La parabola del figliol prodigo nella tradizione bizantina.
Tra le braccia del Padre
La
tradizione liturgica bizantina lungo il periodo quaresimale ha molti tropari che
contemplano e cantano la parabola del figliol prodigo nel suo ritorno al padre.
La pericope della parabola di Lc 15 è stata letta la seconda delle domeniche
pre quaresimali, quasi a indicare che la stessa quaresima è un cammino di
ritorno al Padre, di ritorno a Dio. All’inizio della quaresima poi la liturgia
contemplerà l’espulsione di Adamo dal paradiso, e tutto il periodo dei quaranta
giorni sarà visto come un ritorno al paradiso perduto. La parabola del figliol
prodigo allora col possiamo dire “cammino allontanamento-ritorno” indica questo
filo conduttore del percorso quaresimale e della stessa vita cristiana
dall’allontanamento al ritorno, dal peccato alla grazia del perdono, dal
paradiso da cui si è espulso al paradiso a cui il Signore stesso ci riporta la
notte di Pasqua. Uno dei testi dell’ufficiatura mattutina bizantina di questo
periodo liturgico è un poema dedicato appunto alla parabola del figliol
prodigo. È opera di Giuseppe l’innografo, vissuto tra il 812 ed il 886, originario della Sicilia, e diventato monaco a
Tessalonica. Esiliato in Crimea durante lo scisma di Fozio, rientrato nella
capitale di Bisanzio si mise al servizio della scuola poetica del monastero di
Studios. Morì a Costantinopoli. È autore di diversi canoni entrati nella
liturgia bizantina.
Tre
aspetti percorrono insistentemente e ripetutamente tutto il poema: il ritorno
al padre e quindi il ritorno a Dio; poi lo straniarsi del figlio prodigo, come
sinonimo dell’allontanamento da Dio a causa del peccato; ed infine il ritorno a
Dio visto non soltanto come pentimento e riconciliazione ma anche come risurrezione
e ricreazione, passaggio dalla morte alla vita nel solco della stessa
narrazione della parabola evangelica: “… perché questo mio figlio era morto ed
è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato.” (Lc 15,24).
Ritorno
al padre, ritorno a Dio. I tropari del poema riprendono questo aspetto quasi un
ritornello che segna tutto il testo: “…Accoglimi al mio ritorno, o Padre, come
uno dei tuoi mercenari, o Salvatore… come un tempo il figliol prodigo che
tornava a te…”. Il testo inoltre sottolinea come in questo incontro tra il
figlio ed il padre, è costui che corre incontro, costui che accoglie: “O Padre
pietoso e misericordioso, accoglimi come il figliol prodigo, o mio Salvatore, e
non respingermi ora che con ardore ritorno, ma corrimi incontro ed abbracciami…
E tuttavia, vienimi incontro, accoglimi e salvami, perché tu sei il pastore di
quanti con fede in te si rifugiano… Ecco, Dio che vuole che tutti siano
salvati, ti apre le braccia…”. Il padre che accoglie il figlio prodigo è anche
il buon pastore che accoglie, prende tra le sue braccia la pecora smarrita.
Un
secondo aspetto che troviamo nel testo è il fuggire, andare in terra straniera.
Lo straniarsi, farsi straniero, che nella tradizione monastica primitiva ha
anche un senso positivo visto come un lasciare, abbandonare tutto, diventare
uno che non ha vincoli né legami se non con Colui che lo sostiene, il Signore
stesso; nel nostro poema invece lo straniarsi del figlio prodigo è visto come
un allontanarsi da Dio stesso: “Estraniando il mio pensiero da ogni azione
santa, me ne sono andato in una regione lontana, diventando schiavo di
cittadini stranieri… ma ora a te grido: Accoglimi al mio ritorno, o Padre, come
uno dei tuoi mercenari, o Salvatore”.
Un
terzo aspetto messo in luce nel poema è quello del ritorno a Dio come
risurrezione e nuova creazione, un ritrovare la bellezza della creazione
primigenia: “Nella tua pietà, accoglimi, o Salvatore, mentre accorro con fede, come
un tempo il figliol prodigo, e concedimi la liberazione dai miei mali, o
Cristo: rendimi degno di recuperare con purezza la bellezza primigenia, celebrando,
o Salvatore, la tua ineffabile compassione…”. Diverse volte il testo adopera
l’immagine del rivestire la bellezza con cui il Signore crea l’uomo:
“Compassionevole Signore, Padre di ogni pietà, accogli come figlio colui che
ritorna da vie di malvagità, dandomi la bellezza con le vesti
dell’impassibilità… o Padre, adornami con sacre vesti, e rendimi partecipe dei
tuoi beni… Fa’ splendere per me, giacente nella tenebra della perdizione, un
raggio di pentimento, Signore, e rendimi splendente con le vesti di azioni
virtuose, perché io sia degno del talamo spirituale, annoverato tra i figli del
regno…”.
Troviamo
ancora sottolineato il parallelo tra Cristo fattosi povero nella sua
incarnazione, povero come Adamo, ed il figlio prodigo impoveritosi nel suo
farsi straniero: “Il Cristo da te, o Madre di Dio ha assunto la carne,
rivestendo la povertà di Adamo: prega di arricchire dei doni divini, o tutta
immacolata, colui che a te inneggia con fede, ora che sono divenuto povero di
ogni bene, come un tempo il figliol prodigo”. Alcuni dei tropari mettono Cristo
stesso come colui che accoglie il figlio prodigo pentito: “Contro te solo ho
peccato, te solo, buono per natura, te, Verbo, ho provocato a sdegno: tu che
solo sei ricco di ogni compassione, di nuovo accoglimi pentito: perché tu solo,
o compassionevole, sei buono e ricco di misericordia… O Cristo sovrano, ora
vengo a te nel pentimento…”. Quindi troviamo nel poema anche il ruolo di Maria
come intercessore presso il suo Figlio che accoglie colui che a lui ritorna tra
le sue braccia, tra le sue braccia aperte nella croce.: “Immacolata Madre dell’Emmanuele,
imploralo, o pura, come madre sua, perché, come il figliol prodigo, accolga
anche me, che mi sono allontanato dalla via di Dio… affinchè io mi presenti
puro a Colui che è nato, o pura, nel tuo grembo beato, o sposa di Dio”.
L’amore
ed il perdono compassionevole di Dio manifestatosi nell’incarnazione del Verbo,
spingono l’uomo al pentimento ed al ritorno tra le braccia del Padre: “Tu che
non vuoi che nessun uomo si perda, fammi tornare, o Verbo, perché ho deviato
dal retto sentiero e come il figliol prodigo sono caduto nel peccato: cosí io
magnificherò il tuo amore per gli uomini”.
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