L'Epifania nell'innografia liturgica bizantina
Oggi Dio abbraccia l’uomo e lo riveste di bellezza
L'Epifania del
Signore è una festa liturgica che celebra la manifestazione del Verbo di Dio
incarnato, in un contesto trinitario e cristologico. I testi liturgici della
festa nella tradizione bizantina riassumono i principali misteri della fede cristiana:
quello trinitario, l'incarnazione del Verbo di Dio, la redenzione ricevuta nel
battesimo. Evento, quest'ultimo, specialmente celebrato durante la liturgia
della grande benedizione delle acque che ricorda e celebra il battesimo di
Cristo e di ognuno dei fedeli cristiani. I grandi innografi cristiani orientali
hanno dedicato dei testi poetici alla contemplazione di questa celebrazione; sono
testi dove sono messi in evidenza lo stupore e la meraviglia del Battista e di
tutta la creazione — gli angeli, il firmamento, le acque del Giordano — di
fronte alla manifestazione umile del Verbo di Dio incarnato che si avvia a
ricevere il battesimo da Giovanni.
Romano il
Melodo (+555), nei suoi due kontàkia per la festa dell'Epifania mette in risalto alcuni
aspetti teologici importanti. In primo luogo accosta diverse volte la nudità di
Adamo e del genere umano con il battesimo e il vestito nuovo lì indossato,
vestito che è Cristo stesso: “Perciò noi, nudi figli di Adamo, riuniamoci
tutti, rivestiamoci di lui per ricevere il suo calore! Riparo per i nudi e luce
per quanti sono al buio tu sei venuto, sei apparso, luce inaccessibile”. Molto
spesso per via di contrasto, l'innografo insiste sul fatto che la nudità di
Adamo disubbidiente porta Dio stesso a spogliarsi e farsi uomo, spogliato come Adamo:
“Dio, con la sua santa voce chiamò il disubbidiente: Dove sei, Adamo? Voglio vederti!
Anche se nudo sei, anche se povero sei, non avere vergogna, perché io mi sono
fatto simile a te. Tu che volevi diventare Dio non ci sei riuscito: io invece mi
sono fatto carne. L'incarnazione del Verbo di Dio è paragonata dall’innografo a
un grande abbraccio in cui Dio elargisce all'uomo la sua misericordia, con un
retroterra molto chiaro della parabola del figlio prodigo: “Dalla mia
compassione mi sono lasciato piegare, misericordioso quale sono, e mi sono
avvicinato a ciò che ho plasmato, tendendo le mani per abbracciarti. Non
provare vergogna dinanzi a me: per te che sei nudo io mi denudo e mi battezzo”.
L'autore
quindi pone accanto la nudità dell'uomo all'incarnazione di Cristo vista come
denudarsi e farsi uno di noi, con un gioco di parole tra il denudarsi dell'incarnazione
e il denudarsi per il battesimo. In diverse delle strofe dei suoi inni Romano fa
parlare in forma dialogica Cristo e Giovanni Battista, come se fosse un dialogo
in prosecuzione di quello della pericope evangelica del battesimo di Cristo nel
Giordano. Da parte di Giovanni c'è lo stupore e la paura, mentre che da parte
di Cristo c'è la forza e l'incoraggiamento: “Giovanni fu sconvolto dalla paura
e disse: Fermati, o Salvatore, e non insistere: a me basta essere stato
considerato degno di vederti! Che cosa richiedi a un uomo, tu, amico del genere
umano? Perché chini il tuo capo sotto questa mia mano? Essa non è abituata a
reggere il fuoco! Tu vieni da me, ma il cielo e la terra guardano se compirò
l'atto temerario”. E Cristo risponde al Battista, il Precursore: “Tu hai un
incarico da assolvere per me. Una volta ho mandato Gabriele e ha svolto bene il
suo compito per la tua nascita: manda anche tu la tua mano come un angelo, per
battezzare. Prestami soltanto la destra! Battezzami e attendi in silenzio ciò
che avverrà”. Il battesimo di Cristo è un dono dello Spirito a tutta la Chiesa
affinché anch'essa diventi luogo di salvezza per i battezzati: “Io sto per
aprire i cieli, far discendere lo Spirito e darlo in pegno. Battezzatore e
contestatore, preparati non alla controversia ma al servizio! Io qui disegnerò
per te la soave e splendente figura della Chiesa, accordando alla tua destra
quel potere che poi attribuirò alle mani dei discepoli e dei sacerdoti.
Romano mette
in parallelo Adamo nudo dopo il peccato di Adamo, spogliato dall'immagine di
cui fu creato, e Cristo incarnato e pronto a essere battezzato: “Giovanni
contemplò con rispetto le membra ignude di colui che impone alle nuvole di
avvolgere il cielo come un mantello, e vide in mezzo ai flutti colui che era
apparso in mezzo ai tre fanciulli, la rugiada di fuoco. Per Romano, quindi,
l'incarnazione e il battesimo di Cristo sono realtà finalizzate a riportare e ricreare
Adamo nella condizione di figlio: “Inneggia, inneggia a lui, o Adamo; adora
colui che ti viene incontro! Mentre tu ti ritraevi, egli si è mostrato a te
affinché tu potessi vederlo, toccarlo e riceverlo. Lui è sceso sulla terra per
portarti lassù, è diventato mortale affinché tu potessi diventare dio e
rivestirti della primitiva dignità, per riaprire l'Eden ha preso dimora a
Nazaret”. Infine Romano riprende il tema del vestito bianco indossato dai battezzati,
vestito intessuto dallo Spirito Santo nell'incarnazione del Verbo di Dio,
divenuto agnello di Dio: “È stata ormai strappata la veste del lutto, abbiamo
indossato l'abito bianco, intessuto per noi dallo Spirito col vello immacolato
dell'Agnello e Dio nostro. Quale messaggio del Battista e quale mistero in
esso! Chiama agnello il pastore, e non semplicemente agnello, ma agnello che
libera dalle colpe”. Infine una delle strofe degli inni di Romano è quella che
è entrata nell'ufficiatura bizantina e che raccoglie tutta la teologia della
festa: “Ti sei manifestato oggi al mondo, e la tua luce, o Signore, ha impresso
il segno su di noi che, riconoscendoti, eleviamo a te il nostro inno: Sei
venuto, sei apparso, luce inaccessibile”.