Benediamoci / Daniele Piccioni,
Roma 24/07/2020
Note personali in
punta di piedi, ad un testo di Daniele Piccioni.
Con la
trepidazione di qualcuno che non osa calpestare un bel tappeto, bello ed unico,
uscito dalla mano e dal cuore del tessitore, custode sia costui che l’opera
stessa, di una bellezza che calpestandola si teme quasi di violare, con questa
trepidazione e allo stesso tempo con l’audacia di un’amicizia anch’essa
“tessuta” negli anni, mi azzardo a dire qualche parola sparsa e senza pretese su
un testo che in sé stesso non ha bisogno di commenti bensì vuole soltanto essere
letto nella sua bellezza anch’essa a modo suo vergine. Si tratta di un bel testo,
una riflessione profonda sia di carattere antropologico sia, in fondo anche
teologico, a cui l’autore ci ha abituato in altre opere sue, e in qualche
chiacchierata serale che, pur essendo informale, non è stata per questo meno
profonda. Parlare dell’uomo, dei suoi rapporti personali ed interpersonali, è
parlare anche del rapporto dell’uomo con Dio. In fondo si tratta di una vaticinazione
a cui l’autore tiene molto come genere letterario. Quindi si prendano queste
mie note come passi in punta di piedi attorno a un bel tappeto, nella speranza
di non calpestarne o sbiadirne la bellezza originale. Il testo è diviso da me,
per inserirvi le piccole note, i piccoli passi…, ma va letto nella sua unità ed
unicità.
Il progresso futuro si svilupperà intorno a un nuovo modo di stare insieme. Sarà come se ci dicessimo mentalmente: “BENEDIAMOCI”, nel senso di darci l’un l’altro il bene che meritiamo. Quanto più ci “benedaremo” con convinzione, tanto più saremo pronti, non solo a parole ma anche nei fatti, ad adoperarci fin da subito e insieme a cercare, scoprire e donare l’un l’altro il bene auspicato.
Il nuovo modo di
stare insieme con cui l’autore inizia la sua riflessione, la sua vaticinazione
perché in fondo di questo si tratta, si riassume poi nella frase conclusiva del
testo: tu e io…”, “voi e io…” , “tu e noi…”, “voi e noi…” benediamoci! Questa
frase finale si trova già presente in qualche modo all’inizio e lungo tutto il
testo: “Il progresso futuro si svilupperà intorno a un nuovo modo di stare
insieme. Sarà come se ci dicessimo mentalmente: “Benediamoci…”. Creando il
neologismo del “benedare”, l’autore mette sul tavolo non soltanto una
“nuova parola” ma soprattutto un “nuovo modo” di stare insieme, di vivere la
nostra umanità. Oso dire che nella mente e la nella riflessione dell’autore, i
mesi di confinamento hanno dato -o dovrebbero- portare alla luce e forse questa
è la sua vaticinazione lungo il testo, un nuovo modo di stare insieme, e non
soltanto di stare ma soprattutto di vivere, perché di questo si tratta.
“…darci l’un l’altro
il bene che meritiamo…”, abbiamo trovato all’inizio del testo nel paragrafo
precedente. Il benedare, dato ed accolto sempre a vicenda, ci porta a
riscoprire nell’altro, sia vicino che estraneo, quella bellezza unica e
splendida: “l’idea che a un livello segreto e profondo… risiede una bellezza
ignota, in attesa di venire alla luce, una bellezza così magnifica e struggente…”.
Una bellezza che, scoperta e “benedata” porterà alla salvezza del mondo, alla
salvezza della nostra umanità: “chiunque riuscisse… a scoprirla non vorrebbe
il male di un altro che a sua volta la possiede dentro di sé”. Si tratta in
fondo della bellezza, sì dell’altro, ma soprattutto la bellezza nell’altro,
una bellezza data a lui e a noi da un Altro che gliel’ha messa come un seme di
vita. Quest’Altro è il Figlio, l’unico che funge veramente da intermediario, da
ponte in noi e verso gli altri.
“Al cospetto di
questa emozionale bellezza interiore sbiadisce persino la ricchezza materiale
più grande. Vuol dire che siamo tutti interiormente preziosi. Lo è persino un
inganno vivente, un individuo superficiale, sopraffattore e corrotto…”. Il tappeto
a cui giriamo attorno, trasuda una visione antropologica molto bella e in fondo
audace perché è anche positiva. “…siamo tutti interiormente preziosi”. Forse
questa è una delle affermazioni più audaci di tutto il tappeto. La Bellezza
dell’altro, la Bellezza che è in noi e che salva. Senza una maschera che la copre,
che la nasconde, ma una maschera vera e propria, cioè quella “persona”, quel “πρόσωπον” greco che era
usato appunto come strumento per “far sentire, far risuonare” la vera voce, la
voce che tira fuori il vero, la verità e la bellezza che è nell’attore nascosto
in ognuno di noi. “…e nel “benedarci” con convinzione gli uni con gli altri,
libereremo tra noi la sorgente di quel potente ed appassionante impulso coesivo
necessario al progresso e alla piena maturazione dei frutti migliori che
l’umanità ha visto – e continua ancora a vedere – persino nelle situazioni più
disperate.”.
Bella immagine dell’esempio
che diventa, nel nostro e nel nuovo mondo, la forza più persuasiva, e che in
fondo fa risuonare la maschera, fa uscire quello che è nel cuore dell’uomo, nel
nostro cuore. La maschera alla fine però, è destinata a sgretolarsi, a non
essere più mediazione, ma di farci arrivare alla visione diretta, al
“benedarci” senza limiti né intermediari: “…sgretolerà anche le “maschere”
più radicate e contorte e accenderà il desiderio di portare alla luce in noi
stessi e negli altri tutta la bellezza nascosta, perché chiunque ne troverà
finalmente un barlume ne sarà soddisfatto e il benessere risultante sarà così
contagioso da indurlo a donarlo anche agli altri, senza dubbi né esitazioni”.
La Bellezza è sempre contagiosa, porta in sé stessa il “benedare” innato in
essa.
Vaticinazione,
avvicinarci, far presente il futuro, come se di una liturgia sacra si
trattasse: “Come possiamo avvicinarci… a questo futuro? Semplice…
presentemente con le nostre migliori azioni e intenzioni”. Nel pensiero dell’autore,
e di questo ne sono testimoni le nostre belle chiacchierate serali a Roma, si
tratta di un “nuovo modo di stare insieme” che corrisponde sicuramente a quello
“che dicevano i Padri quando parlavano dell’uomo nuovo in contrapposizione
all’uomo vecchio”. Come se volesse di nuovo sottolineare il rapporto diretto
tra la freschezza interiore da un lato e la compassione, l’altruismo e la
generosità dall’altro. Chi riuscirà con grande umiltà a farsi una idea seppur
vaga del vero sé (al di là della propria maschera o personalità) inevitabilmente
sarà più vicino alla dimensione eterna e divina nascosta alla base del proprio essere.
Finalmente la
Bellezza venuta alla luce, sia quella annunciata “benedetta”, sia quella data
“benedata”, diventa Vangelo, diventa la parola del Logos incarnato: “tu e
io…”, “voi e io…”, “tu e noi…”, “voi e noi…” benediamoci!”.
Dopo questi passi timorosi
e girati attorno al tappeto, la lettura del testo in sé stesso, il testo in
grassetto e corsivo, è quel che resta da fare. Le parole mie in tondo, i passi
miei attorno al tappeto, spero che non ne abbiano sfigurato né storto la
bellezza. Camminiamoci attorno.