Di fronte
a quelle chiese rovinate. La speranza che rinasce dalla preghiera. Da Norcia a
Qaraqosh.
La
tradizione bizantina recita ogni giorno all’inizio del vespro il salmo 103, che
nel versetto 32 canta: “…Lui che guarda sulla terra e la fa tremare: tocca i
monti e fumano”. In queste settimane che l’Italia è stata ed è ancora investita
dalle scosse sismiche, giorni in cui i mezzi ci hanno fornito delle immagini di
tanti uomini e donne sfollati, di paesi, case, chiese devastate dal sisma, il
versetto del salmo non esce facilmente dalla bocca e dal cuore. Settimane che
oltre alle scosse telluriche, abbiamo continuato a sentire le scosse belliche,
martellanti su Mosul e altre città della Siria. Luoghi cari a tutti noi,
dall’Umbria di san Benedetto alla Piana di Ninive di Sant’Efrem, luoghi dove
tanti cristiani lungo i secoli hanno vissuto, hanno pregato, hanno sofferto,
hanno aperto i loro cuori al Signore e agli uomini. Luoghi di pellegrinaggio ai
posti di nascita o di morte dei santi, da Egeria nel IV secolo alla tomba di
sant’Efrem, fino ai nostri giorni il pellegrinaggio di tanti monaci fino a
Norcia per trovare il luogo che fu culla di san Benedetto e l’accoglienza di
fratelli che lì pregavano nella quotidianità del loro umile servizio.
In
ambedue i luoghi, Umbria e Messopotamia, fedeli e monaci hanno pregato, gioito
e pianto in quelle chiese oggi ridotte a macerie. Uomini e donne, monaci e
monache che a Norcia hanno dovuto lasciare case e celle, masserie e lavoratori
del quotidiano impegno monastico, nel pianto e nella sofferenza. Uomini e
donne, sacerdoti e fedeli che sono ritornati a casa nella loro Qaraqosh in
Iraq, e che mai avevano lasciato nel profondo del loro cuore. Macerie
dall’Umbria alla Piana di Ninive, macerie però grondanti dal canto gregoriano
dei monaci, dal canto bizantino dei fedeli, dal canto siriaco che porta gli
accenti, il suono della lingua parlata da Gesù stesso. Croci buttate a terra
dagli uomini, croci crollate al suolo dalle scosse, in queste settimane sono
immagini che ci si sono presentate quasi in parallelo ai nostri occhi. Attaccate
a quelle croci, tra quelle mura, in quei sassi, erano e sono contenute le
preghiere degli uomini e delle donne, dei monaci, delle monache, dei
pellegrini, che le hanno sì imbevute di fede e di speranza.
Un
confratello monaco in questi giorni mi confessava: “La creazione e il cuore
umano portano una ferita che ogni tanto fa tremare tutto”. Ma di questa ferita,
che si congiunge sempre a quella del Signore sulla croce, ne sgorga la
speranza. Due immagini sono diventate quasi un’icona ai nostri occhi: Monaci e
popolo pregando a Norcia, in piazza, inginocchiati tra le macerie…. Monaci e
preti e popolo pregando a Qaraqosh, tra le macerie… E da queste macerie, dall’Italia
all’Iraq, rinasce la speranza, la vita, e rinasce dalla preghiera del popolo e
dei monaci, inginocchiati in piazza, raggruppati attorno a un piccolo altare
tra le macerie.
In queste settimane, da agosto ormai, è
stato il terremoto che ha scosso le nostre case, le nostre chiese, i nostri
cuori fino a far versare delle lacrime per quella storia venuta giù a pezzi,
per quelle persone che hanno perso i loro cari, le loro case, il loro lavoro,
si potrebbe dire le loro radici. Ma le radici vere, malgrado le scosse, rimangono
lì, a Norcia e a Qaraqosh, no si staccano da una terra che ha loro generato, fatto
crescere, vivere, amare.
Scosse che in queste ultime settimane
hanno colpito i nostri occhi, i nostri cuori. Guardare Aleppo devastata fino
all’inverosimile, rivedere Mosul nella sofferenza di coloro che quasi martiri ci
sono ancora, vedere Qaraqosh nelle sue chiese frantumate, scorgere Norcia, e tanti
paesi dell’Italia tra le macerie. Chiese e case sobbalzate dalla terra
tremante, e altre distrutte non dalle scosse della terra ma di quelle altre scosse,
pure micidiali, delle bombe, e dell’odio. Domenica mattina a Norcia e a
Qaraqosh, monaci e popolo erano lì pregando inginocchiati in piazza, celebrando
i Santi Misteri attorno a un piccolo altare nei ruderi delle chiese, annunciando
la risurrezione di Cristo con fede e con speranza, con un unico canto di
vittoria, che non è la vittoria degli uomini ma quella del loro Signore:
“Venite, prostriamoci ed adoriamo al Cristo Signore. Salvaci, Figlio di Dio,
risorto dai morti”.
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