Romano il Melodo per
l’Esaltazione della Santa Croce
L’albero dell’Eden è
trapiantato nel Golgota
Romano il Melodo (+555) ha due inni
liturgici dedicati alla Croce. Il secondo, per la festa dell’Esaltazione della
Croce, è formato da 24 strofe, divise tematicamente in due parti: dalla 1 alla
13 in cui Romano dà voce al buon ladrone, crocefisso con Cristo sul Golgota;
quindi dalla 14 alla 24 dove l’innografo mette in bocca del diavolo l’amarezza di
fronte alla redenzione che Cristo porta nel mondo.
Romano già dalla strofa 1 introduce
quello che sarà il filo conduttore di tutto il poema: la centralità della croce
come unico albero, presente nell’Eden e presente sul Golgota, ignorato da
Adamo, riconosciuto e confessato dal ladrone: “Il legno tre volte beato, dono
di vita, fu piantato dall’Altissimo nel mezzo del paradiso… affinché Adamo
potesse ottenere la vita eterna e immortale. Ma lui non riconobbe la vita, la
smarrì e scoprì la morte. Il ladrone invece che vide come questo albero
dell’Eden era trapiantato sul Golgota, riconobbe in esso la vita…”. Romano
sottolinea come la croce diventa l’altalena da dove il ladrone vede già l’Eden:
“Quando (il ladrone) fu innalzato sul legno… gli occhi del suo cuore si
aprirono ed egli contemplò le gioie dell’Eden… appeso alla croce scorgeva la
vita sul legno… ma provava afflizione per Adamo sofferente”. L’innografo, in
altre due strofe mette in bocca di Cristo stesso il tema paolino del primo e
del secondo Adamo: “Cristo gli disse (al ladrone): «Non compiangere Adamo tuo
progenitore, perché io sono il secondo e vero Adamo e per mia volontà sono
venuto a salvare l’Adamo che mi appartiene»”. E prosegue col tema della
redenzione del genere umano adoperata da Cristo stesso, per mezzo della sua
incarnazione e la sua croce: “Nel mio amore per il genere umano sono sceso per
lui dall’alto dei cieli… e sono diventato maledizione perché da essa voglio
liberare Adamo. Per un legno la trasgressione penetrò nel tuo progenitore… ma
entrerà di nuovo nel paradiso per il legno della vita”. La croce quindi diventa
la chiave che apre di nuovo il paradiso ad Adamo e alla sua discendenza, tema comune
alla letteratura cristiana orientale sia siriaca che bizantina: “Quando i primo
creato fu scacciato dal paradiso, i cherubini ne sbarrarono la strada, ma tu
prendi la mia croce sulle spalle e va in fretta all’Eden”.
Dalla strofa 6 alla 10 Romano mette in
bocca del ladrone camminante verso il paradiso, il cantico nuovo dei redenti,
un vero e proprio salmo inneggiante la croce di Cristo: “…il ladrone prese
sulle spalle l’emblema della grazia, come aveva detto colui che è in tutto
misericordioso, e si mise in cammino benedicendo il dono della croce, cantando
un cantico nuovo: «Tu sei l’innesto per le anime sterili, tu sei l’aratro… tu
sei la buona radice della vita risuscitata, sei la verga del castigo…». Il
ladrone inoltre si serve di bellissime immagini per parlare della croce: “Tu
sei il bastone che accompagna verso la vita i peccatori che sperano in te… tu
sei il vaglio che sull’aia separa la paglia dal raccolto. Tu sei il timone
divino della barca della Chiesa di Cristo per dirigere i giusti ed i credenti
verso il paradiso”. All’arrivo in paradiso il cantico del ladrone introduce il
tema paolino della partecipazione del cristiano alla croce e alle sofferenze di
Cristo: “Vedo la terra santa dei padri, che apparteneva al mio progenitore… e se
l’esterno è pieno di luce, grandi davvero saranno i tesori all’interno. Occhio
non vide, né orecchio udì, né cuore conobbe quello che il Signore ha preparato
per i suoi amici, crocifissi con lui…”. Quindi il paradiso, grazie alla croce,
viene ridato al ladrone; i cherubini ne furono custodi per un tempo, ma dopo il
Golgota Adamo ne ridiventa padrone: “E i cherubini dissero: «Vieni ladrone
ritorna in possesso dei diritti di tuo padre… a noi il paradiso non fu dato
come se fossimo padroni: esso venne assegnato da Dio al primo uomo… Tu, o
ladrone, ci hai rivelato che Adamo è stato richiamato dall’esilio…».
Nella seconda parte del poema, Romano
mette in bocca del diavolo tutta l’amarezza della sua sconfitta. Con delle
belle immagini fortemente contrastanti, l’innografo mette in parallelo i “due
furti” che amareggiano il diavolo: “E il diavolo, vedendo il ladrone nell’Eden,
esclamò piangendo: «Terribile è questo che mi è accaduto! Un ladrone
giustificato che ha aperto il paradiso. E mentre io cerco di rubare Pietro,
proprio a me, che sono ladro, è stato rubato il ladrone! Mentre mi prendo gioco
del discepolo impazzito, del traditore di Cristo, sono stato preso in gioco dal
ladro che per la sua fede è corso in paradiso». Il diavolo, cercando di rubare
discepoli a Cristo, è derubato dal ladrone, suo strumento. E conclude ancora il
rimpianto del diavolo con un riferimento sempre ai discepoli di Cristo: “Se
avessi visto Giuda guadagnare il paradiso, non avrei sofferto troppo a causa
sua, perché non era mio discepolo ma di Cristo. Il ladrone invece era mio
fedele discepolo, eppure mi ha abbandonato per correre da Gesù, mi ha odiato e,
quel che è peggio, a causa del legno è diventato anche custode del paradiso”.
Romano conclude nella strofa 24 con
una preghiera a Cristo: “Sei diventato figlio di Maia, o Figlio di Dio e
Salvatore nostro; alla croce sei stato inchiodato, tu che sei Dio incarnato,
per salvare ed avere pietà dei peccatori… Insieme al ladrone gridiamo a te,
come fossimo sulla croce: «Ricordati di noi nel tuo Regno»… noi che abbiamo
ricevuto il sigillo della tua croce che ci fa una sola cosa in paradiso”.