Profeta e
annunciatore delle meraviglie del nostro Dio,
o Elia
dal grande nome,
la cui
parola trattiene l’acqua delle nuvole,
intercedi
per noi presso l’Amico degli uomini.
Romano
il Melodo (490-555) ha un kontakion dedicato alla figura del profeta Elia, che
prende spunto a partire del testo di 1Re 17, 1ss, cioè la “maledizione” fata da
Elia al popolo peccatore con il giuramento e la condanna alla fame e alla
morte. Il poema ha 33 strofe e forma l’acrostico “Romano celebra il profeta
Elia”. Si sviluppa dall’inizio alla fine attraverso un dialogo, quasi una
disputa tra Elia che difende la sua maledizione e quindi il giuramento fatto, e
la volontà benevolente di Dio verso il suo popolo; disputa tra lo zelo duro e
pesante come una pietra del profeta e la misericordia, la pietà di Dio verso il
popolo, peccatore certamente, ma amato e da Lui salvato e redento da Cristo
nella sua incarnazione. Presento una lettura in diagonale delle strofe del
kontakion, mettendone in evidenza gli aspetti più notevoli.
Dall’inizio
troviamo quasi come filo conduttore di tutto il testo lo zelo del profeta nel
chiedere a Dio la punizione del popolo peccatore, e allo stesso tempo la
consapevolezza da parte dello stesso Elia delle viscere di misericordia di Dio;
quasi affiorasse tra le righe del testo la “paura” del profeta verso la
misericordia del Signore, la consapevolezza da parte di Elia che il Signore,
comunque, avrebbe usato sempre misericordia: “…non voglio la morte del
peccatore, ma che si converta e viva”.
La
prima strofa inquadra, situa tutto il tema che verrà sviluppato lungo le
trentatré strofe:
1.
Considerando la grande iniquità degli uomini e l'immenso amore di Dio per
loro, il profeta Elia sconvolto e pieno di sdegno rivolse al Pietoso queste
parole spietate: "Pesa con la tua collera su quanti oggi ti disprezzano, o
Giudice di perfetta giustizia". Ma per nulla Elia riusciva a mutare i
sentimenti del Misericordioso, circa il castigo dei detrattori di lui, perché
egli attende sempre il pentimento (μετάνοια) di ognuno, lui, l’unico
Amico degli uomini (ο μόνος φιλάνθρωπος).
Tutto
il poema gioca con il contrasto tra “…la grande iniquità degli uomini e
l'immenso amore di Dio per loro…”, contrasto che in alcune strofe si presenterà
quasi in opposizione tra lo zelo inamovibile del profeta e l’immenso amore di
Dio, tra lo sforzo di Elia nel far mutare i sentimenti di Dio e l’inamovibilità
di Costui nell’attesa del pentimento degli uomini. Ogni strofa poi si conclude
con la frase, la confessione di fede quasi: “…Lui, l’unico Amico degli
uomini” (ο μόνος φιλάνθρωπος).
Le
strofe 2 e 3 presentano in modo molto diretto e anche forte e
duro la reazione del profeta al cospetto della “non reazione” di Dio di fronte
al peccato del popolo, ed Elia propone sé stesso come colui che dovrà “agire”
di fronte al “non agire” di Dio. Il profeta prende in mano lui stesso la
vendetta, in un atteggiamento con cui tante volte ci troviamo nella nostra
stessa vita: “Dio non agisce… Dio è troppo buono… Quindi agisco io, anche a
nome suo…”. Possiamo dire che nella strofa 3 il profeta mette il dito nella piaga
proponendo il giuramento che lui farà.
2. Quando
il profeta vide tutta la terra divenuta preda dell'empietà e l'Altissimo
irremovibile nel sopportarlo, oltre che nel non farne motivo d'ira, fu preso da
furore e chiamò a testimone il Misericordioso: "Agirò io nel comando e
punirò l'empietà di quanti offendono te. Hanno tutti disprezzato la grande
pazienza tua senza riguardo alcuno per te che sei Padre misericordioso. E tu,
Padre affettuoso, nutri pietà per i figli, o unico Amico degli uomini!"
3.
"Giudicherò io a favore del Creatore, sterminerò gli iniqui sulla terra,
decreterò la loro punizione. Ma temo l'indulgenza di Dio, se l'Amico degli
uomini si lascia intenerire anche da poche lacrime. Che posso inventare per
prevenire la sua bontà senza misura, per fermare la pietà sua? Ebbene! Fisserò
il verdetto a giuramento, nella speranza che il Giusto non possa rendere
vana simile sentenza ma la confermi da Potente quale è lui, l’unico Amico degli
uomini"
Nella
strofa 4 e 5 troviamo la spiegazione del per ché il giuramento è
l’arma nella mano del profeta per poter quasi “forzare” la mano di Dio, o
almeno per evitare che la misericordia di Dio gli faccia fare quasi “un passo
indietro”. Il profeta fa un giuramento, mentre Dio fa la sua promessa, mostra
la sua misericordia:
4. Il
giuramento precedette la sentenza e servì da premessa alle decisioni. Con il
vostro permesso, ricorriamo alla Bibbia e leggiamone il testo. Sta dunque scritto
che il profeta, al colmo della collera, esclamò: "Per la vita del
Signore! Non vi saranno rugiada né pioggia se non dopo la mia parola". Ma
subito il Sovrano rispose ad Elia: "Quando vedo il pentimento e le lacrime
a fontane, non posso non aprire il cuore agli uomini, io, l’unico Amico degli
uomini".
Dall’inizio
del kontakion il profeta è al colmo dell’ira e Dio si trova già al colmo della
misericordia. Elia parla del giuramento custodito e sigillato quasi fosse una
tomba, il sepolcro prima della risurrezione.
5. Il
profeta passò alla difesa insistendo sul diritto di giuramento: "Signore
santissimo -disse-, per te che sei Dio dell'universo, ho giurato che non
cadrà pioggia se non dopo la mia parola: così quando constaterò il
pentimento del popolo, sarò io a supplicarti. Non è più in tuo potere, Dio di
giustizia, opporti al castigo inflitto per giuramento. Custodiscilo (φύλαξον) e sigillalo (σφράγισον) anzi, e frena la tua
pietà, o unico Amico degli uomini".
Il
profeta si presenta anche come colui che supplicherà Dio al momento del
pentimento del popolo: “…così quando constaterò il pentimento del popolo,
sarò io a supplicarti…”. Notiamo anche la libertà del profeta e dello
stesso autore del poema nella frase: “Non è più in tuo potere, Dio di
giustizia, opporti al castigo inflitto per giuramento”.
La
strofa 6 ci mette di fronte al dilemma che tocca il cuore di Dio. Lungo
tutto il poema, l’autore dà a Dio, mette nel suo cuore, dei sentimenti molto
umani, quasi a preannunciare quel che sarà la conclusione o il culmine del
poema e della nostra stessa redenzione: l’Incarnazione del Verbo di Dio.
Dall’inizio Dio avrebbe potuto lasciarsi andare alle sue viscere di
misericordia, ma allo stesso tempo vuol rispettare il giuramento fatto dal profeta,
e perciò lo mette alla prova:
6. La
carestia assediava la terra, ed i suoi abitanti deperivano tra i gemiti,
alzando le mani verso il molto misericordioso. Il Maestro (ο δεσπότης) aveva però le mani legate per
due versi (εκατέρωθεν): da un
lato desiderava aprire il suo cuore a quanti lo invocavano e lasciarsi andare a
pietà; dall'altro, arrossiva per il profeta e per il suo giuramento. Perciò
astenendosi dal concedere la pioggia, preparò lui un motivo di turbamento per
l'animo del profeta, lui, unico Amico degli uomini.
La frase:
“Il Maestro aveva però le mani legate per due versi…”, si potrebbe anche
tradurre: “il Signore era in preda a un dilemma… Il Signore era diviso tra…”.
I sentimenti che il poeta dà al Signore sono sentimenti molto umani che toccano
e ci toccano.
Nelle
strofe 7 e 8 troviamo Elia provato dalla fame. Il Signore vuole
che lui stesso provi quello che provano gli uomini, affinché si ravveda dal suo
giuramento e chieda misericordia.
7. Alla
vista del Tisbita in collera contro i propri simili, il Maestro decise che il giusto
dovesse soffrire la carestia quanto gli altri; quindi, provato dalla fame, egli
sarebbe tornato a sentimenti più generosi nell'emanare la sentenza, avrebbe
anzi messo termine alla punizione. Senza dubbio è cosa tremenda l'urgente
necessità di cibo: ogni creatura viva, ragionevole o no, si mantiene con gli
alimenti che, nella propria sapienza divina, può dare l’unico Amico degli
uomini.
8. Lo
stomaco perorava a sostegno della natura e, per legge di natura, muoveva il
vegliardo a mutare decisione. Egli però, duro come sasso (ώσπερ λίθος αναίσθητος ενίστατο), resisteva nel proprio zelo, quasi fosse
l'unico alimento sufficiente. Il Giudice sollevò allora lo sconforto dell'amico
affamato, ritenendo Lui errato che il Giusto soffrisse la fame come gli
ingiusti e gli empi, lui, l’unico Amico degli uomini.
Il
Signore aspetta che con la fame, con l’aiuto dello stomaco che “perorava a
sostegno della natura” Elia si sarebbe ravveduto. Ma costui, “duro come
un sasso” oppure “come pietra insensibile” resiste alla fame. Il
poeta presenta il cuore del profeta “duro come un sasso”, un’immagine che ci
riporta ancora alla pietra che chiude, che sigilla il sepolcro.
Le
strofe 9 a 12 presentano l’intervento dei corvi (1Re 17,4). Il
poeta sviluppa la tradizione secondo cui i corvi sono animali senza pietà che
non danno del cibo ai loro piccoli che, invece, lo ricevono dal cielo. Allo
stesso modo che i corvi non alimentano i figli, così anche il profeta non dà
del cibo al suo popolo.
9.
Concedendogli cibo, il Misericordioso agì in perfetta saggezza: dette ordine ai
corvi senza cuore di procurargli il cibo. I corvi sono una specie che non
conosce pietà: non danno mai ai loro piccoli il cibo dovuto, lasciando che sia
dato loro dal cielo. Poiché Elia pensava e si comportava da padre che odia i
propri figli, Dio immensamente saggio si servì dei corvi, che odiano i loro
implumi, per colui che odiava gli uomini, lui, l’unico Amico degli uomini.
Neanche
l’esempio dei corvi, che “si mutano in ministri della mia misericordia”,
non smuove la durezza di cuore di Elia.
10.
"Il tuo grande amore per Dio -disse Dio discutendone con Elia- non ti
ispiri sentimenti di odio verso gli uomini. Anzi, guarda i corvi: essi hanno
solo avversione per i propri piccoli, eppure, vedi, di colpo si fanno generosi
con te, si mutano in ministri della mia misericordia, e ti portano cibo. Ma
vedo che ancora non riesco a far breccia nelle tue inclinazioni verso gli
uomini, io, unico Amico degli uomini".
L’atteggiamento
del Signore è di una grande misericordia verso il popolo. Cerca di essere fedele
e non annullare il giuramento fatto dal profeta, ma si commuove anche dal
pianto di uomini ed animali.
11.
"Sei tenuto, ora, o profeta, a cambiare e a imitare la docilità degli
animali: come mai, questi esseri che pur senza pietà rispettano me, il Dio di
pietà, si sono di colpo trasformati? Rispetto la tua amicizia e la tua
sentenza; non posso però sopportare il pianto e l'angoscia universale di uomini
che fui io a creare. E come farò a tollerare le grida dei neonati e le lacrime
loro, e il muggito confuso del bestiame che sale fino a me? Come potrò, da
Creatore, non compatire ognuno, io, l’unico Amico degli uomini?"
Infine,
il profeta chiede a Dio di non mandargli più alimento attraverso i corvi e di
lasciarlo morire.
12. Il
profeta intanto non desisteva dal corruccio e rispondeva al Maestro: "Toglimi
il cibo, finanche tramite i corvi tuoi servitori, Maestro. Preferisco
morire piuttosto di fame, Santissimo. Se potrò punire gli empi, sarà
tuttavia notevole sollievo per me. Non temo il perire con tutti coloro che
ti rinnegano. Non compatirmi, dunque, non risparmiarmi dalla carestia, togli
unicamente gli empi dalla terra, o unico Amico degli uomini".
Le
strofe da 13 a 23 si trattengono nell’episodio della vedova di
Sarepta (1Re 17,8ss). La “strategia” nell’agire del Signore porta Elia da una
donna vedova, pagana e con dei figli a carico, nella speranza che questi fatti
portassero il profeta a commuoversi e a chiedere la pioggia.
13. Sentite
queste parole, il Creatore allontanò il profeta dalla regione, dando ordine
agli uccelli di non portargli più da mangiare come prima, e mandò l'affamato a
Sarepta, presso la vedova, dicendogli: "Darò ordine a una donna di darti
da mangiare". Saggio disegno: la donna presso la quale egli lo mandava,
era vedova e pagana e aveva dei figli a carico. Così il giusto, venendo a
conoscenza che essa era pagana avrebbe gridato: "Dona le piogge, tu
unico Amico degli uomini!"
Dio
manda il profeta a quella donna nella speranza che lui, uomo fedele alla legge,
non avrebbe preso cibo da lei ed avrebbe, affamato, implorato la pioggia per il
popolo. Elia, invece, chiede il cibo dalla donna.
14. Era
vietato ai Giudei mangiare insieme con gente straniera. Per questo Dio orientò Elia
presso una donna di altra razza, nell'intento di promuovere in lui avversione
al cibo che ella gli avrebbe dato ed obbligarlo senza indugio ad implorare la
pioggia del Misericordioso. Quello però, indifferente nel cercare rifugio
presso pagani, si affrettò verso la donna e pretese da lei cibo con estrema
durezza dicendo: "Ho l'ordine, donna, di rivolgermi a te, da chi è l’unico
Amico degli uomini".
La
risposta della vedova tocca il cuore indurito del profeta e ci mette di fronte
al primo momento di compassione di costui, se non altro verso la donna vedova.
15. A
queste parole la vedova oppose senza indugio al profeta: "Non ho pane
cotto, sotto le ceneri, ho soltanto un pugno di farina che vado a impastare per
dividerlo con i figli miei, dopo di che nulla mi rimarrà se non la morte".
La voce della vedova stupì il profeta muovendolo a compassione. Disse tra
sé: "Questa vedova è stremata, la carestia opprimerà lei più che non me,
se non sarà visitata dall'alto, dall’unico Amico degli uomini".
Per
la prima volta Elia si apre alla misericordia. Sono delle parole toccanti e
forti allo stesso tempo.
16.
"Ora -seguitava- questa donna mi pone in imbarazzo: se io soffro la fame,
sono solo; ma questa vedova, presso la quale sono venuto, sta morendo di fame
insieme con i propri figli. E sarò io, suo ospite, a invitare presso di lei la
morte, e mi farò, agli occhi della mia ospite, uccisore di figli? No, devo
ormai aprirmi alla pietà. Sono stato per tutti insensibile, ma per lei non sono
più lo stesso. Permetterò alla mia indole di compiacersi nella
misericordia, perché da sempre è misericordioso l'Autore dell'universo, il solo
Amico degli uomini".
Il
profeta annuncia alla vedova il dono dell’olio dalla giara, e che continuerà ad
essere elargito, un dono annunciato dal profeta ma che sarà sempre elargito dal
Signore. Troviamo una frase che ci porta quasi ad una “formulazione” possiamo
dire di teologia sacramentaria: “Fu Elia ad elargire la benedizione con le
sue parole, ma fu il Creatore con la sua generosità e misericordia a compiere
l’opera!”.
17. Il
profeta rispose alla vedova: "Hai un pugno di farina, dici? Per te la
giara mai sarà esaurita, per te il boccale rigurgiterà di olio". Fu Elia
ad elargire la benedizione con le sue parole, ma fu il Creatore con la sua
generosità e misericordia a compiere l’opera! (Καί λόγοις μέν Ηλίας ευλογίαν εχαρίσατο, ο κτίστης δέ
ευθέως ως φιλότιμος καί εύσπλαγχνος τό έργον επήγαγε). Per realizzare l'intento del profeta, secondo
la Scrittura, o, più esattamente, per attenersi al miglior pretesto, nella sua
perfetta saggezza, Dio accorda l'abbondanza per la vedova, lui, unico Amico
degli uomini.
Elia
rimane comunque inamovibile nella sua decisione e il popolo continua a morire.
Allora il Signore possiamo dire cambia tattica affinché il profeta si commuova.
18. Dio
acconsentì alle parole del profeta e concesse cibo a lui e alla vedova. Elia,
però, non ne fu commosso affatto, rimanendo inflessibile. Il Misericordioso,
allora, vedendo che il popolo periva e il profeta rifiutava di piegarsi, fece
ricorso nella sua giustizia ad altra procedura, molto valida: fece morire il
figlio della vedova, perché, alle sue lacrime, e per tutto quanto ella
pativa, egli gridasse: "Dona la pioggia, tu, unico Amico degli
uomini!"
Troviamo
il duro rimprovero della vedova ad Elia per la morte del figlio nelle strofe 19
a 21. La vedova ritorna il cibo ad Elia e gli chiede il ritorno del
figlio.
19. Alla
morte del figlio, la vedova si rivoltò con rancore contro il profeta e disse:
"Ahimè! Perché non sono morta di fame io, prima di avere incontrato te?
Meglio per me che la carestia mi avesse uccisa da tempo che non vedere il
figlio mio cadavere in tua presenza. Questa non è mercede per così buona
accoglienza: ero felice con i miei figli prima della tua venuta, o uomo.
Venendo, tu mi hai privata del figlio mio, a nome dell’unico Amico degli
uomini".
20. Le mani
della vedova si stringevano fortemente a colui che tratteneva le nubi e le
piogge. Era lei l'unico essere capace di prostrare colui che con una sola
parola aveva prostrato tutti gli uomini. Una meschina, senza alcun potere,
detiene come un condannato colui che credeva di controllare il cielo con la
parola. Aggrappandosi a lui folle di dolore ella lo trascina quasi fosse un
assassino davanti al tribunale, gridando: "Rendimi il figlio che mi hai
ucciso. Non so che farmene della tua farina, non darmi più nutrimento quando
debbo ritenere te amico degli uomini".
21. “Hai
seminato di pane il mio stomaco, ma ne hai sradicato il frutto con il ramo, e
mi vendi a ben caro prezzo i viveri che mi hai dato. Mi hai estorto una vita in
cambio di farina e di olio. Te ne supplico: fai il cambio e rendimi ciò che mi
hai preso. O forse tanti morti non ti sono sufficienti nel popolo da dover
correre qui, per colpire la mia casa? Libera l'anima del mio piccolo e prendi
al suo posto la mia e sii amico degli uomini".
Straziato
dal pianto della vedova, Elia si rivolge al Signore quasi accusandolo della
“strategia” della morte del figlio.
22.
Lacerato da queste parole come da uncini, alle grida della vedova che lo
sospettava di aver rapito con forza la vita del figlio, Elia fu colto da
vergogna e cercava di convincerla del contrario con le parole, ma senza
riuscirvi. Vedendo ripudiata la propria difesa, egli si lamentava senza tregua,
e guardando al cielo gridava: "Ahimè! Signore, sii mio testimone di verità
presso questa donna che mi ha ospitato: sei stato tu ad esasperarla affinché a
me richiedesse il figlio, tu, unico Amico degli uomini".
23.
"Non credo, Salvatore -disse il profeta a Dio Onnipotente-, che la morte
sia stata per questo ragazzo l'evento naturale cui tutti sono sottoposti. Deve
essere stato un artificio della tua sapienza, di te che sei immune da peccato.
Hai escogitato il modo per costringermi alla misericordia, affinché quando ti
chiederò di risuscitare il figlio morto della vedova tu mi rimprovererai
subito: "Mio figlio Israele è nell'angoscia, abbi pietà di lui e di
tutto il popolo, o unico Amico degli uomini".
Dalle
strofe 24 alla 27 è Dio che prende la parola e parla al profeta, e
si presenta come Colui che è misericordioso, che ha viscere di perdono e di
misericordia.
24. Volendo
salvare la terra, il Misericordioso rispose subito a Elia: "Presta ora
maggiore attenzione alle mie parole, lasciami parlare. Io soffro e mi
adopero per togliere la punizione, ho fretta di dare cibo a tutti gli affamati,
perché sono misericordioso. Di fronte a torrenti di lacrime, come un padre
ripiego su me stesso, ho pietà di quanti sono consunti dalla fame e
dall'angoscia, perché voglio la salvezza dei peccatori attraverso il pentimento
(μετανοία), io,
l’unico Amico degli uomini!"
La
misericordia Dio verso gli uomini è un patto che Lui ha fatto con loro.
25."Ascoltami
dunque senza timore, profeta. Io tengo molto a che tu sappia: tutti gli
uomini hanno in me un patto di misericordia, che mi impegna a non volere la
morte dei colpevoli, ma piuttosto la loro vita. Non smentire dunque loro la mia
parola, ma accogli la mia richiesta. Ti offro la mia mediazione, perché
soltanto le lacrime della vedova hanno potuto turbare te; io sono invece
per tutti l’unico Amico degli uomini".
Le
strofe 26 e 27 sono in qualche modo il segno dell’accordo tra il
profeta e Dio stesso. Elia diventa di nuovo, come nella strofa 16 dispensatore
della grazia di Dio agli uomini. Infatti, nell’ultimo versetto della strofa 27
il filantropo è il profeta stesso.
26. Elia
si piegò, animo e cuore, alle parole dell'Altissimo, e così furono le sue
orecchie. Mise a tacere l'animo, il che fece più bella la risposta, dicendo:
"Sia fatta dunque la tua volontà, Maestro: dona la pioggia e la vita a chi
è morto, e dà la vita all'universo, Dio, tu che sei la vita, la
risurrezione e la redenzione. Accorda la tua grazia a uomini e animali, perché
tu solo puoi salvare la vita di tutti gli esseri, o unico Amico degli
uomini".
27. Appena
il profeta finì di parlare, il Misericordioso rispose: "Accetto la tua
decisione, la lodo e tengo a felicitarmi con te. Ricevo da te la grazia che
accordi a quelli, e tu renditi ora intermediario (μεσίτης) e trasmetti loro la mia grazia,
perché non voglio la loro riconciliazione senza la tua. Muoviti
allora ad annunciare loro la grazia della pioggia, affinché tutti esclamino: Lo
spietato prima si è fatto ora amico degli uomini (Ο πρώην άσπλαγχνος εφάνη νυν εξαίφνης προς πάντας φιλάνθρωπος)."
Le strofe
28 e 29 parlano dell’annuncio della buona novella della pioggia
al re Acab, e della risurrezione del figlio della vedova.
28.
"Affrettati, profeta, presentati da Acab e dagli il buon annunzio. Io
comanderò alle nubi ed esse disseteranno la terra con le loro acque. Rivela tu
stesso il dono, amico mio caro, io confermerò tale decisione considerando la
generosità tua". A queste parole egli adorò subito l'Altissimo, esclamando
al Misericordioso: "Sapevo quanto sei compassionevole, imparo ora quanto
indugi di fronte alla collera, Dio mio, unico Amico degli uomini".
29.
Obbedendo all'ordine ricevuto, il profeta si affrettò verso Acab per annunciare
la buona novella, secondo quanto aveva detto il Misericordioso. Subito le nubi
apparvero nell'aria, per ordine del Creatore, e riversarono in pioggia le acque
di cui erano gonfie. La terra esultò e rese gloria al Signore. La donna ebbe il
figlio, risuscitato. Con tutti gli esseri Elia si rallegrava e rendeva lode al
solo Amico degli uomini.
Le
strofe 30 a 32 presentano, quasi fosse un re inizio da capo lo
zelo del profeta di fronte alla continua malvagità degli uomini. Di nuovo Dio
si presenta al profeta come colui che è compassionevole ed ha pietà dei
peccatori.
30. Molto
tempo era già trascorso, quando Elia conobbe la cattiveria degli uomini e
meditò di dare un castigo ancora più duro. A tale vista, il
Misericordioso rispose al profeta: "Conosco lo zelo che pratichi nel bene
e so la tua buona volontà. Ma io compatisco i peccatori, quando vengono
puniti oltre misura. Tu, al contrario, provi irritazione, ti senti
immune da rimprovero e non riesci a rassegnarti. Io non posso
rassegnarti se anche soltanto uno sia perduto, perché sono l’unico Amico degli
uomini".
Le
tre ultime strofe, dalla 31 alla 33, sono la confessione di fede
del poeta, attraverso il testo veterotestamentario, nell’Incarnazione di Dio ed
il suo abitare tra gli uomini. Dio prende con sé Elia in cielo e scende Lui in
mezzo agli uomini.
31. In
seguito, quando rilevò l'umore acre di lui nei confronti degli uomini, il
Signore fece propria la sorte di quelli e allontanò Elia dalla terra che essi
abitavano, dicendo: "Allontanati, amico, dalla terra degli uomini; io
stesso, incarnandomi, scenderò presso di loro nella mia misericordia. Tu lascia
la terra e sali quassù, dal momento che non riesci a tollerare gli errori degli
uomini. Ma io, che sono nel cielo, vivrò tra i peccatori e li salverò dai loro
errori, io, l’unico Amico degli uomini".
32. "Se,
come ho detto, profeta, non ti è possibile la convivenza con gli erranti, vieni
qui, abita nel regno dei miei amici, dove non vi è posto per il peccato. Sarò
io a scendere, perché posso prendere sulle mie spalle e riportare all'ovile la
pecora smarrita, e gridare a quanti inciampano: "Accorrete tutti,
peccatori, venite a me e quietatevi, io non sono venuto per punire quanti ho
creato, ma per strappare il peccatore all'empietà, io, l’unico Amico degli
uomini".
Nella
strofa 33 il poeta paragona Elia e Cristo nelle loro ascensioni.
33. Così,
allorché Elia fu rapito per il cielo, egli apparve come emblema delle
cose venture. Il Tisbita, riporta la Scrittura, fu rapito sopra un carro di
fuoco; Cristo, lui, ascese fra le nuvole e le Potenze. Il primo mandò
dall'alto dei cieli ad Eliseo la sua pelle di montone; Cristo mandò ai suoi
apostoli il Santo, il Paraclito (ο Χριστός δε κατέπεμψε τοις αποστόλοις τοις εαυτου τον παράκλητον και άγιον), lo stesso che noi battezzati
abbiamo tutti accolto, attraverso il quale siamo santificati, come
insegna a tutti l’unico Amico degli uomini.
Dopo la lettura di questo bel kontakion, possiamo dire che Romano il Melodo, leggendo e parafrasando il testo di 1Re 17 ci porta, lungo trentatré strofe, al punto focale, al momento centrale della nostra fede: l’Incarnazione del Verbo di Dio. Quasi il Signore, dopo il dialogo, la disputa lungo tutto il poema, non aspettasse altro che poter dire: “Assai! Tu Sali da me, dove non c’è peccato né peccatore, ed io scendo da te per salvare i peccatori dal peccato”. Riprendendo le strofe 32 e 33: “"Se… non ti è possibile la convivenza con gli erranti, vieni qui, abita nel regno dei miei amici, dove non vi è posto per il peccato. Sarò io a scendere, perché posso prendere sulle mie spalle e riportare all'ovile la pecora smarrita… Elia mandò dall'alto dei cieli ad Eliseo la sua pelle di montone; Cristo mandò ai suoi apostoli il Santo, il Paraclito”.
+P. Manuel Nin
Esarca Apostolico