domenica 6 settembre 2015

La Natività della Madre di Dio nell’innografia siriaca.
La Madre di Dio tesse un vestito di gloria.
          L’abbondantissima produzione letteraria messa sotto la paternità di sant’Efrem il Siro (+373), ha una serie di inni considerati dagli editori come dei testi soltanto attribuibili al grande Padre della Chiesa siriaca, ma in realtà composti dal V secolo in poi e certamente ispirati all’innografia di Efrem. Molti di questi inni pseudo efremiani sono dedicati a Maria nella sua divina maternità, inni che la cantano, meditando e lodando allo stesso tempo il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio. Ci soffermiamo in due di questi inni. Ambedue iniziano con una sorta di preghiera a Cristo, affinché sia Lui stesso a illuminare il canto del poeta: “La Vergine mi chiama a cantare il mistero che ammiro. Dammi, o Figlio di Dio, il tuo dono di ammirazione… per dipingere un’immagine piena di bellezza alla tua Madre. Canterò per tua grazia, o Signore, inni eletti alla Vergine, la quale divenne madre in modo prodigioso; lei è vergine e pur madre. Lode a colui che la prescelse!”. La verginità di Maria ed il concepimento in lei del Verbo di Dio incarnato vengono messi in evidenza con delle immagini molto contrastanti, a partire dall’umanità stessa di Maria nel suo essere pienamente donna e concepire verginalmente: “Un feto nel suo seno senza connubio, grande prodigio! Latte è nelle sue mammelle, cosa inconsueta! I segni della verginità assieme al latte sono nel suo corpo…”. E prosegue con delle espressioni che sottolineano la divino umanità di Colui che è nato da Maria: “La Vergine Maria santamente partorisce il Figlio; dà il latte a colui che nutre il genere umano; sulle ginocchia sostiene colui che tutto sostiene. Lei è Vergine, è pure Madre: cosa lei non è?”.
         L’autore prosegue introducendo il tema della verginità –sia in un riferimento alle dieci vergini del vangelo-, sia soprattutto tenendo presente la verginità come realtà ecclesiale già nel IV secolo nelle Chiese di tradizione siriaca: “In Maria goda tutta la schiera delle vergini, perché una fra di esse si è chinata e ha partorito il Gigante che sostiene le creature, lo stesso che liberò il genere umano fatto schiavo”. Il riferimento cristologico al “gigante” partorito da Maria è preso dal salmo 18,6, un testo che la tradizione dei Padri e le liturgie orientali ed occidentali hanno letto ed interpretato applicato a Cristo stesso nella sua incarnazione e nascita da Maria.
         Nel primo dei due inni di cui facciamo la lettura, troviamo una serie di quattro strofe che iniziano con la forma: “Si rallegrino in Maria…”, ed enumerano tutti coloro che per mezzo di lei trovano in Cristo la loro piena redenzione, ad iniziare da Adamo stesso fino ai sacerdoti, ai profeti e ai padri: “Si rallegri in Maria Adamo ferito dal serpente, perché lei a lui ha fornito la pianta medicinale… Si rallegrino in Maria i sacerdoti, perché lei ha partorito il grande sacerdote divenuto vittima… La schiera dei profeti, perché in lei si sono adempiute le loro profezie…”. Il nesso con Adamo guarito dalla medicina che è Cristo stesso porta l’autore in ambedue inni a cantare il tema dell’incarnazione e la nascita del Verbo di Dio vista come una nuova creazione di Adamo, di Eva e dell’umanità stessa: “Maria dette il dolce frutto agli uomini, in luogo di quel frutto dell’amarezza che Eva aveva raccolto dall’albero… Maria tesse una stola di gloria per il suo padre che era stato denudato tra gli alberi: rivestendola castamente, egli acquistò decoro… ”. Maria ancora è presentata come vite che produce il vino che è Cristo stesso, riferimento che ha anche un carattere eucaristico e collegato con il vino come bevanda di salvezza: “La vite verginale produsse un grappolo dal dolce vino, e per esso furono consolati dalle tristezze Adamo ed Eva addolorati: gustando il farmaco di vita, e furono da questo consolati dalle loro tristezze”.

         Il collegamento che l’autore fa tra Eva e Maria viene sviluppato ancora nell’ultima parte del secondo degli inni. Dopo aver di nuovo avvicendato le dieci vergini con delle lampade in mano del vangelo di Matteo con Maria vergine che porta l vera luce del mondo e che è Cristo stesso, l’innografo si dilunga a sviluppare il nesso tra Eva e Maria, tra la caduta nel peccato e la redenzione –la nuova creazione- avvenuta nella nascita di Cristo: “Per lei si sollevò il capo di Eva rimasto abbattuto. Maria infatti ha portato il Bambino che afferrò il serpente, e le foglie della nudità si tramutarono in gloria. Due vergini ha avuto l’umanità: una causa della vita, l’altra della morte; da Eva spuntò la morte, da Maria la vita”. E ancora l’autore riprende il tema del vestito di gloria tessuto da Maria nel suo grembo: “La madre caduta fu sorretta da sua figlia, e poiché quella era rivestita di foglie di nudità, questa le tesse e le dette un vestito di gloria”. In diverse strofe dei due inni troviamo ancora i titoli cristologici dati a Maria e presi da immagini veterotestamentarie: lei è il campo che non ha conosciuto il seminatore, lei è la nave che porta agli uomini il frutto della salvezza, lei è la lampada che porta la luce per gli uomini: “Per Maria spuntò la luce che scacciò le tenebre che si erano diffuse tramite Eva offuscando l’umanità. Per mezzo di Maria il mondo è stato illuminato”.


Nessun commento:

Posta un commento