Settimana Santa nella tradizione bizantina
Presso la croce dello Sposo
La celebrazione
della Settimana Santa nella tradizione bizantina contempla specialmente nei tre
primi giorni, da lunedì a mercoledì santi, la figura di Cristo come sposo della
Chiesa, sposo che arriva e sposo atteso da colei, la Chiesa stessa che lo
riceve, e allo stesso tempo è da Lui accolta nell’abbraccio della croce, che
diventa proprio la camera nuziale: Maria ai piedi della croce, la Chiesa stessa
ai piedi della croce, ai piedi dello Sposo crocefisso è l’icona di queste nozze.
Appunto anche a livello iconografico, le braccia di Cristo nella croce sono le
braccia con cui Lui accoglie la sposa, accoglie tutti noi, in quella camera
nuziale del Golgota. Alcuni dei tropari che vengono cantati in questi primi
giorni della grande settimana ci illustrano tutto il mistero della fede
cristiana, dalla creazione, dall’incarnazione, alla passione, morte e
risurrezione di Cristo vista appunto in questa chiave di amore sponsale. Propongo
la lettura di alcuni di questi tropari.
In primo
luogo, vorrei accennare al tropario chiamato appunto dello “Sposo”: “Ecco lo
Sposo viene nel mezzo della notte: beato quel servo
che troverà vigilante, indegno quel servo che troverà trascurato. Bada dunque, anima
mia, di non lasciarti prendere dal sonno per non essere consegnata alla morte e
chiusa fuori dal regno. Ritorna dunque in te stessa e grida: Santo, santo,
santo tu sei, o Dio”. È un testo che percorre tutta l’ufficiatura dei
tre giorni da lunedì a mercoledì santi. L’attesa dello
sposo che arriva è un tema preso dalla parabola di Mt 25,6; nella liturgia
diventa anche l’attesa del ritrovamento tra il vecchio Adamo, cacciato dal
Paradiso all’inizio della Quaresima, e il nuovo Adamo che scende nell’ade per
riprendere Adamo ed Eva e riportarli al paradiso. L’arrivo dello sposo per il
cristiano è il momento del suo trapasso, della sua morte; Cristo, lo sposo,
arriverà nella notte, nell’ora in cui il servo non sa, e per questo nel
tropario viene chiesta la vigilanza, il guardare verso di Lui. Ancora il testo liturgico
sottolinea il tema delle nozze divine e l'assoluta indegnità dell'uomo che solo
può entrare nella camera nuziale, il Regno, rivestito da Cristo stesso che nel
battesimo diventa la vera veste nuziale. Di fronte allo sposo nel suo talamo
nuziale, cioè Cristo umiliato ed umile nella croce, il cristiano si scopre dal
tutto peccatore -e durante la quaresima la liturgia bizantina ci ha fatto
ripetere il: “dammi di vedere i miei peccati e di non condannare mio fratello”.
Il cristiano che si scopre pure amato e salvato da questo Dio umile ed
umiliato.
Altri tropari
della liturgia di questi giorni sono tutta una parafrasi, quasi un commento del
testo paolino di Fil 2,9, cioè la kenosi, il divenire povero, il farsi umile e
piccolo del Verbo di Dio nella sua incarnazione. I testi liturgici diventano
molto insistenti ed anche incisivi nel presentare il fatto che il Creatore, colui
che fa tutto e ha tutte le cose nelle sue mani, si lascia prendere, inchiodare
nella croce: “Il giorno presente fa
sorgere sul mondo, quali luci di salvezza, gli augusti patimenti: Cristo
infatti, per sua bontà si affretta verso la passione. Egli che tiene in mano
l’universo accetta di essere appeso al legno per salvare l’uomo… Il giorno
presente fa risplendere le primizie dei patimenti del Signore. Venite dunque,
amici della festa, andiamole incontro con canti. Il Creatore viene per prender
su di sé la croce, gli interrogatori, i flagelli e il giudizio di Pilato; anche
schiaffeggiato sulla guancia da uno schiavo, tutto sopporta per salvare l’uomo.
E noi dunque gridiamo: O Cristo Dio amico degli uomini, dona la remissione
delle colpe a noi che adoriamo con fede i tuoi immacolati patimenti…”. L’ineffabile
discesa del Verbo di Dio, cioè Cristo stesso, Dio e uomo, mostra ai discepoli
che egli, nel prendere forma di servo, ha accettato il farsi povero, umile come
Adamo e per Adamo espulso dal paradiso: “Sono venuto per servire Adamo divenuto
povero, della cui forma volontariamente mi sono rivestito, io, il Creatore,
ricco per la divinità; sono venuto per immolarmi in suo riscatto, io,
impassibile per la divinità”. È bello il parallelo che il tropario fa tra il
farsi povero del Verbo di Dio che si incarna, si fa uomo, ed Adamo impoveritosi
nel suo essere allontanato dal paradiso. Infine, il Cristo povero diventato
servitore di Adamo pure lui povero. L’ultima kenosi di Cristo sarà la sua
discesa nell’ade per prendere Adamo e arricchirlo, riportarlo alla sua
primitiva bellezza.
Finalmente, un
altro dei tropari che riprende di nuovo il tema delle nozze di Cristo: “Vedo, o mio Salvatore, il tuo talamo
adorno, e non ho la veste per entrarvi: fa risplendere la veste dell’anima mia,
o datore di luce, e salvami”. È un testo che si rifà a Mt 22, 1, l’invito alle
nozze e la veste necessaria per farne parte, e questa veste sarà Cristo stesso
che ce la dà nel battesimo. Ancora il tropario insiste nel fatto che i fedeli,
nella liturgia, guardano, vedono il mistero, quello che si celebra: “Vedo… il
tuo talamo adorno…”. Il talamo di Cristo è la sua croce da dove Lui stesso, appunto
nel nostro battesimo, ci dà una veste nuova che ci permette di entrare alle
nozze, al banchetto del Regno.
Il tema nuziale appare
in altri dei tropari, ispirati alla lettura della parabola delle dieci vergini
di Mt 25, 1: “Amiamo, o fratelli, lo Sposo, prepariamo le nostre lampade,
risplendendo di virtù e retta fede, affinché, come le vergini sagge del
Signore, siamo pronti per entrare con lui alle nozze; perché lo Sposo, essendo
Dio, a tutti offre in dono la corona incorruttibile”.
Croce di Cristo come
nozze tra Lui e il suo corpo che è la Chiesa. Uno dei tropari del Venerdì santo
lo canterà: “È inchiodato con chiodi lo sposo della Chiesa”.
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