mercoledì 19 giugno 2024

 



Dadisho Qatraya. Sulla salmodia

Dadisho Qatraya, Commento al Paradiso dei Padri II,275.

Domanda dei fratelli. In che modo i padri recitavano i salmi dello Spirito Santo (adempivano il servizio dei… ܡܫܡܫܝܢ ܗܘܘ) senza distrazione e spiritualmente?

Risposta di Dadisho. In primo luogo, erano solleciti verso sé stessi, ogniqualvolta si alzavano per il servizio nelle loro celle, nell’essere diligenti (ܢܐܨܦܘܢ) (anche: nel fare attenzione…) e nello sforzarsi (ܢܥܡܠܘܢ il verbo siriaco significa anche “lo sforzarsi nell’ascesi”) per radunare il loro pensiero (mente, intelletto ܗܘܢܗܘܢ) senza distrazione, e per capire (ܢܬܒܝܢܘܢ) il senso dei salmi, facendo attenzione a non lasciar perdere (smarrire…) nessuna parola senza comprenderne il senso. (E questo) non storicamente (in senso storico…, in senso narrativo…, in senso letterale ܬܫܥܝܬܢܐܝܬ) come l’Interprete (Teodoro di Mopsuestia), neppure in modo interpretativo (in modo espositivo…, in modo di traduzione…, quasi adattandone la traduzione…, ܡܬܪܓܡܢܐܝܬ), come in Basilio e Giovanni (Crisostomo), bensì in modo spirituale secondo la spiegazione dei padri solitari (ܐܒܗ̈ܬܐ ܝܚܝܕܝ̈ܐ). Costoro infatti prendevano (tenevano per sé…) tutti i salmi in riferimento alla loro condotta (alla loro vita monastica… ܥܠ ܕܘܒܪܗܘܢ), (in riferimento) alle loro passioni e alle loro virtù, e alle guerre dei demoni contro di loro. Ed ognuno secondo la sua misura, sia nella disciplina (condotta…ܕܘܒܪܐ) corporale (ܦܓܪܢܝܐ), sia psichica (ܢܦܫܢܝܐ), sia spirituale (ܪܘܚܢܝܐ), come sta scritto: “Beato il popolo che conosce le lodi del Signore” (Salmo 88,15), cioè: “Beato il monaco che, quando canta le tue lodi, raccoglie il suo pensiero dalla distrazione e cerca di capire la conoscenza (ܝܕܥܬܐ) e il senso dei salmi dello Spirito، oppure come è scritto in greco: “Salmodiate a Dio con la lode, salmodiate al nostro Re, perché è Re di tutta la terra. Lui è Dio, salmodiate a Lui la lode con sapienza (ܣܟܘܠܬܢܐܝܬ) (salmo 46,6-7)”.

 


mercoledì 12 giugno 2024

 


Sant’Efrem. Inni di Nisibi.

…per raccogliere da sotto i tavoli le briciole piene di vita.

          Gli Inni di sant’Efrem di Nisibi (+373) rappresentano una delle raccolte più importanti e più abbondanti di questo genere letterario che troviamo spesso tra i Padri della Chiesa sia in Oriente che in Occidente, cioè la poesia teologica o la teologia poetica, come la si voglia denominare. Cito qua come esempi Ambrogio di Milano nell’Occidente di tradizione latina; Gregorio di Nazianzo, Romano il Melodo e Giovanni Damasceno nell’Oriente di tradizione greca; Efrem di Nisibi nell’Oriente di tradizione siriaca. Tra le raccolte del santo diacono siriaco, voglio soffermarmi in questo lavoro molto brevemente nei suoi Carmina Nisibena, cioè gli Inni di Nisibi, e in questa raccolta che è una tra le più abbondanti di Efrem, fare una lettura rapida con qualche annotazione di alcune strofe degli inni dal XIII al XVI, soffermandomi specialmente nell’inno XV. Indico tra parentesi in alcuni casi il termine siriaco originale.

 

          Negli inni XIII e XIV Efrem presenta la figura dei tre vescovi di Nisibi a cui lui ha servito come diacono: Giacomo, Babu e Vologeso. In diverse delle strofe di questi due inni, Efrem li enumera di seguito facendogli susseguire nell’ordine da primo a terzo, ed indica le virtù e i fatti portati a termine da questi tre vescovi. Mi soffermo nelle strofe 2 a 4 dell’inno XIV.

          2.Il buon lavoro (ascesi, ܥܡܠܐ) del primo ha arato (lavorato, preparato) la terra col suo sforzo (afflizione, ܐܘܠܨܢܐ). Il pane ed il vino di quello di mezzo (il secondo nella lista) hanno riparato (sanato, guarito) la città (fortificata) nella sua rovina. Nell’afflizione, il discorso dolce dell’ultimo (il terzo) ha addolcito la nostra amarezza.

          3.Il primo ha lavorato la terra col suo sforzo e ne ha sradicato spine e rovi. Quello di mezzo l’ha circondata con la sua chiusura (mura) e coi riscattati l’ha circondata. L’ultimo ha aperto il granaio del suo Signore e ha seminato in essa le parole del suo Signore.

          4.Il primo sacerdote (pontefice, ܟܗܢܐ) per mezzo del digiuno aveva chiuso le porte delle bocche. Il secondo sacerdote, per mezzo dei riscattati ha aperto le bocche chiuse. L’ultimo ha forato le orecchie per appenderci un ornamento vivente.

          Notiamo in queste strofe, e si ritrova anche in altre degli stessi inni, la presentazione di seguito in ordine cronologico dei fatti avvenuti nel governo dei tre vescovi accennati. Il primo, Giacomo, che ha arato, preparato la terra, la Chiesa col suo lavoro, la sua ascesi (ambedue le parole sono sinonime in siriaco). Il secondo, Babu, che ha dovuto agire da medico e guaritore per le ferite del suo popolo. Infine, il terzo, Vologeso, che con la sua parola ed il suo modo di agire ha alimentato e abbellito il suo popolo: “L’ultimo ha forato le orecchie per appenderci un ornamento vivente”.

 

Negli inni XV e XVI Efrem si trattiene nella terza figura dei vescovi di cui ha parlato: Vologeso, e si serve per parlare di lui di due immagini, cioè il capo del corpo -si potrebbe tradurre anche la “testa”- e lo specchio. Presenta Vologeso come un vescovo celibe, buon predicatore e intellettualmente ben preparato, uomo di buon carattere, equilibrato e piuttosto tollerante, fatto che conduce il diacono poeta all’interessante ultima strofa, quella 22, che tramando alla fine.

 

          In questa mia lettura, che è soltanto un primo approccio a questi inni efremiani, mi soffermo soltanto nell’inno XV. Efrem parla del vescovo come il “capo/testa (ܪܝܫܐ)” del corpo di cui tutti sono e debbono sentirsi membra, cioè la Chiesa. Il vescovo, il capo del corpo (ed il termine “membra (ܗܕܡܐ)” verrà usato letteralmente o sottinteso molte volte da Efrem in questi testi), deve dare a tutti il segno della rettitudine, deve essere per loro un esempio.

1.Se il capo non è dritto, le membra si mettono a mormorare; a causa di un capo che è storto, ne soffre il percorso delle membra, e costoro ne danno la causa al capo.

Efrem mette giustamente il vescovo come punto di riferimento ed anche, come ripeterà diverse volte negli inni e capita anche nella vita reale di ogni luogo e di ogni tempo, come una sorta di “punto di scarica” delle gioie e dei lamenti e difetti delle membra di questo corpo, della Chiesa.

 

2.E benché ora (nei nostri giorni) lui sia a posto, noi scarichiamo su di lui (il capo) le nostre brutte abitudini; e quanto di più se costui (il capo) fosse proprio riprovevole! Dio stesso è sempre soave, ma gli amareggiati si lamentano con Lui.

Efrem fa un’analisi molto chiara della situazione di qualsiasi comunità le cui membra sono sotto la guida di qualcuno che ne debba essere ed agire come loro capo. Anche se il capo del corpo è o riga dritto, le membra scaricano su di lui le loro amarezze, ed anche su Dio, che è sempre benevolo, svuotano le loro lamentele.

 

Dopo aver messo in guardia le membra sul come comportarsi verso colui che è il loro capo, Efrem ne elenca le virtù. Il testo stesso dell’inno è chiaro nel suo significato, nel suo contenuto:

3.Voi che siete membra, imitate il capo: acquistate la serenità (quiete ܫܠܝܘܬܐ) dalla sua purezza (ܫܦܝܘܬܐ), la benignità dalla sua dolcezza (mansuetudine), la purezza dalla sua santità (ܩܕܝܫܘܬܐ), e l’insegnamento (ܝܘܠܦܢܐ) dalle sue istruzioni.

4.Acquistate il buon senso (ܛܥܡܐ) dalla sua longanimità, la sobrietà dalla sua ponderazione, e il distacco (solitudine ܫܘܘܚܕܐ) dalla sua povertà (ܡܣܟܢܘܬܐ). Lui risplende nella sua pienezza, risplendiamo assieme a lui tutti noi.

5.Vedete: le sue parole ed i suoi atti sono misurati e ponderati. E guardate che anche i suoi passi hanno acquisito una andatura serena. Possiede un controllo totale su sé stesso.

Per Efrem il vescovo, il capo del corpo, è anche il maestro, colui che istruisce le sue membra ed esse a loro volta debbono imparare, istruirsi, quasi abbeverarsi da lui. Le virtù che le membra vedono nel capo, nel vescovo, virtù che lui ha già adesso, non virtù che dovrebbe avere ma che per Efrem veramente lui possiede già, essi le membra debbono acquisirle, accoglierle come esempio ed insegnamento dato a loro, ed il diacono poeta ne fornisce una bella lista. Il vescovo possiede la purezza (e qui dobbiamo indicare che il termine siriaco può indicare anche la bellezza, l’agire in modo bello ed onesto, la sincerità si potrebbe anche tradurre); la santità, termine sinonimo anche di castità, e la saggezza che abbiamo tradotto come istruzione, capacità di insegnare. Inoltre, il vescovo deve avere la longanimità, la ponderazione e la povertà. Da queste virtù del vescovo, le membra del corpo debbono acquistare le altre virtù che da quelle del vescovo sgorgano, sono adatte per loro: la serenità, come sinonimo anche di quiete, la benignità, la purezza come sinonimo anche di castità, la buona disposizione ad imparare. Avere anche il buon senso, la sobrietà, la capacità di distacco, e questo è un termine sinonimo di solitudine, quasi fosse il saper guardare a distanza le cose, il distacco dalle cose. Le membra del corpo risplendono quindi non di propria luce ma dallo splendore che viene loro dal capo di questo corpo. Infine, Efrem nella strofa 5 indica come l’agire del vescovo in parole ed in opera è anche misurato e ponderato, addirittura nel suo camminare; lui è qualcuno che, prendendo la parola del diacono: “possiede un controllo totale su sé stesso”.

 

Nelle strofe 8-9 Efrem continua a non tanto a tessere la lode del suo vescovo, bensì a dipingerne l’icona.

8. È stato illustre tra i predicatori, dotto tra i lettori, eloquente tra i saggi, casto (sobrio, modesto ܢܟܦܐ) tra i suoi fratelli ed onorato tra i suoi cari.

9.In due modi (di vita ܥܘܡܪܝܢ) lui è stato solitario (monaco ܝܚܝܕܝܐ) durante i suoi giorni: santo (casto ܩܕܝܫܐ) nel suo corpo e solitario nella sua casa. In segreto ed in pubblico è stato casto.

          Efrem sottolinea come il vescovo è il pastore che sa predicare, che sa insegnare, che sa leggere (e qua il leggere sicuramente può andare anche oltre alla formale lettura dei testi). La dimensione di vita nel celibato del vescovo fa che Efrem lo presenti come una figura quasi monastica nella sua castità, nella sua vita come solitario, come monaco. Inoltre, la prima frase della strofa 9 che abbiamo tradotto come: “In due modi (di vita ܒܬܪܝܢ ܥܘܡܪܝܢ)…”, corrisponde a dei termini siriaci che si potrebbero anche tradurre come: “cella, abitazione monastica”, e la stessa frase prosegue presentando i due luoghi dove il vescovo è stato o ha abitato come monaco, come solitario: nella santità/castità del suo corpo e nella vita solitaria (monastica) nella sua casa: “santo nel suo corpo e solitario nella sua casa”.

           Concludo con due testi presi ancora da questa raccolta efremiana. Il primo raccoglie due strofe prese dall’inno XIV, che sono due preghiere molto personali di Efrem, di una bellezza e profondità teologica veramente uniche. Ve ne do qua semplicemente la traduzione.

          25. Ed io che sono peccatore ed anche lavoratore, istruito da loro tre (i tre vescovi), quando vedranno il Terzo (Triduano, Colui dai tre giorni, Cristo, ܬܠܝܬܝܐ) che chiude la porta della sala delle nozze, tutti e tre chiederanno (intercederanno) per me affinché Lui apra un pochino per me la sua porta.

          26.E il peccatore, allo stesso tempo gioioso e timoroso, si accosterà per spingere ed entrare per guardare (sbirciare ܡܚܪ). E i tre maestri chiameranno con bontà l’unico discepolo, che raccoglierà da sotto i tavoli le briciole piene di vita.

 

          Il secondo testo è l’ultima strofa dell’inno XVI,22 che non ha bisogno di molto commento. Efrem ci dà quasi una fotografia, diciamo meglio una icona, della situazione in cui si trovava il suo vescovo Vologeso nel IV secolo, si trovano e ci troviamo a vivere tanti chiamati ad essere il capo del corpo che è la Chiesa, che è ogni Chiesa cristiana, da Oriente ad Occidente, dal IV al XXI secolo. Lascio il testo a voi affinché ne cogliate l’acutezza, la sagacia e allo stesso tempo la profondità spirituale, psicologica ed ecclesiologica del diacono poeta del IV secolo.

 

22.Siamo noi stessi nel mettere in subbuglio (turbare, mettere confusione) la successione (delle cose) ed il buon ordine, perché nel tempo della moderazione (mansuetudine, longanimità, prudenza), ecco pretendiamo (vogliamo) una severità (durezza d’animo) che ci rimproveri (increpi fortemente) come se fossimo bambini!

 

+P. Manuel Nin

Esarca Apostolico

Vescovo titolare di Carcabia

 


giovedì 6 giugno 2024

 

Miniatura siriaca della Comunione degli Apostoli. XIII secolo

…guardati e salvati dal Signore.

Lettera pastorale Pentecoste 2024

          Un autore bizantino del XIV secolo, Nicola Cabasilas (1320-1397 circa) conosciuto e stimato sia nelle tradizioni cristiane orientali che occidentali, scrisse un’opera chiamata Vita in Cristo, un testo tradotto e diffuso in tantissime lingue fino ai nostri giorni, un’opera in cui il teologo bizantino espone quello che è per ogni cristiano la sua vita in Cristo, la sua piena configurazione con Cristo. E questa vita in Cristo avviene per ognuno di noi attraverso la celebrazione dei sacramenti, dal lavacro e la ricreazione che accadono nel battesimo, alla forza e alla grazia del Santo Spirito nella cresima, al dono dei Santi Misteri del Corpo e del Sangue del Signore. Misteri, sacramenti che hanno sempre come punto di partenza e di riferimento lo stesso Cristo Signore che per noi è patito, è morto ed è risorto; misteri, sacramenti che nella celebrazione della Liturgia hanno come luogo e punto di riferimento teologico, cristologico, liturgico e anche architettonico l’altare, la sacra mensa, l’ara del sacrificio, la tomba vivificante da dove sgorga la grazia divina per ognuno dei cristiani.

          Nicola Cabasilas nella sua opera sopra citata, dopo aver parlato dei sacramenti dell’iniziazione cristiana (battesimo, cresima ed eucaristia), parla anche del sacramento della consacrazione dell’altare, presentato non come una semplice tavola, mensa, ma un luogo (consacrato, unto, santificato) da dove sgorga la vita nuova per ognuno di noi cristiani.

          Alcuni paragrafi di quest’opera del Cabasilas hanno attirato la mia attenzione e ve li propongo come meditazione, riflessione, a tutti voi, fedeli greci, ucraini e caldei, e tutti gli amici del nostro Esarcato Apostolico, in vista alla prossima celebrazione della Domenica di Pentecoste il giorno 23 giugno, e del Lunedì dello Spirito Santo, il 24 giugno, giorno che è anche la festa del nostro Esarcato e della nostra chiesa cattedrale della Santissima Trinità ad Atene.

          Nicola Cabasilas, nel primo libro della Vita in Cristo afferma: “Il battesimo dona l’essere, il vivere conforme a Cristo…, introduce gli uomini alla vita. Poi l’unzione del miron porta a perfezione l’essere già nato, gli infonde l’energia necessaria a tale vita. Infine, la divina eucaristia sostiene e custodisce la vita e la salute, è il pane della vita… Non noi ci siamo mossi verso Dio e siamo saliti a Lui, ma è Lui che è venuto e disceso a noi… Noi siamo stati cercati… La pecora non ha cercato il pastore…, ma Lui si è chinato sulla terra e ha trovato l’immagine…, e lasciandoci in terra ci ha resi anche celesti, ha infuso in noi la vita divina…, piegando ed abbassando il cielo fino a noi… Dunque, attraverso i Santi Misteri, quasi finestre, il sole di giustizia entra in questo mondo… Quale segno di bontà e di amore per gli uomini potrebbe essere più grande? Lavando nell’acqua, libera l’anima dalla sporcizia; ungendo col miron, fa regnare nel regno dei cieli; invitando a mensa, imbandisce il suo corpo ed il suo sangue”.

          I sacramenti sono come delle finestre attraverso cui il Signore si manifesta, si avvicina e si dà ad ognuno di noi. Finestre attraverso cui -qualcuno potrebbe dire “noi guardiamo”- certamente! Ma soprattutto finestre attraverso cui noi siamo guardati, amati, salvati dal Signore per mezzo di questi segni materiali (acqua, olio, pane, vino…) santificati dallo Spirito Santo e che diventano per noi strumenti di salvezza e di vita nuova. Il Signore si fa presente in mezzo a noi, nella sua incarnazione, per mezzo dei sacramenti.

          Vi propongo l’immagine della finestra, presa da questo teologo bizantino medievale, per aiutarvi, in questa nostra festa della Pentecoste, a riflettere un attimo sulla nostra vita sacramentale che è sempre, e non dimentichiamolo mai, riflesso della nostra vera e propria vita ecclesiale e cristiana. I sacramenti sono un dono che ci viene dato dal Signore -il battesimo e la cresima una volta nella nostra vita, i Santi Doni del suo Corpo e del suo Sangue ogni volta che ci avviciniamo a Lui, ogni volta che ci alziamo, ci muoviamo, camminiamo verso di Lui per riceverlo.

          Entrando in chiesa ci scopriamo guardati dal Signore. Davanti alle icone, scopriamo non tanto di essere noi a guardarle, ma scopriamo che ci guardano, che ci fanno presente questo fatto, cioè l’essere amati, salvati, ricreati e quindi guardati e protetti dal Signore. E questo Suo sguardo, forza, salvezza, vita nuova, li riceviamo sacramentalmente ogni volta che nella chiesa, nelle celebrazioni sacramentali lungo l’anno liturgico, nel corso delle settimane, ci alziamo e ci avviciniamo a Lui attraverso questa “finestra” per mezzo di cui Lui si fa presente, si avvicina a noi.

          Perciò i Santi Misteri del Suo Corpo e del Suo Sangue ci vengono dati, elargiti dal vescovo o dal sacerdote avendo fatto da parte nostra questo cammino, movimento, processione se volete, verso l’altare, verso il luogo da dove Lui ci guarda e si abbassa, si inchina verso di noi. Mai e poi mai i Santi Doni saranno qualcosa che ci distribuiamo tra di noi, che aspettiamo senza muoverci come se fosse qualcosa a noi dovuta che aspettiamo con comodo che ci venga portata, ma alzandoci e camminando verso di Lui, verso il Suo altare santo da dove, per le mani del vescovo o del sacerdote viene dato in dono ad ognuno di noi.

          Carissimi, attraverso queste brevi pagine, voglio esortarvi (tutti i fedeli del nostro Esarcato: greci, ucraini e caldei, e tutti gli altri che ci seguite da vicino o da lontano) a riscoprire, a rafforzare, a rivivificare la nostra vita sacramentale nella nostra Chiesa, nel nostro Esarcato. La celebrazione della Risurrezione del Signore ogni domenica, le grandi feste dell’anno liturgico -tutte e non soltanto Natale e Pasqua-, sono momenti di grazia per ognuno di noi, sono anche esse delle “finestre” attraverso cui siamo guardati e salvati dal Signore. Sforziamoci -e chiediamolo al Signore che ce ne dia la forza, la grazia-, di essere più presenti, più fedeli alle celebrazioni settimanali nella nostra cattedrale e nelle altre chiese e cappelle dell’Esarcato. Avviciniamoci con fede e fiducia a queste finestre da dove il Signore, fedelmente continua a guardarci, a cercarci e a riportarci alla Sua vita nuova per mezzo dei sacramenti.

          La vita sacramentale cristiana suppone una preparazione nella preghiera per accogliere il dono di Dio, ed anche un atteggiamento da parte nostra di partecipazione attiva alla celebrazione dei Santi Doni ogni settimana, ed ogni giorno lungo le grandi feste dell’anno liturgico in cui, come ci insegna la nostra tradizione liturgica bizantina, celebriamo e viviamo tutto il mistero di Cristo Signore che per noi si è incarnato, ha camminato e cammina con noi, è morto, risorto, salito in cielo e siede alla destra di Dio Padre.

          Dalla celebrazione della Pentecoste un anno fa, nel nostro Esarcato sono venuti a mancare due persone che hanno segnato con la loro vita, la storia della nostra Chiesa: il vescovo emerito Dimitrios Salachas, e padre Athanasios Armaos. Il loro esempio e la loro stessa vita sono per noi motivo di ringraziamento al Signore. Ricordando loro due, in questo momento voglio anche ringraziare tutti i sacerdoti del nostro Esarcato per tutto quello che fanno per la nostra Chiesa, nelle comunità greca, ucraina e caldea. I sacerdoti dell’Esarcato siamo in pochi, otto contando anche me come vescovo, ma c’è sempre la speranza -e per questo mi do da fare come vostro vescovo-, che possano venirci in aiuto sacerdoti da altre Chiese orientali cattoliche europee. Già dall’anno scorso sto cercando di coinvolgere anche seminaristi da altre eparchie europee per far conoscere la nostra Chiesa in Grecia ed eventualmente per un loro inserimento in un futuro non lontano tra il nostro clero. Da parte nostra bisogna anche accettare che non possiamo “far tutto… e farlo da soli”, e dobbiamo coinvolgere tutti anche nelle responsabilità pastorali.

          Auguro a tutti i fedeli del nostro Esarcato, greci, ucraini e caldei, una buona festa della Pentecoste. Che il Signore ci dia sempre di essere, nella nostra realtà ecclesiale, unica e allo stesso tempo così diversa per lingua, etnia e geografia di origine, ma sempre ed unicamente cattolica, uomini e donne di comunione, di carità e di fraternità. Che il Signore continui a guardare la Sua Chiesa, a rafforzarla, a vivificarla, affinché viviamo la nostra vita cristiana, ogni giorno, tutto l’anno liturgico, ogni momento come momento, come dono di grazia e di salvezza, sapendoci guardati e salvati da Lui che regna con il Padre e lo Spirito Santo, nei secoli. Amin.

 +P. Manuel Nin

Esarca Apostolico

Vescovo titolare di Carcabia


ο Κύριος μας προσέχει και μας σώζει

Ποιμαντική Επιστολή Πεντηκοστή 2024

          Ένας βυζαντινός συγγραφέας του δέκατου τέταρτου αιώνα, ο Νικόλαος Καβάσιλας (περ. 1320-1397), γνωστός και εκτιμώμενος τόσο στην ανατολική όσο και στη δυτική χριστιανική παράδοση, συνέγραψε ένα έργο με τίτλο «Περὶ τῆς ἐν Χριστῷ ζωῆς», ένα σύγγραμμα μεταφρασμένο και διαδιδόμενο στις μέρες μας σε πάρα πολλές γλώσσες, έργο στο οποίο ο βυζαντινός θεολόγος εκθέτει εκείνο που για κάθε χριστιανό είναι η ζωή του εν Χριστώ, η δική του πλήρη διαμόρφωση σύμφωνα με τον Χριστό. Και αυτή η ζωή εν Χριστώ για κάθε χριστιανό πραγματοποιείται μέσω της τέλεσης των μυστηρίων: από το νίψιμο και την ανάπλαση που πραγματοποιούνται στο βάπτισμα έως τη δύναμη και τη χάρη του Αγίου Πνεύματος στο χρίσμα έως το δώρο των Αχράντων Μυστηρίων του Σώματος και του Αίματος του Κυρίου. Μυστήρια τα οποία έχουν ως αφετηρία και σημείο αναφοράς πάντα τον ίδιο Χριστό Κύριο που για μας υπέφερε, πέθανε και αναστήθηκε* μυστήρια που κατά την τέλεση της Θείας Λειτουργίας έχουν ως θεολογικό, χριστολογικό, λειτουργικό, ακόμη και αρχιτεκτονικό σημείο αναφοράς την Αγία Τράπεζα - το θυσιαστήριο, τον ζωοποιό τάφο από τον οποίο ρέει η θεία χάρη για κάθε χριστιανό.

          Όντως, ο Νικόλαος Καβάσιλας στο έργο του, αφού μίλησε για τα μυστήρια της χριστιανικής μύησης (βάπτιση, χρίσμα και Ευχαριστία), μιλά και για το μυστήριο του καθαγιασμού της Αγίας Τράπεζας, το οποίο θεωρείται όχι ως ένα απλό τραπέζι αλλά ως ένας τόπος (αφιερωμένος, χρισμένος, αγιασμένος) από τον οποίο πηγάζει εκρέει η νέα ζωή για τον καθένα από εμάς τους χριστιανούς.

          Ένα κείμενο αυτού του έργου του Καβάσιλα τράβηξε την προσοχή μου και σας το προτείνω για περισυλλογή, στοχασμό σε όλους εσάς - Έλληνες, Ουκρανούς και Χαλδαίους πιστούς - και σε όλους τους φίλους της Αποστολικής Εξαρχίας, ενόψει του επικείμενου εορτασμού της Κυριακής της Πεντηκοστής στις 23 Ιουνίου και της Δευτέρας του Αγίου Πνεύματος, 24 Ιουνίου, ημέρα στην οποία εορτάζει η Εξαρχία μας και ο Καθεδρικός μας ναός της Υπεραγίας Τριάδος στην Αθήνα.

          Ο Νικόλαος Καβάσιλας, στο πρώτο βιβλίο της εν Χριστώ Ζωής, δηλωνει: «πε τ μν βάπτισμα τ εναι δίδωσι κα λως ποστναι κατ Χριστόν·ες τν ζων πρτον εσάγει. δ το μύρου χρίσις τελειο τν γεγεννημένον, τ τοιδε ζω προσήκουσαν νέργειαν ντιθεσα. δ θεία εχαριστία τν ζων ταύτην κα τν γείαν συντηρε κα συνέχει· τς ζως δίδωσιν ρτος. Ο γρ ατο πρς τν Θεν κινήθημεν οδ νέβημεν, λλ᾿ ατς πρς μς λήλυθε κα κατέβη.... ζητήθημεν... τι οκ ξεζήτησε τ πρόβατον τν ποιμένα... λλ᾿ ατς κυψεν ες τν γν κα ερε τν εκόνα·... μένοντας π τς γς, κα ορανίους ποίησε κα τν ν οραν ζων νέθηκεν...  τν ορανν ες μς κλίνας κα καταγαγών... Κα τοίνυν δι τν μυστηρίων τούτων τν ερν, σπερ δι θυρίδων, ες τν σκοτεινν τοτον κόσμον, λιος εσέρχεται τς δικαιοσύνης... Τί γρ ν γένοιτο μεζον χρηστότητος κα φιλανθρωπίας σημεον, λούοντα μν δατι ύπου τν ψυχν παλλάττειν, χρίοντα δ μύρ βασιλεύειν τν ν ορανος βασιλείαν, στιν δ τ σμα τ αυτο κα τ αμα παρατιθέντα

          Τα μυστήρια είναι σαν θυρίδες - παράθυρα  μέσα από τις οποίες ο Κύριος φανερώνεται, πλησιάζει και δίνεται στον καθένα μας. Θυρίδες μέσα από τις οποίες «παρακολουθούμε» - κάποιος βεβαίως θα μπορούσε να πει! Αλλά πάνω απ' όλα, είναι θυρίδες μέσα από τις οποίες ο Κύριος μας προσέχει, μας αγαπά, μας σώζει μέσω αυτών των υλικών σημείων (νερό, λάδι, άρτος, οίνος...) αγιασμένων από το Άγιο Πνεύμα, το Οποίο τα καθιστά για εμάς μέσα σωτηρίας και νέας ζωής. Ο Κύριος παρουσιάζεται ανάμεσά μας, στην ενσάρκωσή του, μέσω των μυστηρίων

          Σας προτείνω αυτή την εικόνα παρμένη από αυτόν τον βυζαντινό θεολόγο του μεσαίωνα, για να σας βοηθήσω, σε αυτή μας την εορτή της Πεντηκοστής, να συλλογιστείτε για μια στιγμή πάνω στη μυστηριακή μας ζωή, η οποία είναι πάντοτε – και ας μην το ξεχνάμε ποτέ –  μια αντανάκλαση της πραγματικά δικής μας εκκλησιαστικής και χριστιανικής ζωής. Τα μυστήρια είναι δώρα που δίδονται από τον Κύριο - το βάπτισμα και το χρίσμα μεν μια φορά στη ζωή μας* το Άχραντα Δώρα του Σώματος και του Αίματός του δε - κάθε φορά που προσερχόμαστε σε αυτά (κάθε φορά που σηκωνόμαστε, κινούμαστε και κατευθυνόμαστε προς Αυτόν για να Τον λάβουμε)

          Μπαίνοντας στην εκκλησία, ανακαλύπτουμε πως είμαστε υπό την προσοχή του Κυρίου. Τις εικόνες μεν δεν τις προσέχουμε και τόσο αλλά ανακαλύπτουμε πως εκείνες μας προσέχουν, μας κάνουν να συνειδητοποιήσουμε το γεγονός πως ο Κύριος μας αγαπά, μας σώζει, μας αναπλάθει και συνεπώς μας προσέχει. Και αυτό το βλέμμα Του, τη δύναμη, τη σωτηρία, την καινούργια ζωή τα λαμβάνουμε μέσω των μυστηρίων – μυστηριακά – κάθε φορά που σηκωνόμαστε και πλησιάζουμε σε Αυτόν στην εκκλησία, στην τέλεση των μυστηρίων κατά τη διάρκεια όλου του λειτουργικού έτους, κατά τη διάρκεια κάθε εβδομάδας μέσω αυτής της θυρίδας από την οποία Αυτός μας παρουσιάζεται και μας πλησιάζει.

          Γι' αυτό τα Άχραντα Μυστήρια του Σώματος Του και του Αίματός Του μας δίνονται, μας χορηγούνται είτε από τον επίσκοπο είτε από τον ιερέα έχοντας κάνει εκ μέρους μας αυτή τη πορεία, κίνηση, πομπή – εάν θέλετε – προς την αγία Τράπεζα, προς τον τόπο από το οποίο Αυτός μας βλέπει και χαμηλώνει, υποκλίνεται προς εμάς. Ποτέ όμως, και πάλι - ποτέ - τα Άγια Δώρα θα είναι κάτι που το μοιράζουμε μεταξύ μας, κάτι το οποίο αναμένουμε χωρίς να κάνουμε τον παραμικρό κόπο, λες και είναι κάτι που δικαιωματικά μας ανήκει και αναμένουμε να το λάβουμε βολικά και εύκολα* αντιθέτως, μας δωρίζονται δια χειρών του επισκόπου η του ιερέα αφού πρώτα εμείς σηκωθούμε και πορευθούμε προς Αυτόν και προς το άγιο Θυσιαστήριο Του.

          Μέσα από αυτές τις σύντομες σελίδες, θέλω να σας προτρέψω (όλους τους πιστούς της Εξαρχίας μας, Έλληνες, Ουκρανούς και Χαλδαίους) να ανακαλύψετε ξανά, να ενισχύσετε, να αναζωογονήσετε τη μυστηριακή μας ζωή στην Εκκλησία μας, στην Εξαρχία μας. Ο εορτασμός της Αναστάσεως του Κυρίου κάθε Κυριακή, οι μεγάλες εορτές του λειτουργικού έτους – όλες και όχι μόνο τα Χριστούγεννα και το Πάσχα – είναι στιγμές χάριτος για τον καθένα μας, είναι και εκείνες «θυρίδες» μέσα από τις οποίες ο Κύριος μας προσέχει και μας σώζει. Ας βάλουμε τα δυνατά μας – και ας το ζητήσουμε από τον Κύριο ώστε να μας δώσει τη δύναμη, τη χάρη – να είμαστε πιο παρόντες, πιο πιστοί στις εβδομαδιαίες λειτουργίες στον καθεδρικό μας ναό και στους άλλους ναούς και παρεκκλήσια της Εξαρχίας. Ας πλησιάσουμε με πίστη και εμπιστοσύνη αυτές τις θυρίδες-παράθυρα από τα οποία ο Κύριος συνεχίζει πιστά να μας προσέχει, να μας αναζητά και να μας επαναφέρει στη νέα Του ζωή μέσω των μυστηρίων.

          Η χριστιανική μυστηριακή ζωή από την πλευρά μας προϋποθέτει μια προετοιμασία εν προσευχή για να λάβουμε το δώρο του Θεού, αλλά και μια διάθεση ενεργής συμμετοχής στην λειτουργία των Αγίων Δώρων κάθε εβδομάδα, και κάθε μέρα κατά την διάρκεια των μεγάλων εορτών του λειτουργικού έτους στο οποίο, όπως μας διδάσκει η βυζαντινή λειτουργική μας παράδοση, τελούμε και ζούμε όλο το μυστήριο του Κυρίου Χριστού, που για εμάς ενσαρκώθηκε, πορεύθηκε και πορεύεται μαζί μας, πέθανε, αναστήθηκε, ανελήφθη στους ουρανούς και κάθεται εκ δεξιών του Πατρός.

          Από τον εορτασμό πέρυσι, στην Εξαρχία μας, έφυγαν από τη ζωή δύο άνθρωποι που σημάδεψαν με τη ζωή τους την ιστορία της Εκκλησίας μας: ο επίτιμος Επίσκοπος Δημήτριος Σαλάχας και ο π. Αθανάσιος Αρμάος. Το παράδειγμά τους και η ίδια η ζωή τους είναι για εμάς ένας λόγος να ευχαριστούμε τον Κύριο. Ιερείς στην Εξαρχία υπάρχουμε λίγοι, αλλά υπάρχει πάντα ελπίδα – και γι’ αυτό, ως επίσκοπος σας, συνεχίζω να εργάζομαι – να έρθουν να βοηθήσουν ιερείς από άλλες ευρωπαϊκές ανατολικές καθολικές Εκκλησίες. Αυτή τη στιγμή θέλω να ευχαριστήσω τους ιερείς της Εξαρχίας μας για όλα όσα κάνουν για την Εκκλησία μας. Ήδη από πέρυσι προσπαθώ να συμπεριλάβω στη συμμετοχή και ιεροσπουδαστές από άλλες ευρωπαϊκές επαρχίες ώστε να γνωρίσουν την Εκκλησία μας στην Ελλάδα και ενδεχομένως, σε ένα μέλλον όχι και τόσο μακρινό, να γίνουν μέρος του κλήρου μας. Από την πλευρά μας πρέπει και να αποδεχτούμε πως δεν μπορούμε «να τα κάνουμε όλα… και να τα κάνουμε μόνοι μας», και να συμπεριλάβουμε όλους και στα ποιμαντικά καθήκοντα.

          Είθε ο Κύριος να συνεχίσει να βλέπει και να φυλάει την Εκκλησία Του, να την ενισχύει, να την ζωογονεί, ώστε να μπορούμε να βιώνουμε τη χριστιανική μας ζωή, κάθε μέρα, καθ' όλη τη διάρκεια του λειτουργικού έτους, κάθε στιγμή ως στιγμή - ένα δώρο χάριτος και σωτηρίας - γνωρίζοντας ότι μας προσέχει και μας μας φυλάει και μας σώζει Εκείνος που βασιλεύει με τον Πατέρα και το Άγιο Πνεύμα. Αμήν.

 

+Π. Εμμανουήλ Νιν

Αποστολικός Έξαρχος

Τιτουλάριος Επίσκοπος Καρκαμπίας