Sant'Efrem di Nisibi
Cattedrale Santissima Trinità. Atene
Sugli Inni di Sant’Efrem su
Nisibi.
Una lettura consolante che rinfranca il
cuore.
La recente pubblicazione della traduzione italiana di
una raccolta di Inni di Nisibi di Sant’Efrem il Siro, curata dal prof.
Emidio Vergani (Efrem il Siro. La rugiada della risurrezione. Storia e
natura negli Inni di Nisibi. A cura di Emidio Vergani. Centro Ambrosiano,
Milano 2024), mi ha riportato alla lettura di questo teologo poeta o poeta
teologo siriaco, come si voglia dire, che seppe cantare con dei versi di una
bellezza unica il mistero del nostro Dio che si fa uno di noi, che cammina
accanto a noi, che continua a santificare e a rafforzare la sua Chiesa, questo
albero di vita che alimenta, che vivifica, che adombra coloro che in lui, in
questo albero, si rifugiano. Si tratta di testi che, come dire, leggendoli rinfrancano
l’animo e riscaldano il cuore, soprattutto in momenti in cui -capita, ed è
capitato sempre, e capiterà di nuovo- un cristiano potrebbe sentirsi smarrito,
perso, incerto; momenti di persecuzione, forse, ma anche senza arrivare al
martirio, momenti di prova nello smarrimento, nell’incertezza soprattutto a
livello della vita ecclesiale, che delle volte può sembrare volgere verso un autunno
o addirittura ad un inverno in cui tutto sembra morto, se non altro addormentato,
dove gli spunti di pensiero, di riflessione, di vita sacramentale ed ecclesiale
sembra aspettino una nuova primavera che tarda ancora a fargli germogliare.
In questa raccolta, sant’Efrem ci dà dei testi di
una bellezza ed una profondità uniche che hanno la forza ed il coraggio di rammentarci
quello che per noi dovrebbe essere una certezza: è Lui, il Signore morto e
sepolto per tre giorni -Efrem lo chiama con un appellativo molto forte: il “Triduano”-,
e quindi risorto, che guida la sua Chiesa, che in essa e attraverso di essa e
soltanto in essa, all’interno delle sue mura, ci protegge da nemici esterni e ci
fa forti di fronte a quelli interni. È Lui il germoglio sempre vivo, magari
apparentemente sepolto, ma sempre vivo che ci darà la vita nuova, le foglie
nuove di quest’albero a la cui ombra ci rifugiamo nel nostro cammino cristiano
ed ecclesiale.
Delle volte però questa città, quest’albero che è la
Chiesa, sia nei tempi del poeta siriaco nella seconda metà del IV secolo, con
la sua città Nisibi, assediata da nemici esterni che la combattevano, e da
nemici interni, le eresie ed i scismi che la indebolivano, sia nei nostri tempi
odierni, pure assediata dagli stessi pericoli del IV secolo, che dal di fuori
la osteggiano o semplicemente la ignorano, e dal di dentro la stremano con
delle tensioni e divisioni forse più ecclesiastiche che ecclesiali, e si sente quasi
deturpata da un pensiero -teologico, ecclesiologico…- che tende a sbiadirsi e
farsi sempre più impreciso e debole, i versetti del teologo poeta siriaco che
cantò e soprattutto professò la vera fede attraverso la sua teologia poetica
-per niente né sbiadita, né imprecisa né debole-, sono ancora validi. Mi
soffermo semplicemente in alcuni dei suoi versi, quasi come campionario, per
spingerne la lettura completa a chi si senta chiamato a far risuonare questi
canti nella propria vita, e lasciar che rinforzino la nostra vita, che
riscaldino il nostro cuore.
Per primo riprendo per intero due strofe dell’Inno
unico sulla Chiesa, pubblicato come appendice nella raccolta di cui sopra.
1. Confidate sulla (forza della) verità,
e non abbiate timore,
miei fratelli!
Non è infatti debole nostro Signore,
al punto di abbandonarci
nelle prove.
Egli è la Potenza dalla quale dipende
la creazione, e i suoi
abitanti.
Da Lui dipende la speranza
della sua chiesa.
Chi può strappare
le sue radici celesti?
Benedetto colui la cui Potenza discese
e si unì insieme alle sue
chiese!
La fiducia nella forza che viene dal Signore, nasce dalla
certezza della Sua presenza indefettibile accanto a noi, specialmente nei
momenti di prova. Fiducia nel Signore creatore e guida della vita della Chiesa:
“Egli è
la Potenza dalla quale dipende la creazione, e i suoi abitanti. Da Lui dipende
la speranza della sua Chiesa. Chi può strappare le sue radici celesti?”. Il versetto conclusivo di ognuna delle strofe ne
dà la lettura cristologica fondamentale: “Benedetto colui la cui Potenza discese e si unì
insieme alle sue chiese!”. È attraverso ed unicamente nella sua incarnazione
che il Signore è presente nella sua Chiesa. Nei tempi
di sant’Efrem e nei nostri tempi la centralità del mistero della vera incarnazione
del Verbo di Dio costituisce il perno centrale della nostra professione di fede,
il fondamento su cui poggia tutta la nostra vita cristiana nella Chiesa, e
attraverso i sacramenti, la vita di preghiera.
2. Attingete, miei fratelli,
al tesoro della
consolazione
dalla Parola di nostro Signore,
che disse riguardo alla
sua chiesa:
«Non possono le porte
degli inferi vincerla»
(Mt 16,18).
Se dunque essa è più forte
degli inferi,
chi dei mortali
può intimorirla?
Benedetto colui che la rese grande e poi
la mise alla prova,
affinché divenisse grande di nuovo!
La
Parola di Dio è sempre per i fedeli cristiani forza e consolazione. Malgrado i
momenti di prova, sia per la città di Nisibi ai tempi di Efrem, sia per la
Chiesa ai nostri giorni, il Signore attraverso la sua Parola vivente e
vivificante continua a sorreggerla, mettendola anche alla prova per poi farla
di nuovo grande.
Per
Efrem il Signore c’è sempre, per e nella sua incarnazione. Si è abbassato, si è
fatto piccolo, e continua ad essere e farsi presente -possiamo dire incarnato e
piccolo- nei sacramenti, nella sua Parola. La forza della Chiesa le viene
unicamente dal suo Signore che la guida e le dà vigore. Come accennavo, Efrem
presenta una Chiesa, la sua città e la sua Chiesa, provata da nemici esterni ed
interni. Gli esterni sono le persecuzioni e gli assedi che Nisibi soffre per mano
delle truppe del persiano Sapor II. Gli interni sono le prove sia a livello
teologico sia a livello ecclesiale. Ed è per questo che i testi efremiani
diventano validi ed attuali nel nostro momento ecclesiale e semplicemente
cristiano ed evangelico.
Nisibi
nel IV secolo, la Chiesa oggi, ha un unico Salvatore: Gesù Cristo che si
incarna, che si riveste della nostra umanità e ci riporta nel battesimo,
nell’eucaristia e nella sua Parola a quella somiglianza con Lui che avevamo
perso a causa del peccato. In una città, in una Chiesa assediata
dall’indifferenza, dal disprezzo, o dal volerla semplicemente “omologata” ad
una innocua ONG con tanto di amore e di filantropia verso i poveri, ma forse
dimenticando quel evangelico: “ciò che avete fatto loro, a me lo avete
fatto…”, che è la radice ferma che ci fa rimanere fedeli a Lui e al suo
Vangelo. In una città, in una Chiesa divisa, indebolita dall’interno da
divisioni, da lotte, ed anche forse da un pensiero debole che non riesce più o
non osa più a proporre il Vangelo in e con tutta la sua forza.
Rileggendo
e pregando i testi di sant’Efrem, ritroviamo la certezza che è il Signore che
guida, che rafforza, che salva la sua Chiesa ed ognuno di noi all’interno delle
sue mura. In questo contesto ecclesiologico dei suoi inni, Efrem si serve
dell’immagine di Dio come nocchiero, come colui che guida e conduce la nave a porto
sicuro: “O navigatore di quell’Arca, sii anche il mio nocchiero in terra
(asciutta)! A quella Tu hai dato quiete nel porto del monte, e a me da’ quiete
nel porto delle mie mura!”.
Come
accennavo più sopra, Efrem applica a Cristo il titolo di “Triduano”, cioè Colui
che rimane per tre giorni sepolto e attraverso di essi dà, ci dà, la sua
vittoria: “Riconcilia, mio Signore, con me gli interni, e umilia, davanti a
me, gli esterni! E (così) la mia vittoria raddoppi! E poiché l’assassino ha
triplicato la sua collera, il tuo Triduano triplichi la sua compassione! Il
Maligno non vinca la tua misericordia!”.
Efrem
mette in risalto la forza che sgorga non tanto dalla giustizia quanto dalla
penitenza, fatta e vissuta nel nome del Signore: “La
preghiera dei tuoi abitanti, bastò per la tua liberazione, non perché giusti ma
perché penitenti”. Forza della penitenza, della conversione, del piano degli
abitanti della città, la cui preghiera salva dall’assedio coloro che
all’interno di essa si trovavano.
Dio
corregge, punisce l’uomo, l’abitante della città per il suo bene. Ci troviamo
in questi inni con delle immagini prese dalla vita agricola, immagini forti che
possono colpire e soprattutto ammaestrare colui che le ascolta: “Campo,
vigna ed uliveto necessitano della coltivazione. Quando l’oliveto è stato
bacchettato, allora i suoi frutti sono abbondanti. Quando la vigna è stata
potata, allora i suoi frutti sono belli. Quando il terreno è stato arato, sono
piacevoli i suoi prodotti. Quando il mare è battuto dai remi, è divenuto calmo.
Bronzo, argento ed oro, quando sono stati lucidati, risplendono”.
Efrem
offre un bel paragone tra il bastone del pastore che protegge e accoglie le
pecore nei momenti di pericolo, e la croce di Cristo: “E il gregge nel
campo, mio Signore, se ha visto i lupi, cerca rifugio nel pastore, trova riparo
nel bastone, che scaccia i predatori. Il tuo gregge ha visto i lupi e, ecco,
grida fortemente. Giungi (in suo aiuto), poiché è atterrito. La tua croce sia
il bastone, che scaccia quelli (pronti) a ingoiarlo”.
+P. Manuel Nin
Esarca Apostolico
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