a “masticare salmi”, nella speranza e la fiducia che diventassero -le sue parole e soprattutto la presenza di Cristo in essi- la linfa vitale della mia vita.

In diversi miei scritti precedenti ho accennato al ruolo e all’importanza del Salterio -il “Davide” come lo chiama la tradizione delle Chiese siriache- nella vita delle Chiese cristiane e nella vita di ognuno dei fedeli. I Salmi sono, costituiscono, l’ossatura delle ufficiature di tutte le Chiese cristiane, sia Orientali che Occidentali. E dalle origini del monachesimo cristiano i Salmi sono il perno centrale attorno a cui gira, si muove la vita di preghiera del monaco. Essi sono preghiera a Cristo come vero Dio, preghiera di Cristo come vero uomo, e preghiera con Cristo come capo del suo Corpo, e quindi preghiera di ogni Chiesa cristiana, di ogni fedele cristiano, chierico o laico che esso sia. Testi poetici, certamente, delle volte con delle immagini tanto belle quanto scioccanti, altre volte con delle espressioni dure e pungenti, quasi violente, che però la tradizione cristiana non ha mai letto ed interpretato contro l’uomo bensì contro il male che possa annidarsi e si annida tante volte nel cuore umano.

E parlando del Salterio, nell’ultimo Incontro dei vescovi Orientali Cattolici di Europa tenutosi dal 16 al 19 settembre 2024 a Oradea, in Romania, abbiamo riflettuto sul tema “Rapporti vescovo-sacerdoti. Il sacerdozio cristiano nella sua umanità”. Ed il dialogo che le quattro conferenze che sono state tenute in quei giorni hanno suscitato tra noi vescovi, padri e pastori di Chiese cristiane orientali cattoliche, ha evidenziato diversi temi, problematiche e situazioni che ci toccano e dobbiamo vivere nella quotidianità del nostro servizio pastorale. E uno dei temi che è stato evidenziato è quello della “solitudine” di colui che è stato chiamato ad essere vescovo, a ”guardare e vegliare dall’alto” sul gregge, sul corpo di Cristo che è la sua Chiesa. Una solitudine che delle volte può avere una dimensione non dico drammatica ma sì di sofferenza e di difficoltà non sempre facili ad affrontare.

Una delle vie per far fronte -sarebbe giusto dire per vivere nella propria carne- questa -mi si consenta l’espressione- “solitudine del vescovo”, è il cammino di preghiera, e mi servo dell’immagine del “cammino” perché si tratta di un qualcosa fondamentale nella nostra vita e che si acquista ogni giorno, camminando in avanti sempre con Cristo. E parlare della preghiera in questo contesto non vuol dire una facile “ricetta” che dovrebbe risolvere tutto, ma di un cammino di preghiera con un volto, una forma molto concreti. E la proposta fatta a Oradea tra i fratelli vescovi, non era quel semplice “prega”, ma un “prega con i Salmi”.

E ritorno al titolo iniziale: “masticare i Salmi”. Una masticazione che va dalla semplice e fedele ripetizione dei Salmi -un ritorno ai Salmi-, fino a quella “masticazione” come “ruminatio”, ossia quel tornare e ritornare quasi testardo e fatto con fedele e dolce insistenza, a questi testi antichi e sempre nuovi, dolci ed aridi allo stesso tempo, una “ruminatio” che ci permette di scoprirne oppure riscoprirne la forza, la spinta, la grazia in ognuna di quelle parole e frasi che ci riportano al Signore ed anche a noi stessi. Ci riportano a Colui che li pregò sulla croce, ci riportano alla preghiera di ognuna delle nostre Chiese che ce li dà in mano sapientemente, e ci riportano soprattutto al profondo del nostro stesso cuore, nella solitudine e nella comunione, nella sofferenza e nella grazia, nella speranza e nella forse disperazione.

Perché i Salmi? Come preghiera, certamente. Come punto di appoggio, sicuramente. Come specchio per la propria vita umana e cristiana, assolutamente sì. Perché Cristo stesso li pregò. Perché Cristo e la Chiesa ne hanno fatto preghiere cristiane. Perché essi diventano, masticandoli e ruminandoli, lo specchio della nostra stessa vita. I Salmi riescono a metterci di fronte al Signore, di fronte alla Chiesa, di fronte a noi stessi. Essi diventano professione di fede in Cristo, Verbo di Dio incarnato, che in essi e per mezzo di essi si incarna nella nostra vita; diventano preghiera e canto del suo Corpo; diventano lode e grido dal profondo del nostro cuore. Il Salterio, il Davide, preso per intero e senza “sconti e limature”, con tutte le sue parole forti e forse anche le sue apparenti sbavature, diventa quel “bastone e vincastro” su cui poggia il nostro cammino cristiano, il nostro cammino come vescovi della Chiesa, un cammino che diventa veramente sinodale, perché fatto e vissuto “συν Χριστώ” e mai senza di Lui.

E a Oradea, non ho esitato in nessun modo, di fronte ai fratelli vescovi europei radunati lì, di dire loro: “prendete in mano il Salterio, fattene il vostro compagno di cammino, fattene anche il vostro specchio, dove troverete riflessa la vostra vita in Cristo”.

+P. Manuel Nin

Esarca Apostolico

 

Μασώντας τους Ψαλμούς.

Ο άγιος Βενέδικτος, στον Κανόνα του, δίνει μια μοναδική σημασία στο ρόλο του Ψαλτηρίου στις ακολουθίες και, επομένως, τον Ψαλμών στη ζωή του μοναχού. Προβλέπει την εβδομαδιαία ανάγνωση του Ψαλτηρίου, προστατεύει με ζήλο οποιαδήποτε συντόμευση η περικοπή και χρησιμοποιεί τους ψαλμούς σαν θεμελιώδη στήριγμα για την χριστολογία του και την εκκλησιολογία του. Οι άμεσες και έμμεσες παραπομπές των Ψαλμών στον Βενεδικτιανό Κανόνα μαρτυρούν το θεμελιώδη ρόλο που ο άγιος Βενέδικτος αποδίδει σε αυτό το βιβλικό βιβλίο.

Αρκετές φορές έχω χρησιμοποιήσει και εφαρμόσει την εικόνα της «μάσησης» για τους Ψαλμούς, η εάν θέλετε – στη σχέση μου με αυτούς σαν μοναχός και σαν επίσκοπος. Θα έλεγα ότι οι ψαλμοί διαμορφώνουν την προσευχή και την ζωή κάθε μοναχού από την είσοδό του στον μοναχισμό στην τάξη των αρχαρίων μέχρι και την είσοδο στον Παράδεισο. Ακόμη και κατά τη συνεδρίαση της Συνόδου των Επισκόπων το 2023, μπροστά στην πρόταση μορφών προσευχής και περισυλλογής που χρησιμοποιούνταν κατά τη διάρκεια των συνεδριάσεων στην αίθουσα της συνόδου, η οποίες, ομολογώ, μου δημιουργούσαν κάποια αμηχανία, δεν κουραζόμουν να επαναλαμβάνω στον εαυτό μου και σε όσους μου ζητούσαν μια γνώμη ότι, σαν μοναχός, ήμουν συνηθισμένος να «μασουλώ ψαλμούς»,  με την ελπίδα και την πίστη ότι θα γινόντουσαν – τα λόγια Του και πάνω απ' όλα η παρουσία του Χριστού σε αυτά τα λόγια  – η ζωτική λέμφος της ζωής μου.

Σε πολλά από τα προηγούμενα συγγράμματά μου έχω αναφέρει το ρόλο και τη σημασία του Ψαλτηρίου - του «Δαβίδ» όπως το αποκαλεί η παράδοση των Συριακών Εκκλησιών - στη ζωή των χριστιανικών Εκκλησιών και στη ζωή καθενός από τους πιστούς. Οι Ψαλμοί είναι - και από αυτούς αποτελείται - η ραχοκοκαλιά των ακολουθιών όλων των χριστιανικών Εκκλησιών, τόσο των Ανατολικών όσο και των Δυτικών. Και από τις απαρχές του χριστιανικού μοναχισμού, οι Ψαλμοί υπήρξαν ο κεντρικός άξονας γύρω από τον οποίο περιστρέφεται, κινείται η ζωή της προσευχής του μοναχού. Είναι η προσευχή στον Χριστό ως αληθινό Θεό, η προσευχή του Χριστού ως αληθινού ανθρώπου και η προσευχή με τον Χριστό ως κεφαλή του Σώματός του, και επομένως η προσευχή κάθε χριστιανικής Εκκλησίας, κάθε χριστιανού πιστού είτε κληρικού ή λαϊκού. Είναι βέβαια ποιητικά κείμενα, που περιέχουν άλλοτε εικόνες τόσο ωραίες όσο και συγκλονιστικές, άλλοτε πάλι σκληρές και oξείες, σχεδόν βίαιες εκφράσεις, τις οποίες, όμως, η χριστιανική παράδοση ποτέ δεν διάβασε και ερμήνευσε σαν εκφράσεις που εναντιώνονται κατά του ανθρώπου, αλλά σαν εκφράσεις που εναντιώνονται στο κακό που μπορεί να φωλιάσει - και τόσο συχνά φωλιάζει – στην καρδιά του ανθρώπου.

Και μιλώντας περί του Ψαλτήριου, στην τελευταία Συνάντηση των Ανατολικών Καθολικών Επισκόπων της Ευρώπης που πραγματοποιήθηκε από τις 16 έως τις 19 Σεπτεμβρίου 2024 στην Οράντεα της Ρουμανίας, συλλογιστήκαμε περί του θέματος «Σχέσεις Επισκόπου-ιερέα. Η χριστιανική ιερωσύνη στην ανθρώπινη φύση της». Και ο διάλογος που προκάλεσαν οι τέσσερις διασκέψεις που πραγματοποιήθηκαν εκείνες τις ημέρες μεταξύ ημών των επισκόπων, των πατέρων και των ποιμένων των Ανατολικών Καθολικών Χριστιανικών Εκκλησιών, ανέδειξε διάφορα θέματα, προβλήματα και καταστάσεις που μας επηρεάζουν και πρέπει να ζούμε στην καθημερινή ζωή της ποιμαντικής μας διακονίας. Και ένα από τα θέματα που τονίστηκε είναι αυτό της «μοναξιάς» εκείνου που έχει κληθεί να γίνει επίσκοπος, να «κοιτάζει και να φυλάει από ψηλά» το ποίμνιο, το σώμα του Χριστού που είναι η Εκκλησία του. Μοναξιά που μπορεί μερικές φορές να έχει μια διάσταση, δεν θα πω δραματική, αλλά ναι, πόνου και δυσκολιών που δεν είναι πάντα εύκολο να αντιμετωπιστούν.

Ένας από τους τρόπους να αντιμετωπιστεί – θα ήταν σωστό να πω να γίνει βίος στο ίδιο του το σώμα – αυτή – επιτρέψτε μου την έκφραση– «η μοναξιά του επισκόπου», είναι η πορεία της προσευχής, και χρησιμοποιώ την εικόνα της «πορείας» γιατί πρόκειται για κάτι θεμελιώδες στη ζωή μας και που αποκτάται καθημερινά, βαδίζοντας πάντα μπροστά με τον Χριστό. Και το να μιλάμε για προσευχή σε αυτό το πλαίσιο δεν σημαίνει μια εύκολη «συνταγή» που πρέπει να λύσει τα πάντα, αλλά μια πορεία προσευχής με ένα πρόσωπο, μια μορφή πολύ συγκεκριμένη. Και η πρόταση που έγινε στην Οράντεα μεταξύ των αδελφών επισκόπων δεν ήταν αυτό το απλό «προσεύχου», αλλά «προσεύχου με τους Ψαλμούς».

Και επιστρέφω στον αρχικό τίτλο: «μασώντας τους Ψαλμούς». Ένα μάσημα που κυμαίνεται από την απλή και πιστή επανάληψη των Ψαλμών -μια επιστροφή στους Ψαλμούς-, μέχρι και στο «μάσημα» ως «ruminatio» (= μυρηκασμός αλλά και επίμονος λογισμός), δηλαδή αυτή η σχεδόν πεισματική επιστροφή και έπανεπιστροφή  με τρόπο πιστό και γλυκά επίμονο, σε αυτά τα αρχαία και πάντα καινούργια κείμενα, γλυκά και συνάμα ξηρά, ένας «μυρηκασμός» που μας επιτρέπει να ανακαλύψουμε ή να ξαναανακαλύψουμε τη δύναμή τους,  την ώθηση, τη χάρη σε κάθε μία από αυτές τις λέξεις και φράσεις που μας φέρνουν πίσω στον Κύριο και επίσης στον πίσω στον εαυτό μας. Μας επαναφέρουν πίσω σε Εκείνον που προσευχήθηκε τους ψαλμούς στο σταυρό, μας επαναφέρουν πίσω στην προσευχή της καθεμιάς από τις Εκκλησίες μας που με σοφία μας τις δίνει στο χέρι και μας επαναφέρουν πάνω απ' όλα στα βάθη της καρδιάς μας, σε συνθήκες και περιστάσεις μοναξιάς και κοινωνίας, πόνου και χάρης, ελπίδας και ίσως - απελπισίας.

Γιατί – τους Ψαλμούς; Ως προσευχή, βεβαίως. Ως σημείο στήριξης, σίγουρα. Ως καθρέφτης για την ίδια μας ανθρώπινη και χριστιανική ζωή, απολύτως. Επειδή ο ίδιος ο Χριστός τους προσευχήθηκε. Επειδή ο Χριστός και η Εκκλησία τους έκαναν χριστιανικές προσευχές. Γιατί γίνονται, μασώντας και μηρυκάζοντάς τα, ο καθρέφτης της δικής μας ζωής. Οι Ψαλμοί κατορθώνουν να μας βάλουν μπροστά στον Κύριο, μπροστά στην Εκκλησία, μπροστά στον εαυτό μας. Γίνονται ομολογία πίστεως στον Χριστό, τον σαρκωθέντα Λόγο του Θεού, ο οποίος μέσα σ' αυτούς και μέσω αυτών ενσαρκώνεται στη ζωή μας. Γίνονται προσευχή και τραγούδι του Σώματός του. Γίνονται έπαινος και κραυγή από τα βάθη της καρδιάς μας. Το Ψαλτήρι, ο Δαβίδ, όταν λαμβάνεται στο σύνολό του και χωρίς «υποτιμήσεις και αποξέσεις», με όλα τα δυνατά του λόγια και ακόμη ίσως με τις φαινομενικά τραχείς πτυχές του, γίνεται εκείνη η «ποιμενική ράβδος» πάνω στην οποία στηρίζεται η χριστιανική μας πορεία, η πορεία μας ως επίσκοποι της Εκκλησίας, μια πορεία που γίνεται πραγματικά συνοδική, γιατί γίνεται και βιώνεται «συν Χριστώ» και ποτέ χωρίς Αυτόν.

Και στην Οράντεα, δεν δίστασα με κανέναν τρόπο, μπροστά στους αδελφούς μου Ευρωπαίους επισκόπους που είχαν συγκεντρωθεί εκεί, να τους πω: «Πάρτε το Ψαλτήρι στα χέρια σας, κάντε το συνοδοιπόρο σας, κάντε το και καθρέφτη σας, όπου θα βρείτε τη ζωή σας να καθρεφτίζεται στον Χριστό».