venerdì 24 gennaio 2025

 

Sant'Efrem di Nisibi

Cattedrale Santissima Trinità. Atene


Sugli Inni di Sant’Efrem su Nisibi.

Una lettura consolante che rinfranca il cuore.

La recente pubblicazione della traduzione italiana di una raccolta di Inni di Nisibi di Sant’Efrem il Siro, curata dal prof. Emidio Vergani (Efrem il Siro. La rugiada della risurrezione. Storia e natura negli Inni di Nisibi. A cura di Emidio Vergani. Centro Ambrosiano, Milano 2024), mi ha riportato alla lettura di questo teologo poeta o poeta teologo siriaco, come si voglia dire, che seppe cantare con dei versi di una bellezza unica il mistero del nostro Dio che si fa uno di noi, che cammina accanto a noi, che continua a santificare e a rafforzare la sua Chiesa, questo albero di vita che alimenta, che vivifica, che adombra coloro che in lui, in questo albero, si rifugiano. Si tratta di testi che, come dire, leggendoli rinfrancano l’animo e riscaldano il cuore, soprattutto in momenti in cui -capita, ed è capitato sempre, e capiterà di nuovo- un cristiano potrebbe sentirsi smarrito, perso, incerto; momenti di persecuzione, forse, ma anche senza arrivare al martirio, momenti di prova nello smarrimento, nell’incertezza soprattutto a livello della vita ecclesiale, che delle volte può sembrare volgere verso un autunno o addirittura ad un inverno in cui tutto sembra morto, se non altro addormentato, dove gli spunti di pensiero, di riflessione, di vita sacramentale ed ecclesiale sembra aspettino una nuova primavera che tarda ancora a fargli germogliare.

In questa raccolta, sant’Efrem ci dà dei testi di una bellezza ed una profondità uniche che hanno la forza ed il coraggio di rammentarci quello che per noi dovrebbe essere una certezza: è Lui, il Signore morto e sepolto per tre giorni -Efrem lo chiama con un appellativo molto forte: il “Triduano”-, e quindi risorto, che guida la sua Chiesa, che in essa e attraverso di essa e soltanto in essa, all’interno delle sue mura, ci protegge da nemici esterni e ci fa forti di fronte a quelli interni. È Lui il germoglio sempre vivo, magari apparentemente sepolto, ma sempre vivo che ci darà la vita nuova, le foglie nuove di quest’albero a la cui ombra ci rifugiamo nel nostro cammino cristiano ed ecclesiale.

Delle volte però questa città, quest’albero che è la Chiesa, sia nei tempi del poeta siriaco nella seconda metà del IV secolo, con la sua città Nisibi, assediata da nemici esterni che la combattevano, e da nemici interni, le eresie ed i scismi che la indebolivano, sia nei nostri tempi odierni, pure assediata dagli stessi pericoli del IV secolo, che dal di fuori la osteggiano o semplicemente la ignorano, e dal di dentro la stremano con delle tensioni e divisioni forse più ecclesiastiche che ecclesiali, e si sente quasi deturpata da un pensiero -teologico, ecclesiologico…- che tende a sbiadirsi e farsi sempre più impreciso e debole, i versetti del teologo poeta siriaco che cantò e soprattutto professò la vera fede attraverso la sua teologia poetica -per niente né sbiadita, né imprecisa né debole-, sono ancora validi. Mi soffermo semplicemente in alcuni dei suoi versi, quasi come campionario, per spingerne la lettura completa a chi si senta chiamato a far risuonare questi canti nella propria vita, e lasciar che rinforzino la nostra vita, che riscaldino il nostro cuore.

Per primo riprendo per intero due strofe dell’Inno unico sulla Chiesa, pubblicato come appendice nella raccolta di cui sopra.

1.  Confidate sulla (forza della) verità,

     e non abbiate timore, miei fratelli!

Non è infatti debole nostro Signore,

     al punto di abbandonarci nelle prove.

Egli è la Potenza dalla quale dipende

     la creazione, e i suoi abitanti.

Da Lui dipende la speranza

     della sua chiesa.

Chi può strappare

     le sue radici celesti?

Benedetto colui la cui Potenza discese

     e si unì insieme alle sue chiese!

     La fiducia nella forza che viene dal Signore, nasce dalla certezza della Sua presenza indefettibile accanto a noi, specialmente nei momenti di prova. Fiducia nel Signore creatore e guida della vita della Chiesa: “Egli è la Potenza dalla quale dipende la creazione, e i suoi abitanti. Da Lui dipende la speranza della sua Chiesa. Chi può strappare le sue radici celesti?”. Il versetto conclusivo di ognuna delle strofe ne dà la lettura cristologica fondamentale: “Benedetto colui la cui Potenza discese e si unì insieme alle sue chiese!”. È attraverso ed unicamente nella sua incarnazione che il Signore è presente nella sua Chiesa. Nei tempi di sant’Efrem e nei nostri tempi la centralità del mistero della vera incarnazione del Verbo di Dio costituisce il perno centrale della nostra professione di fede, il fondamento su cui poggia tutta la nostra vita cristiana nella Chiesa, e attraverso i sacramenti, la vita di preghiera.

 

2.  Attingete, miei fratelli,

     al tesoro della consolazione

dalla Parola di nostro Signore,

     che disse riguardo alla sua chiesa:

«Non possono le porte

     degli inferi vincerla» (Mt 16,18).

Se dunque essa è più forte

     degli inferi,

chi dei mortali

     può intimorirla?

Benedetto colui che la rese grande e poi

     la mise alla prova, affinché divenisse grande di nuovo!

         La Parola di Dio è sempre per i fedeli cristiani forza e consolazione. Malgrado i momenti di prova, sia per la città di Nisibi ai tempi di Efrem, sia per la Chiesa ai nostri giorni, il Signore attraverso la sua Parola vivente e vivificante continua a sorreggerla, mettendola anche alla prova per poi farla di nuovo grande.

         Per Efrem il Signore c’è sempre, per e nella sua incarnazione. Si è abbassato, si è fatto piccolo, e continua ad essere e farsi presente -possiamo dire incarnato e piccolo- nei sacramenti, nella sua Parola. La forza della Chiesa le viene unicamente dal suo Signore che la guida e le dà vigore. Come accennavo, Efrem presenta una Chiesa, la sua città e la sua Chiesa, provata da nemici esterni ed interni. Gli esterni sono le persecuzioni e gli assedi che Nisibi soffre per mano delle truppe del persiano Sapor II. Gli interni sono le prove sia a livello teologico sia a livello ecclesiale. Ed è per questo che i testi efremiani diventano validi ed attuali nel nostro momento ecclesiale e semplicemente cristiano ed evangelico.

         Nisibi nel IV secolo, la Chiesa oggi, ha un unico Salvatore: Gesù Cristo che si incarna, che si riveste della nostra umanità e ci riporta nel battesimo, nell’eucaristia e nella sua Parola a quella somiglianza con Lui che avevamo perso a causa del peccato. In una città, in una Chiesa assediata dall’indifferenza, dal disprezzo, o dal volerla semplicemente “omologata” ad una innocua ONG con tanto di amore e di filantropia verso i poveri, ma forse dimenticando quel evangelico: “ciò che avete fatto loro, a me lo avete fatto…”, che è la radice ferma che ci fa rimanere fedeli a Lui e al suo Vangelo. In una città, in una Chiesa divisa, indebolita dall’interno da divisioni, da lotte, ed anche forse da un pensiero debole che non riesce più o non osa più a proporre il Vangelo in e con tutta la sua forza.

         Rileggendo e pregando i testi di sant’Efrem, ritroviamo la certezza che è il Signore che guida, che rafforza, che salva la sua Chiesa ed ognuno di noi all’interno delle sue mura. In questo contesto ecclesiologico dei suoi inni, Efrem si serve dell’immagine di Dio come nocchiero, come colui che guida e conduce la nave a porto sicuro: “O navigatore di quell’Arca, sii anche il mio nocchiero in terra (asciutta)! A quella Tu hai dato quiete nel porto del monte, e a me da’ quiete nel porto delle mie mura!”.

         Come accennavo più sopra, Efrem applica a Cristo il titolo di “Triduano”, cioè Colui che rimane per tre giorni sepolto e attraverso di essi dà, ci dà, la sua vittoria: “Riconcilia, mio Signore, con me gli interni, e umilia, davanti a me, gli esterni! E (così) la mia vittoria raddoppi! E poiché l’assassino ha triplicato la sua collera, il tuo Triduano triplichi la sua compassione! Il Maligno non vinca la tua misericordia!”.

         Efrem mette in risalto la forza che sgorga non tanto dalla giustizia quanto dalla penitenza, fatta e vissuta nel nome del Signore: “La preghiera dei tuoi abitanti, bastò per la tua liberazione, non perché giusti ma perché penitenti”. Forza della penitenza, della conversione, del piano degli abitanti della città, la cui preghiera salva dall’assedio coloro che all’interno di essa si trovavano.

         Dio corregge, punisce l’uomo, l’abitante della città per il suo bene. Ci troviamo in questi inni con delle immagini prese dalla vita agricola, immagini forti che possono colpire e soprattutto ammaestrare colui che le ascolta: “Campo, vigna ed uliveto necessitano della coltivazione. Quando l’oliveto è stato bacchettato, allora i suoi frutti sono abbondanti. Quando la vigna è stata potata, allora i suoi frutti sono belli. Quando il terreno è stato arato, sono piacevoli i suoi prodotti. Quando il mare è battuto dai remi, è divenuto calmo. Bronzo, argento ed oro, quando sono stati lucidati, risplendono”.

         Efrem offre un bel paragone tra il bastone del pastore che protegge e accoglie le pecore nei momenti di pericolo, e la croce di Cristo: “E il gregge nel campo, mio Signore, se ha visto i lupi, cerca rifugio nel pastore, trova riparo nel bastone, che scaccia i predatori. Il tuo gregge ha visto i lupi e, ecco, grida fortemente. Giungi (in suo aiuto), poiché è atterrito. La tua croce sia il bastone, che scaccia quelli (pronti) a ingoiarlo”.

         +P. Manuel Nin

         Esarca Apostolico

 

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