mercoledì 1 aprile 2015

Dal cenacolo alla Pasqua nell’innografia di Efrem il Siro
Oggi è spremuto il grappolo venuto da Maria
Efrem il Siro dedica diversi inni alla crocifissione e alla Pasqua di Cristo. Due di essi ci aiutano ad entrare nei misteri che celebriamo in questi giorni santi. Si tratta del terzo sulla crocifissione ed il secondo sulla sua risurrezione, testi che ci situano ognuno a modo suo in un contesto liturgico. Il primo contempla il cenacolo, quel “luogo” come lo chiama Efrem, che diventa tipo della Chiesa stessa nella sua celebrazione dei misteri; il secondo presenta la Chiesa della terra e la Chiesa del cielo unite nella lode al Signore.
Il terzo inno sulla crocifissione presenta il cenacolo, il luogo dell’ultima cena di Cristo con i discepoli, come un luogo quasi personificato, dove vengono celebrati i diversi eventi della salvezza, luogo che è già visto dal poeta come una vera e propria Chiesa che celebra i sacramenti. Il cenacolo è presentato come il luogo scelto, santo, luogo del servizio: “Beato sei tu, luogo, perché furono inviati due suoi discepoli e vennero a prepararti per la sua cena… Si era scelto la purezza e in te la vide, la santità e dentro di te la trovò. Alla tua fedeltà diede abbondantemente la sua benedizione, dono per il tuo servizio”. Il cenacolo ancora presentato come il luogo del sacrificio di Cristo stesso, che si dà ai discepoli nel suo corpo e nel suo sangue: “Beato sei tu, luogo del Giusto, poiché in te il Signore nostro ha spezzato il proprio corpo. Un piccolo luogo fu specchio di tutta la creazione riempita da lui… La grande alleanza uscì da una piccola dimora e riempì la terra”. E l’eucaristia stessa, dono grande del Salvatore, fa presente il suo stesso abbassamento, il suo stesso farsi piccolo: “Doveva farsi piccola quella grandezza del nostro Salvatore, poiché la sua natura gloriosa non può manifestarsi alle creature senza debolezza”. Il cenacolo come luogo del dono – della celebrazione- del corpo e del sangue di Cristo; luogo in cui Cristo stesso diventa sacerdote e vittima: “Beato sei tu, luogo,… Di ciò che avvenne in te tutta la creazione è piena, ed è troppo piccola. Beata la tua dimora, nella quale fu spezzato quel pane dal covone benedetto. In te fu spremuto il grappolo venuto da Maria, calice della salvezza… Il nostro Signore che in te si fece vero altare, sacerdote, pane e calice della salvezza… Altare e agnello, sacrificio e sacrificatore, sacerdote e cibo”. Il cenacolo è ancora contemplato come tipo della Chiesa custode del pane spezzato e di Cristo stesso, altare in cui lui si offre per i fratelli: “Beato sei tu, luogo… In te per primo fu spezzato il pane di cui divenisti Chiesa. Il primogenito degli altari in te è apparso…”. Quindi il cenacolo presentato come luogo della lavanda dei piedi; ed Efrem la collega con l’accoglienza di Abramo ai tre personaggi –che Efrem chiama “vigilanti”, che in siriaco significa anche “angelo”-, sotto la quercia di Mamre. La grandezza della teofania veterotestamentaria viene messa di fronte a quella del Figlio nel lavare i piedi, e lavarli anche al traditore: “Come in te apparve anche ad Abramo mentre portava il vitello ai vigilanti. I serafini fremettero vedendo il Figlio che, cinto ai fianchi un lino, lavava nel catino i piedi, la sozzura del ladro che lo avrebbe consegnato…”. Lavanda dei piedi che è presentata da Efrem come una nuova creazione, il battesimo dei dodici: “Nostro Signore purificò il corpo dei fratelli nel catino che è simbolo della concordia…. Nel ventre delle acque Cristo ci ha formati nuovamente… Non siamo membra divise che non si accorgono di lottare contro il proprio Amore!”.
         Nel secondo inno sulla risurrezione di Cristo, Efrem descrive la gioia pasquale, presentata come una grande liturgia di tutta la creazione, che accomuna il cielo e la terra. Ed inizia con un riferimento al luogo centrale della croce di Cristo come chiave che riapre il paradiso, da dove sgorga la lode di tutta la creazione: “E la chiave fu per me la tua croce, fu essa ad aprire il paradiso. Dal giardino portai, raccolsi e recai dal paradiso fiori e rose eloquenti… sparsi durante la tua festa, negli inni, sull’umanità”. Tutta a creazione quindi, nella festa di Pasqua, innalza la lode a Dio; ed Efrem elenca tutti coloro che lodano il Signore redentore, a cominciare da coloro che fanno parte della liturgia della terra: “Ecco la festa gioiosa che è tutta bocche e lingue. Donne e uomini casti furono trombe e corni. Bambini e bambine furono in essa arpe e cetre”. E il poeta inserisce in questa lode liturgica anche l’immagine dell’arca e quella che si potrebbe quasi chiamare la “liturgia degli animali”, raccolti per coppie con le loro voci concordi, come avviene nella lode della Chiesa: “Nell’arca risuonarono similmente tutte le voci da tutte le bocche. Fuori flutti terribili, dentro di essa voci deliziose. Le lingue, a due a due, modulavano in essa concordi, in purezza, ed erano tipo della nostra festa ove uomini e donne vergini hanno cantato il “gloria” al Signore dell’arca”. Questa dimensione di lode liturgica procede nell'inno con una descrizione della liturgia celebrata nella settimana santa. E in essa Efrem fa presente tutta la gerarchia, quella della terra e quella del cielo: “Il grande pastore vi intrecci come suoi fiori le sue interpretazioni, i presbiteri le loro buone opere, i diaconi le loro letture, i giovani i loro alleluia, i bimbi i loro salmi, le donne caste i loro inni, i semplici fedeli la loro condotta”. Notiamo in questa strofa la descrizione del ruolo di ognuno: il vescovo –grande pastore- che commenta la Parola, i sacerdoti nel loro operare, i diaconi nel proclamare la Parola, i giovani come cantori e salmisti, i fedeli il loro vivere come cristiani. Efrem aggiunge infine, cioè convoca le gerarchie celesti: “Invitiamo e convochiamo gli illustri, martiri, apostoli e profeti, i cui fiori sono come loro: splendenti i loro fiori, ricche le loro rose, dolce il loro profumo. Li raccolgono nel giardino delle delizie ed incoronano la nostra bella festa”.
         Infine l’inno si conclude con una preghiera, fatta da Efrem nel IV secolo, viva e attuale nella nostra Pasqua, e in quella dei cristiani ovunque perseguitati, martoriati nei nostri giorni: “Accetta, nostro Re, la nostra offerta e dacci in cambio la salvezza. Pacifica le terre devastate, edifica le chiese incendiate affinché, quando vi sarà pace grande, una gran corona possiamo intrecciarti di fiori provenienti da ogni parte, perché sia incoronato il Signore della pace. Benedetto Colui che agì e può agire!”.





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