L’Esaltazione della
Santa Croce nell’innografia di Romano il Melodo.
Oggi la croce riapre ad
Adamo il paradiso.
La tradizione innografica dell’Oriente
cristiano adopera spesso il genere letterario del “dialogo” o della “disputa”,
cioè la composizione poetica in cui due personaggi o delle volte due luoghi
sviluppano lungo un numero variabile di strofe un tema di carattere teologico,
servendosi appunto del dialogo/disputa come genere letterario. Efrem (+373) in
ambito siriaco e Romano il Melodo (+555) in ambito greco sono due esempi
notevoli di innografi che si servono di questo genere letterario. Di Romano
abbiamo due inni dedicati alla Croce di Cristo, di cui il primo presenta
appunto la discussione tra l’Ade ed il diavolo presentato sotto la forma del
serpente. È un testo che sviluppa, lungo ventun strofe, il tema della
redenzione di Cristo per mezzo della sua croce; è un poema che in alcune delle
strofe raggiunge una profondità e una bellezza uniche nel suo genere. Il filo
conduttore del testo è il ritorno di Adamo in paradiso grazie alla croce di
Cristo, che ne diventa la chiave per la sua riapertura. I tre primi tropari
introducono e situano tutto il poema: “La spada di fuoco non custodisce più la
porta dell’Eden, perché al suo posto è sopraggiunto il lego della croce. Il
pungiglione della morte e la vittoria dell’Ade sono stati inchiodati… Ed in
essa inchiodato tu ci hai redenti, o Cristo Dio nostro… Le creature celesti e
terrestri gioiscono con Adamo, perché è stato chiamato di nuovo nel paradiso”. La
prima delle strofe, che è poi entrata nella tradizione bizantina come kontakion
in alcuni giorni dell’anno liturgico, descrive quasi fisicamente il Golgota e l’Ade
che è sconfitto dalla croce di Cristo: “Tre croci piantò Pilato sul Golgota,
due per i ladroni e una per il Datore di vita; l’Ade la vide e disse a quelli
di laggiù: «O miei ministri e miei eserciti, chi ha conficcato un chiodo nel
mio cuore? Una lancia di legno mi ha trafitto all’improvviso… e sono costretto
a rigettare Adamo e i nati da lui che a me mediante un albero erano stati dati:
un albero li introduce di nuovo nel paradiso»”.
La disputa tra l’Ade ed il diavolo/serpente inizia dalla
strofa seconda, con il rimprovero di costui all’Ade che si accorge di essere
sconfitto dalla croce, rimprovero originato dalla cecità del serpente di fronte
alla forza della croce di Cristo: “Ade che hai? Perché piangi a vuoto? Ho
architettato io lassù per il figlio di Maria questo legno che ti ha spaventato…
E’ la croce sulla quale ho fatto inchiodare Cristo, perché con un legno voglio
distruggere il secondo Adamo. Non ti turbare, continua a tenere stretti i tuoi
prigionieri”. E la risposta dell’Ade rimproverato che diventa quasi una
professione di fede nella redenzione avvenuta nella croce: “Corri ed apri bene
i tuoi occhi, e guarda la radice del legno dentro la mia anima: mi è scesa fin
nel profondo per portare in alto Adamo ed essere ricondotto in paradiso”. Lungo
quattro strofe l’innografo prosegue con i rimproveri tra l’Ade ed il diavolo, descritti
dal poeta come orbo l’uno e cieco l’altro. L’Ade presenta al serpente la forza
della croce di Cristo: “L’ora presente ti mostrerà la potenza della croce e la
grande autorità del Crocifisso. Per te la croce è stoltezza, ma da tutto il
creato è ammirata come un trono, inchiodato sul quale Gesù ascolta il ladrone e
gli dice: «Oggi, povero uomo, con me entrerai di nuovo nel paradiso»”. La
promessa fatta da Cristo al ladrone fa reagire ed aprire gli occhi al diavolo
cieco che confessa la sua sconfitta; e l’autore sottolinea il legame tra
audizione e visione nella confessione del diavolo: “Il serpente vide quel che
aveva udito: il ladrone rendere testimonianza a Cristo che testimoniava per
lui… E (il diavolo) sbigottito e battendosi il petto diceva: «Parla con un
ladrone e non risponde agli accusatori? Neanche di una parola ha degnato
Pilato, ed adesso si rivolge ad un assassino?»”. Sconfitto il diavolo cerca
rifugio presso l’Ade e nella sua disfatta descrive la salvezza che sgorga dalla
croce di Cristo, il luogo della vittoria per mezzo del suo sangue e luogo della
vita che sgorga dall’acqua del costato di Cristo. Romano fa parlare ancora il
diabolo: “Accoglimi, Ade: presso di te è il mio rifugio! Ho visto anch’io il
legno che ti ha spaventato, e arrossato di sangue ed acqua… L’uno prova
l’uccisione di Gesù, l’altro prova che egli è vivo, poiché la vita è sgorgata
dal suo fianco… ed è stato il secondo Adamo a far rifiorire Eva, la madre dei
viventi, di nuovo nel paradiso”. Lungo tutto il testo troviamo delle immagini
di una profondità poetica e teologica ineguagliabili: “«Aspetta, Ade
sciagurato», disse piangendo il demonio, «taci, sopporta. Sento una voce
annunciatrice di gioia, un sussurro mi è giunto che porta buone notizie, un
brusio come di foglie dall’albero della croce. Sul punto di morire Cristo ha
detto: “Padre, pedona loro… non sanno quel che fanno”. Noi però sappiamo che
colui che soffre è il Signore della gloria, che vuol riportare Adamo di nuovo
nel paradiso»”. La croce quindi diventa luogo di conversione, non più albero di
condanna, vigna dai tralci amari, bensì luogo della dolcezza e della vita:
“Piangiamo ora, o Ade, vedendo l’albero che avevamo piantato trasformato in un
tronco sacro! Ai suoi piedi hanno preso dimora e fra i suoi rami hanno
nidificato briganti e assassini, esattori e meretrici, per cogliere il frutto
della dolcezza da quello che pareva un albero secco. Abbracciano la croce come
pianta della vita, si aggrappano ad essa per compiere a nuoto la traversata col
suo aiuto e approdare di nuovo nel paradiso!”. Romano verso la fine mette in
bocca all’Ade il tema del “furto” del ladrone che nella croce “ruba” la sua
salvezza: “Nessuno di noi dovrà più far violenza alla stirpe di Adamo, perché è
stata segnata dal sigillo della croce, come un tesoro che dentro un fragile
scrigno ha una perla inviolabile, che l’accorto ladrone sulla croce è riuscito
a sottrarre… e per questo furto è stato chiamato di nuovo nel paradiso!”. L’inno
di Romano finisce con una preghiera che rinchiude tutta la teologia della
salvezza che viene per mezzo della croce: “Altissimo e glorioso, Dio dei padri
e dei fanciulli… la tua croce è la gloria di noi tutti… La nave di Tarsis una
volta recava oro a Salomone: a noi il tuo legno procura ogni giorno e ogni
momento ricchezza incalcolabile, perché conduce tutti di nuovo nel paradiso".
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