Divina Liturgia
bizantina presieduta dal Santo Padre a Blaj il 2 giugno 2019
Significato
liturgico
La celebrazione della Divina Liturgia
a Blaj in Romania il giorno 2 giugno 2019, presieduta da papa Francesco
è il punto di partenza ed anche quello di arrivo di queste mie riflessioni. Si
tratta di una celebrazione della Divina Liturgia bizantina di San Giovanni
Crisostomo, in cui furono beatificati i vescovi martiri romeni greco cattolici.
Fu una celebrazione liturgica che volentieri presento come “modello” di
una vera e propria concelebrazione eucaristica orientale, bizantina in
questo caso, presieduta dal vescovo di Roma, celebrata dall’arcivescovo
maggiore e concelebrata dal sinodo dei vescovi romeni greco cattolici, e
da tanti altri vescovi cattolici orientali -bizantini, maroniti- ed anche
latini presenti a Blaj. Una vera e propria “concelebrazione”, che può diventare
un modello per tutte le altre celebrazioni che possano avere luogo anche nei
prossimi anni ed in diversi avvenimenti ecclesiali. E riprendo la frase che
vorrei fosse il filo rosso conduttore di queste mie pagine: Divina Liturgia
bizantina presieduta dal Papa e celebrata dall’arcivescovo
maggiore greco cattolico romeno e concelebrata dal suo sinodo e da tanti
altri vescovi e sacerdoti e diaconi. E già dall’inizio in questo mio testo
alcuni termini sono evidenziati volutamente in grassetto. Questi termini
liturgici sono: presieduta, celebrata e concelebrata.
Si è trattato di un momento molto
forte e significativo per la Chiesa Greco cattolica romena -e per tutta la
Chiesa Cattolica estesa da Oriente ad Occidente-, in cui veniva non soltanto
riconosciuto ma anche celebrato nella fede il martirio di quei sette vescovi
che diedero la loro vita per Cristo, per la Chiesa ed anche per la libertà del
loro popolo romeno, duramente messo alla prova da un regime totalitario. Per
questo la cerimonia, la celebrazione della beatificazione di quei martiri
avvenne in Romania, in quella terra bagnata ed annaffiata possiamo dire dal
loro sangue, e nel corso di una celebrazione liturgica in cui erano presenti il
vescovo di Roma, i successori dei vescovi martiri ed il popolo fedele romeno,
nonché tanti altri vescovi e fedeli provenienti dall’orbe cattolico. Divina
Liturgia quindi presieduta dal Papa, celebrata dall’arcivescovo maggiore,
concelebrata dal suo sinodo e da tanti altri vescovi e sacerdoti e diaconi
cattolici.
Le celebrazioni liturgiche delle
Chiese Orientali Cattoliche in cui si prevede la “concelebrazione” di vescovi e
sacerdoti di altre Chiese sui iuris anche esse cattoliche, hanno una
storia, specialmente quella del XX e XXI secoli assai diversa, non sempre
facile e chiara, ed anche delle volte celebrazioni un po “travagliate”. E questo
avvenne ed avviene tuttora in modo speciale quando in queste celebrazioni si
prevede la presenza del vescovo di Roma, il Papa. Normalmente quando queste
celebrazioni sono avvenute a Roma lungo i due secoli a cui ho accennato, il
papa “presiede” da una cattedra o trono messi a proposito nella chiesa dove la
celebrazione avviene -ricordo che nella basilica di San Pietro non c’è una vera
e propria cattedra episcopale anche a livello architettonico e liturgico-, il
papa dà le diverse benedizioni e tiene l’omelia. Qualche esempio a modo di campione:
il 13 febbraio 1908, per il XV centenario della morte di San Giovanni
Crisostomo, fu celebrata una Divina Liturgia bizantina nell’aula delle
Benedizioni in Vaticano, celebrata dal patriarca melchita Cirillo VIII Geha e
presieduta da papa San Pio X. Lo stesso avvenne diverse volte nel pontificato
di Pio XII. Un caso dal tutto particolare avvenne il 16 aprile 1961 quando papa
Giovanni XXIII ordinò lui stesso vescovo, nella Cappella Sistina in Vaticano,
padre Acaccio Gabriel Coussa, sacerdote siriano della Chiesa Melchita diventato
Segretario della Congregazione per la Chiesa Orientale come si chiamava allora
il dicastero romano e poi creato anche cardinale dallo stesso Giovanni XXIII.
In quell’occasione la liturgia fu “celebrata” dal papa stesso, indossando parati
bizantini e latini: il sakkos episcopale bizantino, assieme al “fanone” papale ed
anche la tiara pontificia. Fu una celebrazione voluta dal papa stesso, sia per la
sua amicizia con l’ordinando padre Coussa, sia anche forse nata dal passato
“diplomatico” di papa Roncalli in Bulgaria e Grecia, paesi di tradizione
bizantina.
Giovanni
Paolo II, nel suo viaggio in India nel 1986 celebrò una Liturgia in rito siro
malabarese; va notato che in questa celebrazione il papa indossava i paramenti
siro malabaresi e fu lui il primo celebrante. Nel 1991 invece nella sua visita
in Ungheria dopo la caduta del regime comunista, papa Wojtyla celebrò lui
stesso una Divina Liturgia bizantina nel santuario di Maria Pocs, essendo lui
il primo celebrante ed indossando però giustamente i propri parati latini. Ancora
nel 1992, sempre nel contesto della caduta dei regimi comunisti, papa Giovanni
Paolo II presiedete a San Pietro l’ordinazione episcopale del vescovo armeno
cattolico Nerses Der Nersesian, liturgia celebrata dal patriarca Armeno
Cattolico Jean Pierre XVIII Kasparian. In questa celebrazione il papa indossava
i parati: il piviale e la mitra episcopale latini. In questo rapidissimo
sorvolo di celebrazioni orientali con la presenza del papa, arriviamo al nostro
9 giugno 2019.
Dico subito che ogniqualvolta ci
troviamo a celebrare una Divina Liturgia bizantina -oppure siriaca, copta,
caldea…- nella comunione cattolica, in cui si prevede la concelebrazione di
vescovi -e quanto dico qua serve anche per le concelebrazioni in cui sono
presenti soltanto dei sacerdoti- appartenenti a diverse Chiese sui iuris
che hanno anche una tradizione liturgica propria, ogniqualvolta capitano queste
situazioni, vengono fuori diverse domande e diverse questioni liturgiche e
pratiche. In più, questo capita nel caso in cui in quella liturgia si prevede
la presenza del Santo Padre, e non soltanto la presenza -fatto che in sé stesso
non complicherebbe troppo la situazione- ma anche si prevede la presidenza
della celebrazione. Più complessa diventa la situazione nel caso in cui si
preveda che il Papa “celebri” lui stesso la liturgia in questione.
Tre possibilità, di fronte a una
situazione liturgica come quella del nostro 2 giugno 2019 a Blaj:
1.
Il papa è presente dal
trono -con l’abito corale episcopale ed almeno una stola e magari anche il
piviale ed il pastorale e la mitra episcopale latini-, e benedice il diacono
per il vangelo, benedice il popolo con i diversi “pace a tutti” ed è il primo
ad avvicinarsi all’altare per comunicarsi ai Santi Doni del Corpo e del Sangue
di Cristo. Magari è anche lui a tenere l’omelia.
2.
Il papa stesso è il primo
celebrante, quindi recita le diverse preghiere proprie del celebrante nella
prima parte della Divina Liturgia dalla cattedra episcopale a lui assegnata, e
nella seconda parte, nella liturgia dei fedeli lui si trova all’altare per la
celebrazione dell’anafora. In questo caso il papa -qualsiasi sia la liturgia
orientale celebrata- dovrebbe indossare sempre i propri parati latini. Questo
secondo caso, però dovrebbe avverarsi soltanto in quelle situazioni liturgiche
in cui il papa “conosca bene e sappia celebrare” in quella tradizione liturgica
in cui si trova in quel momento. Altrimenti, sia il santo Padre sia la stessa
Chiesa che lo accoglie si possono trovare in situazioni se non altro
imbarazzanti.
3.
Il papa presiede dalla
cattedra a lui assegnata, ma le parti proprie del celebrante è un altro vescovo
della propria tradizione orientale che le celebra. Questo è quanto è avvenuto
nella celebrazione a Blaj: Il papa presiede indossando i propri parati latini. Inoltre,
nel caso della nostra celebrazione del 2 giugno 2019 a Blaj, il papa “celebra” -uso
a posta questa parola- la beatificazione dei martiri.
Nel caso 1 e 3, la
dicitura della celebrazione dovrebbe essere quella di: “Celebrazione
della Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo, presieduta dal Santo
Padre…”. Sottolineo l’importanza della parola “presieduta”. Nel punto 2
cui sopra, la Divina Liturgia celebrata dal papa stesso dovrebbe
avvenire soltanto nei casi in cui il papa conosca bene quella tradizione
liturgica orientale e possa celebrarla nella pienezza e nel rispetto di quella
Chiesa Orientale Cattolica che lo accoglie.
Per
corroborare quanto detto finora, ricordo che nel 1996 fu pubblicata la “Istruzione per l’applicazione delle
prescrizioni liturgiche del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali”, testo
che voleva e vuole tuttora essere garante delle proprie tradizioni ecclesiali
orientali cattoliche.
Nel paragrafo 11 dell’Istruzione si parla del
progresso della Tradizione, ed il testo afferma, anche citando il decreto Orientalium
Ecclesiarum del Concilio Vaticano II: “…si auspica che le Chiese
Orientali Cattoliche assolvano la loro missione con vigore rinnovato. Ciò non
esclude la novità… Ma mette in guardia da ogni indebita e inopportuna
precipitazione, richiedendo che qualsiasi eventuale modifica sia non solo ben
maturata, ma anche ispirata e conforme alle genuine tradizioni”. Voglio
sottolineare l’espressione: “da ogni indebita e inopportuna precipitazione…”,
quasi il testo volesse evitare proprio le decisioni portate dalla fretta, dal
voler quasi apparire o farsi vedere con qualcosa di nuovo e non vincolato alla
tradizione di una o altra Chiesa orientale.
Nel paragrafo 18 della stessa Istruzione leggiamo
ancora: “Il primo dovere di ogni rinnovamento liturgico orientale… è quello
di riscoprire la piena fedeltà alle proprie tradizioni liturgiche, fruendo
della loro ricchezza ed eliminando ciò che ne abbia alterato l’autenticità.
Questa cura non è subordinata ma precede il cosiddetto aggiornamento…”.
Infine, nel paragrafo 57 troviamo, in riferimento anche al cànone 701 del CCEO
sulla concelebrazione tra ministri di diverse Chiese sui iuris: “Viene
ribadita a riguardo la raccomandazione di evitare qualsiasi sincretismo
liturgico, e di conservare le vesti liturgiche e le insegne della propria
Chiesa sui iuris. Si tratta in modo molto eloquente di evidenziare la varietà
delle tradizioni ecclesiali e il loro confluire nell’unità della Chiesa. È
questo un simbolo significativo della futura unità nella pluriformità…”.
Il testo dell’Istruzione è un
testo coraggioso ed aperto da una parte a quell’organico progresso che si trova
all’interno di ogni Chiesa cristiana, ma allo stesso tempo è un testo che
rispetta quella e quelle tradizioni ecclesiali e liturgiche che fanno di una
Chiesa quella realtà di Corpo di Cristo con una tradizione teologica, liturgica
e canonica propria. La semplice osservanza del testo del 1996 avrebbe evitato
situazioni liturgiche se non altro “imbarazzanti” come quella della celebrazione
liturgica “caldea” -e volutamente metto le virgolette- avvenuta durante il
viaggio d'altronde memorabile ed unico del papa in Iraq nel mese di marzo 2021.
La Chiesa Caldea, che ha dei testi liturgici ed anaforici tra i più antichi
delle tradizioni cristiane, si è vista se non altro fuorviata e oso dire anche calpestata
in tutto quello che costituisce la propria tradizione teologica, liturgica e
spirituale.
La Divina Liturgia bizantina celebrata
a Blaj il 2 giugno 2019 è stata un bel esempio di una liturgia di tradizione
bizantina, concelebrata dall’intero collegio episcopale di una Chiesa Greco
Cattolica, quella romena nel nostro caso, celebrata da colui che ne è il capo e
padre, il suo arcivescovo Maggiore, e concelebrata col vescovo di Roma, sua
santità papa Francesco, che l’ha presieduta ed ha inoltre celebrato la
beatificazione dei sette vescovi martiri.
Come
conclusione sottolineo della Divina Liturgia a Blaj gli aspetti che mi sembrano
più rilevanti.
Si tratta -e riprendo il mio
intervento dall’inizio- di una concelebrazione liturgica bizantina, presieduta
dal vescovo di Roma e celebrata / concelebrata dal capo di una Chiesa sui
iuris, una Chiesa greco cattolica assieme al suo sinodo. In essa sono stati
anche presenti e concelebranti vescovi e sacerdoti provenienti da altre Chiese
orientali cattoliche e latine.
Tutti i vescovi ed i sacerdoti hanno
concelebrato indossando i propri parati: bizantini, latini, maroniti (c’era il
cardinale Rai, patriarca maronita), senza fare né mescolanze né uniformismi che
più che unire confondono. Quindi anche il Papa era con i propri parati latini.
La beatificazione dei vescovi martiri
è avvenuta giustamente dopo l’Ingresso col Vangelo, cioè il cosiddetto Piccolo Ingresso,
e non all’inizio o alla fine della celebrazione liturgica. Va ricordato che in
questo stesso momento, dopo l’ingresso col Vangelo, nella tradizione bizantina
avviene l’ordinazione del vescovo. Quindi anche la simbologia è importante,
cioè i vescovi martiri sono stati beatificati nello stesso momento liturgico in
cui erano stati ordinati vescovi.
Nella recita del Credo, nella parte
col testo stampato in lingua romena si trovava il testo della professione di
fede senza l’aggiunta del Filioque -messo, comunque, nel testo stampato tra
parentesi-, mentre nella versione italiana l’aggiunta non si trova.
Il Papa è rimasto nella sua sede fino
alla Comunione. Qua si sarebbe potuta prospettare una sua presenza sull’altare
lungo l’anafora? Accanto all’arcivescovo maggiore? Facendo quindi il papa un diciamo
“passaggio” dal presiedere al concelebrare? È una questione che la lascio
aperta. Io sarei per il suo essere all’altare accanto all’arcivescovo maggiore
e agli altri vescovi del sinodo.
Quando mi è stato chiesto questo
intervento mesi fa, mi è stato chiesto di parlare o di presentare il
“Significato liturgico della celebrazione a Blaj il 2 giugno 2019”. Si tratta
di una celebrazione che ha avuto un significato liturgico importante, come ho
cercato di evidenziare nella pagine or ora presentate, inoltre, ha avuto ed ha
tuttora un significato fortemente anche ecclesiologico, in quanto si è trattata
di una celebrazione liturgica di una Chiesa Orientale Cattolica in cui il papa,
il vescovo di Roma, che presiede la comunione di tutta la Chiesa Cattolica, ha
svolto pienamente il suo ruolo di presiedere la celebrazione, di celebrare
la beatificazione, di benedire e custodire la tradizione
teologica, liturgica ed spirituale di una Chiesa Orientale Cattolica.
+P.
Manuel Nin
Esarca
Apostolico