mercoledì 21 ottobre 2015

La celebrazione della liturgia di san Giacomo.
Gerusalemme, madre di tutte le Chiese.
La tradizione liturgica bizantina, oltre alle anafore di san Giovanni Crisostomo e di san Basilio Magno, conosce un’altra anafora attribuita a san Giacomo, fratello del Signore e primo vescovo di Gerusalemme e “fratello di Dio” come viene chiamato nei libri liturgici. Questa anafora, caduta quasi in disuso, viene adoperata nella celebrazione della Divina Liturgia il giorno 23 ottobre, festa liturgica di san Giacomo. A Roma, dalla fine degli anni ’60 del xx secolo, per iniziativa dell’allora rettore del Pontificio Collegio Greco archimandrita p. Olivier Raquez osb, questa anafora viene celebrata la domenica più vicina alla festa del 23 ottobre. Lo stesso p. Raquez ne curò una traduzione italiana ad uso dei fedeli. Questa tradizione viene tuttora mantenuta nella vita liturgica del suddetto Collegio Greco, nella sua chiesa di Sant’Atanasio dei Greci, celebrata quest’anno la prossima domenica 25 ottobre.
         Come accennato, ci troviamo con una liturgia che la tradizione bizantina ha lasciato cadere praticamente dal tutto, e che invece la tradizione siro occidentale usa molto spesso, assieme all’anafora dei Dodici Apostoli. Questa liturgia la troviamo in diverse versioni linguistiche ma specialmente sotto due versioni, quella siriaca e quella greca; sembra che il testo siriaco sia traduzione da un primo testo greco, più semplice ed arcaico dell’attuale; in ambedue versioni, l'attribuzione a San Giacomo, fratello del Signore, è unanime. Ce ne sono ancora altre versioni: armena, georgiana, etiopica, fatto che dimostra l’importanza che ebbe questo testo almeno durante il primo millennio. Si tratta di una anafora di origine gerosolimitana, con tanti riferimenti a dei personaggi veterotestamentari: Abele, Noè, Abramo, Zaccaria, ai luoghi santi, alla Gerusalemme celeste. Come datazione, si tratta di un testo elaborato in diversi momenti nell’arco che va dalla fine III secolo fino al VII. Teologicamente si tratta di un testo diverso da quello di san Giovanni Crisostomo e da quello di san Basilio. La struttura anche architettonica della celebrazione è un po diversa da quella normale nella tradizione bizantina, e si avvicina di più a quelle di tradizione siro-antiochena: davanti all’iconostasi viene situato il “bima” cioè lo spazio -nelle chiese siriache chiuso da un cancello-, dove su un ambone viene deposto l’evangeliario e su un tavolino chiamato “calvario” viene posta la croce; attorno al bima si collocano il sacerdote col diacono e i concelebranti e ivi si celebra tutta la liturgia della Parola. La liturgia eucaristica, poi, viene celebrata nel santuario. Lo schema della celebrazione è come segue: Preghiere iniziali, ingresso con l’evangeliario e canto dell’inno “O Unigenito”, grande litania diaconale, trisaghion (“Santo Dio, Sano Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi”), letture (fatte dal bima). Quindi già dal santuario l’ingresso con i doni del pane e del vino col canto dell’inno “Ammutolisca ogni carne umana… il Signore dei Signori avanza per essere immolato…”, cantato anche il Sabato Santo nella liturgia di san Basilio; segue il credo, lo scambio della pace di Cristo, e quindi l’anafora, il Padrenostro, la comunione e il congedo. Vorrei sottolineare di questa struttura: l’avvio del piccolo ingresso subito all’inizio, senza le tre antifone della liturgia di san Giovanni Crisostomo, fatto che accomuna la nostra liturgia con le liturgie di tradizione siriaca. Nelle diverse litanie fatte dal diacono si aggiunge nell’ultima petizione oltre alla Madre di Dio anche Giovanni Battista, i profeti, gli apostoli, i martiri, e in una di esse anche Mosè, Aronne, Elia, Eliseo, Samuele, Davide, Daniele. E ancora lo scambio della pace di Cristo fatto dopo il credo.
L’anafora di san Giacomo viene centrata, come d’altronde anche le altre anafore cristiane, tra due grandi movimenti di lode a Dio, cioè all’inizio dell’anafora: “E’ veramente cosa buona e giusta, conveniente e doverosa, lodare inneggiare, adorare, glorificare e rendere grazie a Te, creatore delle cose visibili e invisibili...”,  e alla fine dell’anafora la conclusione del sacerdote: “Per la grazia, la misericordia e l’amore per gli uomini del tuo Cristo, con il quale sei benedetto e glorificato insieme con il santissimo buono e vivificante tuo Spirito...”. Cioè il movimento che va dall’opera creatrice di Dio alla sua opera di santificazione operata da Cristo per mezzo dello Spirito; dalla creazione, alla redenzione, alla santificazione. Giacomo non fa, come faranno altre anafore -Giovanni Crisostomo, Basilio- l’enumerazione di tutta una serie di attributi apofatici di Dio: invisibile, incomprensibile, incommensurabile.... Troviamo soltanto tre titoli: “Creatore di tutte le cose, Tesoro dei beni, Sorgente di vita e di immortalità”; invece l’autore a lungo tutte le schiere di coloro che sono chiamati a questa lode: i cieli, il sole, la luna, la terra, il mare... e ancora: la Gerusalemme celeste, la Chiesa dei primogeniti, i giusti, i profeti, i martiri, gli apostoli, cherubini, serafini... Non si fa l’enumerazione dei temi divini da lodare, ma si fa l’enumerazione di coloro che si uniscono alla lode di Dio. È tutta la chiesa che Giacomo attira alla lode di Dio. Prima della narrazione dell’istituzione dell’eucaristia e dell’epiclesi, Giacomo narra la storia della salvezza, adoperando tutta una serie di verbi: “hai avuto compassione... hai creato l’uomo... lui cadde... non lo hai disprezzato... non lo hai abbandonato... corretto, richiamato, guidato...”, e aggiunge: “…hai inviato nel mondo il tuo proprio Figlio unigenito, nostro Signore Gesù Cristo, perché egli con la sua venuta rinnovasse e risuscitasse la tua immagine”. L’autore mette in rilievo come la venuta di Cristo rinnova nell’uomo l’immagine di Dio; in questa frase ritroviamo la soteriologia dei Padri, da Ignazio di Antiochia a Ireneo, a Origene. Vorrei ancora sottolineare qualche punto dell’epiclesi di questa anafora: Il dono dello Spirito viene invocato sui fedeli e sui doni presentati: “Manda su di noi e su questi santi doni che ti presentiamo il tuo Spirito Santissimo, Signore e vivificante, consustanziale e che condivide l’eternità......”. Ancora l’epiclesi chiede come frutto della santificazione dello Spirito che i doni diventino Corpo e Sangue di Cristo e che la Chiesa sia santificata e rimanga stabile nella roccia della fede. L’azione dello Spirito, in questa anafora, viene strettamente collegata alla sua azione lungo tutta la storia della salvezza; è Lui che “ha parlato nella Legge, nei Profeti e nella nuova Alleanza...”. L’epiclesi ha pure una chiara dimensione ecclesiologica, che verrà in qualche modo sottolineata di nuovo nella grande preghiera di intercessione alla fine dell’anafora che ha ancora degli indici chiaramente gerosolimitani: “…a sostegno della tua santa Chiesa cattolica e apostolica che hai stabilito sulla roccia della fede... Ti offriamo questo sacrificio per la tua santa e gloriosa Gerusalemme, madre di tutte le chiese... Ricordati di questa santa tua città... Ricordati Signore di tutti i cristiani che sono andati o si recano nei Luoghi santi di Cristo...”. Infine la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo porta la comunità, la Chiesa alla plenitudine della forza dello Spirito. Questo Spirito invocato sulla comunità, viene ad essa dato attraverso la comunione; lo Spirito costruisce il corpo ecclesia­le di Cristo per mezzo della santificazione, della divinizzazione di coloro che vi si comunicano.
         Celebrare la liturgia di san Giacomo, se non altro una volta all’anno, è sempre celebrare il mistero della morte e risurrezione del Signore, e farlo con una anafora che ci mette di fronte ad aspetti teologici, ecclesiologici, liturgici ed anche architettonici un po diversi da quelli a cui siamo abituati nella celebrazione liturgica bizantina, e soprattutto è celebrare con una anafora che ci fa presente la comunione con la Chiesa di Gerusalemme, madre di tutte le Chiese cristiane.



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