Senza il racconto dell'istituzione, diventati
corpo e sangue del Signore.
Le
notizie che ci arrivano in questi giorni dei fatti accaduti a nord della Siria,
con le violenze ed il sequestro di tanti cristiani di tradizione siriaca, soprattutto
assiri e caldei, e la distruzione totale delle loro chiese, le loro case, le
loro vite, ci porta senz'altro a pregare per questi nostri fratelli cristiani, a
piangere con loro perché di sofferenza fino alle lacrime si tratta, a
confessare la fede con loro perché di martirio si tratta ancora. E dinunciando
senza sosta questi fatti inqualificabili che capitano nel medio Oriente e in
tante regioni della terra, e deplorando ancora una volta quell'indifferenza se
non altro apparente ad Occidente; leggendo queste notizie appunto non possiamo
non pensare ed evocare oggi una delle venerabilissime tradizioni cristiane di
lingua siriaca, quella siro orientale, quei cristiani che nella loro preghiera dicono
"Abba" al Padre celeste, e che nella loro speranza gridano "Maran
atha" al Signore che aspettano che torni nella gloria. La Chiesa siro
orientale, rimasta nella seconda metà del IV secolo, oserei dire suo malgrado,
tagliata fuori dalla frontiera dell’impero e dalla comunione fraterna con le
altre Chiese cristiane, e dalla prima metà del V secolo, dopo il concilio di
Efeso nel 431, rimasta fedele alla sua arcaica professione di fede radicata in
quella sede patriarcale di Antiochia, dove i cristiani ebbero il più grande
degli onori, cioè essere chiamati col nome di Colui che fu appeso alla croce.
Queste Chiese con una spinta
missionaria esemplare arrivarono fino in India, Cina e Mongolia. In questi due
ultimi paesi quei cristiani vi rimasero fiorenti fino al medioevo, arrivando
nel XIII secolo ad eleggere patriarca e precisamente a Bagdad uno dei loro vescovi
proveniente dalla Mongolia; una Chiesa che nei nostri giorni lì, in Cina ed in
Mongolia non esiste più, e ci ha lasciate pochissime tracce, qualche raro
reperto archeologico, quasi soltanto il ricordo di quei cristiani, conosciuti
col nome del grande patriarca costantinopolitano malaugurato a Efeso, di cui loro
presero per tanti secoli la denominazione appunto di “cristiani nestoriani”. In
India, queste furono Chiese che arrivarono lì portate dalla fede e la
predicazione di Tommaso apostolo, Chiese oggi viventi e forti nella loro
confessione di fede, nel loro annuncio del Vangelo.
Queste
Chiese, conosciute oggi coi nomi di Chiesa Assira e Chiesa Caldea, hanno usato
ed usano fino ai nostri giorni il siriaco come lingua liturgica, e nella celebrazione
dei Santi Misteri adoperano una delle anafore più arcaiche nella tradizione
delle preghiere eucaristiche cristiane, quella conosciuta col nome di Addai e
Mari, una anafora che fino ai nostri giorni non ha tramandato la narrazione
dell’istituzione dell’eucaristia. Queste Chiese cristiane però, hanno celebrato
e celebrano i Santi Misteri invocando il dono dello Spirito Santo per la
santificazione di quel pane e quel vino che è stato ed è il Corpo ed il Sangue
del Signore, fedeli alla loro tradizione teologica e liturgica, e a quel
fermento santo che nella celebrazione liturgica viene mescolato alla farina,
mescolato alle loro vite e che li riporta alla fede degli apostoli e a quel
momento in cui il Signore diede ai discepoli il suo Corpo ed il suo Sangue
affinché loro lo tramandassero alle sue Chiese sparse da Oriente a Occidente.
Cristiani
assiri e caldei nel nord della Siria e in Iraq, oggi non hanno non già le
parole del Signore all'ultima cena, ma neanche hanno più le loro chiese dove
celebrare la fede, dove ascoltare la sua Parola, non hanno più le loro case
dove abitare in quella terra che è la loro terra da quasi duemila anni. Chiese e
monasteri che erano testimonianze di una architettura antichissima, arcaica,
con una iconografia precedente la crisi iconoclasta che lacerò il mondo
bizantino lungo l'ottavo e il nono secolo. Erano e sono testimonianze di un
cristianesimo non dico differente ma sì fiero della sua diversità. Cristiani
assiri a caldei che subirono delle persecuzioni già all'inizio del XX secolo
assieme a cristiani armeni e siro antiocheni; assiri e caldei che cercarono
rifugio in occidente e oltre l'oceano, oggi di nuovo sono assediati, rapiti,
perseguitati, martiri che vivono come se portassero scritte nella propria pelle
quelle parole del Salvatore ai suoi discepoli: “questo è il mio corpo… ed il
mio sangue…”.
E ancora una volta,
la voce del vescovo di Roma si è levata per far memoria di questi fratelli
cristiani, voce spinta dalle notizie “drammatiche che giungono dalla Siria e
dall’Iraq, relative a violenze, sequestri di persona e soprusi a danno di
cristiani e di altri gruppi”. E papa Francesco vuol ancora una volta “assicurare
a quanti sono coinvolti in queste situazioni che non li dimentichiamo, ma siamo
loro vicini e preghiamo insistentemente perché al più presto si ponga fine
all’intollerabile brutalità di cui sono vittime... e allo stesso tempo chiedo a
tutti, secondo le loro possibilità, di adoperarsi per alleviare le sofferenze
di quanti sono nella prova, spesso solo a causa della fede che professano.
Preghiamo per questi fratelli e queste sorelle che soffrono per la fede in
Siria e in Iraq”.
Oggi
quel "prendete e mangiate... prendete e bevete... questo è il mio corpo...
questo è il mio sangue..." del loro e nostro Signore, ce l'hanno, i
cristiani assiri e caldei, non scritto nei libri ma nella loro vita, nella loro
testimonianza martiriale.
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