…continuamente rendo grazie per voi…
A
proposito di due testi di Papa Francesco.
Queste mie riflessioni prendono spunto da due testi
di Papa Francesco pubblicati in quest’anno 2019: il primo
testo è il discorso del 24 febbraio 2019
alla fine dell’incontro in Vaticano dei Presidenti delle Conferenze Episcopali
del mondo per discutere ed approfondire il problema della pederastia nel momento
e nel mondo attuali[1], e degli abusi sessuali su minori da parte di
alcuni membri del clero della Chiesa Cattolica. Il secondo
testo, a cui vorrei dedicare buona parte
del mio commento, è la Lettera indirizzata ai sacerdoti il 4 agosto 2019 per il
160 anniversario della morte di San Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars.
Il dramma degli abusi sessuali sui minori da parte
di alcuni membri del clero cattolico è un problema grave, un peccato vero e
proprio, che va affrontato lucidamente, direttamente e senza eludere niente e
nessuno. Questo per me è stato chiaro da quando è venuto fuori il delitto della
pederastia tra membri del clero della Chiesa Cattolica già alcuni anni fa. Un
fatto gravissimo, un peccato già affrontato coraggiosamente da papa Benedetto
XVI e poi da papa Francesco. E la domanda che mi si poneva e mi si pone era, ed
è, sul perché capitano questi fatti gravissimi, con chi
capitano e come vanno affrontati.
Alla fine del pontificato di San Giovanni Paolo II,
durante quello di Benedetto XVI e quello di Francesco I il problema è stato posto
e come accennavo prima coraggiosamente affrontato, senz’altro. La mia
impressione però era ed è tuttora che -mi si permetta l’espressione- si
“bastonava e si bastona” il colpevole, lo si accusava e lo si accusa, -e ripeto
che la pederastia è un fatto gravissimo su cui non ci sono né scuse né
giustificazioni, questo va sottolineato-, ma il “colpevole, il peccatore”, ci chiediamo
come va aiutato e curato?[2] Il Signore smaschera il peccato ma ha cura del
peccatore. Il vangelo della donna adultera di Gv 8,1-11 deve essere sempre un
paradigma per noi pastori.
Inoltre, noi pastori, dobbiamo chiederci come
aiutiamo e incoraggiamo e stiamo accanto ai tanti e tanti sacerdoti, religiosi
e religiose, monaci e monache che sono fedeli ogni giorno al loro ministero e alla
loro vocazione? Non meritano forse anche loro una parola di incoraggiamento? Di
supporto? Di aiuto nella loro quotidiana fedeltà? Questo è stato ed è un filo
rosso conduttore nella mia riflessione in questi ultimi tempi.
E finalmente, sempre da parte mia riflettendo,
pensando, meditando e pregando su questi fatti, lungo il 2019 sono stati
pubblicati i due testi su cui vorrei trattenermi ed offrirvi le mie riflessioni.
Discorso di papa Francesco il 24
febbraio 2019.
Si tratta del discorso -non è una omelia ma un
discorso- che il papa fece alla fine dell’incontro dei presidenti delle
conferenze episcopali del mondo a Roma nel mese di febbraio 2019. In questo
testo troviamo delle affermazioni del papa che debbono essere chiaramente
sottolineate e messe in evidenza.
In primo luogo, il papa già da subito nel suo testo mette in evidenza
la presenza del dramma (“piaga” dice il papa) della pederastia in tanti ambiti
della società antica e odierna: “Il nostro lavoro ci ha portato a riconoscere, una
volta in più, che la gravità della piaga degli abusi sessuali su minori è un
fenomeno storicamente diffuso purtroppo in tutte le culture e le società”[3]. Inoltre, il papa accenna
al fatto che molti dei casi di pederastia, avvenuti in ambito familiare, non
vengono denunciati[4].
Nelle prime note a pie di pagina del testo, il papa elenca dei paesi in cui la
pederastia è presente ed anche ne indica le percentuali. E il papa ha il
coraggio di “denunciare” il fatto in tutta la sua crudeltà: “La prima verità
che emerge dai dati disponibili è che chi commette gli abusi, ossia le violenze
(fisiche, sessuali o emotive)[5] sono soprattutto i
genitori, i parenti, i mariti di spose bambine, gli allenatori e gli educatori.
Inoltre, secondo i dati Unicef del 2017 riguardanti 28 Paesi nel mondo, su 10
ragazze che hanno avuto rapporti sessuali forzati, 9 rivelano di essere state
vittime di una persona conosciuta o vicina alla famiglia”. Nel documento,
il papa anche fa riferimento ad altri aspetti della pederastia come la
pornografia, l’abuso in rete e il turismo sessuale.
In secondo luogo, il papa fa riferimento al fenomeno della pederastia nella
Chiesa. Le sue affermazioni sono chiare e taglienti: “Siamo,
dunque, dinanzi a un problema universale e trasversale che purtroppo si
riscontra quasi ovunque. Dobbiamo essere chiari: l’universalità di tale piaga…
non diminuisce la sua mostruosità all’interno della Chiesa. La disumanità del
fenomeno a livello mondiale diventa ancora più grave e più scandalosa nella
Chiesa, perché in contrasto con la sua autorità morale e la sua credibilità
etica… Umilmente e coraggiosamente dobbiamo riconoscere che siamo davanti al
mistero del male, che si accanisce contro i più deboli perché sono immagine di
Gesù… Vorrei qui ribadire chiaramente: se nella Chiesa si rilevasse anche un
solo caso di abuso… tale caso sarà affrontato con la massima serietà”[6].
In terzo luogo, il papa mette il
suo uditorio di fronte ad altri fatti legati a tante forme di pederastia: “È
difficile, dunque, comprendere il fenomeno degli abusi sessuali sui minori
senza la considerazione del potere, in quanto essi sono sempre la conseguenza
dell’abuso di potere… L’abuso di potere è presente anche nelle altre forme di
abusi di cui sono vittime quasi ottantacinque milioni di bambini, dimenticati
da tutti: i bambini-soldato, i minori prostituiti, i bambini malnutriti, i
bambini rapiti e spesso vittime del mostruoso commercio di organi umani, oppure
trasformati in schiavi, i bambini vittime delle guerre, i bambini profughi, i
bambini abortiti e così via”[7].
In quarto luogo, il papa evidenzia i
punti di riflessione ed approfondimento a livello ufficiale che sono previsti:
tutela dei bambini; serietà; vera purificazione; formazione; rafforzare le
linee delle conferenze episcopali; accompagnare le persone abusate; vigilare il
mondo digitale; turismo sessuale.
In quinto luogo, ed è questo uno dei
punti che mi ha spinto a scrivere queste righe, il papa in modo molto chiaro ringrazia
tutti i sacerdoti e i religiosi/e che sono fedeli quotidianamente nella loro
vita consacrata: “Permettetemi adesso un sentito ringraziamento a tutti i
sacerdoti e ai consacrati che servono il Signore fedelmente e totalmente e che
si sentono disonorati e screditati dai comportamenti vergognosi di alcuni loro
confratelli[8].
Tutti – Chiesa, consacrati, Popolo di Dio e perfino Dio stesso – portiamo le
conseguenze delle loro infedeltà. Ringrazio, a nome di tutta la Chiesa, la
stragrande maggioranza dei sacerdoti che non solo sono fedeli al loro
celibato, ma si spendono in un ministero reso oggi ancora più difficile dagli
scandali di pochi (ma sempre troppi) loro confratelli. E grazie anche ai fedeli
che ben conoscono i loro bravi pastori e continuano a pregare per loro e a
sostenerli”[9].
La lettera di papa
Francesco del 4 agosto 2019, nel 160 anniversario della morte di San Giovanni
Maria Vianney.
Questo è il testo da
cui prendono spunti le mie riflessioni che si trovano in queste pagine. La
lettera del papa ha come motivo festa del Curato d’Ars san Giovanni Maria
Vianney, nel 160 anniversario della sua morte, ed è destinata a parroci e
sacerdoti in genere che: “senza fare rumore “lasciate tutto” per
impegnarvi nella vita quotidiana delle vostre comunità. A voi che, come il
Curato d’Ars, lavorate in “trincea”, portate sulle vostre spalle il peso del
giorno e del caldo (cfr. Mt 20,12) e, esposti a innumerevoli situazioni,
“ci mettete la faccia” quotidianamente e senza darvi troppa importanza,
affinché il Popolo di Dio sia curato e accompagnato”. È quasi la prima
volta, dopo il testo di febbraio di cui sopra, che troviamo delle parole incoraggianti
per quei parroci e sacerdoti che “non fanno rumore”, ma che sono, che vivono:
“in maniera inosservata e sacrificata, nella stanchezza o nella fatica,
nella malattia o nella desolazione, assumete la missione come un servizio a Dio
e al suo popolo e, pur con tutte le difficoltà del cammino, scrivete le pagine
più belle della vita sacerdotale”. Troviamo inoltre quella che oso dire è una
bella e profonda definizione di quello che il sacerdote è e fa, cioè: “…colui
che porta sulle spalle il peso della giornata… colui che è esposto a tante e
diverse situazioni… colui “che ci mette la faccia”… colui che non si dà troppa
importanza… colui che quotidianamente cura ed accompagna il suo popolo, il
popolo di Dio…”.
Poi la lettera fa un
riferimento, importante mi sembra, al vescovo in cui i sacerdoti debbono: “…trovare
la figura del fratello maggiore ed il padre che li incoraggi in questi tempi
difficili, li stimoli e li sostenga nel cammino”. Soprattutto i sacerdoti
debbono evitare -ed anche il vescovo deve cercare di curargli in questo senso- cioè
di sentirsi colpevolizzati in un momento di forte crisi[10].
La lettera quindi poggia
e si sviluppa su quattro punti centrali di riflessione, e che sono: il dolore,
la gratitudine, il coraggio, e la lode.
Sono quattro pilastri su cui anche in pratica poggia la vita del sacerdote, del
vescovo e di qualsiasi fedele cristiano.
Dolore.
La lettera parla del
dolore causato dalle ferite inflitte dal peccato della pederastia, peccato che
ha colpito la Chiesa intera. Parla della necessaria solidarietà con le
vittime della pederastia: “…oggi vogliamo che la conversione, la
trasparenza, la sincerità e la solidarietà con le vittime diventino il nostro
modo di fare la storia e ci aiutino ad essere più attenti davanti a tutte le
sofferenze umane”[11].
E, già in questo
primo punto della lettera, dedicato al tema del “dolore”, troviamo un paragrafo
che, secondo me, diventa quasi il punto centrale o lo scopo di tutta la
lettera: “Senza negare e misconoscere il danno causato da alcuni dei nostri
fratelli, sarebbe ingiusto non riconoscere tanti sacerdoti che, in maniera
costante e integra, offrono tutto ciò che sono e hanno per il bene degli altri
(cfr. 2 Cor 12,15) e portano avanti una paternità spirituale che sa piangere
con coloro che piangono; sono innumerevoli i sacerdoti che fanno della loro
vita un'opera di misericordia in regioni o situazioni spesso inospitali,
lontane o abbandonate anche a rischio della propria vita. Riconosco e vi
ringrazio per il vostro coraggioso e costante esempio che, nei momenti di
turbolenza, vergogna e dolore, ci mostra come voi continuate a mettervi in
gioco con gioia per il Vangelo”.
Il papa cita come testo
biblico di riflessione il capitolo 16 del libro del profeta Ezechiele, che vede
la sposa che comete adulterio, e introduce il tema importante del pentimento e
del perdono: “Ci farà bene prendere oggi il capitolo 16 di Ezechiele. Questa
è la storia della Chiesa. Questa è la mia storia, può dire ognuno di noi. E
alla fine, ma attraverso la tua vergogna, tu continuerai a essere il pastore.
Il nostro umile pentimento, che rimane silenzioso tra le lacrime di fronte alla
mostruosità del peccato e all’insondabile grandezza del perdono di Dio, questo,
questo umile pentimento è l’inizio della nostra santità”.
È importante e
fondamentale che il papa insista nel tema del pentimento: siamo di fronte a una
situazione di peccato, e per guarire il peccato, qualsiasi esso sia, i cristiani
abbiamo il cammino del pentimento. Il peccato mai non è un “punto finale” da
cui non si esce o una specie di “punto morto”. Questo atteggiamento sarebbe
peggio dal peccato stesso[12].
Gratitudine.
Dopo quello del
dolore, in cui il papa ha anche parlato del pentimento, troviamo il tema della
gratitudine per il dono, il grande dono della vocazione. Una gratitudine e una gioia
che sono umili, come una scintilla piccola che riesce ad accendere un grande
fuoco.
Questo paragrafo
della gratitudine è, oso dire, quasi un canto alla fedeltà quotidiana e
costante di Dio nei nostri confronti. In uno dei paragrafi infatti si afferma: “Nei
momenti di difficoltà, di fragilità, così come in quelli di debolezza e in cui
emergono i nostri limiti, quando la peggiore di tutte le tentazioni è quella di
restare a rimuginare la desolazione -accidia- spezzando
lo sguardo, il giudizio e il cuore, …è importante –persino oserei dire
cruciale– non solo non perdere la memoria piena di gratitudine per il passaggio
del Signore nella nostra vita, la memoria del suo sguardo misericordioso che ci
ha invitato a metterci in gioco per Lui e per il suo Popolo, ma avere anche il
coraggio di metterla in pratica e con il salmista riuscire a costruire il
nostro proprio canto di lode perché “eterna è la sua misericordia” [13].
La gratitudine come
dono di Dio, come “arma potente”, assieme al perdono, alla pazienza, alla
sopportazione, alla compassione. E il papa ringrazia sia Dio sia i sacerdoti
che sono fedeli: “Fratelli, grazie per la vostra fedeltà agli impegni
assunti… impegni che esigono tutta la vita…. Questo ci invita a celebrare la
fedeltà di Dio che non smette di fidarsi, credere e scommettere nonostante i
nostri limiti e peccati, e ci invita a fare lo stesso. Consapevoli di portare
un tesoro in vasi di creta (cfr 2 Cor 4,7), sappiamo che il Signore si
manifesta vincitore nella debolezza (cfr 2 Cor 12,9)…”.
E il papa prosegue
con una lista di sette ringraziamenti, di sette “grazie” che semplicemente
enumero qua di seguito:
“Grazie per la gioia con cui avete saputo
donare la vostra vita…”[14]
“Grazie perché cercate di rafforzare i legami
di fraternità e di amicizia nel presbiterio e con il vostro vescovo,
sostenendovi a vicenda, curando colui che è malato, cercando chi si è isolato,
incoraggiando e imparando la saggezza dall’anziano, condividendo i beni,
sapendo ridere e piangere insieme…”[15].
“Grazie per la testimonianza di perseveranza
e “sopportazione” (hypomoné) nell’impegno pastorale…”.
“Grazie perché celebrate quotidianamente
l'Eucaristia e pascete con misericordia nel sacramento della riconciliazione, senza
rigorismi né lassismi, facendovi carico delle persone e accompagnandole nel
cammino della conversione verso la nuova vita che il Signore dona a tutti noi…”[16].
“Grazie perché ungete e annunciate a tutti,
con ardore, “nel momento opportuno e non opportuno” il Vangelo di Gesù Cristo…”[17].
“Grazie per tutte le volte in cui,
lasciandovi commuovere nelle viscere, avete accolto quanti erano caduti, curato
le loro ferite, offrendo calore ai loro cuori, mostrando tenerezza e
compassione come il Samaritano della parabola…”[18].
“Ringraziamo anche per la santità
del Popolo fedele di Dio che siamo invitati a pascere e attraverso il quale il
Signore pasce e cura anche noi…”[19].
Coraggio.
Questo è uno dei
paragrafi, delle parti della lettera, senz’altro il più lungo e forse quello
più teologicamente importante. Il coraggio, la spinta nella vita sacerdotale è
dono dello Spirito Santo. Anche la comunione nel “dolore” degli altri e in
quello proprio, avvicinandoci alla sofferenza ed evitando la fuga del profeta
Giona: “Un buon “test” per sapere come si trova il nostro cuore di pastore è
chiedersi come stiamo affrontando il dolore. Molte volte può capitare di
comportarsi come il levita o il sacerdote della parabola che si voltano
dall’altra parte e ignorano l'uomo che giace a terra… Altri si avvicinano male,
intellettualizzano rifugiandosi in luoghi comuni: “la vita è così”, “non si può
fare nulla”, dando spazio al fatalismo e allo scoraggiamento… Come il profeta
Giona, sempre portiamo latente in noi la tentazione di fuggire in un luogo
sicuro che può avere molti nomi: individualismo, spiritualismo, chiusura in
piccoli mondi…”.
E il papa ci porta a un tema, più concretamente a
una passione che si annida nel cuore dell’uomo, del cristiano e quindi anche
del sacerdote e del vescovo, ed è quella dell’accidia che il papa chiama
la tristezza dolciastra, e che la tradizione spirituale di Oriente e di Occidente
chiama appunto accidia oppure demonium meridianum: “In
questa stessa linea, vorrei sottolineare un altro atteggiamento sottile e
pericoloso che, come amava dire Bernanos, è «il più prezioso degli elisir del
demonio»… semina scoraggiamento, orfanezza e porta alla
disperazione…. Delusi dalla realtà, dalla Chiesa o da
noi stessi, possiamo vivere la tentazione di aggrapparci ad una tristezza
dolciastra, che i padri dell’Oriente chiamavano accidia. Il card. Tomáš Špidlík
diceva: «Se ci assale la tristezza per la vita come tale, per la compagnia
degli altri, per il fatto che siamo soli, allora c’è sempre qualche mancanza di
fede nella Provvidenza di Dio e nella sua opera. La tristezza paralizza il
coraggio di proseguire nel lavoro, nella preghiera, ci rende antipatici i
nostri vicini… il nemico peggiore della vita spirituale…”.
In questa situazione è importante la
consapevolezza della presenza di Cristo accanto a noi, come Colui che prega per
noi e Colui che ci conosce e ci ama: “Durante
la nostra vita, abbiamo potuto contemplare come «con Gesù Cristo sempre nasce e
rinasce la gioia». Anche se ci sono diverse fasi in questa esperienza, sappiamo
che al di là delle nostre fragilità e dei nostri peccati, Dio «ci permette di
alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre
può restituirci la gioia». Quella gioia non nasce dai
nostri sforzi volontaristici o intellettualistici ma dalla fiducia di sapere
che le parole di Gesù a Pietro continuano ad agire: nel momento in cui sarai
“passato al vaglio”, non dimenticare che Io stesso «ho pregato per te, che non
venga meno la tua fede». Il Signore è il primo a pregare e combattere per te e
per me. E ci invita ad entrare pienamente nella sua preghiera. Possono
addirittura esserci dei momenti in cui dovremmo immergerci «nella preghiera del
Getsemani, la più umana e drammatica delle preghiere di Gesù (...). C'è
supplica, tristezza, angoscia, quasi un disorientamento…”.
E quindi conclude: “Fratelli, Gesù più di
chiunque altro conosce i nostri sforzi e risultati, così come i fallimenti e
gli insuccessi. Lui è il primo a dirci: «Venite a me, voi tutti, che siete
stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e
imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la
vostra vita».
Ancora il papa insiste sul tema fondamentale
della paternità e fraternità spirituali: “«Rimanete in me e io in voi. Come
il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così
neanche voi se non rimanete in me…perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,4-5).
In questo senso, vorrei incoraggiarvi a non trascurare l'accompagnamento
spirituale, avendo un fratello con cui parlare, confrontarsi, discutere e
discernere in piena fiducia e trasparenza il proprio cammino; un fratello sapiente
con cui fare l'esperienza di sapersi discepoli. Cercatelo, trovatelo e godete
la gioia di lasciarvi curare, accompagnare e consigliare. È un aiuto
insostituibile per poter vivere il ministero facendo la volontà del Padre (cfr.
Eb 10,9) e lasciare il cuore battere con «gli stessi sentimenti di Cristo Gesù»
(Fil 2,5). Quanto bene ci fanno le parole del Qoèlet: «Meglio essere in due che
uno solo … Infatti, se cadono, l'uno rialza l'altro. Guai invece a chi è solo:
se cade, non ha nessuno che lo rialzi»”.
Lode.
Un
ultimo punto toccato dal papa nella lettera è la lode, a Dio e la preghiera a
Maria e ai santi.
“Ogni volta che vado in un Santuario
Mariano, mi piace “guadagnare tempo" guardando e lasciandomi guardare
dalla Madre, chiedendo la fiducia del bambino, del povero e del semplice che sa
che lì c'è sua madre e che può mendicare un posto nel suo grembo. E nel
guardarla, ascoltare ancora una volta come l'indio Juan Diego: «Che c’è, figlio
mio, il più piccolo di tutti? Che cosa rattrista il tuo cuore? Non ci sono
forse qui io, io che ho l’onore di essere tua madre?»… Guardare Maria è tornare
«a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei
vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che
non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti»…”.
“Se qualche volta lo sguardo inizia a
indurirsi, o sentiamo che la forza seducente dell'apatia o della desolazione
vuole mettere radici e impadronirsi del cuore; se il gusto di sentirci parte viva
e integrante del Popolo di Dio comincia a infastidirci e ci sentiamo spinti
verso un atteggiamento elitario ... non abbiamo paura di contemplare Maria e
intonare il suo canto di lode…”.
“Se qualche volta ci sentiamo tentati di
isolarci e rinchiuderci in noi stessi e nei nostri progetti proteggendoci dalle
vie sempre polverose della storia, o se lamenti, proteste, critiche o ironia si
impadroniscono del nostro agire senza voglia di combattere, di aspettare e di
amare ... guardiamo a Maria affinché purifichi i nostri occhi da ogni
“pagliuzza” che potrebbe impedirci di essere attenti e svegli per contemplare e
celebrare Cristo che vive in mezzo al suo Popolo…”.
“Se vediamo che non riusciamo a camminare
diritto, che facciamo fatica a mantenere i propositi di conversione,
rivolgiamoci a Lei come lo faceva supplicandolo, quasi in modo complice, quel
grande parroco, anche poeta, della mia diocesi precedente: «Questa sera,
Signora, la promessa è sincera. Ma, per ogni evenienza, non dimenticarti di
lasciare la chiave fuori»”[20].
“Lei «è l’amica sempre attenta perché non
venga a mancare il vino nella nostra vita. È colei che ha il cuore trafitto
dalla spada, che comprende tutte le pene. Quale madre di tutti, è segno di
speranza per i popoli che soffrono i dolori del parto finché non germogli la
giustizia… Come una vera madre, cammina con noi, combatte con noi, ed effonde
incessantemente la vicinanza dell’amore di Dio»”[21].
“Fratelli, ancora una volta, «continuamente
rendo grazie per voi» (Ef 1,16) per la vostra dedizione e missione con la
certezza che «Dio rimuove le pietre più dure, contro cui vanno a schiantarsi
speranze e aspettative: la morte, il peccato, la paura, la mondanità. La storia
umana non finisce davanti a una pietra sepolcrale, perché scopre oggi la
“pietra viva”. Gesù risorto. Noi come Chiesa siamo fondati su di Lui e, anche
quando ci perdiamo d’animo, quando siamo tentati di giudicare tutto sulla base
dei nostri insuccessi, Egli viene a fare nuove le cose”.
Questa
ultima parte della lettera parla da sola. Ruolo di Maria come interceditrice,
come colei che ci porta o riporta a Cristo e alla sua salvezza. La lettera del
papa spinge anche a riflettere, in altra sede, su temi fondamentali quali il
perdono, il pentimento, la compunzione.
…continuamente rendo grazie per voi. Questa frase
della lettera di san Paolo agli Efesini è la parola che per ognuno di noi,
sacerdoti, vescovi, pastori per il popolo di Dio dovrebbe guidare il nostro
camminare cristiano ogni giorno nelle nostre vite.
+P. Manuel Nin
Vescovo
titolare di Carcabia
Esarca
Apostolico
[1]In questo mio intervento
adopererò il termine “pederastia”, vista l’ambiguità semantica che ci può
essere in altri termini come “pedofilia”, “violenza sui minori”…
[2]Nelle tradizioni cristiane
di Oriente e di Occidente, il padre spirituale chiede al suo figlio/discepolo
che confessi il suo peccato, e lo faccia expressis verbis, ma poi mai e
mai lo si lascia da solo. Anzi il padre spirituale, il pastore ne assume tutto
il peso, ne prende la carica dell’aiuto da dargli, nell’accompagnarlo nel suo
pentimento e quindi nella sua rinascita, risurrezione. Il Buon Pastore carica
sulle sue spalle la pecora smarrita.
[3]Siamo di fronte a un
documento del papa che addirittura pubblica le statistiche sulla “frequenza”
coi cui il fenomeno della pederastia si trova nei diversi ambienti della nostra
società. Frequenza in cui la Chiesa Cattolica è ai livelli più bassi, benché
sia la più “chiacchierata” ed accusata pubblicamente. Queste statistiche non
giustificano assolutamente niente e nessuno, anzi. Ma diciamo che sono
coraggiose nel dire una verità dolorosa, sofferta e grave di un fatto non nuovo
a tanti livelli del nostro mondo.
[4]Quindi anche la dimensione
di “copertura” o di “omertà” con cui il fenomeno viene vissuto e affrontato.
[5]Anche questa parentesi del
testo è importante, perché la pederastia va molto oltre l’aggressione e la
violenza a livello prettamente sessuale sui bambini.
[6]La pederastia nella
Chiesa, qualsiasi sia la sua percentuale di presenza, è un fatto gravissimo, che
diminuisce l’autorità morale della Chiesa nel suo insegnamento e nel suo
esempio verso gli uomini e donne del nostro mondo.
[7]Seguendo il tono
“coraggioso e reale” del documento, il papa elenca le forme anche esse legate
alla pederastia, cioè alla sofferenza dei bambini: prostituiti, soldati,
malnutriti, vittime del commercio di organi umani… Siamo di fronte a un
documento che secondo me diventa uno dei testi del papa più coraggiosi ed
incisivi degli ultimi tempi.
[8]“Disonorati e screditati
dal comportamento dei confratelli…”, certamente, e mi permetto di aggiungere da
parte mia: …e sistematicamente disonorati e screditati dai media e da tanti
e tanti interessi internazionali ed economici del nostro mondo.
[9]La frase del papa: “…sacerdoti
che non solo sono fedeli al loro celibato, ma anche si spendono in un
ministero…”. Questa affermazione vera e reale, potrebbe forse portare a un
focalizzare il problema tra i sacerdoti celibatari, o ridurre il problema ai
preti celibi. La pederastia va oltre al celibato o al matrimonio dei sacerdoti.
Voglio notare anche in questo paragrafo l’importanza della preghiera del popolo
per i loro pastori, e il loro sostegno sempre in tutti i mezzi possibili. È
questo ultimo paragrafo del discorso di febbraio, che mi porta ad abbinarlo
alla lettera del 4 agosto indirizzata ai sacerdoti.
[10]Siamo di fronte ad uno dei
pericoli che sono all’agguato nei nostri giorni, il cioè sentirsi tutti
“colpevoli” o piuttosto “colpevolizzati”. La “colpevolizzazione” è una delle
trappole o delle armi del diavolo, senza dubbio.
[11]Giustamente il papa parla
della solidarietà con le vittime della pederastia. Io mi permetto di aggiungere
anche la necessaria solidarietà di tutti noi anche con tanti sacerdoti che sono
stati calunniati e lo sono ancora.
[12]In questo senso, riporto
qua il testo di papa Giovanni Paolo I in una sua omelia prima di diventare
papa: “Come sbagliano
quelli che non sperano! Giuda ha fatto un grosso sproposito il giorno in cui
vendette Cristo per trenta denari, ma ne ha fatto uno molto più grosso quando
pensò che il suo peccato fosse troppo grande per essere perdonato. Nessun
peccato è troppo grande: una miseria finita, per quanto enorme, potrà sempre
essere coperta da una misericordia infinita“.
[13]Memoria della chiamata del
Signore, e memoria della sua misericordia verso di noi.
[14]Ritorna il tema del
sacerdote come colui che dona e si dona.
[15]Quasi il papa volesse
vedere nel presbiterio assieme al vescovo una immagine “cenobitica” per quanto
riguarda il loro rapporto.
[16]Il sacerdote come colui
che accompagna i fedeli all’incontro con il Signore, nel suo Corpo e il suo
sangue, nel suo perdono, verso la sua Pasqua.
[17]Bella l’immagine
dell’annuncio del Vangelo come unzione. Direi l’annuncio è l’ungere con Colui
che è l’Unto, il Cristo. Nei e per mezzo dei sacramenti.
[18]Infine, l’immagine del
sacerdote “buon samaritano” verso tutti, sacerdoti e fedeli, anche vescovi.
[19]Colui che pascola il
gregge, è anche a sua volta pascolato dal gregge stesso. Tante volte il
pascolare può portare il pastore anche lui a trovare dei pascoli rigogliosi. Santità
del popolo di Dio, santità della Chiesa. I Padri hanno parlato sempre della
santità della Chiesa, macchiata nel peccato di coloro che ne siamo membri, ma santa
e immacolata, redenta dal Sangue del suo Signore.
[20]Per ben tre volte,
introducendo con un “Se qualche volta…”, il papa riprende senza dirlo il tema,
la passione dell’accidia, una delle più “micidiali” nella vita del sacerdote,
del vescovo, di qualsiasi cristiano: sguardo duro, apatia desolazione, non
sentirsi più membro del Popolo di Dio, isolamento, critica…
[21]E il papa, parlando di
Maria, parla della Chiesa. Quello che lui dice di Maria, possiamo, dobbiamo
dirlo della Chiesa stessa: amica, colei che soffre, madre, cammina accanto agli
uomini, combatte con loro, li porta all’amore di Dio.