lunedì 18 aprile 2022

Deposizione dalla croce

Rallis Kopsidis (XX secolo), cattedrale Santissima Trinità

Atene


 La Madre di Dio ai piedi della croce di Cristo

Dammi, o Verbo, una parola…

Un carissimo amico scriveva pochi giorni fa in un giornale spagnolo (Antoni Puigverd, Renéixer, La Vanguàrdia 17 aprile 2022) una sua bella e profonda meditazione, in cui rifletteva quanto grande fosse il dolore di una madre per la morte del proprio figlio, un dolore le cui conseguenze lo scrittore, con una immagine molto espressiva, paragonava ad una casa abbandonata, con le porte e finestre murate ed attorniata da un giardino lasciato incurato, casa che man mano si sgretola e sprofonda nella rovina. “Soltanto la musica può esprimere la sofferenza delle madri ucraine e russe”, aggiungeva lo scrittore nel suo articolo, prima di proseguire parlando, contemplando direi la bellezza della sequenza latina Stabat Mater dolorosa, attraverso le composizioni che su di essa sono state fatte, trattenendosi in tre nomi di compositori musicali: G. P. Palestrina, G. B. Pergolesi e J. S. Bach. E concludeva: “…nel travaglio della memoria, è la gioia che vince la morte. Una madre, nella nostalgia del figlio assente, lo ricorda sempre con il volto sorridente”. Il bell’articolo del mio amico giornalista catalano, è un testo degno di una meditazione per i giorni della Settimana Santa, ed anche per i giorni e le settimane di sofferenze che viviamo a causa di una guerra assurda ed ingiustificabile tra l’Ucraina e la Russia, un testo che mi ha riportato a tanti dei tropari della tradizione bizantina che cantiamo in questi giorni santi, ed anche in altri periodi durante tutto l’anno liturgico. Sono tropari che nel plurale vengono chiamati “theotikìa”, cioè tropari che parlano della Theotokos, della Madre di Dio. Testi che in forma poetica cantano quel che è il mistero centrale della nostra fede cristiana: l’Incarnazione del Verbo eterno di Dio dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria. In essi Maria è sempre la Madre di Dio che accanto al Figlio e col Figlio intercede per l’umanità, eleva e presenta la sua voce a Colui che sempre è accanto a questa umanità, ad ognuno di noi, a Colui che si è fatto in tutto uno di noi eccetto il peccato.

In questi giorni della Settimana Santa dal 17 al 24 aprile, che stiamo celebrando tante Chiese cristiane ortodosse, cattoliche orientali ed anche cattoliche di rito latino, voglio semplicemente rileggere alcuni di questi tropari, che sono patrimonio comune con quella teologia poetica o poesia teologica che troviamo anche in tanti testi occidentali, quali la sequenza Stabat Mater.

          La liturgia delle Chiese cristiane è sempre luogo dove la fede viene professata, celebrata e vissuta. In alcuni dei theotokìa della tradizione bizantina troviamo una professione di fede di carattere cristologico, nella confessione delle due nature, divina ed umana, nel Verbo di Dio incarnato: “Colei che puramente ti ha partorito, vedendo appeso te, o Cristo, che hai sospeso la terra alle acque, o amico degli uomini, gridava: Ahimè, perché questo strano spettacolo? Dove mai è tramontata, Figlio dolcissimo, la tua infinita bellezza? Io magnifico la tua misericordia, perché volontariamente tu soffri per tutti”. Sono delle immagini chiaramente contrastanti tra la divinità e l’umanità di Cristo: come uomo appeso alla croce, Lui che come Dio creando il mondo “ha sospeso la terra sulle acque”. In un altro dei tropari anche gli stessi fatti della vita di Cristo vengono messi quasi in contrasto/opposizione tra di loro: “Oggi colui che per essenza è inaccessibile, diventa per me accessibile, e soffre la passione per liberare me dalle passioni; colui che dà la luce ai ciechi, riceve sputi da labbra inique e, per i prigionieri, offre le spalle ai flagelli. Vedendolo sulla croce, la pura Vergine e Madre dolorosamente diceva: Ahimè, Figlio mio… Tu, splendido di bellezza più di tutti i mortali, appari senza respiro, sfigurato, senza più forma né bellezza! Ahimè, mia luce! Non posso vederti addormentato, sono ferite le mie viscere e una dura spada mi trapassa il cuore. Io celebro i tuoi patimenti, adoro la tua amorosa compassione: o longanime Signore, gloria a te”. Le espressioni messe in bocca di Maria sono quelle della madre ai piedi della croce di Cristo. Troviamo in questo e in altri tropari una rilettura del salmo 44,3: “…il più bello tra i figli dell’uomo”. Un altro dei tropari della Settimana Santa invoca Cristo come: “Sposo splendido di bellezza al di sopra di tutti gli uomini!...”. Il lamento di Maria sul Cristo sofferente, privato della sua bellezza, rilegge il testo del salmo, ed è un lamento che nella celebrazione della liturgia diventa lamento della Chiesa stessa, una Chiesa che con Maria celebra i patimenti, le sofferenze di Cristo e ne esalta anche l’amorosa compassione.

          Un’altra delle immagini, o dei titoli dati a Maria, che troviamo molto spesso nei tropari è quello di “agnella”. Il Cristo “agnello” accanto a colei che partecipa in qualche modo al suo sacrificio: “Vedendo te, o Verbo, crocifisso con i ladroni quale agnello paziente, trafitto al fianco dalla lancia, l’agnella, come madre, esclamava gridando: …Come può una tomba ricoprire il Dio incircoscrivibile?... Non abbandonare, Figlio mio dolcissimo, colei che ti ha partorito”. Il titolo di agnella applicato a Maria, porta altri tropari addirittura a presentare Cristo come il suo pastore, colui che ne è anche Signore; in questo caso la lettura soprattutto ecclesiologica del tropario ci sembra abbastanza chiara: “Quando la tua agnella, o Gesù, stava sotto la croce, vedendo te, suo pastore e Sovrano, amaramente faceva lamento…”.

          Di una bellezza quasi unica è uno dei tropari di questi giorni santi, in cui troviamo non un dialogo tra la Madre ed il Figlio, ma soltanto una serie di domande che mettono in luce il mistero della filantropia di Dio manifestatasi pienamente in Cristo: “Maria l’agnella, vedendo il proprio agnello trascinato al macello, lo seguiva assieme ad altre donne…, gridando a lui così: Dove vai, o Figlio? Per chi hai intrapreso questa corsa veloce? Forse ci sono altre nozze a Cana, e ti affretti per mutare di nuovo l’acqua in vino? Vengo con te, o Figlio, o piuttosto, resto con te? Dammi una parola, o Verbo, non passare accanto a me in silenzio, tu che mi hai serbata pura: tu sei infatti il mio Figlio e Dio”. Il cammino di Cristo verso la croce è messo in parallelo nel tropario con il cammino verso Cana di Galilea, e troviamo una similitudine voluta dal testo stesso tra le nozze di Cana e le nozze di Cristo con la Chiesa sulla croce, e tra il sangue versato sulla croce ed il vino nuovo dato da Cristo stesso a Cana. L’ultima frase: “Dammi una parola, o Verbo… (letteralmente: Dammi una parola, tu che sei la Parola)”, evoca la voce stessa della Chiesa, di ogni cristiano nel chiedere a Colui che è il Logos, la Parola incarnata, di incarnarsi nel cuore della Chiesa stessa, e di ogni cristiano che fa sua la parola, in cui questa Parola si incarna.

          L’autore citato all’inizio affermava: …nel travaglio della memoria, è la gioia che vince la morte. Una madre, nella nostalgia del figlio assente, lo ricorda sempre con il volto sorridente”. La Madre di Dio nei nostri tropari ricorda sempre, celebra oso dire, la bellezza intramontabile del Figlio, che è, riprendendo il salmo: “Il più bello tra i figli dell’uomo”.


lunedì 11 aprile 2022


 Croce etiopica, XIX secolo

La Settimana Santa nella Quaresima bizantina

Oggi la croce diventa fonte della grazia

La Grande e Santa Settimana della passione, della morte e della risurrezione di Cristo, è il momento centrale dell’anno liturgico in cui tutte le Chiese cristiane, di Oriente e di Occidente, attraverso i testi della liturgia, attraverso i diversi momenti e celebrazioni liturgiche di questi giorni, diventano veri e propri mistagoghi, che ci portano per mano all’incontro con il Signore, ci fanno vivere anche noi come Corpo di Cristo l’offerta volontaria, la morte e la risurrezione, nel suo corpo nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, del Verbo di Dio incarnato. Nella tradizione bizantina questa mistagogia inizia la Domenica delle Palme, e già in qualche modo il sabato che la precede con la celebrazione della risurrezione di Lazaro l’amico del Signore dai morti, e che nella sua malattia, morte e risurrezione diventa tipo e prefigurazione dello stesso Cristo nella sua passione, morte e risurrezione, ed anche di ognuno di noi feriti dal peccato, morti i esso ma risorti e salvati dal Signore.

A partire dalla Domenica delle Palme e lungo la Settimana Santa troviamo diversi aspetti che voglio sottolineare: Cristo che entra a Gerusalemme seduto su un puledro, il Signore che viene, si fa presente nell’umiltà della sua Incarnazione. Poi i diversi esempi biblici dei tre primi giorni della Settimana Santa: Giuseppe, uno dei patriarchi veterotestamentari, venduto, tradito dai propri fratelli; poi l’atteggiamento vigilante o non delle dieci vergini della parabola evangelica; infine, la donna peccatrice che unge i piedi di Cristo. Attraverso questi esempi, la tradizione bizantina ci propone un rapporto di amore totale con Cristo, di fedeltà, nell’ottica dell’immagine sponsale del rapporto tra Cristo e la sua Chiesa. Infine, già dal Giovedì Santo troviamo Cristo servo, che lava i piedi ai discepoli; che si dona ai suoi discepoli e a tutti nei Santi Doni del suo Corpo e del Suo Sangue, dopo che è diventato servitore di tutti.

Nella tradizione bizantina troviamo, e già durante la stessa quaresima e poi in questi giorni della grande Settimana, alcuni dei tropari che collegano il mistero dell’offerta volontaria di Cristo sulla croce al mistero del nostro battesimo. Uno dei tropari che apre l'ufficio del mattutino del Giovedì e del Venerdì Santi ci mette di fronte a questo mistero sia sacrificale e sia battesimale. È un testo, come tanti altri nella la tradizione bizantina, fatto da un intreccio di diverse citazioni bibliche: “Mentre i gloriosi discepoli erano illuminati nella lavanda della Cena (Gv 13,1ss), allora Giuda si ottenebrava (Gv 13,30), l'empio, malato di cupidigia (Sal. 33,22;). E consegna te, il Giudice giusto (2Tim 4,8), in mano ai giudici iniqui. Vedi l'amico del danaro (Gv 12,6), per questo finisce impiccato! (Mt 27,5). Fuggi l'anima insaziabile, che tanto ha osato contro il Maestro. O Signore buono con tutti, gloria a te. I due termini all’inizio del tropario, "illuminati" e "lavanda" -quest’ultimo potrebbe anche essere tradotto come “cattino”-, sono da collocare in un contesto chiaramente battesimale; la lavanda dei piedi fatta da Cristo ai suoi apostoli è vista quasi come il battesimo dei discepoli che precede e fa loro degni della cena eucaristica, che diventa l’adempimento di questa lavanda, di quest’illu­minazione. I discepoli sono illuminati, mentre Giuda entra nella notte, vista questa come spazio senza luce.

         Mi soffermo ancora in altri tropari, attribuiti a Sant’Andrea di Creta (660-740), vescovo di Gortyna nell’isola di Creta, teologo e poeta, e autore moltissimi testi liturgici, canoni e tropari, che in forma poetica cantano i misteri della nostra fede. Uno di questi testi è il canone penitenziale che le Chiese di tradizione bizantina celebrano nel periodo della quaresima. Di questo testo voglio presentare soltanto quattro tropari che in forma poetica e con delle immagini toccanti riescono a mettere in evidenza questo rapporto stretto tra il sacrificio della croce ed il battesimo, e riassumono quello che è veramente il mistero della fede cristiana, celebrato nella Grande Settimana che ci porta alla Pasqua.

       Il primo dei tropari ha un carattere fortemente battesimale, collegando la crocifissione di Cristo ed il nostro battesimo: ambedue, croce e battesimo, in un unico mistero, diventano per noi una vera e propria nuova creazione, un lavacro ed infine dono dello Spirito Santo: “Crocifisso per tutti, hai offerto il tuo corpo e il tuo sangue, o Verbo: il corpo per riplasmarmi, il sangue per lavarmi; e hai emesso lo spirito, per portarmi, o Cristo, al tuo Genitore”. Il corpo di Cristo crocefisso e poi risorto è il luogo dove avviene la nostra redenzione, la nostra nuova creazione; il sangue di Cristo versato diventa per noi un vero e proprio lavacro; infine, Cristo che emette lo Spirito e ci fa dono di una nuova nascita, ci porta al Padre.

         Un secondo tropario ci presenta un tema che troviamo spesso nei testi dei giorni santi: la croce di Cristo come chiame che riapre le porte del paradiso: Hai operato la salvezza in mezzo alla terra, o pietoso, per salvarci; per tuo volere sei stato inchiodato sull’albero della croce e l’Eden che era stato chiuso, si è aperto: ciò che sta in alto, ciò che è in basso, il creato, le genti tutte, da te salvati ti adorano”.

         Il terzo dei tropari riprende il tema del battesimo, con delle immagini che ci portano quasi alla liturgia battesimale, con il lavacro, l’unzione e la bevanda della vita: Sia mio fonte battesimale il sangue del tuo costato, e bevanda l’acqua di remissione che ne è zampillata, perché da entrambi io sia purificato, e venga unto, bevendo come crisma e bevanda, le tue vivificanti parole, o Verbo”. Il costato aperto di Cristo è il fonte battesimale, da cui sgorga anche il crisma dell’unzione che nella Parola di Dio si fa alimento ed acqua di vita. La stessa mistagogia battesimale la troviamo nel quarto dei tropari di Andrea di Creta: “Quale calice, la Chiesa ha avuto il tuo costato vivificante: da esso è scaturita per noi la duplice fonte della remissione e della conoscenza, quale figura dell’antico patto, del nuovo e dei due insieme, o nostro Salvatore”.

         Infine, un altro dei tropari, di autore anonimo, commentando il vangelo di Luca nella parabola del buon samaritano, presenta di nuovo come in un unico mistero il sangue e l’acqua del battesimo che sgorgano dal costato di Cristo trafitto, assieme all’olio dell’unzione, che diventano insieme balsamo di guarigione e di vita nuova: Uscendo dai tuoi divini comandamenti, come da Gerusalemme, e scendendo verso le passioni di Gerico, trascinato dallo splendore disonorevole delle contaminazioni della vita, sono incappato nei ladroni, cioè nei pensieri, e sono stato spogliato da loro della tunica della figliolanza e della grazia: ora giaccio senza respiro per i colpi… Tu, Signore, incarnato dalla Vergine in modo ineffabile, versando volontariamente dal tuo costato sangue e acqua salutari, o Cristo Dio, li hai fatti colare come olio, chiudendo le cicatrici delle mie ferite con questa applicazione, e unendomi al coro celeste, nella tua amorosa compassione”.

 

sabato 2 aprile 2022


 Icona di san Dima, il Buon Ladrone

Seress Tamas, Ungheria, 2022


νστα, Θες, κρνον τν γν,

Sorgi o Dio, giudica la terra,

         Carissimi,

Nella lettera pastorale che vi ho scritto a metà della quaresima , vi dicevo come il nostro grido, quasi lamento, pur sempre preghiera certamente, sgorgava dal nostro cuore credente con le parole del salmo: “Risvéglati Signore! Per ché dormi?...”(Salmo 43,23). Era ed è un grido nato da quello che ci toccava e ci tocca di vivere come Chiesa cristiana e come umanità intera direi, cioè l’esperienza tante volte di deserto, di sofferenza, con tante di quelle domande a cui non sempre possiamo dare immediata risposta. Oggi giunti alla Pasqua, arrivati col buon ladrone alle porte del paradiso, la nostra preghiera continua ad avere come guida e maestro il Salterio -il “Davide” come lo chiama la tradizione siriaca, con il versetto: “Sorgi o Dio, giudica la terra, perché tu avrai eredità in tutte le genti” (salmo 81,8). Questa invocazione che troviamo nel vespro e la Divina Liturgia del Sabato Santo, e che precede / introduce l’ascolto di quel Vangelo che ci dà già il primo annuncio della risurrezione, questa invocazione della Chiesa e di ognuno di noi messa lì in quel momento quasi a spingere il Signore che riposa nel grande Sabato ad alzarsi, a risorgere, diventa per noi una vera e propria professione di fede e di fiducia in Colui che mai non ci lascia. Se prima nella nostra preghiera, di sofferenza e di disperazione ce ne fosse stata forse un’ombra: “Risvéglati Signore! Per ché dormi?...”, oggi quest’ombra sparisce oppure diventa parresia, diventa libertà nel profondo del cuore nel dire: “Sorgi -risuscita!- o Dioνστα, Θες”. Questa nostra preghiera oggi fiduciosa, questo nostro ανστα mattutino del grande Sabato ci preannuncia quel ανέστη, quell’altra grande preghiera della notte di Pasqua: “Cristo è risorto!... Χριστός Ανέστη!”. E questo che potrebbe sembrare un mio gioco di parole, magari un bell’esercizio filologico, nasce dall’esperienza della nostra fede: il Signore, in ogni momento della nostra vita è accanto a noi, cammina con noi. Quelle orme nella sabbia del deserto, che il grande Antonio credeva fossero le sue, scopre lui, scopriamo noi che sono le Sue, di Colui che è sempre accanto a noi, il Signore risorto e vivente in mezzo a noi.

Durante la quaresima abbiamo vissuto e stiamo vivendo ancora l’esperienza di una guerra fratricida tra la Russia e l’Ucraina, una guerra che quasi lambisce le nostre porte, e che ci ha portato e ci porta a toccare con mano le lacrime di tanti uomini e donne, bambini, anziani, obbligati a lasciare tutto e fuggire dalla propria terra. L’esperienza di una guerra che però, dobbiamo dirlo anche, ci ha fatto scoprire solidali, fraternamente solidali nell’aiuto, nella carità, nell’essere accanto ai fratelli. L’esperienza di una guerra, che soprattutto dovrebbe farci vivere il Vangelo del Signore nell’essere sempre e senza nessun indugio, uomini e donne di pace, “operatori e creatori di pace” come ci chiede il Signore nel suo Vangelo, uomini e donne che sanno/che sappiamo dire e dare parole di pace, di riconciliazione e di serenità, seguendo l’esempio in queste ultime settimane di tanti pastori delle Chiese cristiane in Ucraina ed altrove nel mondo. Uomini e donne di perdono e di riconciliazione, che pur nella sofferenza, leggiamo e predichiamo il Vangelo, e porgiamo l’altra guancia, preghiamo per i nemici a partire e in quella che è tutta la forza, la bellezza, la radicalità e l’esigenza del Vangelo di Cristo. Un grido, una preghiera che sgorga ancora dal nostro cuore in questi primi mesi del 2022, a causa dell’incertezza e dell’angoscia di fronte ad una pandemia che fa fatica a scomparire, per far passo a una salute che dovrebbe non soltanto essere fisica, ma soprattutto una salute che dovrebbe farci riscoprire la nostra vera umanità amata, guarita e salvata da Cristo. Per questo con fede invochiamo il Signore: “Sorgi o Dio, giudica la terra… νστα, Θες, κρνον τν γν…”, risorto, vivo e presente in mezzo a noi, per guardare e giudicare la terra, la nostra umanità in quel suo giudizio non di condanna ma di Vangelo.

In questa situazione di sofferenza e di grazia, di incertezza e di fiducia incrollabile, viviamo quest’anno la Pasqua di Cristo, che nella tradizione bizantina viene celebrata quasi in un unico giorno nel mistero della sua passione, della sua morte e della sua risurrezione. E i testi della liturgia per noi sono dei veri maestri, dei veri mistagoghi. Già nel grande Venerdì i tropari ci preannunciano la vittoria del Signore sulla morte, e il giorno della Risurrezione, gli stessi testi non ci fanno dimenticare che il corpo glorioso del Signore risorto, prima è stato provato dalla sofferenza e dalla morte. La liturgia di questi giorni santi mette in evidenza la grandezza del Signore Onnipotente che per noi si annienta, si fa piccolo, si fa uomo, come cantiamo il grande Venerdì: “Oggi è appeso al legno colui che ha appeso la terra sulle acque; oggi il Re degli angeli è cinto di una corona di spine; oggi è avvolto di una finta porpora colui che avvolge il cielo di nubi; riceve uno schiaffo, colui che nel Giordano ha liberato Adamo; è inchiodato con chiodi lo Sposo della Chiesa; è trafitto da una lancia il Figlio della Vergine. Adoriamo, o Cristo, i tuoi patimenti! Mostraci anche la tua gloriosa risurrezione”.

La liturgia mette in risalto ancora il dolore e allo stesso tempo la fede della Madre di Dio, che è sempre il dolore e la fede della Chiesa, vedendo il Figlio appeso alla croce: “Oggi colui che per essenza è inaccessibile, diventa per me accessibile, e soffre la passione per liberare me dalle passioni… Vedendolo sulla croce, la pura Vergine e Madre dolorosamente diceva: Ahimè, Figlio mio, perché hai fatto questo? Tu, splendido di bellezza più di tutti i mortali, appari senza respiro, sfigurato, senza più forma né bellezza!”. La passione e la morte del Signore manifestano la gloria e la grandezza della sua divino umanità: “Oggi vediamo compiersi un tremendo e straordinario mistero: l’intangibile è catturato, viene legato colui che scioglie Adamo dalla maledizione… il Creatore è schiaffeggiato dalla mano della creatura…”.

In questo cammino dal Venerdì alla Domenica, una figura appare in modo costante e diventa per noi modello ed esempio, e che vi propongo nel suo agire discreto e fedele verso il Signore. Si tratta di Giuseppe di Arimatea che, assieme a Nicodemo, vengono presentati nei vangeli e nella liturgia come coloro che hanno cura del corpo del Signore: “Giuseppe insieme a Nicodemo depose dal legno te, che ti avvolgi di luce come di un manto; e contemplandoti morto, nudo, insepolto, iniziò il lamento pieno di compassione… Come potrò seppellirti, Dio mio? Come ti avvolgerò in una sindone? Con quali mani toccherò il tuo corpo immacolato? Oggi una tomba racchiude colui che tiene in sua mano il creato; una pietra ricopre colui che copre i cieli con la sua maestà. Dorme la vita, l’ade trema e Adamo è sciolto dalle catene…. Tu oggi ci doni il sabato eterno con la tua santissima risurrezione dai morti: perché tu sei Dio… Il Re dei secoli, dopo aver compiuto l’economia con la passione, celebra il sabato in una tomba, per prepararci un nuovo riposo sabbatico”.

Un altro dei tropari, con delle immagini di una bellezza veramente toccante, viene messo in bocca a Giuseppe di Arimatea che chiede da Pilato il corpo di Gesù. Il testo canta il Verbo di Dio che nella sua incarnazione “si fa, diventa straniero”, e diventa un canto a tutta l’economia dell’incarnazione del Verbo di Dio, il suo svuotarsi, il suo straniarsi: “Vedendo il sole nascondere i suoi raggi, e il velo del tempio lacerato alla morte del Salvatore, Giuseppe andò da Pilato, e così lo pregava: Dammi questo straniero, che dall’infanzia come straniero si è esiliato nel mondo… Dammi questo straniero, che ha saputo accogliere poveri e stranieri… E il nobile Giuseppe ricevette il corpo del Salvatore: con timore lo avvolse in una sindone con mirra e depose in una tomba colui che a tutti elargisce la vita eterna e la grande misericordia.

Vi propongo in questa Pasqua la figura di Giuseppe di Arimatea, proprio in questa sua diaconia dell’aver cura del corpo di Gesù: lo cala dalla croce, lo unge e lo depone in un sepolcro nuovo. Giuseppe è tipo e figura di ognuno di noi, pastori della Chiesa, vescovi, preti e diaconi, nell’aver cura del corpo del Signore attraverso l’impegno e l’attenzione nell’annuncio della sua Parola, attraverso il nostro elargire ai fedeli il dono dei suoi sacramenti, nel aver cura del povero che giace alle nostre porte come un nuovo Lazzaro. Giuseppe pure è tipo e figura di tutti i cristiani, nella cura del corpo del Signore che è la sua Chiesa, e ciò si fa per noi nella vita cristiana nella sua quotidianità, ungendo con la nostra preghiera, con la nostra partecipazione fisica alla vita sacramentale e la carità, ungendo questo corpo di cui noi siamo anche delle membra. Che il Signore risorto ci faccia il dono di saperci e sentirci tutti membra del suo corpo, presi pure noi dalla croce ed unti con il dono del suo Santo Spirito.

Χριστς νστη! ληθς νστη!

 +P. Manuel Nin

Esarca Apostolico



“ΑΝΑΣΤΑ Ο ΘΕΟΣ, ΚΡΙΝΟΝ ΤΗΝ ΓΗΝ,

ΟΤΙ ΣΥ ΚΑΤΑΚΛΗΡΟΝΟΜΗΣΕΙΣ ΕΝ ΠΑΣΙ ΤΟΙΣ ΕΘΝΕΣΙ»

Πολυαγαπημένα μου αδέλφια,

Κατά τα μέσα της Σαρακοστής, στην ποιμαντική επιστολή που σας έγραψα, σας έλεγα με ποιον τρόπο η κραυγή μας, σχεδόν ο κλαυθμός μας, και προπάντων η προσευχή μας, ανάβλυζε από την καρδιά μας, η οποία πίστευε τα λόγια του Ψαλμού: «Σήκω Κύριε! Γιατί κοιμάσαι;…» (Ψ. 43,23). Ήταν και είναι μία κραυγή, γεννημένη από αυτό που πρέπει να ζήσουμε ως χριστιανική Εκκλησία και θα έλεγα ως ολόκληρη ανθρωπότητα, δηλαδή μία συχνή εμπειρία της ερήμου, του πόνου, με τόσα και τόσα ερωτήματα, στα οποία δεν μπορούμε πάντοτε να δώσουμε άμεση απάντηση. Σήμερα, φτάνοντας στο Πάσχα, φτάνοντας μαζί με τον καλό ληστή στις πύλες του παραδείσου, η προσευχή μας συνεχίζει να έχει ως οδηγό και ως διδάσκαλο το Ψαλτήριο (τον «Δαβίδ», όπως το ονομάζει η συριακή παράδοση: «νάστα, Θεός, κρνον τν γν, τι σ κατακληρονομήσεις ν πσι τος θνεσι» (Ψ. 81,8) Η επίκληση αυτή της θείας λατρείας, το πρωί του Μεγάλου Σαββάτου, η οποία προηγείται στο άκουσμα του Αγίου Ευαγγελίου, του πρώτου αναγγέλματος της Αναστάσεως, αυτή η επίκληση της Εκκλησίας και του καθενός μας, η οποία σχεδόν μας εξωθεί να ζητήσουμε από τον Κύριο, ο οποίος αναπαύεται κατά το Μεγάλο Σάββατο, να αναστηθεί, γίνεται για μας σχεδόν μία αληθινή και βέβαιη ομολογία πίστης και εμπιστοσύνης σ’ Εκείνον, ο οποίος ποτέ δεν μας εγκαταλείπει. Αν πριν, στην προσευχή μας, στον πόνο μας και στην απελπισία μας, υπήρχε ίσως μία σκιά: «Σήκω Κύριε! Γιατί κοιμάσαι;…» σήμερα αυτή η σκιά γίνεται παρρησία, γίνεται ελευθερία στα βάθη της καρδιάς μας, λέγοντας: «Ανάστα ο Θεός». Αυτή η έμπιστη προσευχή μας, αυτό το πρωινό μας «Ανάστα» του Μεγάλου Σαββάτου μας προαναγγέλλει το «ανέστη», την μεγάλη εκείνη προσευχή της νύχτας του Πάσχα: «Χριστός Ανέστη!...» Και αυτό δεν είναι ένα λογοπαίγνιο μου, ή μία ωραία φιλολογική άσκηση, αλλά γεννιέται από την εμπειρία της πίστης μας: Σε κάθε στιγμή της ζωής μας ο Κύριος είναι δίπλα μας, βαδίζει μαζί μας. Εκείνα τα ίχνη των ποδιών επάνω στην άμμο της ερήμου για τα οποία ο Μέγας Αντώνιος πίστευε ότι είναι δικά του, ανακάλυψε ξαφνικά (ο ερημίτης), ανακαλύπτουμε και εμείς, ότι είναι δικά Του, δηλαδή Εκείνος που βαδίζει πάντα δίπλα μας.

     Κατά τη Σαρακοστή ζήσαμε και ζούμε ακόμα την εμπειρία ενός αδελφοκτόνου πολέμου μεταξύ Ρωσίας και Ουκρανίας, ενός πολέμου που βρίσκεται σχεδόν στις πόρτες μας, και μας οδήγησε και μας οδηγεί να αγγίζουμε με τα χέρια μας τα δάκρυα και το αίμα τόσων και τόσων αντρών και γυναικών, παιδιών, γερόντων, υποχρεωμένων να εγκαταλείψουν τα πάντα και να φύγουν από την πατρίδα τους. Είναι η εμπειρία ενός πολέμου ο οποίος, (οφείλουμε να το πούμε και αυτό), μας έκανε να ανακαλύψουμε την αλληλεγγύη στην βοήθεια, στην αγάπη, στην αδελφοσύνη μας. Είναι η εμπειρία ενός πολέμου, ο οποίος προπάντων θα έπρεπε να μας κάνει να ζούμε το Ευαγγέλιο του Κυρίου, σύμφωνα με το οποίο οφείλουμε να είμαστε, χωρίς καμία βραδύτητα, άντρες και γυναίκες ειρήνης, «ειρηνοποιοί και δημιουργοί ειρήνης, όπως μας ζητά ο Κύριος, άντρες και γυναίκες που ξέρουν να πουν και να μεταδώσουν λόγια ειρήνης, συμφιλίωσης, γαλήνης, ακολουθώντας το παράδειγμα τόσων και τόσων πνευματικών ποιμένων χριστιανικών Εκκλησιών κατά τις τελευταίες εβδομάδες, στην Ουκρανία και σε άλλες χώρες του κόσμου. Άντρες και γυναίκες της συγνώμης και της συμφιλίωσης, οι οποίοι ακόμα και μέσα στον πόνο μας, διαβάζουμε και κηρύττουμε το Ευαγγέλιο, και σ’ όποιον μας χτυπά στο ένα μάγουλο γυρίζουμε να μας χτυπήσει και από το άλλο, προσευχόμαστε και για τους εχθρούς μας, όπως μας υποδείχνει όλη η δύναμη, η ωραιότητα η ριζική απαίτηση του Ευαγγελίου του Χριστού.

Μία κραυγή, μία προσευχή που αναβλύζει ακόμα από την καρδιά μας σ’ αυτούς τους πρώτους μήνες του 2022, εξαιτίας της αβεβαιότητας και της αγωνίας μπροστά σε μία πανδημία που δεν φαίνεται να εξαφανίζεται, να υποχωρεί μπροστά στην υγεία, όχι μόνο την φυσική μας υγεία, αλλά προπάντων μπροστά σε μία υγεία που θα έπρεπε να μας αποκαλύπτει την αληθινή μας ανθρωπιά, την ανθρωπιά την οποία ο Χριστός αγάπησε, θεράπευσε και έσωσε. Γι αυτόν το λόγο, με πίστη επικαλούμαστε τον Κύριο: «Ανάστα ο Θεός κρίνον την γήν…», αναστημένος ζωντανός, και παρών ανάμεσά μας με την κρίση του, η οποία δεν είναι κρίση καταδίκης, αλλά κρίση Ευαγγελίου.

     Μέσα σ’ αυτήν την κατάσταση ζούμε εφέτος το Πάσχα του Χριστού, το οποίο κατά τη βυζαντινή παράδοση τελείται, μπορούμε να πούμε χωρίς διάσπαση της συνέχειας στο μυστήριο του Πάθος Του: θάνατος και ανάσταση. Και τα κείμενα της θείας λατρείας για μας γίνονται αληθινοί διδάσκαλοι, αληθινοί μυσταγωγοί. Ήδη κατά την Μεγάλη Παρασκευή τα τροπάρια μας προαναγγέλλουν την νίκη του Κυρίου κατά του θανάτου, και την ημέρα της Αναστάσεως. Τα ίδια κείμενα μας κάνουν να μην λησμονούμε ότι το ένδοξο σώμα του αναστάντος Κυρίου, πριν δοξαστεί δοκιμάστηκε από τον πόνο και από τον θάνατο. Η θεία λατρεία των αγίων αυτών ημερών μας φανερώνει το μεγαλείο του Παντοδύναμου Κυρίου, ο οποίος για χάρη μας μειώνεται, γίνεται μικρός, γίνεται άνθρωπος, όπως ψέλνουμε κατά τη Μεγάλη Παρασκευή: «Σήμερον κρεμται π ξύλου ν δασι τν γν κρεμάσας. Στέφανον ξ κανθν περιτίθεται τν γγέλων Βασιλεύς. Ψευδ πορφύραν περιβάλλεται περιβάλλων τν ορανν ν Νεφέλαις. άπισμα κατεδέξατο ν ορδάν λευθερώσας τν δάμ. λοις προσηλώθη Νυμφίος τς κκλησίας. Λόγχ κεντήθη Υἱὸς τς Παρθένου. Προσκυνομεν σου τ πάθη, Χριστέ. Δεξον μν κα τν νδοξόν σου νάστασιν».

Η θεία λατρεία υπογραμμίζει τον πόνο και ταυτόχρονα την πίστη της Μητέρας του Θεού, τον πόνο και την πίστη της Εκκλησίας, βλέποντας τον Υιό κρεμάμενο στον Σταυρό: «Σήμερον ο απρόσιτος τη ουσία, προσιτός μοι γίνεται, και πάσχει Πάθη, ελευθερών με των παθών…» …. «Τούτον η Αγνή και Μήτηρ, επί Σταυρού θεωρούσα, οδυνηρώς εφθέγγετο’ οίμοι Τέκνον εμόν! Τί τούτο πεποίηκας; Ο ωραίος κάλλει παρά πάντας βροτούς, άπνους άμορφος φαίνη, ουκ έχων είδος ουδέ κάλλος». Το πάθος και ο θάνατος του Κυρίου φανερώνουν τη δόξα και το μεγαλείο της θεϊκής ανθρώπινης φύσης του: «Φοβερόν και παράδοξον μυστήριον σήμερον ενεργούμενον καθοράται· ο αναφής κρατείται· δεσμείται ο λύων τον Αδάμ της κατάρας… ραπίζεται χειρί του πλάσματος ο Πλάστης…»

Σε αυτή την πορεία από την Παρασκευή ως την Κυριακή εμφανίζεται με σταθερό τρόπο μία μορφή, η οποία γίνεται για μας πρότυπο και παράδειγμα, και την οποία σας προτείνω στη διακριτική και πιστή δραστηριότητά της προς τον Κύριο. Πρόκειται για τον Ιωσήφ από την Αριμαθέα, ο οποίος μαζί με τον Νικόδημο παρουσιάζονται ως οι άνθρωποι που φροντίζουν για το σώμα του Κυρίου: «Σ τν ναβαλλόμενον, τ φς σπερ μάτιον, καθελν ωσφ π το ξύλου, σν Νικοδήμ, κα θεωρήσας νεκρν γυμνν ταφον, εσυμπάθητον θρνον ναλαβών, δυρόμενος λεγεν·…» «πς σε κηδεύσω Θεέ μου; πς σινδόσιν ελήσω; ποίαις χερσ δ προσψαύσω, τ σν κήρατον σμα,…» «Σήμερον συνέχει τάφος, τον συνέχοντα παλάμη την κτίσιν. καλύπτει λίθος,τον καλύψαντα αρετή τους ουρανούς. υπνοί η ζωή, και άδης τρέμει,και Αδάμ των δεσμών απολύεται... « Βασιλες τν αἰώνων, τν δι πθους τελσας οκονομαν, ν τφ σαββατζει,καινν μν παρχων σαββατισμν».

     Ένα άλλο τροπάριο, εικόνες καταθλιπτικής ωραιότητας, βάζει στο στόμα του Ιωσήφ από την Αριμαθέα τα παρακάτω λόγια, ζητώντας από τον Πιλάτο το σώμα του Ιησού. Το κείμενο ψέλνει τον Λόγο του Θεού, ο οποίος με την ενσάρκωσή του γίνεται ένας ξένος». Το τροπάριο αυτό μελετά όλη την οικονομία της ενσάρκωσης του Λόγου του Θεού της θείας «κένωσής του», της αποξένωσής του: «Τν λιον κρύψαντα τς δίας κτίνας, κα τ καταπέτασμα το ναο διαρραγέν, τ το Σωτρος θανάτ, ωσφ θεασάμενος, προσλθε τ Πιλάτ κα καθικετεύει λέγων· δός μοι τοτον τν ξένον, τν κ βρέφους ς ξένον ξενωθέντα ν κόσμ·…. δός μοι τοτον τν ξένον, ν μόφυλοι μισοντες θανατοσιν ς ξένον· δός μοι τοτον τν ξένον, ν ξενίζομαι βλέπειν το θανάτου τ ξένον· δός μοι τοτον τν ξένον, στις οδεν ξενίζειν τος πτωχούς τε κα ξένους...»

     Σας προτείνω κατά το φετινό Πάσχα την μορφή του Ιωσήφ από την Αριμαθία ακριβώς γι’ αυτήν τη διακονία του να φροντίζει το σώμα του Ιησού: το κατεβάζει από τον Σταυρό το μυρώνει, το τοποθετεί σε ένα νέο τάφο. Ο Ιωσήφ είναι ο τύπος και η μορφή του καθενός μας, των πνευματικών ποιμένων της Εκκλησίας, των Επισκόπων, των Ιερέων, των Διακόνων, στη φροντίδα τους για το σώμα του Κυρίου, διαμέσου της δέσμευσης τους και της προσοχής τους στον Λόγο του Θεού, διαμέσου του δώρου των ιερέων μυστηρίων, διαμέσου του φτωχού, που κάθεται στην πόρτα μας, σαν νέος Λάζαρος. Ο Ιωσήφ είναι ο τύπος και η μορφή όλων των χριστιανών, στην φροντίδα του Σώματος του Κυρίου, που είναι η Εκκλησία Του. Αυτό γίνεται στη χριστιανική τους ζωή, στην καθημερινή τους ζωή, και τη χριστιανική ζωή αυτό το Σώμα, του οποίου και εμείς είμαστε μέλη.

Είθε ο αναστάς Κύριος να μας δώσει το δώρο να γνωρίζουμε τον εαυτό μας και να αισθανόμαστε όλοι μέλη του Σώματος του, αποκαθηλωμένοι και εμείς από τον σταυρό μας, και χρισμένοι από το Πανάγιο Πνεύμα Του.

 Χριστς νστη! ληθς νστη!