La meraviglia
del sultano. Atene, 24 luglio 2020
Scrivo
queste note quando le campane di tutte le chiese della Grecia suonano a morto,
a mezzogiorno di oggi 24 luglio 2020, dopo la decisione del presidente turco,
cioè far ridiventare moschea la basilica di Santa Sofia a Costantinopoli. Una
storia, quella di questa chiesa cristiana, travagliata come lo fu quella dello stesso
impero bizantino di cui era -e rimane tuttora nella mente e nel cuore dei
cristiani orientali- icona e memoria indelebile: consacrata chiesa cristiana
nel 537, e dedicata alla Sofia, alla Sapienza di Dio, subì in qualche modo le
sorti dello stesso impero bizantino, nelle vittorie e nelle sconfitte, nelle
meraviglie e nelle miserie che lo contrassegnarono. Diventata chiesa di rito
latino dopo la conquista della città da parte dei crociati nel 1204, lo rimase fino
al 1261 quando tornò ad essere chiesa di rito bizantino. Dal 29 maggio 1453,
alla caduta della città di Costantinopoli nelle mani ottomane, fu convertita in
moschea fino al 1935 in cui fu adibita a museo. Storia travagliata, complessa e
sofferta.
Ma,
ascoltando in questo mezzogiorno ateniese le campane a morto, preferisco
smettere di scrivere queste note, per non farlo troppo “a caldo” e con delle parole
di cui poi non dico dovrei pentirmi ma sicuramente dovrei forse chiarire per
evitare malintesi o letture manipolate. Riprendo la scrittura soltanto nel
pomeriggio, ancora un caldo pomeriggio d’estate ad Atene, ma spero di farlo con
la mente forse un po’ più se non serena sicuramente più fredda.
Quando
nel 1453 Costantinopoli cadde nelle mani delle truppe del sultano Mehmed II, la
città fu messa a fuoco e sangue dalle truppe ottomane vincitrici. La morte., la
distruzione, il sangue erano di casa nelle strade della grande capitale ormai
ridotta a rovina, a città vinta ed umiliata. Nella basilica patriarcale di
santa Sofia, dopo l’arrivo delle truppe ottomane e l’uccisione sull'altare dei
sacerdoti celebranti i Santi Misteri, l'unica liturgia celebrata lì furono le
lacrime, la paura, il terrore nella bocca e negli occhi dei pochi che lì erano ancora
presenti. L’unica preghiera era il pianto ed il silenzio; il Corpo ed il Sangue
di Cristo offerti sull'altare era diventato quello dei cristiani, del suo
Corpo, sacrificati ed uccisi sulle strade della città. Il patriarca, i sacerdoti,
tutto il clero ed i fedeli erano stati uccisi, imprigionati oppure erano nascosti
in attesa delle risoluzioni di coloro che, per diritto di conquista, erano
diventati i signori di quella grande città, Costantinopoli, una volta lei
stessa signora del Mediterraneo e del mondo cristiano intero. A Santa Sofia in
quel giorno l'unico grande ingresso nella possiamo dire liturgia di sconfitta
fu quello del sultano montato sul suo cavallo, scortato non dai cherubini bensì
dalle truppe assettate di sangue e di morte.
La tradizione
vuole che la visione stessa, la luce, la bellezza di quel luogo di preghiera
cristiana, lo sguardo allo stesso tempo penetrante e mite di quei mosaici, di
quelle icone uniche nel suo genere in tutto il mondo cristiano, colpirono se
non il cuore almeno lo sguardo del sultano che diede ordine non di distruggerli
ma di coprirli, di nasconderli. Quasi che coprendoli riuscisse a dimenticare sì
quello che quel luogo era stato ma soprattutto a dimenticare la bellezza, quella
Bellezza unica, quella Sapienza di Dio, cioè Colui che è il più bello tra i figli
degli uomini, quella bellezza che è l’unica che, ancora oggi può o potrebbe
salvare il mondo. E quei mosaici, quelle icone in grandissima parte rimangono
ancora oggi coperti, accecati, ammutoliti.
Tornando ad
oggi, a questo caldo pomeriggio ateniese, dopo aver sentito il rintocco delle
campane di tutte le chiese greche, ortodosse e cattoliche che fossero, cosa
emerge dai nostri cuori cristiani, noi uomini e donne della Grecia, dell’Europa,
cuori che da Oriente ad Occidente vogliono e sanno di essere un ponte, una parola di fede, una preghiera di comunione nell'incontro, nel dialogo e
nella fraternità tra le culture del nostro mondo, della nostra Europa che allo
stesso tempo Orientale e Occidentale ha sempre saputo di esserlo.
Cosa
emerge dai nostri cuori? Forse tristezza per un fatto che crea più tensione che
comunione, più disprezzo e forse odio che non amore e fraternità? Forse delusione
anche per un silenzio, una arrendevolezza, una sottomissione che speravamo non
sarebbero stati usati ancora una volta nella politica del nostro mondo europeo?
Forse rivolta e magari rabbia di fronte proprio a questo mondo che contempla
muto, rassegnato, sconfitto nelle proprie radici cristiane, contempla un fatto
che altro non è se non prepotenza e disprezzo di una storia millenaria, di una
cultura e di una fede? Dai nostri cuori però dovrebbe emergere anche lo sguardo
di fede, di una fede che non dimentichiamolo è sempre crocefissa, che ha sempre
la Croce di Cristo come suo centro. “Forse oggi potrebbe, dovrebbe
sicuramente emergere dai nostri cuori, ancora una volta, la contemplazione
straziante e incoraggiante del Cristo crocifisso” (Joseph Ratzinger).
Magari
nel nostro cuore, non dico ferito ma sì deluso rimanesse il desiderio di vedere
un giorno scoperta quella bellezza celata, accecata e coperta, che tuttora c’è lì
attaccata alle pareti della basilica di Santa Sofia, una Bellezza che una volta
ritrovata porterà, di questo ne siamo sicuri, non ad un odio, o ad un disprezzo
ma a un riscoprire e rivivere la fraternità, la riconciliazione, il Vangelo in
essa dipinto. Epifania di quel: Quod audivimus sic et vidimus in civitate
Dei nostri (Quello che abbiamo udito l’abbiamo anche visto nella città del
nostro Dio), come recita il salmo 47,9.
Ho messo
come titolo di queste note “La meraviglia del sultano”, prendendo spunto
di quello che la tradizione legata alla conquista di Costantinopoli ci dice di
quel che accadde nello sguardo del conquistatore ottomano. Sarebbe stato troppo
facile lasciarsi prendere dal sentimento che ci tocca in quest’oggi, e mettere
un titolo disfattista e magari disperato, sentendo il rintocco lugubre delle
campane di Atene in questo giorno. Un titolo, “la meraviglia del sultano”,
che vorrebbe sperare che un giorno questa meraviglia, quella Bellezza oggi accecata,
possa riapparire, possa risorgere e guarire il cuore e lo sguardo del nostro
mondo.
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