lunedì 18 aprile 2022

Deposizione dalla croce

Rallis Kopsidis (XX secolo), cattedrale Santissima Trinità

Atene


 La Madre di Dio ai piedi della croce di Cristo

Dammi, o Verbo, una parola…

Un carissimo amico scriveva pochi giorni fa in un giornale spagnolo (Antoni Puigverd, Renéixer, La Vanguàrdia 17 aprile 2022) una sua bella e profonda meditazione, in cui rifletteva quanto grande fosse il dolore di una madre per la morte del proprio figlio, un dolore le cui conseguenze lo scrittore, con una immagine molto espressiva, paragonava ad una casa abbandonata, con le porte e finestre murate ed attorniata da un giardino lasciato incurato, casa che man mano si sgretola e sprofonda nella rovina. “Soltanto la musica può esprimere la sofferenza delle madri ucraine e russe”, aggiungeva lo scrittore nel suo articolo, prima di proseguire parlando, contemplando direi la bellezza della sequenza latina Stabat Mater dolorosa, attraverso le composizioni che su di essa sono state fatte, trattenendosi in tre nomi di compositori musicali: G. P. Palestrina, G. B. Pergolesi e J. S. Bach. E concludeva: “…nel travaglio della memoria, è la gioia che vince la morte. Una madre, nella nostalgia del figlio assente, lo ricorda sempre con il volto sorridente”. Il bell’articolo del mio amico giornalista catalano, è un testo degno di una meditazione per i giorni della Settimana Santa, ed anche per i giorni e le settimane di sofferenze che viviamo a causa di una guerra assurda ed ingiustificabile tra l’Ucraina e la Russia, un testo che mi ha riportato a tanti dei tropari della tradizione bizantina che cantiamo in questi giorni santi, ed anche in altri periodi durante tutto l’anno liturgico. Sono tropari che nel plurale vengono chiamati “theotikìa”, cioè tropari che parlano della Theotokos, della Madre di Dio. Testi che in forma poetica cantano quel che è il mistero centrale della nostra fede cristiana: l’Incarnazione del Verbo eterno di Dio dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria. In essi Maria è sempre la Madre di Dio che accanto al Figlio e col Figlio intercede per l’umanità, eleva e presenta la sua voce a Colui che sempre è accanto a questa umanità, ad ognuno di noi, a Colui che si è fatto in tutto uno di noi eccetto il peccato.

In questi giorni della Settimana Santa dal 17 al 24 aprile, che stiamo celebrando tante Chiese cristiane ortodosse, cattoliche orientali ed anche cattoliche di rito latino, voglio semplicemente rileggere alcuni di questi tropari, che sono patrimonio comune con quella teologia poetica o poesia teologica che troviamo anche in tanti testi occidentali, quali la sequenza Stabat Mater.

          La liturgia delle Chiese cristiane è sempre luogo dove la fede viene professata, celebrata e vissuta. In alcuni dei theotokìa della tradizione bizantina troviamo una professione di fede di carattere cristologico, nella confessione delle due nature, divina ed umana, nel Verbo di Dio incarnato: “Colei che puramente ti ha partorito, vedendo appeso te, o Cristo, che hai sospeso la terra alle acque, o amico degli uomini, gridava: Ahimè, perché questo strano spettacolo? Dove mai è tramontata, Figlio dolcissimo, la tua infinita bellezza? Io magnifico la tua misericordia, perché volontariamente tu soffri per tutti”. Sono delle immagini chiaramente contrastanti tra la divinità e l’umanità di Cristo: come uomo appeso alla croce, Lui che come Dio creando il mondo “ha sospeso la terra sulle acque”. In un altro dei tropari anche gli stessi fatti della vita di Cristo vengono messi quasi in contrasto/opposizione tra di loro: “Oggi colui che per essenza è inaccessibile, diventa per me accessibile, e soffre la passione per liberare me dalle passioni; colui che dà la luce ai ciechi, riceve sputi da labbra inique e, per i prigionieri, offre le spalle ai flagelli. Vedendolo sulla croce, la pura Vergine e Madre dolorosamente diceva: Ahimè, Figlio mio… Tu, splendido di bellezza più di tutti i mortali, appari senza respiro, sfigurato, senza più forma né bellezza! Ahimè, mia luce! Non posso vederti addormentato, sono ferite le mie viscere e una dura spada mi trapassa il cuore. Io celebro i tuoi patimenti, adoro la tua amorosa compassione: o longanime Signore, gloria a te”. Le espressioni messe in bocca di Maria sono quelle della madre ai piedi della croce di Cristo. Troviamo in questo e in altri tropari una rilettura del salmo 44,3: “…il più bello tra i figli dell’uomo”. Un altro dei tropari della Settimana Santa invoca Cristo come: “Sposo splendido di bellezza al di sopra di tutti gli uomini!...”. Il lamento di Maria sul Cristo sofferente, privato della sua bellezza, rilegge il testo del salmo, ed è un lamento che nella celebrazione della liturgia diventa lamento della Chiesa stessa, una Chiesa che con Maria celebra i patimenti, le sofferenze di Cristo e ne esalta anche l’amorosa compassione.

          Un’altra delle immagini, o dei titoli dati a Maria, che troviamo molto spesso nei tropari è quello di “agnella”. Il Cristo “agnello” accanto a colei che partecipa in qualche modo al suo sacrificio: “Vedendo te, o Verbo, crocifisso con i ladroni quale agnello paziente, trafitto al fianco dalla lancia, l’agnella, come madre, esclamava gridando: …Come può una tomba ricoprire il Dio incircoscrivibile?... Non abbandonare, Figlio mio dolcissimo, colei che ti ha partorito”. Il titolo di agnella applicato a Maria, porta altri tropari addirittura a presentare Cristo come il suo pastore, colui che ne è anche Signore; in questo caso la lettura soprattutto ecclesiologica del tropario ci sembra abbastanza chiara: “Quando la tua agnella, o Gesù, stava sotto la croce, vedendo te, suo pastore e Sovrano, amaramente faceva lamento…”.

          Di una bellezza quasi unica è uno dei tropari di questi giorni santi, in cui troviamo non un dialogo tra la Madre ed il Figlio, ma soltanto una serie di domande che mettono in luce il mistero della filantropia di Dio manifestatasi pienamente in Cristo: “Maria l’agnella, vedendo il proprio agnello trascinato al macello, lo seguiva assieme ad altre donne…, gridando a lui così: Dove vai, o Figlio? Per chi hai intrapreso questa corsa veloce? Forse ci sono altre nozze a Cana, e ti affretti per mutare di nuovo l’acqua in vino? Vengo con te, o Figlio, o piuttosto, resto con te? Dammi una parola, o Verbo, non passare accanto a me in silenzio, tu che mi hai serbata pura: tu sei infatti il mio Figlio e Dio”. Il cammino di Cristo verso la croce è messo in parallelo nel tropario con il cammino verso Cana di Galilea, e troviamo una similitudine voluta dal testo stesso tra le nozze di Cana e le nozze di Cristo con la Chiesa sulla croce, e tra il sangue versato sulla croce ed il vino nuovo dato da Cristo stesso a Cana. L’ultima frase: “Dammi una parola, o Verbo… (letteralmente: Dammi una parola, tu che sei la Parola)”, evoca la voce stessa della Chiesa, di ogni cristiano nel chiedere a Colui che è il Logos, la Parola incarnata, di incarnarsi nel cuore della Chiesa stessa, e di ogni cristiano che fa sua la parola, in cui questa Parola si incarna.

          L’autore citato all’inizio affermava: …nel travaglio della memoria, è la gioia che vince la morte. Una madre, nella nostalgia del figlio assente, lo ricorda sempre con il volto sorridente”. La Madre di Dio nei nostri tropari ricorda sempre, celebra oso dire, la bellezza intramontabile del Figlio, che è, riprendendo il salmo: “Il più bello tra i figli dell’uomo”.


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