martedì 12 novembre 2024

Comunione degli apostoli
Icona siriaca. XX secolo


Qualche riflessione post sinodale.

Terza riflessione.

Spesso, nei miei corsi nelle università romane, mostrando agli studenti l’icona riprodotta qua sopra, chiedo loro di quale scena o quale icona si tratta. La risposta generale -con qualche notevole eccezione devo dirlo-, è che si tratta dell’icona dell’ultima cena di Gesù con i discepoli il giovedì prima della passione. Prima di qualsiasi smentita da parte mia, chiedo agli studenti di guardarla bene, in dettaglio, e allora qualcuno comincia a riconsiderare la sua risposta perché si accorge che il testo scritto nell’immagine -sia in greco, o in siriaco come nell’esempio che vi propongo in queste pagine- non porta le parole che l’identificherebbero appunto come l’ultima cena, cioè la “cena mistica” come troviamo scritto nelle icone del Grande Giovedì, ma tutt’altro. Inoltre, guardando i volti degli apostoli presenti nell’icona, altri studenti si accorgono che i due primi ai due lati dell’icona sono Pietro e Paolo, facilmente identificabili per le caratteristiche dei loro volti, e questo fatto conferma il non legame dell’icona con la celebrazione di Cristo con i Dodici il giovedì prima della passione. Allora, di fronte agli sguardi tra smarriti e confusi degli studenti, dico loro che si tratta dell’icona della “Comunione degli apostoli”, cioè l’icona di Cristo celebrando con i discepoli i Santi Misteri, nel momento in cui Lui dà loro il suo Corpo ed il suo Sangue. Quindi, questa è un’altra icona che potrebbe rappresentare oppure essere l’icona di un Sinodo dei vescovi.

Qualche nota su questa icona. L’icona di queste pagine è una riproduzione contemporanea fatta a partire da una miniatura che si trova in un manoscritto siriaco del XIII sec., proveniente da Tur Abdin, nell’odierna Turchia. Il testo scritto in siriaco nell’icona recita: “Nostro Signore, comunicando i suoi discepoli con il suo Corpo ed il suo Sangue”, cioè l’immagine rappresenta la celebrazione del Signore -concelebrata dagli apostoli-, nel momento della loro comunione. Notiamo la presenza di Pietro e di Paolo nell’icona, fatto che ne fa -come altre icone in cui sono rappresentati Pietro e Paolo come quella dell’Ascensione, della Pentecoste e della Dormizione della Madre di Dio-, un’icona certamente cristologica ma anche -e specialmente- ecclesiologica. Come accennavo, l’icona ci mostra Cristo stesso celebrando i Santi Misteri -e in altre icone con lo stesso argomento Cristo addirittura indossa i parati liturgici corrispondenti al vescovo-, ed è Cristo stesso che dà agli apostoli la comunione al suo Corpo ed al suo Sangue. Anche nelle celebrazioni della Divina Liturgia nella tradizione bizantina, quando presiede il vescovo è sempre lui, e soltanto lui, che distribuisce, che dà i Santi Misteri anche ai sacerdoti e ai diaconi concelebranti. Il Corpo ed il Sangue di Cristo vengono ricevuti -mai presi bensì ricevuti notiamolo bene, a sottolineare che essi sono un dono- che si riceve da colui, il vescovo, che nella celebrazione fa le veci di Cristo, cioè, fa presente sacramentalmente Colui che è il Pastore della Chiesa ed il vero celebrante.

La comunione degli apostoli come icona per un Sinodo? In riflessioni precedenti parlavo del Sinodo dei vescovi come cammino “con” Cristo e mai senza di Lui. Possiamo parlare anche del Sinodo come celebrazione quasi liturgica, certamente ecclesiologica, e propongo di usare anche il termine “concelebrazione” -parole che in greco inizia anche con la preposizione “σύν”-, in cui Cristo stesso presiede e celebra, ci elargisce la Sua Parola e i suoi Doni, che in questo caso sono la professione di fede, e la comunione ecclesiale che regge tra coloro che concelebriamo questa “liturgia”, e che ci fa “concelebranti… συλλειτουργοί…, ci fa sinodali” con Lui.

Quindi presentata questa possibile terza icona del Sinodo dei vescovi, vi condivido infine tre brevi riflessioni.

Prima riflessioneDurante la celebrazione della seconda sessione dell’Assemblea generale del Sinodo dei vescovi durante il mese di ottobre 2024, alla fine di una conferenza ai monaci benedettini di Sant’Anselmo, un giovane monaco mi chiese cosa io mi aspettassi, alla fine, da questo Sinodo. La mia risposta, inquadrata in una visione del Sinodo spero abbastanza ampia, ha avuto un contenuto per me molto chiaro che ho spiegato a partire da un fatto che considero molto significativo, ed è questo: mentre nel Sinodo del 2023 ben otto vescovi mi chiesero se io fossi “ortodosso”, cioè se appartenevo a una delle Chiese Ortodosse, nel Sinodo del 2024 soltanto due vescovi mi fecero la stessa domanda, ed erano due vescovi arrivati nuovi per questa seconda sessione. E concludevo la mia risposta alla domanda su cosa io mi aspettassi dal Sinodo, in questo modo: …se alla fine di queste due sedute del Sinodo dei vescovi tutti i padri sinodali di tradizione latina sapranno che le Chiese Orientali Cattoliche esistono, e che esse non sono né “Chiese ortodosse” né -mi si consenta l’espressione- soltanto “varianti folcloriche” dentro della Chiesa Cattolica, bensì Chiese vere e proprie, con una gerarchia ben organizzata in patriarcati, arcivescovati maggiori, metropolie, esarcati…, e con una tradizione teologica, liturgica e spirituale, ed anche una disciplina canonica proprie e che le distinguono tra di esse in diverse grandi tradizioni dentro dell’Oriente cristiano, allora il Sinodo sarà valso la pena.

Seconda riflessione. Mi sembra importante, nell’attuale momento ecclesiologico, fare attenzione a non presentare le Conferenze Episcopali nazionali come se fossero una sorta di Chiese sui juris, quasi a ridosso o in parallelo delle Chiese Orientali Cattoliche. Questo porterebbe a una diminuzione o distorsione ecclesiologica ed in fondo sostanziale di quello che siamo le Chiese Orientali Cattoliche ed anche di quello che sono le Conferenze Episcopali nazionali, sviluppatesi soprattutto a partire dal concilio Vaticano II. Quindi una necessaria complementarità tra le due istituzioni certamente sì, evitando eventuali confusioni ecclesiologiche e canoniche.

Terza riflessione. Credo che il Sinodo abbia offerto a noi padri e vescovi delle Chiese Orientali Cattoliche quello spazio dove poter far sentire la nostra voce, il nostro pensiero soprattutto dal punto di vista ecclesiologico. Non dobbiamo avere né paura né soggezione di manifestare -oserei dire con fierezza e con orgoglio- il nostro pensiero teologico ed ecclesiologico -perché ce l’abbiamo un pensiero teologico ed ecclesiologico senz’ombra di dubbio!-, mettendo in evidenza anche i nostri problemi, i nostri dubbi e le nostre sofferenze.

Un’ultima riflessione, come appendice. Il Sinodo ha permesso di mettere in evidenza il ruolo delle Chiese Orientali Cattoliche nel dialogo ecumenico (non vogliamo essere, neppure essere considerati, nel dialogo ecumenico odierno, come il sassolino nella scarpa, oppure dover dire da parte nostra quasi quel “scusate se esistiamo”). Per questo è necessario che i nostri fratelli delle Chiese Ortodosse vedano come la Chiesa Cattolica di tradizione latina conosce, stima, rispetta e ama le Chiese Orientali Cattoliche. Questa dovrebbe essere la vera premessa e la garanzia per un sano ecumenismo. Il rispetto, l’amore ed anche -e soprattutto direi- un’esigente spinta verso di noi stessi, pastori delle Chiese Orientali Cattoliche, affinché siamo e rimaniamo fedeli alle tradizioni ecclesiali a cui apparteniamo, nella comunione della e nella Chiesa Cattolica. Questa sarà una garanzia, una assicurazione di stima e di rispetto anche verso le Chiese Orientali Ortodosse, nell’attesa di quel giorno in cui, saliti “con Cristo… σύν Χριστώ”, sul monte Tabor, parteciperemo all’unica luce divina, all’unico Pane e Calice di salvezza. Sicuri, come afferma sant’Efrem il siro: “…che il Signore ci ascolterà non perché giusti ma perché penitenti”.

 

+P. Manuel Nin

Esarca Apostolico

 

 

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