La croce di
Cristo abbattuta, ma mai sradicata.
Fino a quando,
Signore…
Nell’estate
del lontano 1922 il monaco benedettino di Montserrat, P. Bonaventura Ubach, dopo
essersi messo in contatto col patriarca siro cattolico Ignazio Efrem II Rahmani
(1848-1929), soggiornò diverse settimane nel villaggio di Qaryatain, vicino a Palmira
in Siria, per proseguire lo studio approfondito della lingua siriaca e la
conoscenza dei libri liturgici della tradizione siro occidentale, e così prepararsi
bene alla celebrazione della sua prima liturgia siriaca, che celebrò poi nella
cattedrale di Aleppo il 21 settembre dello stesso anno, accolto dall’allora
arcivescovo siro cattolico della città Gabriele Tappouni (1879-1968), diventato
patriarca nel 1929 col nome di Ignazio Gabriele I; e quindi creato cardinale
nel 1935 da papa Pio XI. Da questo momento la vita di P. Ubach, come monaco e
come sacerdote divenne pienamente immersa nella vita della Chiesa siro
occidentale. Queste sono le sue parole che scriveva per commentare questi
eventi: “La mia piena integrazione in questa tradizione (siro occidentale) avvenne
con la celebrazione della messa siriaca… e cercai di accelerare il mio inserimento
nel clero della cattedrale siriaca di Bagdad… Celebravo ogni giorno la liturgia
siriaca, poi mi ritiravo nella mia cella per pregare il breviario, e studiavo
le antichità classiche del paese, la sua storia, i suoi monumenti…”.
La
sollecita attenzione di un mio confratello monaco che tempo fa aveva curato
delle note biografiche di p. Bonaventura, e soprattutto i fatti ancora drammatici
di queste ultime settimane in Siria, e precisamente a Palmira e nel villaggio
di Qariatayn, dove numerose famiglie siro cattoliche erano state spietatamente sequestrate
e poi in parte rilasciate, mi hanno scosso nella relativa calma estiva, e
riportato alla piena comunione con la sofferenza martiriale di tanti fratelli
cristiani che nel prossimo Oriente continuano, senza disperare mai, a dare
testimonianza della loro fede, della croce di Cristo abbattuta sì barbaramente dalle
loro ciese, dai loro monasteri, ma mai dai loro cuori. Sono dei momenti in cui la
preghiera dei salmi affiora nel proprio cuore, e con quella osata parresia che direi
soltanto i salmi hanno per innalzare al Signore la preghiera: “Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi
nasconderai il tuo volto?”.
La barbara uccisione nei
giorni scorsi di Khaled Asaad, archeologo capo di Palmira, rifiutatosi di
consegnare i reperti archeologici più preziosi e da lui nascosti, ci fa pensare
a tanta tradizione culturale, archeologica, scultoria, anche letteraria,
patrimonio dell’umanità, trasformata in macerie, da una mano che impunemente
riduce a mille pezzi più di tremila anni di storia. E all’inizio di questo mese
di agosto si alzava ancora una volta la voce del patriarca Ignazio Youssif III
Younan, padre e pastore della Chiesa siro occidentale cattolica, che riportava
dei fatti accaduti alle famiglie cristiane appunto di Qaryatain, e denunciava
ancora una volta quell’indifferenza con cui in questi ultimi anni l’occidente guarda
–o appunto non vuol guardare- i fatti drammatici dei cristiani perseguitati,
uccisi, martiri nel prossimo Oriente. La voce del patriarca era molto incisiva,
facendo vedere come di una pulizia etnica non si trattasse, e diceva: “È una
pulizia religiosa. Quella che i vostri governanti non vogliono vedere: non ne
vogliono sapere niente! A loro importa poco delle libertà di queste comunità,
che sono riuscite a sopravvivere proprio perché attaccate al loro Salvatore e
al Vangelo… A Qaryatain c’erano circa 300 famiglie rimaste lì… E il loro
parroco siro cattolico, padre Jacques Murad, rapito, era nel convento di Mar
Elian a ricevere anche tanti musulmani ed aiutarli…”. Sono le parole accorate e
sofferenti di un vescovo per il suo popolo, e sono anche parole, queste del
patriarca Younan che ci riportano al Vangelo di Cristo, perché la carità non fa
differenze di persone: “…a ricevere anche tanti musulmani ed aiutarli…”.
Oggi
le immagini arrivate da Qaryatain ci mostravano quelle ruspe inclementi che abbattevano
le mura, le croci, le tombe del monastero di Mar Elian, che demolivano impunemente
la carità cristiana che tra quelle mura sante ci dimorava dal V secolo in poi,
fino a pochi giorni fa. Immagini veramente strazianti che si innalzavano come
in una loro effimera vittoria, per abbatterle poi al suolo, le mura, le soffitta,
ma soprattutto le preghiere, la vita, le sofferenze, le lacrime che attraverso
i secoli, lungo più di mille cinquecento anni, erano diventate come l’intonaco,
il vero cemento che reggeva quel luogo santo. “Un’altra chiesa…un altro monastero…”
potrebbe essere l’indifferente titolo della notizia data. Ma non si tratta di “un’altra
chiesa…” ma della Chiesa di Cristo, cattolica o ortodossa che essa sia,
siriaca, assira, caldea, copta, latina…, senza fare liste ecclesiologiche
complete, che è diventata oggi la Chiesa martire di Cristo. Una Chiesa che nel
martirio rimane fedele al suo Salvatore, e al suo Vangelo, fedele alla
preghiera, anche per i propri nemici. P. Bonaventura Ubach diceva nelle sue
note: “…mi ritiravo nella mia cella per pregare il breviario…”. Una preghiera
fatta dai testi biblici, dalle preghiere dei Padri, intrecciati gli uni e gli
altri dalla presenza perseverante del salterio, questi testi che Cristo stesso
e le tradizioni cristiane di Oriente e di Occidente ne hanno fatto preghiere
cristiane e dei cristiani. Salmi di lode, quelli che troviamo nelle ore di
preghiere dei cristiani siriaci, e anche salmi di pentimento, di sofferenza, di
speranza, e anche dei salmi, forse paradossali, ma pure loro cristiani, in cui
il salmista, il cristiano chiede a Dio la fine non del malvagio e dell’empio,
ma sì del male e dell’empietà che annida nel suo cuore: “Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi
nasconderai il tuo volto? Fino a quando su
di me prevarrà il mio nemico? Libera la mia vita dalla loro violenza,
dalle zanne dei leoni l'unico mio bene”. Questa forse è
la preghiera di tanti cristiani oggi, lì nella sofferenza fisica in Oriente, e
qua in Occidente nella comunione pure essa sofferente. Fermi sempre nella
parola di perdono che ci viene dal Vangelo, e in quella fede che, vedendo la
croce abbattuta dalle chiese, dai monasteri, sa che mai potrà essere sradicata
dal cuore dei cristiani.
Nessun commento:
Posta un commento