Il dono di essere sacerdote.
Alcune riflessioni sui sacerdoti celibi e i sacerdoti
sposati
Scrivo alcune semplici riflessioni a partire dalla
mia esperienza come già rettore del Pontificio Collegio Greco (PCG) di Roma, per
quanto riguarda il tema del sacerdozio uxorato e celibatario in Oriente. Sono
soltanto delle note che scrivo, senza pretese. Se possono essere di aiuto, in
un momento in cui si parla mi sembra anche troppo facilmente e superficialmente
di questo tema in Occidente. Forse sarebbe il momento di ripetere soltanto la
frase da alcuni attribuita a Santa Teresa d’Avila, e da altri a Sant’Ignazio di
Loyola: “En tiempos de tribulaciòn, no hacer mudanza” (In tempi di
tribolazione, non muoverti, non fare traslochi). Quindi sono delle note a
partire dall’esperienza vissuta dal 1996 al 2016 al PCG come padre spirituale prima
dal 1996 al 1999, e poi come rettore dal 1999 al 2016.
Bisogna precisare sia a livello di linguaggio che di
contenuto, che l’Oriente cristiano ordina al diaconato e al presbiterato anche degli
uomini previamente sposati. Con questo intendo evitare io stesso e che si eviti
l’espressione facile e anche banale, cioè quella di dire: “in Oriente i preti
si sposano”. In Oriente nessun prete si sposa, ma, ripeto, l’Oriente cristiano,
cattolico e ortodosso, ordina anche uomini previamente sposati. E non soltanto dei
“viri probati” ma già dei giovani seminaristi che hanno finito i loro studi
teologici.
I “ritmi sacramentali” in ognuna delle Chiese Orientali
è diverso. Per “ritmo sacramentale” intendo il tempo tra l’uno e l’altro dei
sacramenti. In alcune Chiese il tempo tra matrimonio, diaconato e presbiterato
è piuttosto ridotto, alcuni mesi soltanto. In altre Chiese, invece, tra il
matrimonio e il diaconato vengono chiesti da tre a cinque anni di attesa. Forse
per una “stabilità matrimoniale” della coppia? Da una parte il vantaggio
dell’attesa per appunto in qualche modo confermare questa stabilità della
coppia. Dall’altra parte però, sorge il problema del sostentamento economico
della coppia prima del diaconato. Sono questioni che lascio aperte come
appunti.
Parlo dalla mia esperienza vissuta con seminaristi
provenienti da Chiese Orientali Cattoliche, e insisto sul fatto che essere
orientale e cattolico non vuole dire essere “latino o latinizzato”, anzi. La
Chiesa di Roma quasi sempre ha rispettato e rispetta la prassi ecclesiologica,
teologica, liturgica, spirituale e canonica delle Chiese Orientali Cattoliche.
Il PCG accoglie seminaristi da diverse provenienze
nazionali, etniche ed ecclesiali: italo-albanesi, melchiti, ungheresi, serbi,
romeni, ucraini... Seminaristi orientali cattolici di rito bizantino, ed anche
alcuni seminaristi latini dalle diocesi latine della Grecia e da Piana degli
Albanesi, eparchia italiana in Sicilia che ha anche alcune parrocchie latine.
Durante un ventennio, ho potuto conoscere Chiese
Cattoliche Orientali di tradizione bizantina che hanno avuto sempre il doppio
clero, uxorato e celibe, e ce l’hanno questo doppio clero in proporzioni
diciamo molto varie: da alcune Chiese in cui quasi il 90% del clero è sposato, ad
altre Chiese in cui il clero uxorato è a livello del 75% oppure soltanto del 50
o del 30%.
Nel mio periodo come rettore ho cercato di aiutare
al discernimento maturo, serio e responsabile, sia verso il celibato sia verso
il matrimonio, nella consapevolezza che in nessuno dei due casi si tratta della
soluzione più facile o eventualmente più comoda. Cercavo in quegli anni del mio
rettorato di far venire per una conferenza ai seminaristi, ogni anno, un prete
uxorato e magari anche con la moglie, e un prete celibe, per spiegare e condividere
con i seminaristi la loro esperienza. In questi anni del mio rettorato anche ho
potuto conoscere abbastanza bene ognuna delle Chiese di provenienza dei
seminaristi, soprattutto potendole visitare con motivo dei matrimoni dei
seminaristi e delle ordinazioni e del battesimo dei figli, o in altre
occasioni.
Dopo questi anni nel PCG, nelle diverse Chiese
Orientali Cattoliche che ho conosciuto, ho trovato e conosciuto dei sacerdoti
uxorati ottimi sacerdoti ed ottimi padri di famiglia. Preti uxorati che hanno
delle cariche fino a vicario generale nelle diocesi. Ed anche dei preti celibi
ottimi sacerdoti. Ci sono però, come ovunque, anche dei problemi e delle
situazioni non facili da risolvere, a cui accennerò anche.
Il clero uxorato non è, secondo me, la soluzione per
nessuna situazione diciamo problematica di qualsiasi tipo, e meno ancora per la
mancanza di vocazioni in nessuna parte del mondo, né in Oriente né in
Occidente. Ci sono diocesi in Oriente che hanno vocazioni e diocesi che ne
hanno poche e addirittura non ne hanno, indipendentemente di avere o non clero
uxorato. Sono convinto che per l’Occidente e un po anche per l’Oriente, il
problema è in parte la secolarizzazione certamente, ma soprattutto lo è la
decristianizzazione. Quindi direi che ,affrontare una discussione / riflessione,
profonda e serena sull’apertura ad ordinare uomini sposati in Occidente, in un
momento di profonda crisi di mancanza di sacerdoti, non è una soluzione valida
nel modo più assoluto.
Il tema di “aprire la Chiesa Cattolica Latina” a
ordinare uomini sposati, io l’allargherei dicendo “aprire la Chiesa Cattolica
Latina ai preti celibi ed ai preti sposati”. Cosa intendo con questo “aprire”? Intendo
dire che la riflessione va fatta sottolineando il valore e la centralità, ed
anche le difficoltà ed i problemi dei sacerdoti sia nel celibato sia nel
matrimonio. Detto in un altro modo, la necessità di mettere di nuovo in rilievo
il valore umano, teologico ed ecclesiologico dell’essere prete di Gesù Cristo
nella vita della Chiesa. Non è una realtà ed anche forse una questione / problema
soltanto di statistiche ma una vera e propria questione umana, teologica ed
ecclesiologica. Chi / cos’è il sacerdote cristiano? E chi è nella Chiesa il
sacerdote cristiano? Approfondire sulla bellezza e le difficoltà, teologiche ed
umane, dell’essere sacerdote celibe; ed approfondire sulla bellezza e le
difficoltà, teologiche ed umane pure queste, dell’essere sacerdote sposato.
Un altro aspetto a considerare è la dimensione che
suppone l’essere moglie di un prete, ed il suo ruolo nella vita della diocesi,
della parrocchia dove il marito è parroco. Si tratta anche di una vocazione, un
servizio ecclesiale senza dubbio. Quindi il bisogno di porgersi la domanda: ci
sono delle ragazze disposte a sposare un seminarista, un futuro prete? La
moglie del prete deve impegnare la sua vita nelle attività parrocchiali e
pastorali del marito, tutta la famiglia viene impegnata in esse. Conosco casi
di ragazze, addirittura figlie di prete, che non vogliono sentirne di sposare
un seminarista, un futuro prete. Ed anche casi di seminaristi che per lunghi
anni cercano la loro ragazza, rimandando quindi la loro ordinazione diaconale e
sacerdotale.
Prima accennavo a situazioni problematiche che ci
sono sia in Oriente che in Occidente. Accenno soltanto a qualcuna di esse. Nel
caso di rottura del matrimonio di un prete, cosa si fa o come la Chiesa
gestisce la situazione? Rottura per cause di disaccordo tra i due, oppure
rotture a causa di una “terza persona” di mezzo. Come risolvere. Pensare anche
ai figli dei sacerdoti che debbono essere un esempio di vita cristiana. Come
gestire le situazioni “problematiche” con i figli?
Si deve pensare anche a come affrontare situazioni
di “organizzazione ecclesiale” o diocesana: i trasferimenti di parrocchia.
Prevedere anche a una pensione per le vedove dei preti.
Vi
condivido queste mie riflessioni, scritte a partire da una esperienza
personale, ecclesiale e oso dire teologica nella vita delle Chiese Orientali
Cattoliche.
+P. Manuel
Nin
Esarca
Apostolico
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