giovedì 18 dicembre 2014

A proposito di due inni di Sant’Efrem il Siro sul Natale
È entrato eccelso ed è uscito umile
          La collezione di inni di sant’Efrem il Siro sulla Natività del Signore contiene 28 poemi. Due di essi, il X e XI, sono dei testi assai brevi con dodici strofe il primo ed otto il secondo, che snodano in modo particolare e con delle immagini simboliche specialmente ricercate e belle, il tema dell’incarnazione del Verbo di Dio.
          Il primo dei due inni, il decimo della collezione, canta il mistero della redenzione adoperata da Cristo dalla sua incarnazione alla sua risurrezione, e lo fa a partire dal parallelo tra il grembo verginale (custodito) di Maria, e la tomba di Cristo sigillata (custodita) anche essa. Efrem inizia il canto con un argomento a lui caro, e che troviamo presente in diversi degli inni di questa collezione sul Natale: le nenie cantate da Maria a suo Figlio, messe in parallelo a quelle cantate dalle madri dei patriarchi dell’antico testamento: “Lia e Rachele, Zilpa e Bila, quando cantavano nenie ai desiderati, ai dodici che avevano partorito, cosa di uomini erano le loro nenie. Cosa della divina signoria sono le tue nenie, o Signore dei tuoi fratelli”. Dalla seconda strofa in poi Efrem introduce ed sviluppa l’immagine del sepolcro sigillato da coloro che seppellirono Cristo: “…sigillato essi ti posero: sigillarono la pietra e posero la guardia. Fu a tuo vantaggio che sigillarono il tuo sepolcro, o Figlio del Vivente”. Il sepolcro sigillato diventa una testimonianza del fatto che non ci fu nessun furto del corpo di Gesù da parte di nessuno: “Dopo averti seppellito… ci sarebbe stato spazio per affermare falsamente che ti avevano rubato. O onnivivificante, con l’astuzia del sigillo del tuo sepolcro accrebbero la tua gloria!”. Daniele il profeta e Lazzaro l’amico di Cristo vengono messi in parallelo da Efrem, a partire dalla loro permanenza nella fossa dei leoni sigillata il primo e nella tomba suggellata il secondo, e così diventano tipo di Cristo stesso chiuso anche lui nel grembo di Maria e nel sepolcro: “Di te fu tipo sia Daniele che Lazzaro, l’uno nella fossa che i popoli sigillarono, e l’altro nella tomba che il popolo aprì…”. Inoltre Daniele nella fossa dei leoni è tipo di Cristo nel grembo di Maria; il grembo ed il sepolcro di Cristo testimoniano sia la sua vera incarnazione che la sua risurrezione: “Con la tua risurrezione tu li hai convinti della tua nascita, perché sigillata era la fossa e suggellato era il sepolcro… tuoi testimoni furono la fossa e il sepolcro sigillati”. Quindi il ruolo del grembo e del sepolcro è simile in quanto ambedue hanno generato Cristo alla vita. Ambedue hanno come ruolo quello di concepire e partorire: “Il grembo ti ha concepito, lui che era sigillato; lo sheol ti ha partorito, lui che era suggellato. Fuori dall’ordine naturale il grembo concepì e lo sheol ridiede… Sigillato era il sepolcro che custodiva il morto. Vergine era il grembo, che nessun uomo aveva conosciuto…”. Attraverso l’incarnazione e la nascita verginale di Cristo, e la sua risurrezione dai morti, Efrem sottolinea ancora la vera natura divina di Cristo: “Il grembo sigillato e la pietra suggellata… hanno confutato e persuaso che tu sei celeste”. Nascita e risurrezione di Cristo, quindi sono segno di contradizione e allo stesso tempo ne testimoniano la sua vera divinità: “Il popolo stava tra la tua nascita e la tua risurrezione. Calunniava la tua nascita? La tua morte lo biasimava. Scioglieva la tua risurrezione? La tua nascita lo confutava. Due atleti colpivano la bocca calunniatrice”.
          Il secondo degli inni, undecimo della collezione, e più breve dal precedente, soltanto otto strofe, e sviluppa parallelamente il tema dell’incarnazione del Verbo di Dio e quello della divina maternità di Maria, misteri che per Efrem rimarranno sempre incomprensibili alla mente umana: “La madre tua, Signore, nessuno sa come chiamarla. Se la chiama «vergine», il figlio si alza; se «maritata», nessun uomo l’ha conosciuta. E se la madre tua è incomprensibile, comprendere te, chi sarà in grado?”. Efrem dà a Maria in questo inno gli appellativi di madre, sorella, sposa e vergine: “Ella è tua madre e tua sorella, e anche sposa…, sposa secondo natura, prima della tua venuta… concepì fuori dall’ordine naturale… ed era vergine quando ti partorì santamente…”. La maternità di Maria serve ad Efrem per mettere chiaramente in luce la vera incarnazione del Verbo di Dio: “Se lei ti poteva dare cibo, era perché tu avevi fame. Se poteva darti da bere, era perché avevi voluto aver sete. Se lei ti poteva abbracciare, era perché il carbone ardente d’amore custodiva il suo grembo”. Notiamo che la tradizione liturgica siriaca chiamerà il corpo di Cristo sull’altare col titolo di «brace o carbone ardente». Infine nelle ultime tre strofe Efrem riprenderà delle belle immagini cristologiche proposte per via di contrasto: “Egli è entrato in lei Signore ed è divenuto servo. È entrato eloquente… è entrato in lei tuono e la sua voce si è fatta silente. È entrato in lei pastore dell’universo, ed è diventato in lei agnello… è entrato ricco ed è uscito povero… è entrato eccelso ed è uscito umile… Nudo e spoglio è uscito da lì, colui che veste tutti”.



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