sabato 21 giugno 2025

 


Alcune riflessioni da vescovo patrologo su un testo di sant’Agostino di Ippona.

Quando nel lontano 1984 arrivai a Roma, dal mio monastero di Montserrat, per fare la specializzazione in Teologia e Scienze Patristiche presso l’Istitutum Patristicum Augustinianum, avevo una formazione patristica di base possiamo dire assai soddisfacente. Non per meriti propri, ma perché nei miei anni di formazione monastica e teologica nel monastero ebbi soprattutto tre grandi maestri che mi insegnarono a conoscere ed amare questi autori cristiani antichi: essi furono p. Alessandro Olivar, che mi guidò quasi per mano nei corridoi della biblioteca monastica per mostrarmi ed insegnarmi ad usare -guardando, sfiorando, aprendo, direi quasi annusando- quegli strumenti fondamentali che erano le grandi collane patristiche, le enciclopedie, gli studi filologici e teologici sui grandi autori cristiani antichi. Poi, p. Cebrià Piffaré che, da buon maestro e teologo lui stesso, mi spinse a leggere i grandi autori antichi, da Origene a sant’Agostino, dai testi di san Benedetto a quelli che narrano le prodezze di quei “folli” e santi monaci dei deserti della Messopotamia. Infine, p. Ramon Ribera che pazientemente in una lunga e proficua “centuria” di ore di scuola mi mise nelle mani una buona conoscenza della lingua siriaca, quella antica e veneranda lingua semitica con cui Efrem di Nisibi cantò il mistero della divino-umanità del Verbo di Dio fattosi carne, fattosi uomo come ognuno di noi, lingua con cui il Signore stesso ci insegnò a pregare il Padre che è nei cieli. Questi tre padri e maestri, e confratelli monaci, mi insegnarono a conoscere e soprattutto ad amare i santi Padri della Chiesa, quegli autori antichi provenienti da diverse tradizioni cristiane, che nei loro scritti adoperarono diverse lingue, e che venivano da origini geografiche e culturali assai differenti, ma tutte attorno -oserei dire guardando verso- il grande bacino del Mediterraneo.

Questa mia premessa autobiografica l’ho fatta per poter approdare, nel settembre 1984, all’Istitutum Patristicum Augustinianum di Roma. Non pretendo elencare i pregi di questo importante centro universitario di Roma, fondato ed inaugurato da san Paolo VI nel 1970, dove ho fatto i miei studi di specializzazione patristica dal 1984 fino al 1992. Voglio soltanto sottolineare la larghezza di orizzonti scientifici di quella sede che, negli abbondantissimi corsi offerti agli studenti, mi portò ad avere una visione larga e completa di tutto il periodo patristico: geograficamente, dalla Spagna all’Italia al nord Africa, all’Egitto, alla Cappadocia, alla Palestina, alla Messopotamia…; cronologicamente, dal primo al settimo e ottavo secoli; linguisticamente, dal latino al greco, al siriaco, al copto…; teologicamente, da Alessandria -senza dimenticare Roma- ad Antiochia; infine ecclesiologicamente, da Cipriano ad Ambrogio a Basilio ad Agostino di Ippona. E i corsi offerti su questo grande padre della Chiesa nordafricana tra il quarto ed il quinto secolo sono diventati il fiore all’occhiello di questo centro romano di studi patristici.

Ed arrivo allo scopo di questa mia breve riflessione. “Per voi sono vescovo…, con voi sono cristiano… Vobis sum episcopus, vobiscum sum christianus”. Questa frase di sant’Agostino, nel suo sermone 340 predicato nell’anniversario della sua ordinazione episcopale, è stata potremo dire il centro del messaggio che il nuovo vescovo di Roma, papa Leone XIV, ha voluto dare al suo popolo nella sua prima apparizione sulla loggia della basilica di San Pietro. Il suo messaggio al popolo di Dio che lo salutava e lo accoglieva come nuovo vescovo di Roma fu proprio questo: “…per voi…, con voi…”. Le parole forti e chiare del santo vescovo di Ippona riecheggiarono nelle orecchie ma soprattutto nei cuori di quella folla che accorreva a piazza San Pietro quel pomeriggio quasi estivo del mese di maggio.

Tutti siamo battezzati in Cristo e siamo, diventiamo, grazie ai sacramenti dell’iniziazione cristiana, battesimo, cresima ed eucaristia, Chiesa e Corpo di Cristo. Alcuni tra i battezzati, poi, vengono chiamati dal Signore, e scelti dalla Chiesa stessa, per essere vescovi per il popolo, per tutte le membra di questo Corpo glorioso. La frase di sant’Agostino mi porta a riflettere brevemente e direi schiettamente, da vescovo, sul ministero episcopale, sulla croce dell’essere pastore, e che il Signore ha caricato sulle nostre fragili spalle. E mi potreste chiedere: se l’essere vescovo “per voi…, per una Chiesa, per un gregge…” è un pondus, un peso, una croce, allora forse il “con voi…”, l’essere e vivere da cristiano sia una cosa più facile, forse meno impegnativa. L’essere cristiano, il vivere ed agire come tale, è assai gravoso, perché è il Vangelo nella sua bellezza e nella sua esigenza quasi come una spada a doppio taglio.

Ma mi soffermo brevemente in quel “per voi…” agostiniano. Il “per voi…” diventa un impegno totale, esclusivo verso il gregge che ci è stato dato dal Signore. Un gregge fatto da pecore forti e pecore deboli, sane e ammalate, giovani e vecchie. Un gregge che sarà o diventerà molto o poco numeroso. Pecore che aspettano dal pastore una parola evangelica, una parola che consoli, una parola che dia loro forza e coraggio, una parola che lenisca e guarisca, una parola di perdono e di riconciliazione. Mai e poi mai una parola di rancore, una parola che divida, che non crei comunione nel gregge, che disperda, che crei amarezza, che avveleni il cuore delle pecore.

Si potrebbe pensare che una certa sistemazione “logica” avrebbe richiesto un ordine diverso della frase da parte del predicatore nordafricano, forse così: “con voi sono cristiano, per voi sono vescovo”. Ma nel pensiero di Agostino l’ordine è chiaro e voluto così com’è presentato: “per voi…, con voi…”. Infatti, il predicatore prosegue il suo discorso in questo modo: “Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quel nome è segno dell'incarico ricevuto (suscepti officii), questo della grazia (gratiae); quello è occasione di pericolo (periculi), questo di salvezza (salutis)”. Il ministero, il servizio, il peso come vescovo è quello che segna la vita di tutti coloro che sono stati chiamati a pascere il gregge. È l’impegno primo e più gravoso, è l’incarico, l’ufficio ricevuto da Colui, il Signore, che è il vero vescovo, il vero pastore del gregge. L’ufficio ricevuto -il servizio, la diaconia, la carica…-, ci impegna nella nostra dedizione totale e direi unica, e per questo impegnativa, gravosa, mai facile da portare, verso le pecore del gregge, usando sempre l’immagine “pastorale”.

Allora, la seconda parte del testo, il “…con voi sono cristiano”, che Agostino bolla come “occasione di salvezza…”, diventa per noi pegno, sicurezza e speranza della salvezza che ci viene ed unicamente da Cristo stesso, che ci fa membra del suo corpo, santificati da Lui, configurati pienamente con lui. Il “per voi” ci configura a Lui come pastori, vigilanti, veglianti sul gregge. Il “con voi” ci fa, assieme a tutta la Chiesa, assieme a tutto il suo Corpo glorioso, uno in Cristo.

Molti dei grandi Padri della Chiesa sia orientali che occidentali -penso a Giovanni Crisostomo, ad Agostino, a Severo di Antiochia-, hanno dei sermoni per l’anniversario della loro ordinazione episcopale. In questo giorno anniversario celebravano i Santi Misteri e predicavano al popolo, gli davano la Parola del Vangelo e la loro propria parola che traeva dal Vangelo l’alimento, la medicina, la consolazione, la vita nuova. Era per i santi Padri, e per noi che li rileggiamo, un momento di grazia non soltanto per ricordare, ma soprattutto per far memoria viva, vera anamnesi, di quel “per voi…” e quel “con voi…” che Agostino di Ippona ci propone nel suo sermone 340.

 +P. Manuel Nin

Vescovo titolare di Carcabia

Esarca Apostolico


Μερικές σκέψεις ως πατρολόγος επίσκοπος σε ένα κείμενο του Αγίου Αυγουστίνου της Ιππώνος

Φτάνοντας στην Ρώμη το 1984, από το μοναστήρι μου στο Montserrat, για να κάνω μια εξειδίκευση στη Θεολογία και τις Πατερικές Επιστήμες στο Istitutum Patristicum Augustinianum, είχα μια βασική πατερική διαμόρφωση που θα μπορούσαμε να πούμε ότι ήταν πολύ ικανοποιητική. Όχι λόγω της δικής μου αξίας, αλλά επειδή στα χρόνια της μοναστικής και θεολογικής μου διαμόρφωσης στο μοναστήρι είχα πάνω απ 'όλα τρεις μεγάλους δασκάλους που με δίδαξαν να γνωρίζω και να αγαπώ αυτούς τους αρχαίους χριστιανούς συγγραφείς: ήταν ο π. Alessandro Olivar, ο οποίος με οδήγησε σχεδόν από το χέρι στους διαδρόμους της μοναστικής βιβλιοθήκης για να μου δείξει και να με διδάξει να χρησιμοποιώ - κοιτάζοντας, αγγίζοντας, ανοίγοντας, θα έλεγα σχεδόν μυρίζοντας, εκείνα τα θεμελιώδη εργαλεία που ήταν η μεγάλη πατερική σειρά, οι εγκυκλοπαίδειες, οι φιλολογικές και θεολογικές μελέτες για τους μεγάλους αρχαίους χριστιανούς συγγραφείς. Στη συνέχεια, ο π. Cebrià Piffaré, ο οποίος, ως καλός δάσκαλος και θεολόγος ο ίδιος, με παρότρυνε να διαβάσω τους μεγάλους αρχαίους συγγραφείς, από τον Ωριγένη μέχρι τον Άγιο Αυγουστίνο, από τα κείμενα του Αγίου Βενέδικτου μέχρι εκείνα που διηγούνται τα κατορθώματα εκείνων των «τρελών» και αγίων μοναχών των ερήμων της Μεσοποταμίας. Τέλος, ο π. Ramon Ribera, ο οποίος υπομονετικά σε ένα μακρύ και καρποφόρο σχολικό ωράριο έβαλε στα χέρια μου μία καλή γνώση της συριακής γλώσσας, αυτής της αρχαίας και σεβάσμιας σημιτικής γλώσσας με την οποία ο Εφραίμ της Νίσιβης έψαλε το μυστήριο της θεανθρώπινης φύσης του ενσαρκωμένου Λόγου του Θεού, έκανε τον άνθρωπο σαν τον καθένα μας, μια γλώσσα με την οποία ο ίδιος ο Κύριος μας δίδαξε να προσευχόμαστε στον Πατέρα που είναι στον ουρανό. Αυτοί οι τρεις πατέρες και δάσκαλοι, και αδελφοί μοναχοί, με δίδαξαν να γνωρίζω και κυρίως να αγαπώ τους αγίους Πατέρες της Εκκλησίας, εκείνους τους αρχαίους συγγραφείς που προέρχονταν από διαφορετικές χριστιανικές παραδόσεις, που χρησιμοποιούσαν διαφορετικές γλώσσες στα γραπτά τους, που προέρχονταν από πολύ διαφορετικές γεωγραφικές και πολιτιστικές καταβολές, αλλά ολόγυρα – θα τολμούσα να πω κοιτάζοντας προς τη μεγάλη λεκάνη της Μεσογείου.

Έκανα αυτή την αυτοβιογραφική μου αναφορά για να μπορέσω να φτάσω, τον Σεπτέμβριο του 1984, στο Istitutum Patristicum Augustinianum στη Ρώμη. Δεν προσποιούμαι ότι απαριθμώ τα πλεονεκτήματα αυτού του σημαντικού πανεπιστημιακού κέντρου στη Ρώμη, που ιδρύθηκε και εγκαινιάστηκε από τον Απόστολο Παύλο VI το 1970, όπου έκανα τις σπουδές μου στην πατερική εξειδίκευση από το 1984 έως το 1992. Θέλω απλώς να υπογραμμίσω το εύρος των επιστημονικών οριζόντων αυτής της έδρας που, στα άφθονα μαθήματα που προσφέρονται στους φοιτητές, με οδήγησαν να έχω μια ευρεία και ολοκληρωμένη θεώρηση ολόκληρης της πατερικής περιόδου: γεωγραφικά, από την Ισπανία έως την Ιταλία έως τη Βόρεια Αφρική, την Αίγυπτο, την Καππαδοκία, την Παλαιστίνη, τη Μεσοποταμία...;·χρονολογικά, από τον πρώτο έως τον έβδομο και όγδοο αιώνα. γλωσσικά, από τα λατινικά στα ελληνικά, συριακά, κοπτικά...; θεολογικά, από την Αλεξάνδρεια -χωρίς να ξεχνάμε την Ρώμη- μέχρι την Αντιόχεια· τέλος; εκκλησιολογικά, από τον Κυπριανό στον Αμβρόσιο στον Βασίλειο στον Αυγουστίνο της Ιππώνος. Και τα μαθήματα που προσφέρονται σε αυτόν τον μεγάλο πατέρα της Εκκλησίας της Βόρειας Αφρικής μεταξύ του τέταρτου και του πέμπτου αιώνα έχουν γίνει η ναυαρχίδα αυτού του ρωμαϊκού κέντρου πατερικών μελετών.

Και έρχομαι στο σκοπό αυτής της σύντομης σκέψης μου. “Για σένα είμαι επίσκοπος..., μαζί σου είμαι χριστιανός... Vobis sum episcopus, vobiscum sum christianus”. Αυτή η φράση του Αγίου Αυγουστίνου, στο κήρυγμά του 340 που κήρυξε στην επέτειο της επισκοπικής χειροτονίας του, ήταν το κέντρο του μηνύματος που ο νέος επίσκοπος της Ρώμης, ο Πάπας Λέων ΙΔ, ήθελε να δώσει στον λαό του στην πρώτη του εμφάνιση στο μπαλκόνι της Βασιλικής του Αγίου Πέτρου. Το μήνυμά του προς τον λαό του Θεού που τον υποδέχτηκε και τον καλωσόρισε ως νέο επίσκοπο Ρώμης ήταν ακριβώς αυτό: «...για σένα..., μαζί σου...”. Τα δυνατά και καθαρά λόγια του αγίου επισκόπου της Ιππώνος αντηχούσαν στα αυτιά αλλά πάνω απ όλα στις καρδιές εκείνου του πλήθους που συνέρρευσε στην πλατεία του Αγίου Πέτρου εκείνο το σχεδόν καλοκαιρινό απόγευμα του μήνα Μαΐου.

Είμαστε όλοι βαπτισμένοι εν Χριστώ και γινόμαστε, γινόμαστε, χάρη στα μυστήρια της χριστιανικής μύησης, του βαπτίσματος, του χρίσματος και της Θείας Ευχαριστίας, της Εκκλησίας και του Σώματος του Χριστού. Μερικοί από τους βαπτισμένους, λοιπόν, καλούνται από τον Κύριο, και επιλέγονται από την ίδια την Εκκλησία, να είναι επίσκοποι για τον λαό, για όλα τα μέλη αυτού του ένδοξου Σώματος. Η φράση του αγίου Αυγουστίνου με οδηγεί να συλλογιστώ εν συντομία και θα έλεγα ειλικρινά, ως επίσκοπος, για την επισκοπική διακονία, για τον σταυρό του ποιμένα και τον οποίο ο Κύριος έχει τοποθετήσει στους εύθραυστους ώμους μας. Και θα μπορούσατε να με ρωτήσετε: αν το να είσαι επίσκοπος “για σένα..., για μια Εκκλησία, για ένα ποίμνιο...”, είναι ένας πόντος, ένα βάρος, ένας σταυρός, τότε ίσως “το μαζί σου...”, tο να είσαι και να ζεις ως χριστιανός είναι κάτι ευκολότερο, ίσως λιγότερο απαιτητικό. Το να είσαι Χριστιανός, να ζεις και να ενεργείς ως τέτοιος, είναι πολύ επαχθές, επειδή είναι το Ευαγγέλιο στην ομορφιά του και στις απαιτήσεις του σχεδόν σαν δίκοπο μαχαίρι.

Αλλά θα σταματήσω για λίγο σε αυτό το “για σένα...” aυγουστινιανός. Το “για σένα...”, γίνεται μια συνολική, αποκλειστική δέσμευση προς το ποίμνιο που μας έχει δοθεί από τον Κύριο. Ένα κοπάδι που αποτελείται από δυνατά και αδύναμα πρόβατα, υγιή και άρρωστα, μικρά και μεγάλα. Ένα ποίμνιο που θα είναι ή θα γίνει πολύ ή λίγο σε αριθμό. Πρόβατα που περιμένουν έναν λόγο του Ευαγγελίου από τον ποιμένα, έναν λόγο που θα τα παρηγορεί, έναν λόγο που τους δίνει δύναμη και κουράγιο, έναν λόγο που θα καταπραΰνει και θα θεραπεύει, έναν λόγο συγχώρεσης και συμφιλίωσης. Ποτέ ένας λόγος μνησικακίας, ένας λόγος που διχάζει, που δεν δημιουργεί κοινωνία στο ποίμνιο, που διασκορπίζει, που δημιουργεί πικρία, που δηλητηριάζει τις καρδιές των προβάτων.

Θα μπορούσε κανείς να σκεφτεί ότι μια συγκεκριμένη “λογική” διευθέτηση θα απαιτούσε διαφορετική σειρά της πρότασης από την πλευρά του βορειοαφρικανού ιεροκήρυκα, ίσως ως εξής: “μαζί σου είμαι χριστιανός, για σένα είμαι επίσκοπος”. Αλλά στη σκέψη του Αυγουστίνου η σειρά είναι σαφής και επιθυμητή όπως παρουσιάζεται: “για σένα..., μαζί σου...”. Μάλιστα, ο ιεροκήρυκας συνεχίζει την ομιλία του ως εξής: “Για σένα είμαι επίσκοπος, μαζί σου είμαι χριστιανός. Αυτό το όνομα είναι ένα σημάδι της επιτροπής που έλαβε (suscepti officii), αυτό της χάρης (gratiae). Η πρώτη είναι μια ευκαιρία κινδύνου (periculi), η δεύτερη σωτηρίας (salutis)”. Η διακονία, η υπηρεσία, το βάρος ως επίσκοπος είναι αυτό που χαρακτηρίζει τη ζωή όλων εκείνων που έχουν κληθεί να ποιμάνουν το ποίμνιο. Είναι η πρώτη και πιο επαχθής δέσμευση, είναι το έργο, το αξίωμα που λαμβάνεται από τον Ένα, τον Κύριο, ο οποίος είναι ο αληθινός επίσκοπος, ο αληθινός ποιμένας του ποιμνίου. Το αξίωμα που παραλάβαμε -η υπηρεσία, η διακονία, το αξίωμα...-, μας δεσμεύει στο σύνολο και θα έλεγα μοναδική αφοσίωσή μας, και γιαυτό απαιτητικό, επαχθές, ποτέ δυσβάσταχτο, προς τα πρόβατα του ποιμνίου, χρησιμοποιώντας πάντα την “ποιμαντική” εικόνα.

Έτσι, το δεύτερο μέρος του κειμένου, το “... μαζί σου είμαι χριστιανός”, την οποία ο Αυγουστίνος χαρακτηρίζει ως “ευκαιρία σωτηρίας...”, γίνεται για μας υπόσχεση, ασφάλεια και ελπίδα της σωτηρίας που έρχεται σε μας και μόνο από τον ίδιο τον Χριστό, ο οποίος μας κάνει μέλη του σώματός του, αγιασμένους από αυτόν, πλήρως διαμορφωμένους μαζί του. Το “για σένα” μας διαμορφώνει σε αυτόν ως ποιμένες, άγρυπνοι, που προσέχουν το ποίμνιο. Το “μαζί σας” μας κάνει, μαζί με όλη την Εκκλησία, μαζί με όλο το ένδοξο Σώμα της, ένα εν Χριστώ.

Πολλοί από τους μεγάλους Πατέρες της Εκκλησίας, τόσο της Ανατολής όσο και της Δύσης – αναφέρομαι στον Ιωάννη τον Χρυσόστομο, τον Αυγουστίνο, τον Σεβήρο Αντιοχείας – κάνουν κηρύγματα στην επέτειο της επισκοπικής χειροτονίας τους. Την επετειακή αυτή ημέρα τέλεσαν τα Άχραντα Μυστήρια και κήρυξαν στους ανθρώπους, τους έδωσαν τον Λόγο του Ευαγγελίου και τον δικό τους λόγο που αντλούσε από το Ευαγγέλιο τροφή, φάρμακο, παρηγοριά, νέα ζωή. Ήταν για τους αγίους Πατέρες, και για εμάς που τους ξαναδιαβάσαμε, μια στιγμή χάριτος όχι μόνο για να θυμόμαστε, αλλά πάνω απ’oλα για να κάνουμε μια ζωντανή ανάμνηση, μια αληθινή ανάμνηση, αυτού του “για σας...” και ότι “μαζί σου...” που μας προτείνει ο Αυγουστίνος της Ιππώνος στο κήρυγμά του 340.

+π. Εμμανουήλ Nin

Τιτουλάριος Επίσκοπος Καρκαβιας

Αποστολικός Έξαρχος

 


domenica 15 giugno 2025

 



Icone di Sant'Agostino e dei santi Lorenzo e Leone Magno.
Chiesa cattedrale della Santissima Trinità. Atene

A proposito della celebrazione di inizio pontificato di Papa Leone XIV.

Tre icone ecclesiologiche.

Prima icona.

L’elezione del cardinale Robert Francis Prevost al soglio di Pietro a Roma, con il nome di Leone XIV, è stata per tutta la Chiesa Cattolica un momento di gioia certamente, ma soprattutto di grazia e di conferma nella fede che il Signore non abbandona mai la sua Chiesa. Il giorno dell’elezione l’8 maggio, mi trovavo a Montserrat per la riunione della Conferenza Episcopale Greca, la prima riunione che si faceva fuori dalla Grecia e precisamente nel mio monastero di Montserrat nell’anno della celebrazione del suo millenario di fondazione.

In quel momento, la persona dell’eletto vescovo di Roma, specialmente nella sua veste già di monaco agostiniano, ed il nome assunto come Papa, cioè Leone, mi portarono subito alla mia cattedrale della Santissima Trinità ad Atene, e concretamente a due degli affreschi che si trovano in quella bellissima chiesa cattedrale di via Acharnon: le icone di sant’Agostino di Ippona e di san Leone Magno. La presenza del secondo di questi due santi è assai usuale nell’iconografia bizantina, sia per la sua festa nel calendario bizantino il 18 febbraio e soprattutto per il legame che Leone Magno ha con il concilio di Calcedonia del 451 e la professione di fede cristologica che ne scaturì. La presenza del primo dei due santi, Agostino di Ippona, invece, sorprende assai ed è, per quanto mi risulta, quasi un “unicum” nelle rappresentazioni iconografiche di questo santo nord africano in Oriente. Mentre nel calendario delle Chiese Orientali bizantine, cattoliche ed ortodosse, troviamo del santi diciamo “occidentali” per quanto la loro origine linguistica, geografica ed ecclesiale: il martire romano Lorenzo, Ambrogio di Milano, Leone Magno, Gregorio Magno, per citarne alcuni, non troviamo invece la figura di Agostino. La presenza iconografica e soprattutto ecclesiale di sant’Agostino nella mia cattedrale della Santissima Trinità -vestito con il felonion e l’omoforion episcopale e sotto con la tonaca nera da monaco-, è un bel esempio e direi anche una profezia di quella piena comunione ecclesiale a cui siamo tutti chiamati, nel “giorno” e nel “come” il Signore vorrà chiamarci tutti i cristiani a concelebrare i Santi Misteri attorno ad un unico altare. Le due icone, di Agostino e di Leone Magno si trovano attorno all’altare della mia cattedrale, quasi ad anticipare quella concelebrazione che un giorno il Signore concederà a tutte le Chiese cristiane nella piena comunione di fede e di carità.

Seconda icona.

Questo primo momento ecclesiologico ed iconografico, mi porta ad un secondo momento, ad una seconda icona. La domenica 18 maggio nel sagrato della basilica di San Pietro è stata celebrata la messa per l’inizio di pontificato di Papa Leone XIV, una bellissima celebrazione in cui un gran numero di Chiese cristiane orientali e occidentali, cattoliche ed ortodosse sono state presenti. Ho avuto la grazia di concelebrare anch’io quella mattina, per far presente la Chiesa Cattolica che è in Grecia ed anche l’Esarcato Cattolico di tradizione bizantina in Grecia, una piccola Chiesa sì, fatta da greci, ucraini e caldei, ma vivente nell’annuncio del Vangelo e della carità.

All’inizio della celebrazione, come era stato già fatto nel 2005 e nel 2013 con le messe di inizio pontificato dei Papi Benedetto XVI e Francesco, anche Papa Leone si è recato, è sceso presso la tomba di san Pietro per pregare, accompagnato dai patriarchi delle Chiese Orientali Cattoliche. È stato un momento ecclesiologicamente non soltanto toccante ma soprattutto importante ed oserei dire “vincolante”: il vescovo di Roma, colui che presiede nella carità, accompagnato dai capi delle Chiese Orientali Cattoliche, pregando presso la tomba di Pietro. Il “padre” ed i “padri” in preghiera, in profonda e piena comunione, attorno alla tomba di colui che per primo confessò Cristo, che poi nella sua debolezza lo rinnegò, ma che ricevete a conferma della fedeltà del suo Signore quel “pasci le mie pecorelle”. Quel breve tempo presso la tomba di Pietro, è stato un momento di vera cattolicità della Chiesa, perché il Papa, il vescovo di Roma, colui che è vincolo di comunione tra le Chiese cristiane e le presiede nella carità, si è trovato in preghiera accanto a coloro che sono, nelle le proprie Chiese Cattoliche di tradizioni orientali, i padri, anch’essi la sorgente di comunione e di grazia. Quell’immagine, quell’icona con cui iniziava la santa messa, e la concelebrazione che ne seguì tra le braccia aperte di piazza San Pietro, diventa icona di quello che tutte le Chiese cristiane sono chiamate ad essere per dono e grazia del Signore. Erano presenti accanto al Papa i patriarchi cattolici: copto, melchita, armeno, caldeo e siro cattolico. Non erano dei semplici “ministri…”, o “rappresentanti…” dei “cattolici di rito orientale” -riprendendo la dicitura di qualche testata giornalistica o televisiva-, ma i capi e i padri della Chiese Orientali in piena comunione con il vescovo di Roma. Inoltre, su in basilica erano presenti ad attendergli, oltre al collegio dei cardinali, anche gli arcivescovi maggiori ed i metropoliti di altre Chiese orientali cattoliche.

Terza icona.

          Un terzo momento ecclesiologico ed iconografico fu la presenza in quella celebrazione di alcuni patriarchi orientali ortodossi. Quest’immagine, all’aperto nella grande piazza San Pietro, ci diede, mi si consenta l’espressione, una pregustazione di quella concelebrazione attorno all’unico altare su cui i Santi Misteri del Corpo e del Sangue del Signore diventeranno il sigillo della piena comunione, nell’unica fede cristiana. La presenza dei patriarchi ortodossi di Costantinopoli, di Gerusalemme, e dei metropoliti di tante altre Chiese ortodosse di tradizione bizantina, accanto al patriarca della Chiesa siro orientale ortodossa, e ai metropoliti di altre antichissime Chiese Orientali, fu anch’essa una icona profetica e allo stesso tempo già molto reale del superamento di tanti fraintendimenti, sorti nei primi secoli cristiani nell’espressione e nella formulazione linguistica dell’unica fede nel Verbo di Dio incarnato, vero Dio e vero uomo, formulazione espressa però nella ricchezza fonetica e semantica di tante lingue che arricchiscono la professione di fede delle Chiese cristiane di Oriente.

          Tre icone, in un angolo discreto della città di Atene la prima, gli le altre due nella basilica ed in piazza San Pietro a Roma, che dobbiamo cogliere come momenti che dovrebbero spingerci sì nel cammino di dialogo, ma soprattutto di rispetto reciproco e di carità tra le diverse Chiese Cristiane di Oriente e di Occidente, cattoliche ed ortodosse.

          Le due icone dei santi Agostino e Leone Magno nella cattedrale della Santissima Trinità sono una bella testimonianza del ruolo del nostro Esarcato Apostolico, nel desiderio e nella ricerca della piena comunione tra le diverse Chiese cristiane di Oriente e di Occidente.

+P. Manuel Nin

Vescovo titolare di Carcabia

Esarca Apostolico

 


martedì 3 giugno 2025

 

Abside della cappella di San Benedetto. Pontificio Collegio Greco

Pentecoste 2025 / Videomessaggio 01

La Pentecoste nella tradizione bizantina

La Pentecoste come festa liturgica, si celebra cinquanta giorni dopo la Pasqua, ed è una delle feste più antiche del calendario cristiano. Ne parlano Tertulliano ed Origene nel III secolo come feste annuali, e già nel IV secolo fa parte del patrimonio teologico/liturgico delle diverse Chiese: Egeria ne indica la celebrazione a Gerusalemme; poi abbiamo dei testi dei Cappadoci e di altri autori cristiani. Infine, Romano il Melode, nel VI sec., ne compone diversi kontakia.

Nei testi dell’ufficiatura vediamo ripetutamente il tema del rinnova­mento, del cambiamento adoperato nel cuore degli uomini per mezzo dello Spirito, che agisce nel cuore degli uomini, lo rinnova, lo ricrea: lo Spirito santo: fa scaturire le profezie, ordina i sacerdoti, ha insegnato la sapienza agli illetterati, ha reso teologi i pescatori, tiene saldo tutto l’armonico ordinamento della Chiesa…. Sempre nei testi del vespro troviamo diverse confessioni trinitarie -la Pentecoste è una festa, una teofania, soprattutto trinitaria; mai la contemplazione di una delle Persone della Santa Trinità non può dimenticare il mistero che in essa, nella Trinità, si cela, si nasconde. Uno dei tropari del vespro diventa una lettura trinitaria molto profonda dell’inno tre volte santo: Santo Dio, che tutto hai creato mediante il Figlio, con la sinergia del santo Spirito; Santo forte, per il quale abbiamo conosciuto il Padre e per il quale lo Spirito Santo è venuto nel mondo; Santo immortale, o Spirito Paraclito, che dal Padre procedi e nel Figlio riposi. Trinità Santa, gloria a te. Nel vespro ancora si trovano due tropari che poi passeranno ad altri momenti della liturgia bizantina: Abbiamo visto la luce vera, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste, abbiamo trovato la fede vera, adorando l’indi­visibile Trinità…, testo che passerà alla Divina Liturgia subito dopo la comunione, a sottolineare il collegamento tra la Pentecoste, il dono dello Spirito e l’eucaristi­a. Quindi il tropario: Re celeste, Paraclito, Spirito di verità… che diventa la preghiera iniziale di tutte le ufficia­ture bizantine. Il vespro ha tre letture dell’Antico Testamento: Nm 11,16-17.24-29: lo Spirito mandato sugli anziani del popolo; Gio 2,23-32;3,1-5 -la venuta dello Spirito citato poi a Atti 2,17; Ez 36,24-28 -il rinnovamen­to di tutti i popoli per opera dello Spirito. Il dono dello Spirito che rinnova i discepoli, che rinnova tutta la Chiesa, viene sottolineato anche dal tropario proprio della festa: Benedetto sei tu, Cristo Dio nostro: tu hai reso sapientissimi i pescatori, inviando loro lo Spirito Santo, e per mezzo loro hai preso nella rete l’uni­ver­so. Amico degli uomini, gloria a te. Per quanto riguarda la liturgia del giorno, accenno alle tre grandi preghiere delle genuflessioni fatte al vespro della domenica, spesso celebrato senza soluzione di continuità alla fine della Divina Liturgia. Si tratta di tre preghiere che hanno quasi la forma di prefazi liturgici dove si evoca il mistero di Dio e tutto quello che Lui ha fatto per la redenzione dell’uomo: Signore immacolato, incorruttibile, infinito, invisibile, inaccessibile, inesprimibile, immutabile... incommensurabile... immortale... Dio Padre del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo: il quale per noi uomini e per la nostra salvezza discese dai cieli, prese carne dallo Spirito dalla Vergine Maria... dà al tuo popolo la pienezza del tuo amore... santificaci per la potenza della tua mano... Queste preghiere vengono recitate in ginocchio non tanto in carattere penitenziale, bensì per indicare il momento fortemente epicletico di dono ed accoglienza dello Spirito Santo.

La celebrazione della Pentecoste come teofania trinitaria, la celebrazione della Pentecoste come dono dello Spirito oggi alla Chiesa, ad ogni cristiano, ad ognuno di noi. Il dono dello Spirito è un dono a tutto il popolo di Dio. Dono di unità e dono di diversità.

La solennità della Pentecoste ci porta a vivere nuovamente il dono gratuito dello Spirito Santo, a vivere la nascita della Chiesa, l’inizio della nostra vita in Cristo. Una delle opere di Nicola Cabasilas, teologo bizantino del XIV secolo, porta precisamente come titolo La vita in Cristo e in essa l’autore non fa altro che un commento dei sacramenti dell’iniziazione cristiana: battesimo, cresima ed eucaristia, ed anche della consacrazione dell’altare, applicati alla vita del credente; per ogni cristiano, la vita in Cristo è la vita nella Chiesa, la vita -il dono dello Spirito- che ci viene dato per mezzo dei sacramenti. In tutte le liturgie orientali si sottolinea, in ognuno dei sacramenti, il ruolo dello Spirito Santo e quindi l’importanza dell’epiclesi, della sua invocazione in vista alla santificazione del pane e del vino, dell’acqua, dell’olio... Ogni ora di preghiera, poi, nella tradizione bizantina, inizia con un’invocazione dello Spirito che è sempre presente, ed ovunque...

Infine, l’icona della Pentecoste è un’icona liturgica; gli apostoli sono radunati come nella celebrazione della liturgia, attorno al trono vuoto, preparato per Cristo. La presenza di Pietro e Paolo nell’icona indica la presenza di tutta la Chiesa radunata dallo Spirito. La Chiesa nasce in una situazione di profonda comunione tra gli apostoli, in un contesto di cui dovrebbe scaturirne anche la comunione per tutta la Chiesa, per tutto il mondo.

+P. Manuel Nin

Esarca Apostolico