Il Natale del Signore nella tradizione bizantina.
Oggi l’Onnipotente giace in una mangiatoia
Per la celebrazione
della Natività di Cristo, vogliamo fare una breve lettura di alcuni tropari
bizantini della stessa festa. E concretamente le cosiddette “katavasìe” della
Natività. Si tratta del primo tropario di ogni ode o cantico del mattutino, tropario
che nei giorni festivi viene ripetuto alla fine di ogni ode. Il nome “katavasia”
viene dal fatto che tradizionalmente i cantori scendono dai loro stalli per
cantare in mezzo alla chiesa il tropario. Come primo ed ultimo tropario di ogni
ode, riprende di solito il tema dell’ode biblica dell’Antico Testamento a cui
fa riferimento, e di cui, molto spesso, fa una lettura in chiave cristologica. Il
mattutino nella tradizione bizantina prevede nove odi, cioè cantici otto di
essi presi dall’Antico Testamento ed uno dal Nuovo Testamento. Leggendo una ad
una le otto katavasie ne scopriamo la ricchezza e la bellezza teologica. Questi
tropari, otto nell’insieme, sono un intreccio di citazioni bibliche a partire
di quella che è alla base, cioè il cantico dell’Antico Testamento a cui il
testo è collegato. Il filo conduttore che troviamo in tutte è quello che sgorga
a partire da Fil 2,9: la kenosi, il farsi piccolo del Verbo eterno di Dio nella
sua incarnazione e nella sua nascita, il farsi uno di noi.
Il primo ed il
terzo dei tropari -il secondo viene omesso- cantano la nascita del Verbo di
Dio, nascita che suscita in tuta la creazione, e specialmente tra gli uomini, la
glorificazione e la lode. Per l’annientamento del Verbo di Dio fattosi uomo, la
natura umana viene innalzata: “Cristo nasce, rendete gloria; Cristo
scende dai cieli, andategli incontro; Cristo è sulla terra, elevatevi. Cantate
al Signore da tutta la terra, e con letizia celebratelo, o popoli, perché si è
glorificato… Al Figlio che prima dei secoli immutabilmente
dal Padre è stato generato, e negli ultimi tempi dalla Vergine, senza seme, si
è incarnato, al Cristo Dio acclamiamo: Tu che hai innalzato la nostra fronte, santo
tu sei, Signore”.
Il quarto dei
tropari prende spunto dal cantico del profeta Abacuc 3,3 nel riferimento al
“boscoso monte adombrato” da cui sorge, germoglia, secondo la lettura
cristologica che ne hanno fatto i Padri della Chiesa e le diverse tradizioni
liturgiche di Oriente e di Occidente, sorge Colui che è il germoglio della
Vergine, che è stata adombrata dallo Spirito Santo: “Virgulto dalla radice di
Iesse, e fiore che da essa procede, o Cristo, dalla Vergine sei germogliato, dal
boscoso monte adombrato, o degno di lode: sei venuto incarnato da una Vergine
ignara d’uomo, tu, immateriale e Dio. Gloria alla tua potenza, Signore”. Il
quinto testo della serie delle katavasie, a partire da Is 9,5 e 26,12, sviluppa
il tema di Cristo come “angelo del gran consiglio” mandato dal Padre per
guidare l’uomo alla conoscenza di Dio: “Dio della pace, Padre delle misericordie,
tu ci hai inviato l’angelo del tuo gran consiglio per donarci pace ; guidàti dunque alla luce
della conoscenza di Dio, vegliando sin dai primi albori , noi ti glorifichiamo,
amico degli uomini”.
Il sesto
tropario è tutto incentrato nella lettura cristologica della ode di Giona 2,11,
testo già interpretato in una chiave cristologica e pasquale da Cristo stesso
nel Vangelo. Da sottolineare il tema della nuova nascita di Giona che esce dal
pesce “come embrione”, una nuova nascita che prefigura quella di Cristo stesso:
“Il mostro marino, dalle sue viscere, ha espulso come embrione Giona, quale lo
aveva ricevuto; il Verbo, dopo aver dimorato nella Vergine e avere assunto la
carne, da lei è uscito, custodendola incorrotta: poiché egli ha preservato la
madre indenne dalla corruzione cui non era sottostata”.
I tropari settimo e ottavo sono dei
testi tessuti attorno ai cantici di Daniele 3,26ss e 3,57ss: i tre giovani
nella fornace preservati dalle fiamme e che diventano tipo e prefigurazione del
grembo della Vergine in cui discende il fuoco della divinità: “I fanciulli
allevati nella pietà, disprezzando un empio comando, non si lasciarono
atterrire dalla minaccia del fuoco, ma stando tra le fiamme cantavano: O Dio
dei padri, tu sei benedetto… La fornace che effondeva rugiada è stata immagine
di una meraviglia che oltrepassa la natura: essa infatti non bruciò i giovani
che aveva ricevuto, come neppure il fuoco della divinità bruciò il grembo della
Vergine in cui era disceso; noi dunque inneggiando cantiamo: Tutta la creazione
benedica il Signore, e lo sovresalti per tutti i secoli”.
L’ultimo dei tropari riprende
quella che potremo chiamare una lettura cristologica per via di contrasto, come
la troviamo spesso nei testi liturgici bizantini e siriaci: il cielo e la
terra, il trono dei cherubini e la Vergine, l’Onnipotente che giace in una
mangiatoia: “Vedo un mistero strano e portentoso: cielo, la grotta, trono di
cherubini, la Vergine, e la greppia, spazio in cui è stato posto a giacere colui
che nulla può contenere, il Cristo Dio, che noi celebriamo e magnifichiamo”.
Nessun commento:
Posta un commento