A proposito di due
inni di Sant’Efrem il Siro sul Natale
È entrato eccelso ed è
uscito umile
La collezione di inni di sant’Efrem il
Siro sulla Natività del Signore contiene 28 poemi. Due di essi, il X e XI, sono
dei testi assai brevi con dodici strofe il primo ed otto il secondo, che
snodano in modo particolare e con delle immagini simboliche specialmente
ricercate e belle, il tema dell’incarnazione del Verbo di Dio.
Il primo dei due inni, il decimo della
collezione, canta il mistero della redenzione adoperata da Cristo dalla sua
incarnazione alla sua risurrezione, e lo fa a partire dal parallelo tra il
grembo verginale (custodito) di Maria, e la tomba di Cristo sigillata
(custodita) anche essa. Efrem inizia il canto con un argomento a lui caro, e
che troviamo presente in diversi degli inni di questa collezione sul Natale: le
nenie cantate da Maria a suo Figlio, messe in parallelo a quelle cantate dalle
madri dei patriarchi dell’antico testamento: “Lia e Rachele, Zilpa e Bila,
quando cantavano nenie ai desiderati, ai dodici che avevano partorito, cosa di
uomini erano le loro nenie. Cosa della divina signoria sono le tue nenie, o
Signore dei tuoi fratelli”. Dalla seconda strofa in poi Efrem introduce ed
sviluppa l’immagine del sepolcro sigillato da coloro che seppellirono Cristo:
“…sigillato essi ti posero: sigillarono la pietra e posero la guardia. Fu a tuo
vantaggio che sigillarono il tuo sepolcro, o Figlio del Vivente”. Il sepolcro
sigillato diventa una testimonianza del fatto che non ci fu nessun furto del
corpo di Gesù da parte di nessuno: “Dopo averti seppellito… ci sarebbe stato
spazio per affermare falsamente che ti avevano rubato. O onnivivificante, con
l’astuzia del sigillo del tuo sepolcro accrebbero la tua gloria!”. Daniele il
profeta e Lazzaro l’amico di Cristo vengono messi in parallelo da Efrem, a
partire dalla loro permanenza nella fossa dei leoni sigillata il primo e nella
tomba suggellata il secondo, e così diventano tipo di Cristo stesso chiuso anche
lui nel grembo di Maria e nel sepolcro: “Di te fu tipo sia Daniele che Lazzaro,
l’uno nella fossa che i popoli sigillarono, e l’altro nella tomba che il popolo
aprì…”. Inoltre Daniele nella fossa dei leoni è tipo di Cristo nel grembo di
Maria; il grembo ed il sepolcro di Cristo testimoniano sia la sua vera
incarnazione che la sua risurrezione: “Con la tua risurrezione tu li hai
convinti della tua nascita, perché sigillata era la fossa e suggellato era il
sepolcro… tuoi testimoni furono la fossa e il sepolcro sigillati”. Quindi il
ruolo del grembo e del sepolcro è simile in quanto ambedue hanno generato
Cristo alla vita. Ambedue hanno come ruolo quello di concepire e partorire: “Il
grembo ti ha concepito, lui che era sigillato; lo sheol ti ha partorito, lui
che era suggellato. Fuori dall’ordine naturale il grembo concepì e lo sheol
ridiede… Sigillato era il sepolcro che custodiva il morto. Vergine era il
grembo, che nessun uomo aveva conosciuto…”. Attraverso l’incarnazione e la
nascita verginale di Cristo, e la sua risurrezione dai morti, Efrem sottolinea
ancora la vera natura divina di Cristo: “Il grembo sigillato e la pietra
suggellata… hanno confutato e persuaso che tu sei celeste”. Nascita e
risurrezione di Cristo, quindi sono segno di contradizione e allo stesso tempo
ne testimoniano la sua vera divinità: “Il popolo stava tra la tua nascita e la
tua risurrezione. Calunniava la tua nascita? La tua morte lo biasimava.
Scioglieva la tua risurrezione? La tua nascita lo confutava. Due atleti
colpivano la bocca calunniatrice”.
Il secondo degli inni, undecimo della
collezione, e più breve dal precedente, soltanto otto strofe, e sviluppa
parallelamente il tema dell’incarnazione del Verbo di Dio e quello della divina
maternità di Maria, misteri che per Efrem rimarranno sempre incomprensibili
alla mente umana: “La madre tua, Signore, nessuno sa come chiamarla. Se la
chiama «vergine», il figlio si alza; se «maritata», nessun uomo l’ha
conosciuta. E se la madre tua è incomprensibile, comprendere te, chi sarà in
grado?”. Efrem dà a Maria in questo inno gli appellativi di madre, sorella,
sposa e vergine: “Ella è tua madre e tua sorella, e anche sposa…, sposa secondo
natura, prima della tua venuta… concepì fuori dall’ordine naturale… ed era
vergine quando ti partorì santamente…”. La maternità di Maria serve ad Efrem
per mettere chiaramente in luce la vera incarnazione del Verbo di Dio: “Se lei
ti poteva dare cibo, era perché tu avevi fame. Se poteva darti da bere, era
perché avevi voluto aver sete. Se lei ti poteva abbracciare, era perché il
carbone ardente d’amore custodiva il suo grembo”. Notiamo che la tradizione
liturgica siriaca chiamerà il corpo di Cristo sull’altare col titolo di «brace
o carbone ardente». Infine nelle ultime tre strofe Efrem riprenderà delle belle
immagini cristologiche proposte per via di contrasto: “Egli è entrato in lei
Signore ed è divenuto servo. È entrato eloquente… è entrato in lei tuono e la
sua voce si è fatta silente. È entrato in lei pastore dell’universo, ed è
diventato in lei agnello… è entrato ricco ed è uscito povero… è entrato eccelso
ed è uscito umile… Nudo e spoglio è uscito da lì, colui che veste tutti”.
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