La Natività della
Madre di Dio nell’innografia siriaca.
La Madre di Dio tesse
un vestito di gloria.
L’abbondantissima produzione
letteraria messa sotto la paternità di sant’Efrem il Siro (+373), ha una serie di
inni considerati dagli editori come dei testi soltanto attribuibili al grande
Padre della Chiesa siriaca, ma in realtà composti dal V secolo in poi e
certamente ispirati all’innografia di Efrem. Molti di questi inni pseudo
efremiani sono dedicati a Maria nella sua divina maternità, inni che la
cantano, meditando e lodando allo stesso tempo il mistero dell’incarnazione del
Verbo di Dio. Ci soffermiamo in due di questi inni. Ambedue iniziano con una
sorta di preghiera a Cristo, affinché sia Lui stesso a illuminare il canto del
poeta: “La Vergine mi chiama a cantare il mistero che ammiro. Dammi, o Figlio
di Dio, il tuo dono di ammirazione… per dipingere un’immagine piena di bellezza
alla tua Madre. Canterò per tua grazia, o Signore, inni eletti alla Vergine, la
quale divenne madre in modo prodigioso; lei è vergine e pur madre. Lode a colui
che la prescelse!”. La verginità di Maria ed il concepimento in lei del Verbo
di Dio incarnato vengono messi in evidenza con delle immagini molto
contrastanti, a partire dall’umanità stessa di Maria nel suo essere pienamente
donna e concepire verginalmente: “Un feto nel suo seno senza connubio, grande
prodigio! Latte è nelle sue mammelle, cosa inconsueta! I segni della verginità
assieme al latte sono nel suo corpo…”. E prosegue con delle espressioni che
sottolineano la divino umanità di Colui che è nato da Maria: “La Vergine Maria
santamente partorisce il Figlio; dà il latte a colui che nutre il genere umano;
sulle ginocchia sostiene colui che tutto sostiene. Lei è Vergine, è pure Madre:
cosa lei non è?”.
L’autore
prosegue introducendo il tema della verginità –sia in un riferimento alle dieci
vergini del vangelo-, sia soprattutto tenendo presente la verginità come realtà
ecclesiale già nel IV secolo nelle Chiese di tradizione siriaca: “In Maria goda
tutta la schiera delle vergini, perché una fra di esse si è chinata e ha
partorito il Gigante che sostiene le creature, lo stesso che liberò il genere
umano fatto schiavo”. Il riferimento cristologico al “gigante” partorito da
Maria è preso dal salmo 18,6, un testo che la tradizione dei Padri e le
liturgie orientali ed occidentali hanno letto ed interpretato applicato a
Cristo stesso nella sua incarnazione e nascita da Maria.
Nel primo
dei due inni di cui facciamo la lettura, troviamo una serie di quattro strofe
che iniziano con la forma: “Si rallegrino in Maria…”, ed enumerano tutti coloro
che per mezzo di lei trovano in Cristo la loro piena redenzione, ad iniziare da
Adamo stesso fino ai sacerdoti, ai profeti e ai padri: “Si rallegri in Maria
Adamo ferito dal serpente, perché lei a lui ha fornito la pianta medicinale… Si
rallegrino in Maria i sacerdoti, perché lei ha partorito il grande sacerdote
divenuto vittima… La schiera dei profeti, perché in lei si sono adempiute le
loro profezie…”. Il nesso con Adamo guarito dalla medicina che è Cristo stesso porta
l’autore in ambedue inni a cantare il tema dell’incarnazione e la nascita del
Verbo di Dio vista come una nuova creazione di Adamo, di Eva e dell’umanità
stessa: “Maria dette il dolce frutto agli uomini, in luogo di quel frutto dell’amarezza
che Eva aveva raccolto dall’albero… Maria tesse una stola di gloria per il suo
padre che era stato denudato tra gli alberi: rivestendola castamente, egli
acquistò decoro… ”. Maria ancora è presentata come vite che produce il vino che
è Cristo stesso, riferimento che ha anche un carattere eucaristico e collegato
con il vino come bevanda di salvezza: “La vite verginale produsse un grappolo
dal dolce vino, e per esso furono consolati dalle tristezze Adamo ed Eva
addolorati: gustando il farmaco di vita, e furono da questo consolati dalle
loro tristezze”.
Il
collegamento che l’autore fa tra Eva e Maria viene sviluppato ancora nell’ultima
parte del secondo degli inni. Dopo aver di nuovo avvicendato le dieci vergini
con delle lampade in mano del vangelo di Matteo con Maria vergine che porta l
vera luce del mondo e che è Cristo stesso, l’innografo si dilunga a sviluppare il
nesso tra Eva e Maria, tra la caduta nel peccato e la redenzione –la nuova creazione-
avvenuta nella nascita di Cristo: “Per lei si sollevò il capo di Eva rimasto
abbattuto. Maria infatti ha portato il Bambino che afferrò il serpente, e le
foglie della nudità si tramutarono in gloria. Due vergini ha avuto l’umanità:
una causa della vita, l’altra della morte; da Eva spuntò la morte, da Maria la
vita”. E ancora l’autore riprende il tema del vestito di gloria tessuto da
Maria nel suo grembo: “La madre caduta fu sorretta da sua figlia, e poiché quella
era rivestita di foglie di nudità, questa le tesse e le dette un vestito di
gloria”. In diverse strofe dei due inni troviamo ancora i titoli cristologici dati
a Maria e presi da immagini veterotestamentarie: lei è il campo che non ha
conosciuto il seminatore, lei è la nave che porta agli uomini il frutto della
salvezza, lei è la lampada che porta la luce per gli uomini: “Per Maria spuntò
la luce che scacciò le tenebre che si erano diffuse tramite Eva offuscando l’umanità.
Per mezzo di Maria il mondo è stato illuminato”.
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