Quell’ecumenismo
del sangue
A proposito
della lettera ai cristiani del Medio Oriente, di papa Francesco
«Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio…» (Is 40,1). Quasi a
riecheggiare le parole del profeta e completarle con quelle dell’apostolo Paolo
che chiama in causa il «Padre del Signore nostro Gesù Cristo… Padre
misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra
tribolazione…» (2Cor 1,3), papa Francesco, alle porte del Natale 2014 indirizza
una lettera ai cristiani che vivono nelle regioni del Medio Oriente. Cristiani che
da anni, ma specialmente negli ultimi mesi vivono in una situazione di
sofferenza, di esilio, di persecuzione, fino alla massima testimonianza, quella
di versare il sangue per Cristo. Cristiani che versano il proprio sangue, la
propria storia, la propria cultura cristiana in quelle terre del Medio Oriente,
terre che sono le loro terre da quasi duemila anni. Papa Francesco, in modo
lucido, coraggioso e allo stesso tempo paterno, si avvicina alla realtà sofferente
di quelle terre e di quegli uomini e donne, che dovranno vivere ancora un Natale
nella sofferenza e nella persecuzione, purtroppo tante volte ancora ignorata nell’indifferenza
dall’Occidente. Francesco comunque annuncia il mistero della consolazione di
Dio verso il suo popolo nella nascita del Figlio: “…ho pensato di scrivere a
voi, fratelli cristiani del Medio Oriente. Lo faccio nell’imminenza del Santo
Natale, sapendo che per molti di voi alle note dei canti natalizi si mescoleranno
le lacrime e i sospiri. E tuttavia la nascita del Figlio di Dio nella nostra
carne umana è ineffabile mistero di consolazione…”. E senza mezzi termini né
imprecise allusioni, il papa fa riferimento al regime di terrore di portata mai
immaginata prima, che si è istallato in quelle terre cristiane popolate lungo i
secoli da tanti padri, monaci, cristiani che le avevano coltivate, curate ed
amate fino all’estremo: “L’afflizione e la tribolazione non sono mancate
purtroppo nel passato anche prossimo del Medio Oriente… …aggravate negli ultimi
mesi a causa dei conflitti che tormentano la regione, ma soprattutto per
l’operato di una più recente e preoccupante organizzazione terrorista, di
dimensioni prima inimmaginabili, che commette ogni sorta di abusi e pratiche
indegne dell’uomo, colpendo in modo particolare alcuni di voi che sono stati
cacciati via in maniera brutale dalle proprie terre, dove i cristiani sono
presenti fin dall’epoca apostolica”. Francesco fa riferimento di seguito alle
realtà etniche e religiose non soltanto cristiane che vivono in quelle terre e
che sono oggetto di persecuzioni e di atrocità umanamente senza paragone: “Nel
rivolgermi a voi, non posso dimenticare anche altri gruppi religiosi ed etnici
che pure subiscono la persecuzione e le conseguenze di tali conflitti. Seguo
quotidianamente le notizie dell’enorme sofferenza di molte persone nel Medio
Oriente”. E la voce del vescovo di Roma si alza per difendere quelli che sono i
più deboli di fronte alla sofferenza: “Penso specialmente ai bambini, alle
mamme, agli anziani, agli sfollati e ai rifugiati, a quanti patiscono la fame,
a chi deve affrontare la durezza dell’inverno… Questa sofferenza grida verso
Dio e fa appello all’impegno di tutti noi, nella preghiera e in ogni tipo di
iniziativa”. Solidarietà di tutti verso quelle popolazioni con delle iniziative
che portino a quei nostri fratelli la consolazione, il supporto, la libertà di
agire, di vivere per quello che sono.
Un paragrafo centrale della lettera
diventa il nocciolo di tutto il messaggio, della parola veramente teologica del
papa, cioè quasi la professione di fede di quello che è il fondamento della
vita e della testimonianza cristiana: la fedeltà totale ed unica a Cristo, e
fino al martirio. I cristiani in Oriente e dovunque, lungo la storia dal I al
XX secolo, fino ai nostri giorni del XXI secolo, non hanno sofferto e non
soffrono una persecuzione sanguinante a causa di eventuali rivoluzioni o di
capovolgimenti sociopolitici, bensì a causa del nome e della persona di Gesù
Cristo: “…fratelli e sorelle, che con coraggio rendete testimonianza a Gesù
nella vostra terra benedetta dal Signore, la nostra consolazione e la nostra
speranza è Cristo stesso. Vi incoraggio perciò a rimanere attaccati a Lui, come
tralci alla vite, certi che né la tribolazione, né l’angoscia, né la
persecuzione possono separarvi da Lui…”. La testimonianza dei martiri, è a Gesù
Cristo che viene resa, lui è la loro e la nostra speranza; uniti fedelmente ed
unicamente a Lui. Il martirio è anche esigenza per gli stessi cristiani di una
vita cristiana più profonda, più fraterna e più autentica: “L’unità voluta dal
nostro Signore è più che mai necessaria in questi momenti difficili; è un dono
di Dio che interpella la nostra libertà e attende la nostra risposta. La Parola
di Dio, i Sacramenti, la preghiera, la fraternità alimentino e rinnovino
continuamente le vostre comunità”. E Francesco si ricorda dei fedeli delle
diverse Chiese cristiane, vescovi, sacerdoti, uomini e donne, che hanno subito
il martirio oppure sequestrati, messi a parte dalla memoria del mondo, quasi a
farli cadere nell’oblio da tutto e da tutti: “Ricordo… pastori e i fedeli ai
quali negli ultimi tempi è stato chiesto il sacrificio della vita, spesso per
il solo fatto di essere cristiani. Penso anche alle persone sequestrate, tra
cui alcuni Vescovi ortodossi e sacerdoti…”. Viene introdotto quindi il tema
dell’ecumenismo del sangue, quasi che il dialogo fraterno tra le diverse Chiese
cristiane venisse in qualche modo coagulato dal sangue dei martiri: “…la
comunione vissuta tra di voi in fraternità e semplicità è segno del Regno di
Dio”. E il papa si rallegra dalla collaborazione tra i pastori delle diverse Chiese
Orientali cattoliche e ortodosse, ed anche tra i fedeli. “Le sofferenze patite
dai cristiani portano un contributo inestimabile alla causa dell’unità. E’
l’ecumenismo del sangue, che richiede fiducioso abbandono all’azione dello
Spirito Santo”.
E Francesco introduce un altro aspetto
della drammatica vicenda, uno forse tra i più difficili di affrontare: il vincere
la tentazione di fuggire, di emigrare, cioè l’esortazione del papa a rimanere
in quelle terre martoriate, devastate, ma che sono cristiane da due mila anni;
rimanere lì, certo tra le rovine delle case, delle chiese, dei monasteri, ma fermi
nella speranza. Una speranza ed un coraggio richiesti malgrado le pietre
fumanti ovunque, le icone bruciate, le ceneri delle biblioteche e dei manoscritti
che tramandavano il canto di lode e di speranza dei santi Padri.
Francesco ancora esorta al dialogo con
tutti, nell’esigenza di una chiara condanna di una violenza ingiustificabile: “La
situazione drammatica che vivono i nostri fratelli cristiani in Iraq, ma anche
gli yazidi e gli appartenenti ad altre comunità religiose ed etniche, esige una
presa di posizione chiara e coraggiosa da parte di tutti i responsabili
religiosi, per condannare in modo unanime e senza alcuna ambiguità tali crimini
e denunciare la pratica di invocare la religione per giustificarli”. Nell’ultima
parte della sua lettera, Francesco esorta i cristiani di quelle terre ad
evitare la tentazione del disinteresse verso un impegno nella vita pubblica, e
a vivere come cristiani nello spirito delle Beatitudini evangeliche: “Nella regione
siete chiamati ad essere artefici di pace, di riconciliazione e di sviluppo, a
promuovere il dialogo, a costruire ponti… a proclamare il vangelo della pace…”.
Il papa infine si trattiene ad elencare
tutti coloro che nella Chiesa si impegnano, senza fuggire, nel servizio della
carità. E indirizzandosi ai giovani, gli esorta con le belle parole di
Benedetto XVI nella sua esortazione apostolica sul Medio Oriente: “Desidero
esprimere in modo particolare la mia stima e la mia gratitudine a voi,
carissimi fratelli Patriarchi, Vescovi, Sacerdoti… che accompagnate con sollecitudine
il cammino delle vostre comunità… . Quant’è preziosa la presenza e l’attività
di chi si è consacrato totalmente al Signore e lo serve nei fratelli,
soprattutto i più bisognosi… Com’è importante la presenza dei Pastori accanto
al loro gregge… A voi, giovani… vi ripeto: «Non abbiate paura o vergogna di
essere cristiani. La relazione con Gesù vi renderà disponibili a collaborare
senza riserve con i vostri concittadini, qualunque sia la loro appartenenza
religiosa» (Benedetto XVI, Esort. ap. Ecclesia in Medio Oriente, 63).
A conclusione della lettera, e come nei
suoi interventi precedenti, Francesco si indirizza anche alla comunità
internazionale con una parola coraggiosa e di denuncia: “…continuo a esortare
la Comunità internazionale a venire incontro ai vostri bisogni e a quelli delle
altre minoranze che soffrono; in primo luogo, promuovendo la pace mediante il
negoziato e il lavoro diplomatico… Ribadisco la più ferma deprecazione dei
traffici di armi. Abbiamo piuttosto bisogno di progetti e iniziative di pace,
per promuovere una soluzione globale ai problemi della Regione. Per quanto
tempo dovrà soffrire ancora il Medio Oriente per la mancanza di pace?...”.
Nei giorni del Natale, tanti cristiani
nel Medio Oriente, con la lingua dei loro Padri, canteranno con Efrem il Siro,
e noi con loro nella solidarietà, nel non oblio e la non indifferenza verso il
loro martirio: “Benedetto il bimbo, che oggi ha fatto esultare
Betlemme. Benedetto il bimbo, che oggi ha ringiovanito l’umanità. Benedetto il
frutto, che ha chinato se stesso verso la nostra fame. Benedetto il buono che
in un istante ha arricchito la nostra povertà…”.
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