venerdì 28 novembre 2025

 

Icona del concilio di Nicea 325

La celebrazione dei 1700 anni del concilio di Nicea 325.

Un evento profetico.

           Quando stamane, un amico mi ha mandato il testo del libretto della celebrazione della preghiera ecumenica fatta quest’oggi a Nicea (Iznik) per la commemorazione dei 1700 anni del concilio ecumenico celebrato in quel luogo l’anno 325, alla presenza di papa Leone XIV e di numerosi patriarchi e capi di Chiese cristiane orientali, ospiti del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, ho vissuto per un attimo una visione quasi profetica. È durata un attimo, ma è stata bella ed appunto spero che questa celebrazione possa diventare proprio profetica, o se non altro venga messa in quel desiderio di tutti i cristiani “affinché siamo uno in Cristo”.

 

La celebrazione fatta negli scavi archeologici della basilica di San Neofito appunto a Nicea, ha radunato cristiani di diverse confessioni attorno direi a quei quattro pilastri su cui poggia -dovrebbe poggiare ed aver poggiato sempre- la vita di ogni Chiesa cristiana: il Vangelo, la preghiera, la carità ed infine -come l’acqua viva che sgorga dai tre primi pilastri- la concelebrazione attorno ai Santi Misteri. E la celebrazione odierna è stata sorretta già da tre di questi quattro pilastri: l’ascolto e l’accoglienza del Vangelo (Gv 17,21): “…che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch'essi siano in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato”, che è la pericope letta e proclamata in questa celebrazione. Poi il Padrenostro, la preghiera insegnataci dal Signore recitata tutti insieme, preceduta dalla recitazione del Credo che è stato di nuovo oggi, come lo fu millesettecento anni fa, epifania di vera e propria comunione nella fede. In terzo luogo la carità, la fraternità tra i capi di queste Chiese che hanno sì una storia travagliata e non sempre pacifica neppure fraterna tra di loro, ma che per grazia del Signore in questi ultimi tempi, che forse non sono ancora gli ultimi, il Signore ha suscitato in essi un vero desiderio di autentica e rinnovata comunione tra di loro. Infine, l’unica concelebrazione attorno ai Santi Misteri; e questo non è il pilastro mancante, bensì possiamo dire il pilastro ancora in costruzione, i cui mattoni, uno dopo l’altro, sono la nostra preghiera, la nostra accoglienza dell’altro, la nostra carità, il nostro perdono veramente cristiano.

 

          Una celebrazione quella odierna, come lo fu il concilio di millesettecento anni fa, che è riuscita -e uso questo termine con tremore e quasi con pudore- a radunare cristiani di tutte le confessioni -cioè, come prima delle divisioni che sorgeranno dopo i due concili ecumenici del V secolo, appunto Efeso 431 e Calcedonia 451. Le presenze nella celebrazione a Nicea oggi sono significative e, lo ripeto ben convinto, anche profetiche: la storica pentarchia patriarcale di tradizione occidentale ed orientale, da Roma a Costantinopoli, ad Alessandria, ad Antiochia e fino a Gerusalemme. Assieme a vescovi dell’antichissima e venerabile Chiesa Assira, sorta dopo il concilio del 431 soprattutto a causa di fraintendimenti filologici ed anche ecclesiali, più che teologici o cristologici nella confessione dell’unica professione di fede. Assieme a patriarchi e vescovi delle Chiese ortodosse Siriaca, Copta, Armena, Etiopica, Malancarese, Chiese queste appunto sorte dopo il concilio del 451, anche esse segnate da questioni terminologiche che avrebbero dovuto non intaccare la comune professione di fede in Colui che si è incarnato dallo Spirito Santo nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Inoltre sono stati presenti anche alcuni dei patriarchi delle Chiese orientali cattoliche, quasi a preannunciare quella piena comunione, dono del Signore.

 

          Capi di Chiese cristiane radunati oggi assieme al papa Leone XIV, vescovo di Roma, la sede che presiede nella carità le altre Chiese cristiane, assieme al patriarca Bartolomeo I che, quasi come millesettecento anni fa, ha accolto oggi come padrone di casa i vescovi cristiani non più per discutere ma per riflettere sicuramente e soprattutto per pregare e pregare insieme, non più convocati da un potere del mondo ma da un Potere, una Forza che viene dall’alto.

 

          Nicea 2025 icona della piena comunione tra le Chiese cristiane? Sicuramente icona profetica di quella vera comunione tra le Chiese cristiane di Oriente e di Occidente. Un’icona che mi ha fatto sognare e sperare che in un futuro non troppo lontano, quando e come il Signore vorrà, tutti i cristiani possiamo poggiare sui quattro pilastri della vita ecclesiale, della vita cristiana secondo il Vangelo di Cristo. Un’icona che dovrebbe spingerci alla preghiera affinché tutte le Chiese cristiane, di tradizione ortodossa, di tradizione orientale cattolica e di tradizione latina continuiamo insieme, nella fede e nella speranza, e lasciando da parte qualsiasi remora del passato remoto o recente, a costruire, a mettere i mattoni mancanti in quel quarto pilastro che un giorno ci porterà a partecipare tutti dell’unico Corpo e Sangue di Cristo.

 +P. Manuel Nin

Esarca Apostolico


La celebración del 1700 aniversario del Concilio de Nicea en 325.

Un acontecimiento profético.

 

          Esta mañana, cuando un amigo me envió el texto del folleto de la celebración de la oración ecuménica celebrada hoy en Nicea (Iznik) para conmemorar el 1700 aniversario del concilio ecuménico celebrado allí en el año 325, en presencia del Papa León XIV y numerosos patriarcas y jefes de Iglesias Cristianas Orientales, invitados del Patriarca Ecuménico de Constantinopla Bartolomé I, por un momento experimenté una visión casi profética. Duró un momento, pero fue hermoso y espero que esta celebración pueda llegar a ser verdaderamente profética, o al menos plasmarse en ese deseo de todos los cristianos "para que podamos ser uno en Cristo".

 

La celebración realizada en las excavaciones arqueológicas de la basílica de San Neófito en Nicea reunió a cristianos de diferentes confesiones alrededor de esos cuatro pilares sobre los que descansa la vida de toda Iglesia cristiana -debe descansar y siempre deberìa haber apoyado: el Evangelio, la oración, la caridad y finalmente —como el agua viva que fluye de los tres primeros pilares— la concelebración de los Santos Misterios. Y la celebración de hoy ya ha sido sostenida por tres de estos cuatro pilares: escuchar y acojer el Evangelio (Jn 17:21): "... que todos son uno; y así como tú, Padre, estás en mí y yo en ti, ellos también pueden estar en nosotros, para que el mundo crea que me has enviado", que es el pasaje que se ha leido y proclamado en esta celebración. Luego el Padre Nuestro, la oración que nos enseñó el Señor recitada todos juntos, precedida por la recitación del Credo que fue hoy, como fue hace mil setecientos años, una epifanía de verdadera comunión en la fe. En tercer lugar, la caridad y la fraternidad entre los líderes de estas Iglesias que han tenido una historia problemática y no siempre pacífica, ni siquiera fraterna entre ellos, pero que por la gracia del Señor en estos últimos tiempos, que quizás aún no sean los últimos, el Señor ha despertado en ellas un verdadero deseo de auténtica y renovada comunión. Finalmente, la única concelebración en torno a los Santos Misterios, y no como pilar que falta, sino podemos decir el pilar aún en construcción, cuyos ladrillos, uno tras otro, son nuestra oración, nuestra aceptación del otro, nuestra caridad, nuestro verdaderamente cristiano perdón.

 

          La celebración de hoy, como lo fue el concilio de hace mil setecientos años, ha logrado —y uso este término con temblor y casi pudor— reunir a cristianos de todas las confesiones, es decir, como antes de las divisiones que surgirán tras los dos concilios ecuménicos del siglo V, precisamente Éfeso 431 y Calcedonia 451. La presencia en la celebración de Nicea hoy es significativa y, repito con gran convicción, también profética: la histórica pentarquía patriarcal de la tradición occidental y oriental, desde Roma hasta Constantinopla, Alejandría, Antioquía y hasta Jerusalén. Junto con obispos de la antigua y venerable Iglesia Asiria, que surgió tras el Concilio de 431 principalmente por malentendidos filológicos e incluso eclesiales, más que por malentendidos teológicos o cristológicos en la confesión de la única profesión de fe. Junto con los patriarcas y obispos de las iglesias ortodoxas Siríaca, Copta, Armenia, Etíope y Malancar, iglesias que surgieron tras el Concilio de 451, también marcadas por cuestiones terminológicas que no deberían haber afectado a la profesión común de fe en Aquel que, se encarnó del Espíritu en el seno de la Virgen María y se hizo hombre. Además, algunos de los patriarcas de las Iglesias Católicas Orientales también estuvieron presentes, como si predijeran que la plena comunión era un don del Señor.

 

          Los jefes de las Iglesias cristianas se han reunido hoy junto con el Papa León XIV, obispo de Roma, la sede que preside en caridad a las demás Iglesias cristianas, junto con el patriarca Bartolomé I que, casi hace mil setecientos años, recibió hoy a los obispos cristianos como anfitrion ya no para discutir, sino para reflexionar con certeza y, sobre todo, para orar y rezar juntos, no reunidos por un poder del mundo, sino por un Poder, una Fuerza que viene de arriba.

          ¿Icono de Nicea 2025 de plena comunión entre las Iglesias cristianas? Sin duda, un icono profético de esa verdadera comunión entre las Iglesias cristianas de Oriente y Occidente. Un icono que me hizo soñar y esperar que, en un futuro no muy lejano, cuando y como el Señor lo quiera, todos los cristianos puedan descansar sobre los cuatro pilares de la vida eclesial, de la vida cristiana según el Evangelio de Cristo. Un icono que nos impulse a la oración para que todas las Iglesias cristianas, de tradición ortodoxa, de tradición católica oriental y latina, continúen juntas, en fe y esperanza, dejando de lado cualquier vacilación del pasado remoto o reciente, para construir, para poner los ladrillos que faltan en ese cuarto pilar que algún día nos llevará a todos a participar en el único Cuerpo y Sangre de Cristo.

 P. Manuel Nin

Esarca Apostolico


Ο εορτασμός της 1700ης επετείου της Συνόδου της Νίκαιας 325

Ένα προφητικό γεγονός.

 

         Όταν δέχθηκα από έναν φίλο μου το κείμενο του φυλλαδίου του εορτασμού της οικουμενικής προσευχής που πραγματοποιήθηκε σήμερα στη Νίκαια (Ιζνίκ) για τον εορτασμό της 1700ης επετείου της Οικουμενικής Συνόδου που εορτάστηκε εκεί το έτος 325, παρουσία του Πάπα Λέοντα ΙΔ ́ και πολλών Πατριαρχών και αρχηγών των Ανατολικών Χριστιανικών Εκκλησιών, προσκεκλημένων του Οικουμενικού Πατριάρχη Κωνσταντινουπόλεως Βαρθολομαίου Α',  βίωσα για μια στιγμή ένα σχεδόν προφητικό όραμα. Κράτησε μια στιγμή, αλλά ήταν όμορφη και ελπίζω ότι αυτή η γιορτή μπορεί να γίνει πραγματικά προφητική, ή τουλάχιστον να τεθεί σε αυτή την επιθυμία όλων των Χριστιανών «για να είμαστε ένα εν Χριστώ».

         Ο εορτασμός που πραγματοποιήθηκε στις αρχαιολογικές ανασκαφές της βασιλικής του Αγίου Νεοφύτου στη Νίκαια, συγκέντρωσε χριστιανούς διαφορετικών ομολογιών γύρω από αυτούς τους τέσσερις πυλώνες στους οποίους στηρίζεται η ζωή κάθε χριστιανικής Εκκλησίας - πρέπει να αναπαύεται και πρέπει πάντα να αναπαύεται: το Ευαγγέλιο, η προσευχή, η φιλανθρωπία και τέλος - όπως το ζωντανό νερό που ρέει από τους τρεις πρώτους πυλώνες - το συλλείτουργο γύρω από τα Άχραντα Μυστήρια. Και ο σημερινός εορτασμός έχει ήδη υποστηριχθεί από τρεις από αυτούς τους τέσσερις πυλώνες: την ακρόαση και την υποδοχή του Ευαγγελίου (Ιω. 17:21): «... ότι είναι όλοι ένα. και όπως εσύ, Πατέρα, είσαι ενωμένος μαζί μου και εγώ είμαι μέσα σου, μπορεί να είναι και αυτοί μέσα μας, για να πιστέψει ο κόσμος ότι εσύ με έστειλες», που είναι το απόσπασμα που διαβάζεται και διακηρύσσεται σε αυτή τη εορτή. Στη συνέχεια, η προσευχή του Κυρίου, η προσευχή που μας δίδαξε ο Κύριος απαγγέλθηκε από όλους μαζί, πριν από την απαγγελία του Συμβόλου της Πίστεως που ήταν και σήμερα, όπως ήταν πριν από χίλια επτακόσια χρόνια, μια θεοφάνεια αληθινής κοινωνίας στην πίστη. Τρίτον, η φιλανθρωπία, η αδελφοσύνη μεταξύ των αρχηγών αυτών των Εκκλησιών που έχουν μια ταραγμένη ιστορία και δεν είναι πάντα ειρηνικοί, ούτε καν αδελφικοί μεταξύ τους, αλλά που με τη χάρη του Κυρίου σε αυτούς τους τελευταίους καιρούς, που ίσως δεν είναι ακόμη οι τελευταίοι, ο Κύριος ξύπνησε μέσα τους μια αληθινή επιθυμία για αυθεντική και ανανεωμένη κοινωνία μεταξύ τους. Τέλος, το μοναδικό συλλείτουργο γύρω από τα Άχραντα Μυστήρια. Και αυτός δεν είναι ο πυλώνας που λείπει, αλλά μπορούμε να πούμε ο πυλώνας που είναι ακόμα υπό κατασκευή, του οποίου οι λίθοι, ο ένας μετά τον άλλον, είναι η προσευχή μας, η αποδοχή του άλλου, η φιλανθρωπία μας, η αληθινά χριστιανική μας συγχώρεση.

          Ο σημερινός εορτασμός, όπως και η σύνοδος πριν από χίλια επτακόσια χρόνια, έχει καταφέρει – και χρησιμοποιώ αυτόν τον όρο με τρόμο και σχεδόν σεμνότητα – να φέρει κοντά τους Χριστιανούς όλων των ομολογιών, δηλαδή όπως και πριν από τις διαιρέσεις που θα προκύψουν μετά τις δύο οικουμενικές συνόδους του πέμπτου αιώνα, ακριβώς την Έφεσο 431 και τη Χαλκηδόνα 451. Η παρουσία στον εορτασμό της Νίκαιας σήμερα είναι σημαντική και, επαναλαμβάνω με μεγάλη πεποίθηση, και προφητική: η ιστορική πατριαρχική πενταρχία της δυτικής και ανατολικής παράδοσης, από τη Ρώμη μέχρι την Κωνσταντινούπολη, την Αλεξάνδρεια, την Αντιόχεια και μέχρι τα Ιεροσόλυμα. Μαζί με τους επισκόπους της αρχαίας και σεβάσμιας Ασσυριακής Εκκλησίας, που προέκυψε μετά τη Σύνοδο του 431 κυρίως λόγω φιλολογικών και ακόμη και εκκλησιαστικών παρεξηγήσεων, παρά θεολογικών ή χριστολογικών παρεξηγήσεων στην ομολογία της μίας ομολογίας πίστης. Μαζί με τους πατριάρχες και τους επισκόπους της Συριακής, της Κοπτικής, της Αρμενικής, της Αιθιοπικής, της Μαλανκαρίας Ορθόδοξης Εκκλησίας, αυτές οι Εκκλησίες προέκυψαν μετά τη Σύνοδο του 451, που χαρακτηρίστηκαν επίσης από ορολογικά ζητήματα που δεν έπρεπε να επηρεάσουν την κοινή ομολογία πίστης σε Εκείνον που, ενσαρκωμένος από το Άγιο Πνεύμα και την Παρθένο Μαρία, ενσαρκώθηκε και έγινε άνθρωπος. Επιπλέον, μερικοί από τους πατριάρχες των Ανατολικών Καθολικών Εκκλησιών ήταν επίσης παρόντες, σαν να προμήνυαν αυτή την πλήρη κοινωνία, δώρο του Κυρίου.

          Οι Αρχηγοί των Χριστιανικών Εκκλησιών συγκεντρώθηκαν σήμερα μαζί με τον Πάπα Λέοντα ΙΔ ́, Επίσκοπο Ρώμης, την έδρα που προεδρεύει με φιλανθρωπία των άλλων Χριστιανικών Εκκλησιών, μαζί με τον Πατριάρχη Βαρθολομαίο Α ́, ο οποίος, σχεδόν πριν από χίλια επτακόσια χρόνια, καλωσόρισε τους χριστιανούς επισκόπους ως οικοδεσπότης σήμερα όχι πλέον για να συζητήσει αλλά για να σκεφτεί σίγουρα και πάνω απ' όλα να προσευχηθεί και να προσευχηθεί μαζί τους.  Δεν καλείται πλέον από μια δύναμη του κόσμου αλλά από μια Δύναμη, μια Δύναμη που έρχεται από ψηλά.

          Νίκαια 2025 εικόνα πλήρους κοινωνίας μεταξύ των Χριστιανικών Εκκλησιών; Σίγουρα μια προφητική εικόνα αυτής της αληθινής κοινωνίας μεταξύ των Χριστιανικών Εκκλησιών Ανατολής και Δύσης. Μια εικόνα που με έκανε να ονειρεύομαι και να ελπίζω ότι στο όχι και τόσο μακρινό μέλλον, όταν και όπως θέλει ο Κύριος, όλοι οι Χριστιανοί μπορούν να αναπαυθούν στους τέσσερις πυλώνες της εκκλησιαστικής ζωής, της χριστιανικής ζωής σύμφωνα με το Ευαγγέλιο του Χριστού. Μια εικόνα που θα πρέπει να μας παρακινήσει να προσευχηθούμε ώστε όλες οι χριστιανικές Εκκλησίες, της Ορθόδοξης παράδοσης, της Ανατολικής Καθολικής παράδοσης και της Λατινικής παράδοσης, να συνεχίσουν μαζί, με πίστη και ελπίδα, και αφήνοντας κατά μέρος κάθε δισταγμό του μακρινού ή πρόσφατου παρελθόντος, να χτίσουν, να βάλουν τους λίθους που λείπουν σε αυτόν τον τέταρτο πυλώνα που μια μέρα θα μας οδηγήσει όλους να συμμετάσχουμε στο ένα Σώμα και Αίμα του Χριστού.

 +Π. Μανουέλ Νιν

Αποστολικός Έξαρχος


martedì 11 novembre 2025

 

Iconostasi. Cattedrale della Santissima Trinità. Atene


“…fidanzata allo Spirito, spo­sata a Dio Padre…”

A proposito di alcuni titoli cristologici dati alla Madre di Dio in Oriente

 

Quando nel 431 il concilio di Efeso diede a Maria il titolo cristologico di Madre di Dio (Θεοτόκος), confermò la professione di fede nella vera incarnazione del Verbo eterno di Dio, un titolo -Madre di Dio (Θεοτόκος)- che già qualche testo liturgico e autore precedente aveva adoperato per indicare questo mistero centrale della nostra fede. Titolo cristologico e titolo mariologico, e questo doppio aspetto sarà una dimensione che lungo la storia delle Chiese e delle liturgie cristiane troveremo, specialmente nei testi delle celebrazioni liturgiche che sono, appunto, lex orandi e lex credendi.

In queste pagine, vorrei brevemente presentare una riflessione, quasi soltanto un percorso di lettura di testi liturgici orientali in cui troviamo, esento di qualsiasi polemica, lo svolgersi e direi la contemplazione di quella che è la fede delle Chiese cristiane di Oriente e di Occidente: il Figlio e Verbo di Dio, per noi uomini e per la nostra salvezza, si è incarnato e si è fatto uomo, dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria. E di questa professione di fede, i titoli cristologici e mariologici allo stesso tempo, ne sono una manifestazione orante. Presento quindi, a modo di campione, alcuni dei titoli che l’Oriente cristiano dà alla Madre di Dio nei diversi testi liturgici.

21 novembre: Ingresso della Madre di Dio nel tempio.

Le diverse tradizioni liturgiche cristiane, sia di Oriente che di Occidente, celebrano come una grande festa il giorno 21 novembre, festa che porta come titolo: “Ingresso della Madre di Dio nel tempio”, ed è una festa che ha un’origine legata alla dedicazione di una chiesa nella Città Santa di Gerusalemme. Molti degli aspetti della festa, presenti nei testi liturgici, provengono dal Protovangelo di Giacomo, un apocrifo che ha un influsso notevole su diverse feste liturgiche sia in Oriente che in Occidente. L’Ingresso della Madre di Dio nel tempio è una festa che ci offre la possibilità di meditare e riflettere sul mistero centrale della nostra fede cristiana, cioè l’incarnazione dell’eterno Figlio e Verbo di Dio.

         Vorrei passare in rassegna alcuni dei titoli che troviamo riferiti alla Madre di Dio nei testi liturgici di questa festa, e mettere in rilievo che i titoli dati a Maria nelle liturgie cristiane sono sempre dei titoli in rapporto con Cristo e in riferimento al mistero dell’incarnazione, e quindi anche alla Madre di Dio. Il titolo che troviamo più presente, e che nasce dalla stessa festa celebrata, è quello di “tempio di Dio”. Maria bambina, portata, introdotta nel tempio di Dio, diventa, per l’incarnazione, essa stessa tempio del Dio vivente. In questo contesto, troviamo riferimenti non soltanto di carattere cristologico ma anche di carattere trinitario:

“… la Madre di Dio, che è tempio di Dio, …è introdotta nel tempio…. …tu hai generato al mondo il Verbo, pane di vita: come suo tempio eletto e tutto imma­colato, fosti mi­sti­camente fidanzata allo Spirito, spo­sata a Dio Padre”.

         La dimensione sponsale che in Maria prende il mistero dell’incarnazione fa che la liturgia gli dia titoli che ci avvicinano alla simbologia dello sposalizio: “…fidanzata allo Spirito…, sposata a Dio Padre”. Un altro dei tropari ancora recita: “Dopo la tua nascita, o Sovrana sposa di Dio, sei giunta nel tempio del Signore”. La dimensione sponsale di Cristo in riferimento a Maria e alla Chiesa la troviamo poi presente in altri testi della stessa tradizione bizantina. Specialmente nelle liturgie della Settimana Santa, Cristo è presentato come “Sposo”: “Ecco lo Sposo viene nel bel mezzo della notte…” (tropario del Lunedì Santo). Le nozze di Cristo Sposo con la Chiesa, con l’anima di ogni cristiano avvengono quindi nel talamo, nella camera nuziale che è la sua croce: “Vedo, o mio Salvatore, il tuo talamo adorno, e non ho la veste per entrarvi. Fa risplendere la veste dell’anima mia, o datore di luce, e salvami” (tropario della Settimana Santa). La dimensione sponsale porta anche a presentare Maria come “sposa”, sempre strettamente vincolata al mistero dell’incarnazione: “Gioisci, sposa senza nozze” (Inno Akathistos).

“Il Creatore di tutte le cose, l’Artefice e Sovrano, pie­gan­dosi con ineffabile compassione, solo per il suo amore per gli uomini, ha avuto pietà di colui che con le sue mani aveva formato e che vedeva caduto, e si è compiaciuto di rialzarlo, riplasmandolo in modo più divino, con il proprio annientamento…. Egli prende pertanto Maria, vergine e pura, come mediatrice del mistero, per assumere da lei, secondo il suo disegno, ciò che è nostro: essa è celeste dimora”.

L’incarnazione, l’annientamento di Dio -nel tropario citato il riferimento a Fil 2 è evidente-, è per l’uomo caduto una nuova creazione di cui Maria diventa mediatrice in quanto offre a Dio la nostra natura umana: “Egli prende pertanto Maria, vergine e pura, come mediatrice del mistero, per assumere da lei, secondo il suo disegno, ciò che è nostro…”.

Piena di gioia, Anna degna di ogni lode esclamava: Ri­cevi, Zaccaria, colei che i profeti di Dio hanno annun­ciato nello Spirito; introducila nel tempio santo, per essere san­tamente allevata e così divenire divino trono del So­vrano dell’universo, sua reggia e lettiga, sua fulgida dimora”.

Anna, vera grazia divina, conduce con gioia al tem­pio del Dio la pura sempre Vergine… e dice: Va’, figlia, a colui che a me ti ha data: sii dono votivo e profumo di soave odore. Entra nei penetrali, apprendi i mi­ste­ri e preparati a divenire amabile e splendido taberna­co­lo di Gesù…”.

         Questi due tropari mettono in bocca di Anna, la madre di Maria, quasi una professione di fede nell’incarnazione del Figlio e Verbo di Dio.

         La liturgia bizantina, anche quella di tradizione siriaca, spesso si serve di immagini cristologicamente contrastanti: “…celebriamo spiritualmente una festa solenne, e piamente accla­miamo la Vergine, figlia di Dio e Madre di Dio, che viene condotta al tempio del Signore”. Tropari di altre feste liturgiche useranno ancora questo linguaggio cristologicamente per via di contrasto: “Cristo …nato dal Padre senza madre, nato dalla Madre senza padre”.

         Nel contesto della celebrazione del mistero pasquale di Cristo, troviamo nelle tradizioni orientali, anche il titolo di “agnella” dato alla Madre di Dio.

Vedendoti inchiodato alla croce, Signore, l’agnella, la Madre tua, sbigottita gridava: Che è questa visione, Figlio amatissimo?... L’agnella, vedendo sulla croce te, il suo agnello, trafitto dai chiodi, atrocemente sconvolta gemeva e tra le lacrime diceva: In quale modo muori, Figlio mio, per voler lacerare il documento scritto del debito del primo creato, Adamo, e riscattare dalla morte tutto il genere umano!... Agnella che hai partorito l’agnello immacolato venuto a sanare, o tutta pura, il peccato del mondo intero con il suo proprio sangue…: rivesti me, spoglio della divina incorruttibilità, del manto della divina grazia fatto con la lana del tuo agnello”.

         Maria, con l’immagine dell’agnella è associata al sacrificio di Cristo, in un contesto chiaramente cristologico che, nel tropario ora citato ha inoltre una dimensione anche ecclesiologica: “…rivesti me, spoglio della divina incorruttibilità, del manto della divina grazia fatto con la lana del tuo agnello”. Il cristiano, per mezzo dei sacramenti ricevuti nella Chiesa, è rivestito con la “lana” dell’agnello che è Cristo.

 

I titoli dati a Maria nelle diverse Chiese cristiane di Oriente e di Occidente suppongono una lettura in chiave allegorica dei testi veterotestamentari, seguendo la tradizione cristiana dai primi secoli fino ai nostri giorni. Nelle liturgie cristiane troviamo molti testi che danno a Maria dei titoli cristologici a partire da testi veterotestamentari. Ad esempio, molti versetti dei salmi, del salmo 44 ad esempio, ed i testi profetici, specialmente Is 7, Ezechiele 44 ed altri, vengono letti in chiave cristologica.

“Aprirò la mia bocca, si colmerà di Spirito, e proferirò un discorso per la regina Madre (salmo 44,2-10): mi mostrerò gioio­samente in festa e canterò lieto il suo ingresso nel tempio”.

“La porta gloriosa, inaccessibile ai pensieri (Ez 44,1ss), var­cate le porte del tempio di Dio, ci invita ora a riunirci per godere del­le sue divine meraviglie”.

“Gridalo, o Davide, che cos’è questa festa? Non è per colei che un tempo hai celebrata nel libro dei salmi come divina figlia di Dio e vergine? Per la quale hai detto: Saranno misticamente condotte al re le vergini dietro di lei e le sue compagne? (salmo 44,15)...”.

“Il monte adombrato che un tempo Abacuc vide e preannunciò (Ab 3,3), entrando nei penetrali del tempio è tutto fio­rito di virtù e ha ricoperto della sua ombra i confini della terra… …o Cristo, dalla Vergine sei germo­gliato (Is 11,1), dal bo­scoso monte adombrato (Ab 3,3), o degno di lo­de: sei venuto in­car­nato da una Vergine ignara d’uo­mo, tu, immateriale e Dio”.

         Infine, diversi dei tropari della tradizione liturgica bizantina, raccolgono, quasi intessendole tra di esse, delle citazioni veterotestamentarie lette in chiave cristologica e mariologica:

Meravigliosamente, o pura, la Legge ti ha prefi­gurata come tenda e urna divina, come singolare ar­ca, velo e ver­ga, tempio indissolubile e porta di Dio; e ci insegna così ad acclamare: O Vergine pura, veramente tu sei elevata al di sopra di ogni creatura…. …un tempo l’assemblea dei profeti ha preannunciato come urna, verga, tavola della Leg­ge e mon­tagna non tagliata, Maria, la divina fanciulla, con fede celebriamo: perché oggi è introdotta nel santo dei santi per esservi allevata per il Signore”.

 

         Severo di Antiochia e Giorgio Warda.

         Quasi a modo di appendice di questo percorso rapido sui testi liturgici, propongo due esempi di autori cristiani che parlano della Madre di Dio: Severo, patriarca anti calcedoniano di Antioquia nel VI secolo, e Giorgio Warda, autore siro orientale del XIII secolo.

         Di Severo, accenno all’Omelia Cattedrale XIV, predicata nel primo anno di episcopato ad Antiochia, il 2-3 febbraio 513. In essa Severo sottolinea come si debbano onorare i profeti, gli apostoli e i martiri in quanto essi hanno contribuito all’economia di Cristo: “I profeti hanno preannunciato il mistero, gli apostoli hanno confermato il mistero, i martiri hanno confessato il mistero”. E prosegue affermando che “la Madre di Dio è profetessa, apostolo e martire. È la profetessa annunciata da Isaia, è Madre di Dio, Vergine, che genera l’Emmanuele”, e qua Severo applica la profezia di Isaia a Maria in un contesto cristologico. “Maria è anche apostolo; essa è con gli apostoli (Atti 1,14); essa annuncia anche per mezzo della sua concezione verginale. Infine è anche martire a causa del giudizio temerario di Giuseppe, della fuga in Egitto a causa di Erode”. La stessa festa del 21 novembre, di cui sopra, ha un tropario che quasi riecheggia quanto detto da Severo: “Tu, annuncio dei profeti, gloria degli apostoli, vanto dei martiri e rinnovamento di tutti i mortali… Noi onoriamo dun­que il tuo arrivo nel tempio del Signore…”.

          Giorgio Warda è uno dei principali innografi della tradizione ecclesiale e liturgica siro orientale, vissuto tra a fine del XII e l’inizio del XIII secolo ad Arbela, nell’attuale Iraq. Il nome Warda (che significa rosa in siriaco) è un soprannome legato alla raccolta delle sue composizioni poetiche presenti nei libri liturgici siro orientali. Presento brevemente un frammento di uno degli inni di Giorgio dedicati a Maria, inno che contiene una serie di versetti in cui il poeta teologo fa una lettura in chiave mariologia e soprattutto cristologica di alcuni salmi o versetti dei salmi, presentandone un’esegesi assai originale. L’autore applica i versetti salmici alla vita stessa di Maria, presentata soprattutto come modello di ogni cristiano che vive nella sua vita, quasi incarnandoli, i versetti stessi dei salmi.

“Ventidue salmi cantati da Davide, è a lei (Maria) che convengono. Il primo indica tutta sua perfezione e la sua purezza: «Beato l'uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori… ma nella legge del Signore trova la sua gioia…». Il terzo sulla la sua persecuzione: « Signore, quanti sono i miei avversari! Molti contro di me insorgono »; ed il quarto la sua pace: «…perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare».

          Sono dei salmi che si adattano a Maria, al cristiano e alla Chiesa stessa:

“Il sedicesimo sulla sua perseveranza: «Ho detto al Signore: Il mio Signore sei tu, solo in te è il mio bene. Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. », il diciassettesimo la sua limpidezza: «Saggia il mio cuore, scrutalo nella notte, provami al fuoco: non troverai malizia… Ma io nella giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua immagine. », e la lode che segue a questo fu cantata per lei da suo padre giusto”.

Altri salmi portano l’autore ad esaltare la piena fiducia e dedizione di Maria nei confronti di Dio, dedizione che si manifesta con l’immagine dell’abitare nel tempio e, quindi, nel diventare tempio stesso di Dio, per l’incarnazione del Verbo nel suo grembo:

“E il sessantunesimo (parla) del suo nascondimento: «Per me sei diventato un rifugio… Vorrei abitare nella tua tenda per sempre, vorrei rifugiarmi all'ombra delle tue ali», e la sua liberazione nei due (salmi) che seguono. E nell’ottantaseiesimo (si dice) che il Figlio dell’Altissimo ha abitato in lei: «Si dirà di Sion: “l'uno e l'altro in essa sono nati e lui, l'Altissimo, la mantiene salda». E il salmo novantunesimo (parla) degli angeli che custodiscono il suo corpo: «Egli per te darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie», e il salmo centouno (annuncia) che (il Figlio) è apparso nel mondo per mezzo suo.”

          Infine l’autore aggiunge ai testi salmici anche Ezechiele, Cantico dei Cantici e Matteo, quasi a completare e mettere in risalto l’insieme della Bibbia nell’esegesi cristologica, mariologica ed ecclesiologica, coronandola con il riferimento all’incarnazione del Verbo di Dio nel grembo verginale di Maria:

“È colei che non ha conosciuto uomo, ed è la terra che soltanto il Signore ha seminato. Lei è la porta di cui parla il Signore per mezzo del profeta Bar Buzi (Ezechiele): «Sarà chiusa e nessuno vi entrerà, perché (soltanto) il Signore entrerà e ne uscirà». Lei è la fonte sigillata da cui tutto il mondo è dissetato. Lei è il tesoro intatto, da cui si arricchiscono tutti gli uomini. È colei in cui abitò Dio, e da lei risplendette il Figlio di Dio. Lei è la discendenza di Eva, per mezzo di cui fu cancellata la maledizione di Eva. Lei ha portato Colui che porta l’altezza e la profondità, e in lui si radunano. Lei ha partorito il datore di vita, Dio e uomo al di sopra della natura”.

          Si tratta quasi soltanto di una lista senza commento di ventidue versetti salmici che l’autore applica a Maria, e costituisce quasi un unicum nell’esegesi siro orientale di testi veterotestamentari.

 

         Conclusioni.

La mariologia, in Oriente ha un ampio respiro cristologico ed ecclesiologico. I titoli ed i simboli, sono chiari, forti e direi anche osati, ed includono, possiamo dire situano la Madre di Dio direttamente nel mistero dell’incarnazione e quindi della redenzione e della nuova creazione che avviene in Cristo per ognuno dei cristiani. Maria è sempre accanto a Cristo, alla sua destra quale “Regina assisa alla destra del Re” (cf., salmo 44,10). Accanto a Cristo, alla sua destra nell’iconografia: negli iconostasi, nei mosaici…; nell’anafora, come prima commemorazione dopo l’epiclesi, dopo che lo Spirito Santo ha santificato e consacrato i Santi Doni; anche nella protesi (la preparazione del pane e del vino nella tradizione bizantina), dove la particella di pane che commemora la Madre di Dio viene collocata alla destra di quella dell’Agnello.

Simbologia dei titoli cristologici e mariologici che diventa anche professione di fede, senza mai lasciare da parte, senza mai rinunciare ad una lettura specialmente dei testi dell’Antico Testamento in chiave allegorica, ed in continuità con la tradizione delle Chiese cristiane che hanno letto e leggono tuttora in questa chiave i testi biblici nella preghiera cristiana. E ciò suppone, esige direi di non rinunciare mai a una vera mistagogia che introduca i fedeli cristiani ad una comprensione cristologica e quindi cristiana dei testi letti e pregati. Senza una mistagogia cristiana i testi della Sacra Scrittura si sgretoleranno tra le nostre mani e potremmo raccoglierne soltanto, quasi piccole molliche sparse qua e là, quasi frammenti senza una unione tra di loro. Infatti, il “sacrificio” e la “mutilazione” -mi si consentano queste due espressioni forse forti- del Salterio subito in alcuni testi di preghiera negli ultimi decenni ne è un esempio patente. I salmi, in tutta la loro forza e bellezza direi esistenziali, tutto l’Antico Testamento, gli stessi Vangeli anche! non sono testi facili, anzi, ma la tradizione orante delle Chiese cristiane di Oriente e di Occidente, da Cristo stesso sulla croce fino ai nostri giorni gli ha pregati e ha insegnato i fedeli, guidandoli per mano, a fare proprie le parole di Davide, le parole di Cristo.

Come Chiesa Cattolica preghiamo la Vergine Maria con l’espressione: “Santissima Madre di Dio, salvaci”, perché è lei che ci dà il Salvatore, che ci mostra come Odigitria Colui che è il cammino, la verità e la vita, è lei che intercede supplicante “alla destra dell’Agnello, alla destra del Re”.

 

+. P. Manuel Nin

Esarca Apostolico

 


giovedì 6 novembre 2025


 

Ordinazione episcopale di mons. Raffaele De Angelis

Omelia / Riflessione al vespro del giorno 6 novembre 2025

 

         Carissimo mons. Raffaele De Angelis,

         ci siamo radunati questa sera, al tramonto del sole, per pregare il vespro, per cantare quella Luce gioiosa, quel Fos ilaròn, Cristo Signore che è il sole e la luce che nella vita della Chiesa e nella nostra vita non tramonta mai. E in quest’ora vespertina, quest’oggi vogliamo ringraziare il Signore per tutti i suoi doni, e pregare e accompagnarTi mons. Raffaele in questo momento importante della Tua vita: cioè l’ordinazione episcopale per la diocesi di Piana degli Albanesi. Ricordo con gioia, sia il giorno in cui sei arrivato al Collegio Greco, tanti anni fa, sia il giorno della Tua ordinazione sacerdotale ad Acquaformosa quel 5 novembre del 2006, quando ero rettore del Pontificio Collegio Greco. Non avrei mai immaginato che diciannove anni dopo sarei stato uno dei tuoi vescovi ordinanti.

         Radunati questa sera per accompagnarTi, carissimo mons. Raffaele, come vescovi, assicurandoTi una fraternità, un supporto umano che Ti saranno e Ti sono già garanzia che mai non sarai solo, mai Ti troverai da solo a gestire, a portare avanti un servizio che è anche una croce. Perché, se quest’oggi e nell’ordinazione dopodomani noi vescovi siamo qua, accanto a Te, è per dirTi che siamo fratelli, che siamo un Collegio, che ha Cristo come centro e come capo, e che ci fa tra di noi solidali nel ministero che ci è stato confidato.

Radunati questa sera per accompagnarTi, mons. Raffaele, anche tanti preti, di Piana degli Albanesi, di quella che da dopodomani sarà la Tua Sposa. Tanti preti anche di Lungro e di tante Chiese dell’Italia e dall’estero. Penso specialmente ai preti di Piana che Ti accompagnano e Ti accompagneranno nella preghiera -nella tradizione bizantina il sacerdote quando prepara la protesi e nella celebrazione della Liturgia ricorda sempre il proprio vescovo. Sacerdoti di Piana che Ti accompagnano nella preghiera certamente, ma anche, e soprattutto, nella fedeltà filiale e quotidiana, nell’ubbidienza anche questa filiale e pure quotidiana, nella stima e nell’amore verso di Te e verso la propria Chiesa di Piana degli Albanesi.

Radunati questa sera per accompagnarTi, mons. Raffaele, anche tante persone che Ti stimano e che Ti sono amiche e che Ti hanno accompagnato lungo la Tua vita fino ad oggi, dai Tuoi famigliari a tanti amici, anche coloro che negli anni romani, al Pontificio Collegio Greco, Ti siamo stati accanto.

Questa mia omelia avrà due momenti. Il primo in cui mi soffermo in qualche aspetto della celebrazione dell’ordinazione episcopale che celebreremo dopodomani, festa dei Santi Arcangeli e Angeli, tra cui Raffaele di cui porti il nome. Il secondo in cui lascio parlare per Te alcuni brevi pensieri presi da qualche testo di san Giovanni Crisostomo.

I.

Come forse sapete, l’ordinazione episcopale avviene nella prima parte della Divina Liturgia nella tradizione bizantina. Mentre l’ordinazione del diacono avviene alla fine dell’anafora, prima del Padrenostro, e quella del sacerdote dopo l’Ingresso con i Doni (il Grande Ingresso) e prima dell’anafora. Quindi quella del vescovo avviene dopo l’Ingresso con l’Evangeliario (il Piccolo Ingresso).

1.     Professioni di fede. Reciterai tre lunghe professioni di fede, in cui davanti a Dio e davanti alla Chiesa manifesterai, professerai la Tua fede in Colui, nostro Signore Gesù Cristo, che è Uno della Santa Trinità, e che per noi si è fatto veramente uomo, uno di noi. E manifesterai davanti alla Chiesa chi è il fulcro, il centro della Tua vita cristiana, Cristo Signore.

2.    Sarai presentato ai tre vescovi ordinanti e a tutta la Chiesa e girerai per tre volte attorno all’altare baciandone i quattro lati. L’altare che è mensa, ara e tomba. Mensa da dove prenderai i Santi Doni del Corpo e del Sangue di Cristo e gli darai ai fedeli. Tu ne sarai, come vescovo, il principale dispensatore. Quando celebra il vescovo è lui che elargisce, dà i Santi Doni ai preti, ai diaconi e ai fedeli. Ara dove avviene il sacrificio di Cristo ed il Tuo anche. Tomba, di Cristo, da dove Lui, il Signore risorto Ti darà la Sua forza e la Sua grazia. E girando attorno all’altare, baciandolo, manifesterai anche che Ti vincoli in modo stretto e inscindibile a Cristo che è il Tuo Signore, di Cui -del Signore- Tu, come vescovo diventi vicario, ed anche come amico e come Sposo della Tua Chiesa, e.

3.    Infine, il terzo momento. Ti inginocchierai toccando l’altare ed il primo vescovo ordinante ti imporrà le mani e reciterà su di Te le preghiere di ordinazione mentre gli altri due vescovi reggeremo l’evangeliario aperto sulle Tue spalle ad indicare che il Vangelo è il giogo soave e la carica leggera, comunque non lo dimentichi: giogo e carica.

Una volta ordinato sarai rivestito con i parati episcopali, sarai rivestito di Cristo. Rivestito, pensa a quello che il grande Benedetto XVI diceva in una sua omelia: il vescovo, il sacerdote, il diacono, si rivestono per sparire loro e manifestare un Altro che è il vero celebrante. Il papa dice: “In questo gesto esterno, la Chiesa vuole renderci evidente l’evento interiore e il compito che da esso ci viene: rivestire Cristo; donarsi a Lui come Egli si è donato a noi… Indossarli deve essere per noi più di un fatto esterno: è l’entrare sempre di nuovo nel "sì" del nostro incarico – in quel "non più io" del battesimo che l’Ordinazione ci dona in modo nuovo e al contempo ci chiede. Il fatto che stiamo all’altare, vestiti con i paramenti liturgici, deve rendere chiaramente visibile ai presenti e a noi stessi che stiamo lì "in persona di un Altro"…

 

II.

San Giovanni Crisostomo ha tra le sue opere un Dialogo sul sacerdozio e un’Omelia sul sacerdozio. Voglio ancora questa sera attirare la Tua attenzione, la vostra attenzione, su qualche aspetto dell’Omelia sul sacerdozio. Non vi preoccupate, le omelie crisostomiane sono molto lunghe ma io in questa seconda parte della mia omelia vespertina sarò breve.

Tre aspetti dell’omelia del Crisostomo che credo possono esserTi utili, esserci utili a tutti noi.

1.     Lo stupore, la meraviglia di fronte al dono di Dio. Ti sarà capitato di sentire stupore al sapere della Tua nomina, ma vedrai che sarà uno stupore, una meraviglia che non dovrà -non dovrebbe- smettere, appassire mai. Cito il Crisostomo: “È vero quello che ci è accaduto? Sono veramente capitate queste cose… I fatti che viviamo, non sono forse un sonno nella notte? Veramente si è fatto giorno e siamo svegli? Chi potrà credere che un uomo giovane, povero e debole, sia stato innalzato a questo livello di autorità?”. Quindi non smettere mai di stupirti di tutto quello che il Signore ha fatto, fa e farà nella Tua vita come vescovo e per mezzo di Te come vescovo di una Chiesa concreta, quella di Piana degli Albanesi.

2.    Come vescovo dovrai predicare, annunciare il Vangelo alla Tua Chiesa. Dovrai aiutare la Tua Chiesa -preti e fedeli- a vivere il Vangelo, dovrai evangelizzare il cuore dei Tuoi preti e dei Tuoi fedeli. Tornando al Crisostomo, egli al Verbo, offre il verbo, la sua parola, parola che vorrà dire preghiera, lode a Dio e anche edificazione dei fedeli: “Vorrei, quindi, adesso che per prima volta parlo nella chiesa, consacrare le primizie di questa lingua (parola) a Dio che ce ne ha fatto dono…Bisogna offrire le primizie delle parole al Verbo -των λογων τω Λογω-…”. Non ti stancare mai di annunciare il Vangelo. Seguendo la corrente oppure controcorrente.

3.    Giovanni Crisostomo, infine, fa un elogio del suo vescovo, il patriarca di Antiochia Flaviano, alla cui presenza lui sta predicando. Ne elogia diversi aspetti: i suoi viaggi, le sue veglie, le sue preghiere, la sua sollecitudine per la Chiesa antiochena... Cosa intendo con questo? La sollecitudine per tutte le realtà, anche fisicamente allontanate o lontane, che saranno realtà della Tua Chiesa. Non Ti risparmiare, nessuno è né fisicamente né umanamente né spiritualmente troppo lontano da Te. Ho capito l’elogio del Crisostomo quando ho scoperto che una delle due parrocchie dell’Esarcato in Grecia si trovava a 500 km a nord di Atene. Ti dicevo: non Ti risparmiare…, ma Ti dico pure e con insistenza: nel Tu ministero, servizio come vescovo abbi cura di Te stesso, e metti da parte anche del tempo per Te. Le veglie, le preghiere dice ancora il Crisostomo: prega ogni giorni per la Tua Chiesa, amala e curala come sposa, un amore sponsale, generoso, gratuito, benché anche crocefisso. La sollecitudine per la Chiesa antiochena diceva il Crisostomo. La sollecitudine per la Tua Chiesa di Piana, con tutti i suoi pregi, che ce ne sono e tanti. Con i suoi problemi che sono dappertutto.

 

Il vescovo è vicino ai preti e ai fedeli, tra di loro, nelle lotte, nelle fatiche, nei guai. Lui veglia -diventa proprio vescovo - επίσκοπος- per il popolo, e costui cammina in piena sicurezza. Giovanni afferma ancora: “Lui siede sul luogo di comando e guarda senza sosta non gli astri del cielo, né le rocce che cadono nell’acqua... ma le trappole dal diabolo... e così mantiene tutti nella sicurezza; e veglia non soltanto sulla nave, ma anche fa tutto quanto può affinché nessuno, tra i naviganti, non abbia a soffrire niente...”.

         Carissimo mons. Raffaele, vai a Piana degli Albanesi con fede, con speranza, sapendo che il Signore, che Ti ha caricato con una croce, Ti darà sempre anche la forza per portarla.

         A Lui, il Signore crocefisso e risorto, la gloria e l’onore assieme al Padre e allo Spirito Santo nei secoli. Amin.

Acquaformosa, 6 novembre 2025

 

+P. Manuel Nin

Esarca Apostolico per i cattolici di tradizione bizantina in Grecia

Vescovo titolare di Carcabia